PENTATEUCO

INDICE
Il titolo
Il problema della paternità:
Unità concettuale: promessa e realizzazione
L'autore
La critica moderna (l'ipotesi documentaria)
   1)  Urti, ripetizioni, interruzioni, strappi
   2)  Vocabolario e stile
Mosè scrittore

Il titolo

TORAH (legge) o HATTORAH (la legge) è il più antico dei titoli con cui gli Ebrei designano tuttora i primi cinque libri della Bibbia. Nell'A.T. vengono inoltre usate alcune espressioni per designare questi libri: « LA LEGGE » « LEGGE DI MOSE' » « LIBRO DELLA LEGGE », « LIBRO DI MOSE' », « LIBRO DELLA LEGGE DI MOSE' » (2 Re 14, 6 - 2 Cr 30, 16 - Ed 10,3 -   Ne   8, 1 - 13,1 - Ed 6,18 - 2 Cr. 25, 4 - 35,12). Molto probabilmente tali espressioni si riferiscono più che altro alle parti legali dei cinque libri. Solo più tardi esse furono estese a tutta l'opera, come si deduce dalle espressioni che troviamo in Mt. 5,17 « la legge e i profeti » e in Mc 12, 26 « nel libro di Mosè » .

Il termine « Pentateuco » con il quale vengono designati i primi cinque libri della Bibbia fu suggerito ai cristiani di lingua greca verso il II° secolo d.C. ca.   dalla divisione dell'opera in cinque libri che ricorre nel Talmud ed è ancora tutt'oggi usata fra gli Ebrei. Pentateuco è un termine greco che significa cinque volumi o letteralmente cinque astucci.

Nella Bibbia ebraica i cinque libri del Pentateuco vengono designati con le parole iniziali   di ciascun libro. Per esempio Genesi viene chiamata Beresit (in principio).

Gli attuali titoli dei singoli libri li troviamo per la prima volta nella versione greca dei LXX (traduzione dall'ebraico al greco avvenuta nel 2° secolo d.C. ca.). Essi sono fondati sul contenuto del libro ed erano usuali fra gli Ebrei alessandrini: GENESI , origine del mondo, dell'uomo del popolo ebraico; ESODO , uscita dall'Egitto; LEVITICO , leggi che interessano i modo particolare i sacerdoti che appartengono alla tribù di Levi; NUMERI , censimento degli Ebrei usciti dall'Egitto; DEUTERONOMIO , seconda legge, rispetto a quella contenuta nei libri precedenti.

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Il problema della paternità

Unità concettuale: promessa e realizzazione

Nel libro della Genesi troviamo ripetutamente la promessa divina di dare il possesso del paese di Canaan ai discendenti dei patriarchi. Tale promessa, fatta una prima volta ad Abramo (Ge 15, 13-18; Cfr. Ge12,7; 13,14-15), fu ripetuta in seguito anche ad Isacco e Giacobbe  (Ge 26, 3-4; 28, 13-14) e Giuseppe morendo ha lo sguardo rivolto verso la sua realizzazione (Ge 50, 24). La classica professione di fede dell'A.T. sembra sintetizzare le vicissitudini che hanno condotto alla realizzazione di questa promessa (Dt 26, 5-9; Gs 24, 2-14). La promessa e la sua realizzazione rappresentano quindi il motivo conduttore dei cinque libri del Pentateuco. Alcuni studiosi, basandosi sulla stretta connessione fra promessa e suo avveramento, si sono sentiti autorizzati a parlare di esateuco unendo ai primi cinque libri della Bibbia anche il libro di Giosué, che narra appunto la conquista della terra promessa. Questo atteggiamento sottolinea il carattere unitario dell'opera che si muove tutta attorno ad alcune idee fondamentali: creazione, elezione, promessa della terra, schiavitù, liberazione, alleanza, peregrinazione nel deserto, conquista di Cannan.

La divisione del Pentateuco in cinque libri non sempre corrisponde alla divisione interna nel senso che le varie tappe della vita del popolo ebraico non si esauriscono in un libro, ma possono proseguire nel libro successivo. Così ad esempio Ge 1-11 tratta della creazione e della storia primitiva e Ge 12-50 dei patriarchi, fino al soggiorno dei figli di Giacobbe in Egitto. Es 1-18 narra l'oppressione degli Ebrei, la loro fuga dall'Egitto e il viaggio nel deserto  fino al Sinai. Da Es 19,1 fino a Nm 10,10 gli Ebrei sono fermi al Sinai; da Nm 10,10 fino a Dt 34 si parla del viaggio dal Sinai alle steppe di Moab, di fronte a Gerico e della morte di Mosè.

Per quanto riguarda il genere letterario da Ge 1 a Es 18 è in assoluta prevalenza il genere narrativo; da Es 19 a Dt 34 ha il sopravvento invece il genere legislativo. La connessione tra le parti narrative da Ge 1 a Es. 18 non è molto chiara in quanto presenta spesso delle ripetizioni, come vedremo più avanti. Ancora più problematica e la connessione tra le sezioni narrative e legislative e tra le stesse legislative da Es 19 a Dt 34.

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L'autore

Fin dalla più remota antichità, sia la tradizione giudaica che quella cristiana non hanno mai messo in dubbio la paternità mosaica del Pentateuco. Nonostante però l'unità concettuale dell'opera, alcuni problemi  di carattere letterario ed alcune evidenze interne, che vedremo di approfondire più avanti, hanno indotto, nel corso dei secoli, alcuni studiosi a mettere in dubbio l'attività letteraria di un unico autore e la stesura dei libri in un'unica soluzione. Risulta evidente ad esempio che non può essere stato scritto da Mosè il cap. 34 di Deuteronomio il quale ci descrive la sua morte e la sua sepoltura.

Vediamo anzitutto cosa ci dice il testo sacro a proposito dell'autore. L'attività legislativa di Mosè come autore, o meglio, come mediatore delle formule introduttorie e conclusive delle sezioni legali ci viene attestato da parecchi passi: Es. 20, 22; 24, 12 ;31, 15-16; Lv. 1,1; 6, 1; 7, 28; Nm 5, 1 - 6,1; 15, 1: 30, 1; Dt 1, 1; 4, 44; 31,24; 32, 44. Più espressamente viene  attribuita a Mosè la messa in iscritto della vittoria sui figli di Amalec (Es 17, 14), una schematica registrazione delle tappe della peregrinazione (Nm 33, 2) e la redazione di leggi (Es 24, 4-8; 34, 27; Dt 31, 9.22.24-26). Altri testi, al di fuori del Pentateuco, che parlano espressamente della legge di Mosè o riferiscono una sua attività legislativa sono Gs 1, 7-8; 8, 31;23, 6

E' veramente curioso constatare che nei profeti anteriori all'esilio non si parli mai della legge di Mosè o di una sua attività legislativa, ma sempre e soltanto della legge di Jahveh o di Dio (Is 5, 24 - Gr 16, 11 - Os. 4, 6 - Am. 2, 4), sebbene non si ignorasse una legge scritta (Gr 31, 33; Os. 8, 1). Le espressioni « libro di Mosè », « legge di Mosè » e « il libro della legge di Mosè » le ritroviamo invece nei libri posteriori all'esilio ( 2 Cr 25, 4; 34, 14; 35, 12; Dn 9, 11-13; Ed 3, 2; 7, 6; Ne 8, 1; Ml 4, 4). In una posizione intermedia si trovano invece i libri la cui stesura si colloca tra prima e dopo l'esilio: 1 Sm 12, 6.8 è a conoscenza della grande parte avuta da Mosè e da Aronne nella liberazione dall'Egitto; 1 Re 2, 3 e 2 Re 14, 6 usano le espressioni « libro della legge di Mosè » e « come sta scritto nella legge di Mosè »; mentre in 2 Re 22, 8-13, dove si parla del ritrovamento del libro della legge, non si fa alcuna menzione di Mosè, a differenza di 2 Cr 34, 14.

Il N.T. riflette chiaramente l'influsso della letteratura biblica posteriore all'esilio nelle espressioni « la legge di Mosè » (Lc 24, 44), « il libro di Mosè » (Mc 12, 26) e simili (Mt 8, 4; 19, 8; Mc 7, 10; Gv 1, 45; Gv 5, 45-47; At 3, 22; 15, 21; Rm 10, 5.19; 1 Co 9, 9; 2 Co 3, 15.

Nella tradizione giudaica l'affermazione esplicita che Mosè è l'autore del Pentateuco la troviamo soltanto nel tardo giudaismo: presso Filone d'Alessandria, Flavio Giuseppe e nel Talmud. Solo più tardi un ebreo di nome Ibn Ezra di Toledo sollevò le prime obiezioni alla credenza generale ormai codificata nel Talmud. Per contro nello stesso periodo Maimonide, un altro famoso rabbino, formulava questo articolo di fede del giudaismo tradizionale: «... la legge che poss ediamo ci è data da Mosè..., il quale scrisse quanto gli fu dettato sia sulla storia che sulle leggi ».

Nella tradizione cristiana i cosiddetti «Padri» e gli scrittori ecclesiastici in genere non si posero mai la questione dell'autenticità mosaica del Pentateuco, limitandosi a ripetere la tradizione giudaica. Gregorio Magno (m. 604) riassumendo la preoccupazione e la novità dello spirito cristiano, dichiarava ben poco importante la ricerca dell'autore umano dei libri sacri, il quale deve considerarsi come la penna di cui si è servito lo Spirito Santo per comunicarci il suo pensiero.  Non mancò tuttavia qualche voce discordante. Ireneo  (m. 202) sostiene che Dio abbia ispirato Esdra di « ordinare tutte le parole degli antichi profeti e di restituire al popolo la legge data per mezzo di Mosè ». Analogamente Tertulliano (m. dopo il 220) ricorda che ogni libro della letteratura giudaica fu rifatto da Esdra. Anche Gerolamo, spiegando l'espressione « fino al giorno d'oggi » di Ge 35, 20 e Dt 34, 6,  si richiama all'attività di Esdra: « Certamente il "giorno d'oggi" è da computare in relazione al tempo in cui è stata scritta la narrazione, sia che tu dica autore del Pentateuco Mosè o Esdra, che è il rinnovatore della stessa opera... ». Tra le voci discordi non mancano naturalmente gli gnostici per evidenti ragione di carattere dottrinale (Tolomeo II sec.).

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La critica moderna (l'ipotesi documentaria)

A partire dal XVI secolo gli studiosi cominciano ad esaminare il Pentateuco con occhio critico ed è proprio in quel periodo che sorgono le prime ipotesi sulla composizione dei primi cinque libri della Bibbia. Sarebbe troppo lungo esaminare le varie tappe di questa ricerca e ci limiteremo pertanto a riportare le conclusioni finali che sono quelle accettate oggi dalla maggior parte degli studiosi.

Esaminando attentamente i testi del Pentateuco gli studiosi notarono in essi parecchie ripetizioni (fatti, situazioni ed episodi raccontati due volte in maniera diversa con nomi propri diversi). In alcuni brani Dio è indicato con il nome di Jahveh, in altri con il nome di Elohim. Da queste osservazioni essi dedussero che i cinque libri così come sono pervenuti ai nostri giorni non possono essere stati scritti di getto da un unico autore. Un redattore finale deve aver unito assieme alcuni scritti preesistenti in modo da formare l'attuale Pentateuco. Questa è in parole povere la cosiddetta ipotesi documentaria che viene oggi accettata dalla stragrande maggioranza degli studiosi.  Essa si fonda sul riconoscimento da parte degli studiosi di almeno quattro documenti o tradizioni preesistenti che sono state amalgamate assieme da un redattore finale, molto probabilmente lo stesso Esdra al ritorno dall'esilio. Non dobbiamo dimenticare che questi documenti scritti nel corso della travagliata vita del popolo ebraico subirono diverse traversie. Essi andarono addirittura smarriti e furono poi ritrovati nel tempio all'epoca del re Giosia.

Gli studiosi con un paziente e lungo lavoro di ricostruzione, attraverso osservazioni di carattere linguistico, storico e religioso ed avvalendosi via via nel tempo di mezzi sempre più sofisticati riuscirono ad identificare quattro documenti che chiamarono con nomi diversi a seconda della loro caratteristica principale. Essi riuscirono ad identificare un primo documento più antico che chiamarono  Jahvista o più brevemente con la sigla "J"   nel quale il nome di Dio ricorreva con il termine di "Jahveh" . Poi identificarono un secondo documento che chiamarono Elohista o più brevemente con la sigla "E" nel quale il nome di Dio ricorreva invece con il termine di "Elohim" . Infine essi riconobbero un terzo ed un quarto documento a cui posero rispettivamente il nome  di Deuteronomista   o più brevemente  la sigla "D" e Sacerdotale con la sigla "P" (dall'inglese Priest=sacerdote). A seconda della diversa datazione dei quattro documenti su citati, l'ipotesi documentaria può essere riassunta nella sigla JEDP.

In che modo gli studiosi sono giunti all'identificazione di questi quattro documenti? Come abbiamo già detto più sopra, attraverso un attento esame dei testi, avendo a disposizione sempre più nuovi e più moderni strumenti di lavoro ed avvalendosi anche degli elementi di confronto forniti dalle recenti scoperte archeologiche, essi notarono:

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1) Urti, ripetizioni, interruzioni, strappi

a) Dopo il riassunto della creazione del cielo e della terra (Ge 2, 4a), questa è deserta, senza vegetazione, senza animali e senza l'uomo dei quali viene poi narrata  (Ge 2, 4b) la creazione in modo diverso dal racconto precedente.

b) La genealogia di Set (Ge 4, 25 s.) è ripresa subito dopo (Gen. 5, 1 s.).

c) Dio ordina a Noè di introdurre nell'arca una coppia di animali di ogni specie (Ge 6, 19), poco dopo  sette coppie di animali puri e una di impuri (Ge 7, 2).

d) Dopo l'inizio del diluvio e l'ingresso nell'arca (Ge 7, 6 s.), tutto ciò è ripetuto come se nulla fosse stato detto (Ge 7, 10 s.).

e) Secondo Ge 7, 12 le piogge del diluvio durarono quaranta giorni, dopo i quali Noè aspettò due periodi di sette giorni (Ge 8, 6 ss); ma secondo Ge 7, 24, le acque rimasero sulla terra per centocinquanta giorni e non si ritirarono che dopo un anno e dieci giorni dall'inizio del diluvio (Ge 8, 14; Cfr. 7, 11).

f) Sara corre pericolo due volte a causa della sua avvenenza (Ge 12, 10-13,1 e Ge 20, 1-18) e una volta pure Rebecca (Ge 26, 6-11).

g) Agar ebbe due volte dei contrasti con Sara che causarono il suo allontanamento (Ge 16 e 21).

h) Ge 20 inizia con « Abrahamo si spostò di là... » mentre in precedenza non si parlava affatto di lui.

i) Abramo e Sara sono vecchi, tanto da non aspettare più figli (Ge 18, 11-12), ma poco dopo si legge che Abramo prese una nuova moglie, dalla quale ebbe sei figli (Ge 25, 1 ss.).

l) Giuseppe, tirato su dala cisterna vuota, fu venduto dai fratelli a dei mercanti ismaeliti (Ge 37, 25)o fu estratto da mercanti madianiti che lo vendettero agli ismailiti per essere condotto in  Egitto (Ge 37, 28)? Il versetto 36 dello stesso capitolo ci informa invece che i madianiti lo vendettero direttamente in Egitto.

m) Giacobbe cambiò il nome di Luz in Betel nel viaggio verso Haran (o Carran) (Ge 28, 10-19) oppure nel viaggio di ritorno, quando innalzò una stele (Ge 35, 14 s)?

n) Ancora: due volte figurano la vocazione di Mosè (Es 3 e 6), il miracolo delle quaglie e della manna (Es 16 e Nm 11), il racconto della tentazione a Meriba (Es 17, 1-7 e Nm  20, 1-13).

o) A Mosè viene rivelato il nome divino « Jahveh » in Es 3 e 6; ma il nome non pare nuovo (Cfr. Ge 2, 4a; 4, 26; 15, 7 s.).

p) Secondo Es 4, 20, Mosè tornando in Egitto, porta con sé la moglie, ma secondo Es 18, 2, questa gli viene condotta al Sinai dal suocero. L'annotazione del rinvio è un'aggiunta redazionale che tenta di armonizzare queste divergenze.

q) In certi testi la Tenda è fuori dell'accampamento e la nube non è sempre su di essa (Es 33, 7-11; Nm 11, 24.26.30; 12,4 ss.), mentre altrove è al centro dell'accampamento (Nm 2,1 ss.).

Nelle leggi queste osservazioni sono, forse, anche più significative:

r)  Due volte vengono dati il decalogo (Es 20 e Dt 5) e la legge sullo schiavo (Es 21, 2-6 e Dt 15,12-18).

s) Tre volte la legge sull'omicidio (Es 21,12-14; Dt 19, 1-13; Nm 35, 9-34).

t) Cinque volte il catalogo delle feste (Es 23, 14 ss.; 34, 18 ss.; Lv  23; Nm  28 s.;Dt 16) e la legislazione sulle decime (Lv 27, 30 ss.; Nm. 18, 21.26-31; Dt 14, 22-27).

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2) Vocabolario e stile

Persone,luoghi e oggetti che sono sempre gli stessi vengono designati con nomi diversi. La prima osservazione del genere fu fatta sul nome divino. In una delle due narrazioni dell'espulsione di Agar Dio è detto Jahveh (Ge 16), nell'altra Elohim (Ge 21). Nella storia di Giuseppe una serie di testi chiama Dio Jahveh, un'altra Elohim, come già nel racconto della creazione, del diluvio, ecc. Abbiamo già rilevato come Es 6, 2 s.  male si accordi con i testi che, in riferimento all'epoca dei patriarchi, suppongono già conosciuto il nome di Jahveh (Ge 15, 7; vedi pure 15, 2.8; 16, 2; 18,14; 19, 13; 24,31; 28,13). Questo nome, anzi è posto in bocca ad Eva al momento in cui diviene madre (Ge 4,1), ed è detto che all'epoca di Set si cominciò ad invocare il nome di Jahveh (Ge 4,26). Di qui la denominazione di documento o tradizione jahvista ed elohista.

Lo stile e la terminologia del Deuteronomio sono così singolari da differenziarsi nettamente dal resto non solo del Pentateuco, ma della Bibbia, sebbene qui abbiamo maggiori riscontri con i profeti, Giosué e 2 Re. La montagna in cui Dio si è rivelato nel Deuteronomio è detta sempre Horeb, negli altri libri ora Sinai (Es 19,11.18 ecc.) ora Horeb (Es  3, 1; 17, 6; 33,6 ecc.), benché i due nomi siano presentati come equivalenti (Es 3,12). Diverso è pure il nome del suocero di Mosè (Es.3, 1; 18, 1 ecc. ed Es 2,18 ecc.). In una serie di testi i termini tenda-santuario, santuario, sacrificio, assemblea dei fedeli sono adoperati in senso esattamente tecnico, e di queste cose si parla con estrema proprietà, mentre in altri tutto è assai generico ed impreciso. Una serie di testi, che corre per tutto il Pentateuco, mostra il gusto delle cifre,  dello schematismo, della brevità tecnica, delle genealogie, delle formule costanti: sono i testi detti sacerdotali. Un'altra serie si caratterizza invece per le narrazioni vive, ricche di colore e di dialogo, di finezza e di profondità psicologica, con una teologia apparentemente semplice, secondo la quale Dio è vicino al suo popolo ed al singolo fedele: sono i testi jahvisti ed elohisti.

I criteri, da una parte, del nome divino, delle ripetizioni, dei doppioni, della freschezza e della vivacità, degli antropomorfismi (=jahvista), e, dall'altra, di una moralità più elevata e di un intervento spirituale della divinità, di differenze stilistiche e di un più chiaro influsso profetico (=elohista), pur non essendo determinanti, lasciano presupporre l'esistenza di autori diversi dai quali il redattore finale ha ricavato il materiale per comporre il Pentateuco così come ci è pervenuto oggi.

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Mosè scrittore

Nonostante quanto finora affermato dalla critica letteraria dobbiamo ritenere eccessiva la posizione di coloro che non attribuiscono a Mosè neppure una parola dei testi narrativi, ritenendolo a malapena l'autore del decalogo. Non sembrano esserci ragioni valide per escludere un'attività letteraria di Mosè per i seguenti motivi:

1)  Non si possono respingere a priori le testimonianze esplicite del Pentateuco stesso, che attribuiscono a Mosè la messa in iscritto di alcuni passi: Es 17, 14; Nm 33, 2 per i fatti; Es 24, 4; 34, 27; Dt 31, 9.24 per le leggi; Dt 31, 22 per il Cantico.

2)  Mosè, cresciuto nella cultura egiziana, aveva imparato l'arte di scrivere e di redigere le memorie degli avvenimenti.

3)  Come fondatore della religione jahvista dovette avvertire la necessità di conservare e di tramandare intatto il deposito della rivelazione.

4)  Il confronto con l'archeologia dell'Antico Oriente nell'ambito storico, giuridico, cultuale e letterario dimostra, che le narrazioni e le leggi del Pentateuco risalgono all'età di Mosè, e quindi almeno la loro prima redazione scritta poté essere opera sua o sotto il suo influsso diretto, anche se poi nel corso dei secoli hanno subito parecchie elaborazioni. Sta di fatto comunque che tutte le tradizioni che stanno alla base del Pentateuco, sia le più antiche (J e E) sia le più recenti (D e P) sono concordi nell'attribuire a Mosè una grande parte come autore e come legislatore

Se confrontiamo il riassunto storico di Giosué 24 con le narrazioni del Pentateuco appare chiaro che queste non sono altro che l'elaborazione della storia schematica espressa nella particolare struttura di genere letterario dell'alleanza. Come tale struttura congiunge la storia con la legge, così anche il Pentateuco sembra adattare nel genere letterario dell'alleanza i due elementi fondamentali della storia e della legge. Sotto questo punto di vista la paternità di Mosè acquista senz'altro una nuova luce perché ci fa comprendere il modo in cui Mosè può essere stato l'autore del Pentateuco. Autore letterario nel senso più profondo è colui che dà la forma. E' compito dell'autore letterario prendere vari elementi fors'anche eterogenei, dare loro una specifica unità rivestendoli di una determinata struttura, dare un senso, un significato, e così creare un'opera letteraria. Si deve dunque considerare a buon diritto autore del Pentateuco colui che gli ha dato la forma di alleanza, perché tale forma è ciò che rivela il senso delle narrazioni. Queste non richiamano semplicemente la memoria dei tempi passati. Le cose passate sono rese presenti e rivestono una portata personale, invitando e spingendo al servizio di Dio. Questa forma dell'alleanza non solo rivela il senso delle leggi, ma insieme esige che le leggi crescano e si adattino alle nuove condizioni storiche e sociali. Questa forma dunque abbraccia l'intero Pentateuco e insieme mostra il suo principio interno di sviluppo. L'aver introdotto questa forma fu senz'altro opera di Mosè e così deve intendersi la sua sostanziale paternità che ci è pervenuta dalla tradizione. In parole povere è stato Mosè che ha dato l'impronta al Pentateuco e tale impronta la ritroviamo ancora oggi intatta nonostante le successive elaborazione dei testi.  « Poiché la legge è stata data per mezzo di Mosè, ma la grazia e la verità sono venute per mezzo di Gesù Cristo » (Gv 1,17).

Così come Gesù è l'autore del Vangelo nonostante che egli non ne abbia scritto una parola, allo stesso modo Mosè è l'autore del Pentateuco non escludendo con questo anche una sua eventuale diretta partecipazione come scrittore.

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