LE  EPISTOLE  PASTORALI
1, 2 TIMOTEO e TITO

UN NUOVO COMMENTARIO E CENNO BIBLIOGRAFICO

a cura di Fausto Salvoni - articolo tratto da Ricerche Bibliche e Religiose, n. 2-3, II e III Trimestre 1972 pp. 217-219


E' inutile preparare una bibliografia ragionata delle più recenti pubblicazioni sulle Pastorali, dal momento che è già edito (almeno in parte) ad opera di A. Lamaire, Epitres Pastorales: Rédaction et Théologie in «Bulletin de Théologie Biblique» 2 (1972) 24-41 . Auspichiamo la prossima comparsa della continuazione che tratterà della teologia della chiesa nelle pastorali. Mi permetto segnalare il commento recente di C. Spain , membro della Chiesa di Cristo, del quale finora nessuno ha parlato.

Il docente dell'Università di Abilene, Texas ha pubblicato un bel volume di commento alle pastorali per il Living Word Commentary diretto da E. Ferguson ed edito da R.B. Sweet Company di Austin, Texas. Si tratta di un libro, elegantemente rilegato, semplice, ma ben al corrente degli studi più moderni, il quale, senza perdersi in discussioni superflue e senza presentare le varie opinioni degli studiosi sull'argomento, mette in luce le soluzioni da lui preferite che, generalmente parlando, sono anche le meglio fondate.

Ecco alcuni elementi documentativi:

Le lettere sono genuine e furono scritte tra il 63 e il 67, dopo la prima prigionia di Paolo (pp. 12 e 163). Il presunto «gnosticismo» delle lettere è uno gnosticismo giudaico incipiente (p. 16). Manca tuttavia ogni accenno a un possibile rimaneggiamento di queste lettere da parte di Luca, già insinuato nel secolo scorso e di recente posto in rilievo dal Moule, per spiegare la diversità stilistica delle pastorali dalle lettere genuine di Paolo. In 1 Timoteo 2, 9 non accenna se l'ordinamento della donna riguardi la sorella che prega, come sembrerebbe nel contesto. Il passo 2, 10s, solo in parte parallelo a 1 Co 14, 34, non dovrebbe tradursi: « la donna stia in silenzio», bensì «La donna stia quieta ». Paolo vuole condannare il comportamento delle donne, che creavano confusione con il loro modo di agire verso gli uomini i quali dovevano guidare la comunità (p. 49).

Il « marito di una sola moglie» (3, 2) non indica di per sé che il vescovo debba essere sposato, ma che non può essersi risposato con un secondo matrimonio che violi però la volontà divina. Questa espressione poco chiara, indica forse un matrimonio dopo il divorzio (p. 58); io penso che si tratti piuttosto di poligamia. In 4, 11, in ragione del contesto, lo Spain (e mi sembra con ragione) intende il vocabolo «donna », non come la moglie del diacono (servitore) bensì come « diaconessa », o servitrice della chiesa, che costituiva un gruppo a parte. Non si capirebbe perché debba parlare delle mogli dei diaconi quando lo scrittore non ha parlato delle mogli dei vescovi; la costruzione («similmente») richiama 2, 9 (cf p. 66).

« Il dono» elargito a Timoteo con l'imposizione delle mani del presbiterio (4, 14) è specificato al versetto seguente con «i suoi doveri », vale a dire il suo ufficio di evangelista e di insegnante; cf Rm 12, 4-8 e 1 Ti 4, 13 (p. 81). Il « doppio onore» (5, 17) significa « onorario» (timé cf 5, 3; At 28, 10; Rm 13, 1-7) superiore a quello delle vedove e dei servi (5, 3; 6, 1) (p. 88s). Il «non imporre precipitosamente le mani» riguarda l'ufficio di evangelista nello stabilire gli anziani della chiesa (cf Tt 1, 5). Ma si tratta di un privilegio caratteristico di Timoteo in quanto inviato di Paolo. La « buona confessione » sembra ricollegarsi al battesimo di Timoteo (1 Ti 6, 2) (p. 102). Il « dono » elargito a Timoteo da Paolo (2 Ti 1, 6) è un determinato dono spirituale, uno di quelli ricordati in 1 Co 12, 1-11 (p. 112). Non potrebbe invece essere lo stesso di 1 Ti 4, 14, vale a dire il suo ministero di evangelista, dato per profezia del presbiterio e riconfermato da Paolo? (p. 112). « Figli credenti » (Tt 1, 6): il plurale è un plurale generico che può indicare uno o più figli (cf 6, 4); il « credenti » potrebbe anche essere tradotto con « leali », degno di fiducia, fedeli al padre; ma il contesto esige l'interpretazione di « cristiani ». Si tratta, infatti, di persone adulte che possono essere dedite all'ubriachezza e alla dissipazione del denaro (lo stesso vocabolo di dissolutezza in Ef 5, 18; Lc 15, 13) e capaci di essere « ribelli » ai propri genitori, e che documentano quindi l'incapacità paterna nell'educarli (cf 1 Ti 1, 9 stesso vocabolo « insubordinati » per persone prive di legge; 1, 10) (p. 170). Da questi brevi cenni, che si potrebbero moltiplicare a piacimento, appare la serietà di questo commento adatto a tutti i credenti e capace di offrire loro un ottimo nutrimento spirituale, privo di tecnicismo. Le persone specializzate non vi troveranno grandi novità, ma lo scopo di questi commenti non è di aiutare gli studiosi, bensì i fratelli di chiesa.



Carlo Spain, The letters of Paul to Timothy and Titus, The Living Word Commentary, Editor E. Ferguson, R.B. Sweet, Austin, Texas 1970, pp. 192 s.p.