BREVE STORIA DEL POPOLO EBRAICO
da Abramo alla fine della monarchia

INDICE
Epoca patriarcale (Abramo, Isacco, Giacobbe)
La nascita del popolo ebraico
La monarchia:
Saul
Davide
Salomone
Fine dell'unione fra Giuda ed Israele
Caduta dei due regni e successivi sviluppi
I due regni divisi
Caduta di Samaria e fine del egno del Nord
Giuda vassallo assiro

Epoca patriarcale (Abramo, Isacco, Giacobbe)

Non possiamo iniziare una storia, anche breve, del popolo ebraico, senza accennare alla figura di Abramo che rappresenta il padre naturale e spirituale dal quale ebbe origine questo popolo. Nella Bibbia abbiamo di Abramo una abbondante documentazione che va del libro di Genesi fino alla lettera di Giacomo. Nel Nuovo Testamento si parla di lui soprattutto dal punto di vista della fede per cui egli è idealmente il padre anche di tutti coloro che per fede hanno accolto l'opera redentrice di Gesù Cristo.

Oltre alla fonte biblica, abbiamo anche a nostra disposizione la testimonianza dello storico ebraico Flavio Giuseppe che nella sua opera  "Antichità Giudaiche" ci dà di Abramo un interessante descrizione che, penso, valga la pena di citare, se non altro per fare un confronto con i numerosi testi biblici a nostra disposizione. Questa descrizione la troviamo nel libro I, VII, 154,1 (pp. 74-75):

« In mancanza di prole legittima, Abramo adottò Lot figlio di Aran e fratello di sua moglie Sarra; abbandonò la Caldea all'età di settantacinque anni, avendogli Dio ordinato di portarsi nella Cananea nella quale si stabilì, e lasciò ai suoi posteri. Essendo uomo di pronta intelligenza in ogni cosa, persuasivo con chi lo ascoltava, e non fallace nelle argomentazioni, più degli altri uomini incominciò a sentire il valore della virtù e si decise a riformare e cambiare le idee correnti sulla Divinità. Fu il primo ad avere il coraggio di affermare che Dio, creatore dell'universo, è uno solo, e che se vi è qualcosa che contribuisce ad una vita felice, tutto avviene per suo ordine, non per nostra abilità. Queste cose egli argomentava dai cambiamenti ai quali sono soggetti la terra e il mare, dai fenomeni che osservava sul sole e sulla luna, e da tutti gli altri fenomeni celesti; argomentava che se tutto fosse disposto da una forza presente in essi, forza che provvede alla loro regolarità, (essa dovrebbe apparire), ma siccome dimostrano di essere privi di tale forza, e quando operano per il nostro bene, non lo fanno per virtù propria, ma per la forza di chi a loro presiede, è dunque a Lui che si deve rendere omaggio e riconoscenza.
Per questo sorsero contro di lui i Caldei e altri popoli della Mesopotamia, ed egli pensò che fosse giusto emigrare secondo il volere e l'aiuto di Dio, e si stabilì nella terra di Canaan. Qui giunto, innalzò un altare e offrì sacrifici a Dio »

Nella Bibbia si incomincia a parlare di Abramo in Ge al cap. 11 dal versetto 10, dove con una genealogia viene dimostrata la sua origine semitica. Il padre di Abramo era Terah, il quale oltre ad Abramo aveva altri due figli Nahor ed Haran. Haran muore nel paese nativo in Ur dei Caldei (v. 28) lasciando i figli Lot, Milkah e Iskah (vv. 27.29b). Abramo e Nahor prendono moglie: Abramo sposa Sarai e Nahor la nipote Milkah, figlia del fratello morto, Haran (v. 29a).

Poi Terah parte da Ur dei Caldei portandosi dietro il nipote Lot (figlio di Haran) ed il figlio Abramo con la moglie Sarai. La destinazione sembrava essere, secondo il v. 31b il paese di Canaan, ma giunti a Haran, decidono di stabilirsi in quella località.

Lista secondo il Testo Masoretico


nome del patriarca primogenito resto totale
1
SEM 100 500 600
2
ARPACSAD 35 403 438
3
SELAH 30 403 433
4
EBER 34 430 464
5
PELEG 30 209 239
6
REU 32 207 239
7
SERUG 30 200 230
8
NAHOR 29 119 148
9
TERAH 70 135 205
10
ABRAMO 100 75 175

È a questo punto che Abramo viene chiamato da Dio ad uscire dal suo paese, dal suo parentado e dalla casa di suo padre per recarsi in un paese che non conosceva. La fede dimostrata da Abramo in questa occasione viene premiata da Dio con una serie di benedizioni e con la promessa che la terra nella quale si stava recando sarebbe divenuta la patria dei suoi discendenti. La chiamata di Abramo da parte di Dio sta alla base degli ulteriori sviluppi della storia del popolo ebraico, ma costituisce anche, nello stesso tempo, la premessa sulla quale si snoderà tutta la storia della salvezza fino a Cristo. Una storia che coinvolgerà in prima persona il popolo eletto, ma che con Cristo si aprirà a tutto il genere umano: « In te saranno benedette tutte le famiglie della terra » (Gn 12, 3). Questa promessa viene ancora ripetuta ad Abramo in Gn 18, 18 e poi confermata anche ai suoi discendenti Isacco (Gn 26, 4) e Giacobbe (28, 14) e lo stesso Giuseppe morendo ha lo sguardo rivolto verso la sua realizzazione (Gn 50,24).

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La nascita del popolo ebraico

In Dt 26, 5-9 troviamo una classica professione di fede che l'ebreo doveva pronunciare nel tempio in presenza del sacerdote di turno. Si tratta come si può constatare di una sintesi delle vicende che hanno condotto alla realizzazione delle antiche promesse fatte da Dio ad Abramo, ad Isacco e a Giacobbe. La promessa e la sua realizzazione rappresentano quindi il motivo conduttore della storia del popolo ebraico che si muove tutta attorno ad alcune idee fondamentali: elezione, promessa della terra, schiavitù, liberazione, alleanza, peregrinazione nel deserto, conquista di Canaan.

La figura chiave che interviene in questa secondo periodo della storia è quella di Mosè, il condottiero ed il legislatore per eccellenza. È per mezzo di lui che i discendenti dei patriarchi prendono coscienza di essere un popolo e di essere il popolo eletto da Dio.

I figli di Giacobbe a causa di una carestia si vedono costretti ad emigrare in Egitto dove trovano che Giuseppe, il loro fratello venduto schiavo a dei mercanti di passaggio, con il favore di Dio era diventato addirittura viceré di quel paese. Questo fatto si rivela provvidenziale per queste persone che possono così inserirsi bene nella società egiziana. Il libro di Esodo ci dice che all'inizio esse erano soltanto settanta persone in tutto, ma ben presto queste persone si moltiplicano fino al punto da diventare più numerose e più forti degli stessi egiziani.

La storia la conosciamo molto bene: gli egiziani sentendosi minacciati dall'invadenza degli ebrei, riducono in schiavitù questo popolo opprimendolo, con duri lavori forzati, ma neppure questo provvedimento serviva ad arrestare la sua crescita. Così un nuovo Faraone, che non aveva conosciuto Giuseppe e che gli storici hanno pensato di identificare con Ramses II (1290-1224), ordina che vengano uccisi tutti i maschi alla loro nascita, ma le levatrici con un espediente si sottraggono a questo ordine. Il Faraone ordina allora di annegare nel Nilo tutti i maschi appena nati.

Mosè viene salvato dalla figlia del Faraone che lo alleva alla corte del re come proprio figlio. Consapevole della sua origine, Mosè, da adulto, si rattrista per i duri lavori ai quali erano sottoposti i propri fratelli e si ribella uccidendo un egiziano che stava percuotendo un ebreo. Per timore della vendetta del Faraone fugge nel paese di Madian, dove si sposa e dove ha un incontro con Dio nel famoso pruneto ardente. In questo incontro Dio gli ordina di tornare in Egitto, di mettersi a capo del suo popolo e di indurre il Faraone a lasciare liberi gli ebrei per condurli verso la terra promessa ai padri.

Il compito che Dio affida a Mosè si rivela subito difficile. Il Faraone non sembra disposto a cedere alle richieste che gli vengono inoltrate. Sono necessarie infatti dieci piaghe che colpiscono gli egiziani per indurre il sovrano egiziano a più miti consigli. Dopo l'ultima piaga in cui l'angelo vendicatore colpisce tutti i primogeniti egiziani, compreso il figlio del Faraone, viene concessa finalmente la libertà e l'autorizzazione a partire.

Il libro di Esodo ci informa che gli uomini a piedi che uscirono dall'Egitto erano seicentomila, senza contare i bambini e molto probabilmente le donne. Agli ebrei inoltre si aggiunsero un gran miscuglio di gente di cui non viene precisata l'origine, ma che molto probabilmente viveva ai margini della società egiziana ed era stato attratto dallo stile di vita ebraico e dai miracoli compiuti da Dio per mezzo di Mosè. Si può quindi immaginare quale grande massa di popolo si mise in marcia in quell'occasione sotto la direzione di Mosè. Oltre alle loro masserizie e al bestiame in gran numero, gli ebrei si fecero consegnare dagli egiziani anche parecchi oggetti d'oro e d'argento.

Tutta questa carovana si mette in marcia e si avvia verso il deserto per cercare una zona che fosse il più possibile lontana dalla sfera di influenza del Faraone e delle sue truppe. Non si sa con esattezza quale fu esattamente il percorso di questa grande carovana di uomini e di bestiame, ma si sa per certo che essi riuscirono a sfuggire miracolosamente alle truppe egiziane che li stavano inseguendo, attraversando indenni il Mar Rosso.

L'esodo dall'Egitto fu un avvenimento talmente importante per il popolo ebraico da rimanere impresso in maniera indelebile nella sua memoria e da costituire il fondamento e la base sulla quale venne costruita in seguito tutta la sua vita politica, sociale e religiosa, soprattutto quando si stabilì definitivamente nella terra promessa della Palestina. Il calendario ebraico stesso tiene conto di questo avvenimento. Il mese in cui gli ebrei uscirono dall'Egitto è il mese di Nisan ed è il primo mese dell'anno. Il 14° giorno del mese di Nisan viene celebrata la pasqua ebraica, come ricordo della liberazione dalla schiavitù in Egitto e nella successiva settimana la festa degli Azzimi.

Una volta attraversato il Mar Rosso, la carovana prosegue nel suo viaggio nel deserto verso la terra promessa fra alterne vicende, disagi e mormorazioni del popolo che nelle situazioni critiche rimpiange la vita in Egitto e rinfaccia a Mosè di averli condotti nel deserto a morire di fame e di sete. Dio provvede alla sussistenza del suo popolo nel deserto nonostante la sua incredulità, procurandogli l'acqua ed il cibo necessario. Finalmente questa carovana giunge nel deserto del Sinai ed è proprio in questa località che viene stipulato fra Dio ed il suo popolo un'alleanza. Lo stesso patto che Dio aveva stabilito individualmente con Abramo (Gn 15), ora lo stabilisce collettivamente con i suoi discendenti usciti dall'Egitto.

È interessante leggere le parole con le quali Dio si rivolge al suo popolo in Es 19, 4-6: «Voi avete visto ciò che ho fatto agli Egiziani, e come vi ho portato su ali d'aquila e vi ho condotto da me. Or dunque, se darete attentamente ascolto alla mia voce e osserverete il mio patto, sarete fra tutti i popoli il mio tesoro particolare, poiché tutta la terra è mia. E sarete per me un regno di sacerdoti e una nazione santa»
Quest'ultima frase: « un regno di sacerdoti e una nazione santa» sono le stesse parole che da Pietro vengono applicate anche ai cristiani in 1 Pt 2. 9-10 per significare che tutti coloro che ripongono la propria fiducia in Cristo ereditano la condizione di popolo eletto e divengono l'Israele spirituale.

Il patto fra Dio ed il suo popolo viene stipulato ufficialmente il terzo giorno sul monte Sinai con varie manifestazioni di potenza (lampi, tuoni, fuoco, fumo) che indicavano la presenza di Dio. Questo patto fra Dio ed il suo popolo viene ratificato con il sangue di torelli che vengono immolati come sacrifici di ringraziamento all'Eterno. Mosè raccoglie il sangue di questi sacrifici in due parti: una parte viene sparsa sull'altare, con l'altra metà Mosè asperge il popolo dicendo: «Ecco il sangue del patto che l'Eterno ha fatto con voi secondo tutte queste parole » (Es 24, 8).

È interessante notare che durante la cena pasquale, poco prima di essere arrestato nel Getsemane, Gesù pronuncia quasi le stesse parole, riferendole però questa volta al nuovo patto che stava per essere inaugurato con il suo sacrificio. Possiamo constatare questo nei sinottici e in Paolo:
 
Matteo 26, 27-28
Marco 14, 23-24
Luca 22, 20
Paolo (1 Co 11, 25)
Poi prese il calice e rese grazie, e lo diede loro dicendo: « Bevetene tutti, perché questo è il mio sangue, il sangue del nuovo patto che è sparso per molti per il perdono dei peccati » Poi prese il calice e rese grazie, lo diede loro, e tutti ne bevvero. Quindi disse loro: «Questo è il mio sangue, il sangue del nuovo patto, che è sparso per molti » Così pure, dopo aver cenato, prese il calice dicendo: « Questo calice è il nuovo patto nel mio sangue, che è sparso per voi» Parimenti, dopo aver cenato, prese anche il calice, dicendo: « Questo calice è il nuovo patto nel mio sangue; fate questo ogni volta che ne bevete in memoria di me»

L'uso della stessa formula è la dimostrazione del collegamento esistente fra l'Antico ed il Nuovo Testamento, fra il popolo ebraico ed il popolo cristiano, fra l'Israele naturale e l'Israele spirituale. Se volessimo approfondire questo argomento dovremmo citare il capitolo 9 e parte del capitolo 10 della lettera agli Ebrei, ma per brevità lasciamo questo compito al lettore e ritorniamo al popolo ebraico.

Lo abbiamo lasciato nel deserto del Sinai in procinto di stipulare un patto con Dio. Questo patto viene stipulato e ratificato col sangue. Poi Mosè sale sul Monte Sinai e vi rimane 40 giorni e 40 notti durante i quali Dio gli consegna le tavole della legge, i cosiddetti 10 comandamenti scritti direttamente da Dio, e in quella occasione gli comunica anche tutta una serie di prescrizioni e di leggi che riguardavano il culto e la vita civile e sociale. Il popolo ebraico verrà governato da quel momento in poi secondo un sistema teocratico. Cioè con leggi non formulate direttamente dal popolo o dai suoi governanti, ma direttamente da Dio.

Sorvoliamo sull'episodio del vitello d'oro e sulla reazione di Mosè in quella occasione. Dio si adira contro il popolo ribelle e Mosè intercede per lui. in Nm 10, 11-12 viene infine descritta la partenza del popolo dal deserto del Sinai. Riprende così la marcia verso la terra promessa che sembra irraggiungibile. Questa peregrinazione nel deserto dura circa 40 anni fra continue mormorazioni e ribellioni e nuove intercessioni di Mosè. Dio interviene ancora per perdonare e proteggere il suo popolo nonostante le sue continue proteste e ribellioni, ma è costretto a punire tutta quella generazione dai venti anni in su che non aveva avuto sufficiente fiducia in Lui. Tutte queste vicende le troviamo nei libri del Levitico e dei Numeri che bisognerebbe leggere attentamente per farsi un'idea esatta della situazione e di come un po' alla volta il popolo ebraico, dopo questa dolorosa esperienza del deserto, prende coscienza di essere una nazione. Le varie tappe di questa lunga peregrinazione le troviamo elencate sinteticamente nel cap. 33 del libro dei Numeri. Penso che valga la pena di leggere almeno un brano del libro dei Numeri che si trova nel cap. 14 dal v. 20 al 38.

Alla fine, dopo questo lungo peregrinare nel deserto, il popolo giunge in prossimità del Giordano a nord del Mar Morto, all'altezza di Gerico che si trovava dall'altra parte della sponde del fiume. Mosè muore senza poter entrare nella terra promessa, ma Dio gli concede di poterla guardare dall'alto di un monte (Dt 32, 48-52).

Giosuè prende il posto di Mosè al comando del popolo ed inizia la conquista della terra di Canaan. Nel libro di Giosuè si ha l'impressione che questa conquista avvenga in maniera veloce e vittoriosa. A cominciare da Gerico tutte le città cananee, una dopo l'altra cedono all'assalto vittorioso delle truppe ebraiche e quasi tutto il territorio della Palestina viene invaso e spartito fra le tribù ebraiche. Secondo questo libro la conquista della terra promessa è una conquista ormai compiuta e realizzata.

Con il libro dei Giudici si ha invece l'impressione che questa conquista non sia ancora pienamente realizzata del tutto. Il popolo ebraico si trova a convivere con le popolazioni locali della Palestina e molto spesso questa convivenza non è del tutto pacifica. Siamo nel periodo dei Giudici, i quali sono degli eroi o dei personaggi famosi che di volta in volta ed in località diverse, a Nord o a Sud della Palestina, sono chiamati ad intervenire per salvare gli israeliti dall'invasione e dall'oppressione dei popoli vicini. Il libro si snoda secondo uno schema ben preciso che si ripete per ogni giudice:

1. C'è un'infedeltà da parte del popolo ebraico,
2. la conseguente punizione di Dio per mezzo dell'invasione dei popoli vicini,
3. il lamento e la preghiera del popolo a Dio,
4. Dio risponde a questo lamento ed a questa preghiera inviando un Giudice che mette a posto la situazione con la sconfitta del nemico.

Non dobbiamo pensare che tutto questo avvenga su scala nazionale, ma si tratta di episodi che avvengono localmente in varie parti della Palestina. La giurisdizione del giudice ed il suo campo d'azione è episodico e territorialmente limitato. Per rendersi conto di questo basta sfogliare anche solo superficialmente il libro dei Giudici e leggere alcuni titoli.

Questa situazione andò avanti finché non sorse Samuele, il quale oltre ad essere un giudice, era anche un profeta. Gli Ebrei stanchi di essere governati dai giudici ed invidiosi dei popoli vicini che erano governati da re vollero anch'essi un re e lo chiesero a Samuele. Possiamo leggere questo in 1 Samuele dal cap. 7, 15 fino al cap. 8, 22.

Anche se alla fine Dio acconsentì di dare al popolo ebraico un re, appare evidente che tanto Samuele quanto Dio stesso non erano molto favorevoli a questa richiesta del popolo. Come possiamo spiegare questa reticenza da parte di Samuele e di Dio stesso dal momento che in Dt 17, 14-20 esisteva già una legge riguardante il re? Come mai Samuele si oppone alla richiesta del popolo pur sapendo che tale richiesta era già prevista nella legge che Dio diede a Mosè? Sembra difficile poterlo spiegare se non si ammette che tale brano non fu scritto da Mosè, ma fu aggiunto in una fase successiva quando ormai la monarchia era divenuta un'istituzione consolidata. Del resto che nella legge di Dio (Pentateuco) ci siano state delle aggiunte posteriori ci viene chiaramente testimoniato dalla stessa Scrittura in Gs 24, 25-26, dalla quale apprendiamo, ad esempio, che Giosuè aggiunse al « libro della Legge di Dio » lo statuto stipulato a Sichem.

Certamente Mosè, secondo l'uso degli antichi popoli, mise per iscritto gran parte della Legge, alcuni fatti importanti ed alcune norme divine fondamentali. Per esempio egli redasse in un rotolo la vittoria sugli Amalekiti per conservarne il ricordo in perpetuo (Es 17, 14). Egli scrisse pure tutte le parole del Signore e tutte le sue leggi (Es 24, 3-4). Mosè stesso ordinò che « il rotolo della legge » che aveva appena finito di scrivere, fosse posto nell'arca dell'alleanza, dove si pensava che Dio mostrasse in modo particolare la sua presenza (Dt 31, 24-26). Se nella legge vengono indicate esplicitamente le parti scritte direttamente da Mosè, questa stessa legge implicitamente vuole dirci che altre parti non furono messe per iscritto direttamente da lui, ma trasmesse per lungo tempo in forma orale da conservarsi a memoria e finalmente messe per iscritto da un redattore finale il quale ha dato a tutto il Pentateuco l'aspetto definitivo come è giunto fino ai nostri giorni. Per esempio il brano che troviamo in Dt 31, 9-10 è senz'altro un'annotazione di colui che ha dato la forma definitiva al Pentateuco, perché Mosè non poteva certamente parlare di se stesso in terza persona. Così pure il cap. 34 dove viene descritta la morte di Mosè non può certamente essere stata scritta da lui.

Comunque sin dall'inizio – a mano a mano che la legge veniva scritta – venne sempre attribuito ad essa un valore sacro e normativo. Il libro del Patto fu subito accolto come Parola di Dio (Es 24, 7). Giosuè chiamava lo scritto ricevuto da Mosè: «Il libro della Legge di Dio » (Gs 24, 26). Egli stesso avrebbe dovuto meditarlo di continuo (Gs 1, 7-8).

Il nome di Mosè è stato associato al Pentateuco in quanto egli, in maniera diretta o indiretta, ne è l'autore principale. La sua opera di intermediario fra Dio ed il popolo in una fase delicata e fondamentale della storia ebraica, la sua figura di legislatore per eccellenza, ha lasciato nella memoria del popolo ebraico un'impronta indelebile.

La Legge, la Torah o Pentateuco rappresenta per gli Ebrei l'insegnamento trasmesso da Dio per mezzo di Mosè. Tale insegnamento si trova non solo nelle parti legislative, ma anche in quelle narrative, perché il racconto biblico non viene mai inteso come una pura cronaca, bensì come il resoconto di eventi normativi, carichi di insegnamento di importanza vitale.

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La monarchia

Saul

Chiusa questa parentesi sul Pentateuco, ritorniamo a Samuele ed alla richiesta del popolo di avere un re. Anche se con riluttanza e dopo aver avvertito il popolo delle conseguenze negative che l'istituzione monarchica comportava, alla fine Dio dice a Samuele di accogliere la richiesta e di stabilire un re sul popolo ebraico.

La scelta cade su Saul della tribù di Beniamino (1 Sm 9, 1). Secondo il racconto biblico la chiamata di Dio trova Saul del tutto impreparato a questa investitura, mentre stava cercando delle asine di suo padre che si erano smarrite. La cerimonia di unzione avviene in forma privata e senza pubblico (1 Sm 10, 1).

Fin dai tempi dei Giudici (vedi Sansone) i nemici più acerrimi degli Ebrei erano i Filistei, ma la prima battaglia di Saul non fu combattuta contro di loro a nord, bensì ad oriente contro gli Ammoniti che avevano aggredito Jabesh di Galaad  (1 Sm 11, 1). Le varie tribù ebraiche in quel tempo non erano ancora unite ed amalgamate tra loro come un unico popolo. Ognuna pensava a se stessa, a difendere il proprio territorio e non c'era quindi molta solidarietà fra loro. A causa di questa divisione le varie tribù di Israele diventavano facile preda degli attacchi dei popoli vicini.

Il merito di Saul in quel contesto storico di divisione fu quello di stimolare la solidarietà delle varie tribù di Israele spingendole ad unirsi insieme per sconfiggere gli Ammoniti. Quando Saul fu chiamato in aiuto degli abitanti di Jabesh di Galaad, la Scrittura ci dice che « lo Spirito di Dio investì Saul» (1 Sm 11, 6). In quell'occasione egli compì un'azione simbolica di grande effetto: prese alcuni buoi, li tagliò a pezzi ed inviò un pezzo ad ogni tribù di Israele assieme ad un messaggio minaccioso: « Così saranno trattati i buoi di chi non seguirà Saul e Samuele ». In seguito a questa minaccia tutte le varie tribù furono prese da grande terrore e si unirono a Saul per combattere contro il re di Ammon « come un solo uomo » (1 Sm 11, 7). In quell'occasione si unirono a Saul trecentomila uomini provenienti dalle tribù di Israele del nord e trentamila dalla tribù di Giuda (1 Sm 11, 8). Con questo esercito Saul riuscì a sbaragliare gli Ammoniti.

Dopo questa strepitosa vittoria su Ammon tutto il popolo (in pratica l'esercito e cioè tutti gli uomini in grado di portare le armi) riconobbe che solo Saul era in grado di liberare Israele anche dai Filistei. Così a Ghilgal venne proclamato pubblicamente re (1 Sm 10, 24; 11, 14-15). La designazione tramite un profeta e l'acclamazione da parte dell'esercito dette l'inizio ufficiale alla monarchia in Israele. In 1 Sm 10, 25 abbiamo un'interessante annotazione che ci rimanda a quanto abbiamo detto precedentemente circa la legge del re che si trova in Dt 17, 14-20: «Allora Samuele espose al popolo i diritti del regno e li scrisse in un libro che depose davanti all'Eterno».

Ci si può chiedere anche in questo caso come mai Samuele abbia sentito il bisogno di scrivere un nuovo libro sui diritti del re dal momento che esisteva già una legge di Dio al riguardo nel libro del Deuteronomio. Evidentemente è proprio questo scritto di Samuele che un redattore posteriore deve aver inserito nel Deuteronomio. Questo redattore posteriore non ha commesso alcun imbroglio, in quanto anche lo scritto di Samuele, essendo divinamente ispirato, era pur sempre una legge di Dio. Trattandosi di una legge di Dio che regolava una particolare istituzione ebraica, anche se istituita in un'epoca posteriore a quella di Mosè, egli, inserendo questa legge nel grande libro della Torah, a cui da sempre era stato associato il nome di Mosè, il legislatore per eccellenza, ha compiuto un atto considerato normale ed usuale secondo la mentalità dell'epoca.

In base a questa legge è bene precisare che nessun in Israele poteva diventare re in virtù del suo esclusivo potere, come avveniva nei vicini popoli orientali. La designazione e l'incarico di re era una prerogativa riservata solo a Dio, il quale poteva rivolgere la sua scelta anche non tenendo conto dello stretto criterio dinastico, come è avvenuto poi nel caso della scelta di Davide.

Saul divenuto quindi re per volontà divina e per acclamazione del popolo, fissa la sua residenza a Gabaa, nel territorio della tribù di Beniamino, ma non aveva una vera e propria corte regale con funzionari statali o altri apparati burocratici. Anche la sua zona di influenza non era estesa a tutto il territorio palestinese, ma era limitato probabilmente a quello che sarebbe poi diventato in seguito il regno di Israele del nord o poco più. In ogni caso, almeno all'inizio, egli riuscì a farsi accettare come re da tutti gli uomini di Israele che potevano impugnare le armi.

La sconfitta definitiva dei Filistei non fu comunque  merito suo, ma fu merito di Davide, che il re aveva accolto ancora in giovane età presso di sé. Davide ebbe l'accortezza di procurarsi ciò che effettivamente mancava a Saul e che segnò in parte anche la sua rovina: un esercito personale pronto al combattimento in ogni momento.

Comunque ancora prima dello scontro decisivo con i Filistei, Saul cominciò a dare segni di squilibrio mentale con crisi depressive che lo rendevano diffidente, scontroso ed aggressivo verso coloro che gli stavano attorno ed in particolar modo verso Davide, che, minacciato di morte, fu costretto a fuggire.

A causa sempre del suo carattere diffidente ricorse perfino alle pratiche magiche che un tempo egli stesso aveva disapprovato. Così servendosi di una indovina cananea evocò lo spirito di Samuele il quale gli predisse che Dio lo avrebbe privato del regno. Commise in seguito parecchi errori trasgredendo la legge, annullando ordini sacri ed intervenendo anche arbitrariamente nel culto dei sacrifici.

La sua fine fu determinata dalla sconfitta che dovette subire in una battaglia contro i Filistei nella quale tre dei suoi figli persero la vita e lui stesso si vide costretto ad uccidersi per non cadere nella mani del nemico.

Il tentativo di Saul di trasformare una libera società tribale in uno stato era fallito miseramente in quanto lo si accusava tra l'altro di aver trasformato il regno in uno stato assoluto. Il suo carisma iniziale si era alla fine rivelato instabile e Dio che gli aveva concesso il suo Spirito, poi glielo tolse.

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Davide

Contemporaneamente alla caduta di Saul iniziò però l'ascesa di un altro grande uomo della storia ebraica, Davide, la cui genialità e le cui doti di grande condottiero e stratega saranno in grado di sviluppare tutta la potenzialità della monarchia ebraica portandola al suo massimo splendore ed alla sua massima estensione.

La salita al trono di Saul era avvenuta ancora nel quadro dei vecchi ordinamenti sociali di Israele. Anche se con il titolo di re, Saul fu chiamato sostanzialmente a svolgere la funzione che era propria degli antichi giudici i quali erano chiamati ad intervenire in casi speciali per liberare il popolo dalla minaccia di invasioni da parte dei vicini.

Nel caso di Davide la cosa fu diversa. Figlio minore di Iesse di Betlemme (in Giudea) fu chiamato ancora giovane alla corte di Saul a Gabaa, inizialmente come suonatore d'arpa e scudiero, in seguito, grazie alla sua amicizia con Gionata, figlio di Saul, divenne capo di una truppa di mercenari. Infine sposò la principessa Mikal e divenne il genero di Saul. Se volessimo riassumere la storia dell'ascesa di Davide a legittimo successore di Saul, potremmo dire Davide aveva successo in tutte le sue imprese.

Furono proprio questi successi che suscitarono l'invidia e la diffidenza di Saul che sempre più vedeva in Davide un odiato rivale, ed un pericoloso concorrente al suo trono. Fuggito nel deserto a causa delle minacce di morte più volte proferite e messe in atto da Saul contro di lui, Davide approfittò di questa situazione di esiliato per riunire sotto il suo comando una sua truppa di mercenari e per avvicinarsi maggiormente alla sua tribù di origine.

Dopo la sconfitta della battaglia contro i Filistei che segnò la fine del regno di Saul, Davide, che aveva già ricevuto l'unzione da parte di Samuele, fu consacrato ufficialmente re ad Hebron dalla tribù di Giuda e dai gruppi che questa tribù rappresentava. Davide era per il momento soltanto re di Giuda, ma divenne ben presto anche re delle tribù settentrionali, quando quest'ultime si accordarono a Hebron per riconoscerlo anche come re del regno settentrionale, essendo stato ucciso IsBàal il debole successore di Saul. Pur rimanendo Israele e Giuda due entità separate, con Davide esse trovano una forma di unità in un unico stato.

Quando i Filistei si resero conto della minaccia che costituiva per loro l'unione di Israele e Giuda in un unico stato, fu troppo tardi. Nella valle di Rèfaim a sud-ovest di Gerusalemme, Davide infligge loro una sconfitta dalla quale non riuscirono più a risollevarsi. Questa sconfitta è così definitiva da farli rinunciare per sempre alle loro aspirazioni di conquista della Palestina ed a scomparire dalla scena come avversari di Israele. Da questo momento in poi essi si limiteranno a mantenere soltanto qualche città nella zona costiera del paese.

Secondo l'abitudine delle società tribali, cessato il pericolo che le aveva visto costrette a coalizzarsi attorno ad un capo, questa istanza centralistica, resa necessaria dallo stato di emergenza, avrebbe dovuto sciogliersi, ma così non avvenne. Anzi Davide si diede sempre più da fare per ampliare maggiormente il suo potere. Come prima cosa egli conquistò con le sue truppe mercenarie la città dei Gebusei, Gerusalemme, situata tra le due metà del regno e vi trasferì la sua residenza da Hebron. In questo modo egli si assicurò una base di potere indipendente dalle tribù e rivendicò inoltre la successione di un principe cananeo. Facendo poi trasportare a Gerusalemme l'arca dell'alleanza, fece di questa città un luogo sacro centrale per tutto Israele.

Con la conquista delle città filistee sul Mediterraneo, degli ammoniti, dei moabiti, edomiti e amalekiti a oriente e degli aramei a nord-est, Davide riuscì, in un momento  storico favorevole, a costituire per breve tempo un regno così grande che si estendeva dalla Siria centrale fino alle frontiere dell'Egitto. Questo nuovo stato, sorto dalla fusione di molti popoli, si allontanò dalle tradizioni dell'arcaica società tribale, cambiando completamente la situazione politica e sociale della Palestina.

Il grande merito di Davide è stato quello di aver dato inizio alla dinastia davidica dalla quale sarebbe poi nato il Messia. Se Abramo è rimasto nella memoria del popolo come il padre dalla fede incrollabile e Mosè come il legislatore per eccellenza, Davide viene ricordato come colui che avrebbe legittimato la discendenza regale del Messia. Dio infatti gli promette per mezzo del profeta Nathan di rendere stabili la sua casa ed il suo regno per sempre, come si può leggere nel cap. 7 di 2 Samuele. Davide esprime la sua fede e la sua gioia per questa promessa nel Salmo 16, 8-11 che viene ricordato da Pietro nel suo primo discorso a Gerusalemme per parlare della risurrezione di Gesù Cristo (At 2, 25-28).

Nonostante questa profezia di Nathan tutti i figli di Davide si dimostrano dei successori non all'altezza del loro compito. Lo stesso Davide si dimostrò debole nei loro confronti non prendendo le giuste decisioni, come, per esempio, nel caso dell'incesto del suo primogenito Amnon con la sorella Tamar, che diede il pretesto all'altro figlio Assalonne di uccidere il fratello Amnon. Davide perdonò anche il delitto di Assalonne, ma quest'ultimo si ribellò al padre che si vide costretto a cedere al figlio senza combattere la sua residenza e perfino il suo harem. Alla fine con l'aiuto del generale Joab, Davide riuscì a sconfiggere Assalonne, ma non riuscì ad arrestare la crisi dello stato che nel frattempo si faceva sempre più grave.

C'era stato infatti un tentativo di rivolta da parte di un certo Seba della tribù di Beniamino che sobillava le tribù del nord dicendo: « Non abbiamo alcuna parte con Davide e nessuna eredità con il figlio di Isai, ciascuno alle proprie tende! ». Il nord infatti non era toccato dai problemi della successione della casa di Israele, ma non si considerava più vincolato al patto di governo che aveva stretto anni prima con Davide. Davide tuttavia riuscì a prevalere anche contro questa opposizione, ma ora egli governava sul nord non più come re, ma come tiranno.

Il generale Joab ed il sacerdote Abiathar, esponenti dell'antica cultura tribale, proposero la candidatura del terzo figlio di Davide, Adonia. Ma questa candidatura suscitò la reazione di un gruppo di oppositori capeggiati da Benaiah, Tsadok e dallo stesso profeta Nathan che volevano invece mettere sul trono Salomone, il secondo figlio nato dalla relazione fra Davide e Betsabea. Alla fine Davide, per insistenza della stessa Betsabea e del profeta Nathan, scelse Salomone.

La vita di Davide non sempre fu esemplare perché sappiamo che egli, oltre ad avere parecchie mogli e perfino un harem, si macchiò di adulterio con la moglie di Uria e mandò quest'utimo a farsi uccidere in battaglia. Tuttavia Davide su esortazione del profeta Nathan si pentì dei suoi peccati e scontò amaramente la colpa dei suoi delitti con la perdita del primo figlio avuto con Betsabea. Dio, nonostante lo avesse perdonato per le sue numerose malefatte, non gli permise di costruire il tempio a causa dei suoi numerosi delitti, ma diede questo incarico al figlio Salomone.

Quando Davide morì, Salomone salì definitivamente al trono e fece uso immediatamente del suo potere facendo uccidere Adonia e Joab e mandando in esilio Abiathar. Termina così la storia della successione al trono con la completa vittoria di Salomone che prese possesso del regno di suo padre in tutta la sua estensione.

L'eterogeneo stato di Davide, che comprendeva diversi popoli, fu il primo ed unico regno che fu instaurato sulla striscia di terra siriaco-palestinese, da sempre teatro di scontri fra le potenti monarchie del Nilo e della Mesopotamia. Il suo sorgere fu reso possibile da un lato dal particolare momento storico che vedeva i grandi regni del Nilo e della Mesopotamia indeboliti ed incapaci di intervenire. Il vuoto politico così creatosi fu riempito a suo modo da Davide. Dall'altro lato si può aggiungere a questo la geniale intuizione politica di Davide che seppe cogliere il momento favorevole, anche se, fondando una dinastia ereditaria, si allontanò profondamente dall'arcaica società tribale originaria, libera e contraria allo stato. In tutte queste vicende storiche possiamo vedere la mano provvidenziale di Dio che interviene nella storia dell'uomo per sconvolgere i piani umani e far trionfare il suo disegno divino per la salvezza dell'umanità.

In questa storia Dio ha collocato l'uomo giusto al momento giusto, un politico lungimirante, che la Bibbia ci descrive in tutti i suoi aspetti umani anche negativi. Scosso dalle sue passioni e vittima di esse fino al delitto, Davide ha dato corpo ad un ideale di sovrano, mai più dimenticato nella storia di Israele, ma anche mai più raggiunto. Mille anni dopo giungerà un altro «figlio di Davide », Gesù di Nazareth, che rifiuterà tutte le forme terrene di potere e parlerà di un regno completamente nuovo, il regno di Dio.

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Salomone

A differenza di Davide, Salomone non fu un condottiero e non si preoccupò di estendere ulteriormente i confini del regno lasciatogli da suo padre. La sua politica si concentrò maggiormente sulla stabilità dello stato e sull'incremento delle arti e delle scienze che sotto il suo regno conobbero una grande fioritura tale da suscitare stupore e meraviglia fra i suoi contemporanei e da costituire anche la base della sua fama presso le generazioni future.

Per rendere stabili i confini dello stato Salomone si propose di instaurare una politica di buoni rapporti con tutti i popoli circostanti. Questo obiettivo fu raggiunto non solo per mezzo una politica matrimoniale molto disinvolta che gli permise di sposare e di portare nel suo harem parecchie mogli straniere fra cui anche la figlia del faraone (1 Re 3, 1; 11, 1), ma soprattutto instaurando una fitta ed estesa rete di scambi commerciali con navi che dal porto fenicio di Tiro giungevano fino in Africa da dove importavano oro, argento, avorio, legni pregiati e perfino animali esotici, come possiamo vedere leggendo 1 Re 10, 22-24. Tutta questa ricchezza e questo prestigio si concentrarono però quasi esclusivamente nella corte di Gerusalemme ed attorno alla persona del re, il quale manteneva nei confronti dei suoi sudditi un certo distacco. Non si può proprio dire Salomone intrattenesse con il popolo dei rapporti idilliaci improntati alla familiarità e all’intimità come era avvenuto sotto il regno di Davide.

Un'altra caratteristica peculiare di Salomone è senz'altro la sua fama di uomo sapiente. Questa sapienza Salomone l'aveva chiesta direttamente a Dio. Non gli aveva chiesto né ricchezza, né una lunga vita, ma aveva chiesto di governare il popolo ebraico con sapienza e Dio gli aveva concesso oltre la sapienza anche una grande ricchezza. La fama della sapienza e della ricchezza di Salomone avevano valicato i confini dello stato ebraico, tanto da destare l'ammirazione di tutti i re della terra e da indurre una regina dalla lontana Etiopia a fargli visita. Per questa fama di uomo sapiente la tradizione ha attribuito direttamente a lui alcuni libri come i Proverbi, l'Ecclesiaste, il Cantico dei Cantici e la Sapienza, anche se è ormai stato accertato che tali libri sono di epoca posteriore a quella di Salomone. È interessante comunque leggere dal libro dei Re quel che ci viene detto circa la sapienza di Salomone (1 Re 4, 31-34). Modelli analoghi di saggezza poetica legata alla natura li ritroviamo anche in Egitto ed in Mesopotamia. Oltre al merito di aver fatto fiorire le arti e le scienze, l'apertura intellettuale di Salomone ha dato anche un impulso decisivo alla nascita della letteratura ebraica.

Un'altra grande impresa portata a termine da Salomone fu la costruzione del primo tempio. Questo tempio fu eretto sull'aia del Gebuseo Arauna che Davide aveva comprato a suo tempo (2 Sm 24, 15-24; cfr anche 1 Cr 21, 16 - 22, 1-6; 2 Cr 3, 1) per erigere un altare e per offrire dei sacrifici di ringraziamento a Dio che aveva salvato Gerusalemme dalla peste. Secondo le testimonianze che troviamo nel libro dei Re, questo tempio fu costruito con la collaborazione del re di Tiro, il quale oltre a fornire il materiale (legno dei cedri e dei cipressi del Libano e le pietre), fornì anche la manodopera ed i tecnici (1 Re 5; 7, 13-51). Il tempio fu quindi costruito molto probabilmente secondo il modello cananeo e con il trasporto del tesoro, degli utensili sacri e dell'arca contenente le due tavole di Mosè, divenne il luogo sacro per eccellenza, la dimora perenne di Dio (1 Re 7, 51 - 8, 21). Nel frattempo Salomone si era fatto costruire in posizione attigua al tempio anche un sontuoso palazzo (1 Re 7) che fissò come dimora sua e della sua numerosa corte. A causa dei suoi stretti legami con il palazzo reale, il tempio aveva più il carattere di una cappella di palazzo, al mantenimento della quale doveva provvedere non il popolo, bensì la corte stessa.

Poiché il re di Gerusalemme tradizionalmente fin dai tempi di Melchisedek univa le due funzioni di monarca e di primo sacerdote (Sl 110, 4), per la prima volta venne evidenziata la stretta relazione fra trono ed altare, fra stato e tempio. Per questo motivo il tempio di Salomone, anche per la sua origine cananea, apparì sempre più agli occhi dell'antica comunità tribale di Israele come un corpo estraneo. A questo si aggiunga anche il fatto che, essendo divenuta l'adorazione del Dio di Israele, una religione di stato, nel tempio di Gerusalemme furono obbligate all'adorazione anche popolazioni non ebraiche che poi privatamente adoravano altre divinità.

Un altro problema era costituito dalle ingenti spese necessarie per il mantenimento della corte e per la costruzione del tempio e del palazzo reale, per cui si rese necessario organizzare dei lavori forzati in grande stile. Soltanto per il reperimento del legname nel Libano furono impiegati oltre trentamila lavoratori (1 Re 5, 13-18). Tutto questo non contribuì certamente a favorire i buoni rapporti del re con il suo popolo, come pure con i paesi circostanti. Dopo la sua morte gli anziani del nord si recarono da Roboamo perché alleggerisse il pesante giogo che suo padre aveva imposto loro (1 Re 12, 4).

Se dobbiamo fare un bilancio del regno di Salomone, dobbiamo dire che lo splendore della corte salomonica non fu accompagnata da un'adeguata attenzione alle esigenze del popolo. Come abbiamo già detto la sua preoccupazione non fu quella di ampliare i confini del regno, ma di mantenere lo status quo con un periodo di relativa pace e di relativo benessere se non teniamo conto delle condizioni vessatorie imposte soprattutto alle tribù del nord, costrette a versare dei pesanti tributi dai quali invece erano esonerati Gerusalemme e Giuda.

Nonostante che le tribù del nord manifestassero spesso il loro dissenso con ribellioni, Salomone riuscì a mantenere unite le due parti del suo regno con la costruzioni di alcune fortezze militari e con l'impiego di un esercito permanente, ma non poté evitare la perdita della parte siriaco-aramea dei suoi territori nord orientali, dai quali sarebbe poi sorta una grave minaccia per Israele.

Il suo regno cominciava a scricchiolare e la politica di grande regno inaugurata da Davide, sotto Salomone era già in decadenza. A differenza del padre il figlio un fu in grado di consegnare al suo successore un regno solido ed intatto. La Bibbia ci ha trasmesso l'immagine di un sovrano saggio, colto e benedetto da Dio, ma non viene taciuto il fatto che egli fu trascinato dalle sue mogli straniere verso l'idolatria e che per questo motivo già durante il suo regno c'erano i primi segni di quella che sarebbe poi diventata una irreparabile rottura fra il regno del nord ed il regno del sud (1 Re 11).

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Fine dell'unione fra Giuda ed Israele

Si parla impropriamente della divisione del regno fra Nord e Sud, in realtà si trattò semplicemente dell’impossibilità di rinnovare il patto di unione fra Israele e Giuda sotto un solo capo, come era avvenuto con Davide e Salomone.

Roboamo, figlio maggiore di Salomone nato dall’unione con un’ammonita, fu designato dallo stesso Salomone per la successione al trono. Egli iniziò a regnare senza difficoltà a Gerusalemme ed in Giuda, ma fu necessario rinegoziare le condizioni del patto con le tribù del Nord, in quanto gli anziani di Israele avevano delle fondate riserve nei confronti dei lavori forzati e della dura tassazione imposta da Salomone.

Roboamo, recatosi a Sichem per ascoltare le richieste delle tribù del Nord, mal consigliato, non diede loro ascolto, anzi li informò che sarebbe stato ancora più duro di suo padre. La rottura fra Israele e Giuda divenne quindi inevitabile e Roboamo stesso dovette fuggire a Gerusalemme per evitare di essere ucciso. Tutto questo lo troviamo nel cap. 12 di 1 Re.

Fra le varie persone del Nord che si erano ribellate a Salomone c’era un certo Geroboamo a cui Salomone aveva fra l’altro affidato la sorveglianza ai lavori degli uomini della casa di Giuseppe. In seguito alla sua ribellione, fu costretto a fuggire in Egitto, ma, ritornato in patria dopo la morte di Salomone, fu proclato re di Israele. Secondo quanto troviamo scritto in 1 Re 11, 26-39 sembra che Dio lo avesse già designato ad essere re di Israele ancor prima della morte di Salomone.

Finita l’unione fa le due entità del nord e del sud che era stata resa possibile sotto Davide e Salomone, i due regni iniziano la loro storia in maniera separata: il regno del Nord sotto Geroboamo ed il regno del Sud sotto Roboamo. A questi due re ne succederanno parecchi altri che governeranno questi due territori separati fra alterne vicende finchè non saranno definitivamente travolti e sconfitti dalle potenze mondiali che nel frattempo si erano consolidate e premevano a nord e a sud della piccola striscia del territorio siriaco-palestinese.

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Caduta dei due regni e successivi sviluppi

Il primo a cadere fu il regno del Nord ad opera dell’Assiria che nel 722 a.C., dopo un lungo assedio di tre anni, prese la capitale Samaria e deportò in altri terriori lontani gli abitanti più facoltosi. La pratica di deportazione assira aveva lo scopo di distruggere l’identità nazionale degli abitanti dei territori occupati. In Samaria vennero trasportate altri gruppi etnici mentre gli Ebrei delle tribù del Nord vennero dispersi nel vasto impero assiro in maniera tale che di loro non rimase più alcuna traccia nella storia.

Nel 586 l’impero babilonese pose fine anche al regno del Sud con la distruzione di Gerusalemme e del Tempio. Una parte della popolazione di Gerusalemme morì ed il resto fu deportato in Babilonia, mentre gli abitanti della campagna poterono restare. A differenza degli Assiri, i Babilonesi lasciavano inalterate le strutture sociali dei territori occupati e non vi trasferivano altri gruppi etnici. Anche coloro che furono deportati in Babilonia poterono conservare la loro identità in quanto non venne loro vietato di riunirsi in comunità. La sorte quindi risparmiò a Giuda il destino che circa un secolo e mezzo prima aveva colpito e dissolto le popolazioni ebraiche del Nord, cioè il regno di Israele. Gran parte dei Giudei inoltre, fra cui anche il profeta Geremia, poterono trovare scampo fuggendo in Egitto dove i loro discendebti fondarono parecchie comunità ebraiche.

La caduta di Gerusalemme rappresentò la fine della dinastia di Davide e del regno meridionale di Giuda, come stato indipendente. L’esperienza della libera società di Yahveh come stato era fallita. Già la divisione del regno aveva messo in evidenza la grande discrepanza creatasi fra i privilegiati giudei e le altre tribù del Nord che venivano sistematicamente sfruttate dalla corte di Gerusalemme. Anche i duecento anni di storia dei due regni separati non furono altro che una lenta dissoluzione delle strutture della libera società di Israele e terminarono necessariamente con la distruzione del regno settentrionale.

Il regno di Giuda potè salvarsi sotto Acaz soltanto perché accettò di diventare uno stato vassallo degli Assiri e di dipendere politicamente da questi. Questa decisione fu presa naturalmente in contrasto con gli avvertimenti del profeta Isaia il quale esortava i giudei ad avere più fede in Dio ed a scegliere la casa di Davide. Dopo Acaz ci fu anche, durante i regni di Ezechia e di Giosia, un timido tentativo di liberarsi dal giogo assiro ed i deuterocanonici collegarono questo tentativo di liberazione con un ritorno al vero culto di Dio ed al suo giusto ordinamento sociale.

Le riforme però di Ezechia e di Giosia, sulle quali magari ci fermeremo in seguito più a lungo, fallirono o ebbero un breve successo. Sotto Manasse i culti stranieri tornarono ad invadere il paese.

Durante le battaglie fra Egitto e Babilonia, dopo la caduta dell’impero assiro, il profeta Geremia trasse le sue conclusioni sulle battaglie di indipendenza combattute fino ad allora e, considerando la loro inconcludenza, consigliò il popolo di accettare la dipendenza politica da Babilonia per prepararsi in quel contesto a realizzare in seguito una giusta società di Yahveh. Questo progetto poté realizzarsi concretamente dopo l’esilio con il ritorno degli esuli dalla deportazione babilonese. Sotto l’ombra protettrice del grande impero Persiano fu possibile ricostruire una nuova comunità ebraica attorno a Gerusalemme ed al suo Tempio che divenne un centro di riferimento anche per i numerosi ebrei della diaspora.

La catastrofe del 586 non comportò quindi la cancellazione di Israele dalla faccia della storia, ma fu anzi un’occasione provvidenziale di riflessione e di ripensamento che produsse un profondo cambiamento della sua forma e del suo essere popolo eletto di Dio. Tutte le tradizioni della fede in Dio del periodo precedente l’esilio furono salvate e furono ulteriormente sviluppate dando ad esse un significato religioso e spirituale più profondo. È certamente in questo periodo che viene completata la raccolta dei cinque libri sacri della Torah, così come li possediamo oggi noi nel Pentateuco.

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I DUE REGNI DIVISI


Davide (c.1000-961)
Salomone (c. 961-922)
ISRAELE
 
GIUDA
Geroboamo (922-901)
 
Roboamo (922-915)


Abiam (915-913)


Asa (913-873)
Nadab (901-900)*

 
Baasa (900-877)

 
Ela (877-876)*


Zimri (876)**


Omri (876-869)**

Giosafat (873-849)
Acab (869-850)

 
Acazia (850-849)


Ioram (849-842)*
Atalia sposò Ioram diventando regina di Giuda (842-837)
Ioram (849-842)

Figlio di Atalia
Acazia (842)*
Ieu (842-815)
 
Ioas (837-800)*
Ioacaz (815-801

 
Ioas (801-786)

Amazia (800-783)*
Geroboamo II (786-746)




Ozia (873-742)
Zaccaria (746-745)*


Sallùm (745)*


Menachem (745-738)
 
Ioatam (742-735)
Pekachia (738-737)*


Pekach (737-732)*




Acaz (735-715)
Osea (732-721)
CADUTA DI SAMARIA (721)



Ezechia (715-687)


Manasse (687-642)


Amon (642-640)*


Giosia (640-609)


Ioacaz (609)
   
Ioiakim (609-598)

 
Ioiakin (597)
   
Sedecia (597-586)

CADUTA DI GERUSALEMME (586)

 
* = assassinato
** = suicida
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Caduta di Samaria e fine del regno del nord (2 Re 15-17; Is 1-39)
 
Re di Israele Re di Giuda Profeta Assiri




Pekachia 738-737 Acaz (735-715) Isaia  Tiglath-Pileser III
Pekach 737-732

Salmanasar V
Osea (732-721)

Sargon II

734 - 732 Guerra sirio-efraimita
721 Caduta di Samaria e fine del regno settentrionale (Israele)

Nell’anno 745 a.C., Tiglath-Pileser III si impadronì del potere in Assiria e nel 738 conquistò, con una campagna militare nella Siria centrale e settentrionale, la città aramaea di Amat. Come conseguenza numerosi stati siriani e città fenice della costa dovettero pagare dei tributi all’Assiria. Tra gli altri anche il re Retsin di Damasco ed il re di Israele Menahem (2 Re 15, 19).

Giuda per il momento fu esentato dal pagamento di questi tributi e costituì una sorta di zona cuscinetto tra l’Assiria e l’Egitto. In quel tempo su Giuda regnava Acaz, un nipote di Azaria. I libri dei Re non usano molti riguardi nel descriverlo: lo dipingono come un sovrano che si dedicava a riti di fertilità, che immolava vittime sacrificali e olocausti, arrivando addirittura al punto di immolare suo figlio, facendolo bruciare come olocausto per il dio Molok (altro nome di Baal) (2 Re 16, 1-4), nonostante che questo fosse stato espressamente vietato nella Legge (Lv 18, 21; 20, 2).

I piccoli stati siriaci tentarono ancora una volta di liberarsi dal giogo della sovranità  assira. Nel 734 infatti il re Retsin della Siria ed il re Pekach di Israele invitarono Achaz, re di Giuda a formare una coalizione antiassira, ma Acaz non volle saperne e così ne nacque una guerra che indusse Acaz a divenire vassallo del re di Assiria per farsi proteggere.

Nonostante che il profeta Isaia esortasse il re Acaz ad avere fiducia in Dio, egli si sottomise volontariamente al re Assiro iniziando così un rapporto di vassallaggio che ebbe anche riflessi culturali e religiosi. Da Damasco Acaz diede istruzioni al sacerdote Uria per il cambiamento dell’altare secondo il modello assiro (2 Re 16, 5.18).

La coalizione antiassira ebbe come conseguenza la caduta della Siria e di Israele. Nel 732 infatti Tiglath-Pileser III conquistò Damasco ed infine anche il regno settentrionale, cioè Israele. Di quest’ultimo fu consentita la sopravvivenza soltanto di una parte: Efraim, mentre tutto il resto fu diviso tra le province assire di Meghiddo, Dor e Gilead. Al posto di Pekach, Tiglath-Pileser III insediò un suo vassallo Osea che però venne poi arrestato e deportato dal successivo re assiro Shalmanaser V, in quanto per non pagare i tributi all’Assiria si era rivolto all’Egitto. Shalmanaser V assediò per tre anni la campitale Samaria e la sconfisse definitivamente nel 721 a.C. deportandone gli abitanti. La deportazione assira, come abbiamo già accennato, aveva lo scopo di distruggere l’identità dei popoli conquistati e quindi questo gruppo non rimase più alcuna traccia nella storia. È interessante leggere il brano di 2 Re 17, 7-23 che si sofferma a descrivere la causa di questa deportazione.

Le popolazioni della campagna non furono deportate, ma gli assiri fecero venire in questa regione altre popolazione che si mescolarono con quelle residenti dando origine ai Samaritani ed a tutti quegli sviluppi posteriori delle zone della Samaria e della Galilea che possiamo osservare anche ai tempi di Gesù. Anche circa l’origine ed il comportamento dei Samaritani il libro dei Re ci fornisce un’interessante spiegazione che vale la pena di leggere in 2 Re 17, 24-41.

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Giuda vassallo assiro (2 Re 18-23; Is 1-39)
 
Re di Israele Profeti Assiri Egitto




Ezechia 715-687 Isaia Shalmanaser V Necao II
(728-700) Huldah Sargon II
Manasse 687-642 Geremia Sennacherib
Amon 642-640
Assarhàddon
Giosia 640-609 
Assurbanipal

Nonostante la sorte di Damasco e del regno settentrionale, nella zona siriaca palestinese si verificarono ancora nuovi movimenti di rivolta e nuove coalizione contro l’Assiria, in cui venne coinvolto anche Ezechia che nel frattempo era succeduto ad Acaz. Anche in Assiria c’era stato un cambio di potere ed era salito al trono Sennacherib, figlio di Sargon II. In questa occasione Ezechia organizzò una coalizione antiassira alla quale parteciparono anche le città filistee di Ascalon e di Gaza. Gli alleati bloccarono il pagamento dei tributi e cercarono di ottenere l’appoggio dell’Egitto, nonostante che il profeta Isaia ammonisse che la fiducia nell’aiuto egiziano era malriposta e vanamente invitasse alla neutralità.

Nell’anno 701 a.C. Sennacherib marciò contro la Palestina, si impadronì di Giuda e spartì il territorio tra i re filistei si Asdod, Ekron e Gaza. Lo scopo era di costruire, con il loro aiuto, un fronte di difesa contro l’Egitto. Recenti scavi hanno dimostrato che in quel periodo Gerusalemme era raddoppiata in estensione, probabilmente a causa dei profughi provenienti da settentrione e diretti ad occidente. Per assicurarsi i rifornimenti d’acqua durante l’assedio, fu costruito il canale di Siloe, che sussiste ancora oggi ed è un capolavoro di tecnologia con la sua lunghezza di oltre 520 metri (2 Re 20, 20; 2 Cr 32, 30).

Il resoconto dell’assedio di Gerusalemme che troviamo in 2 Re 18, 17 - 19 è una chiara dimostrazione della propaganda bellica assira che veniva fatta prima dell’ attacco. Venivano mandati degli alti funzionari davanti alle mura della città assediata con il compito di convincere i cittadini ad arrendersi raccontando come altre città avevano inutilmente sperato nell’aiuto dei loro dei ed erano state distrutte dall’esercito assiro. Ma Gerusalemme non cedette e Sennacherib per cause imprecisate tolse l’assedio e se ne tornò in patria. A proposito di questo assedio è stata scoperta un’iscrizione nella quale Sennacherib si vanta con queste parole:
« Chiusi Ezechia in Gerusalemme come un uccellino in gabbia, costruii trincee contro di lui e gli resi impossibile uscire dalle porte della città »

Gerusalemme per questa volta conservò la sua indipendenza e gli abitanti videro in questo l’intervento di Dio, che aveva steso la sua mano protettrice sulla città e sul tempio. Da questo hanno avuto origine le parole del profeta Isaia in 2 Re 19, 32-34 che esalta l’indistruttibilità di Gerusalemme da parte dell’Assiria. Da queste parole è nato il mito dell’indistruttibilità di Gerusalemme e del suo tempio, ma Geremia nel suo famoso discorso nel tempio criticherà aspramente questa errata interpretazione (Gr 7, 3ss) e dirà che non è sufficiente confidare sull’indistruttibilità del tempio e poi comportarsi male. Così facendo si arriverà alla rovina inevitabile e neppure il tempio potrà salvare il popolo dalla incombente sciagura. Del resto questa sciagura era già stata preannunciata dallo stesso Isaia in 2 Re 20, 14-18 con la profezia sulla futura deportazione in Babilonia.

Il libro dei Re esalta la figura di Ezechia il quale, abrogando la sacralità dei vari santuari ed assegnando un ruolo centrale al tempio di Gerusalemme, aveva anticipato quella centralizzazione del culto che si realizzerà più tardi con la riforma di Giosia (2 Re 18, 3-7). Questa politica religiosa di Ezechia è stata confermata dai recenti scavi a Tel ‘Arad e Bersabea dove sono stati portati alla luce resti di altari distrutti in questo periodo.

Nel frattempo l’Assiria aveva esteso il suo potere invadendo l’Egitto e raggiungendo così la sua massima estensione dai due fiumi della Mesopotamia fino al Nilo, ma aveva ormai superato il colmo della sua fortuna e sarebbe stato ben presto soppiantato dall’impero babilonese.

Ad Ezechia, succedette suo figlio Manasse che nei suoi 55 anni di regno fu un buon Vassallo dell’Assiria e trascinò il paese nuovamente nell’idolatria. Nel libro dei Re si parla di Manasse come di colui che addirittura fece « peggio delle nazioni che l’Eterno aveva distrutto davanti ai figli di Israele » (2 Re 21).

Il figlio Amon praticamente seguì le orme del padre, ma regnò soltanto per un breve periodo (due anni) perché fu vittima di una congiura di palazzo. Alla sua morte diversi partiti tentarono di impadronirsi del potere, ma alla fine prevalse la nobiltà terriera che riuscì nell’intento di far salire al trono il figlio Giosia di soli otto anni, mantenendo in tal modo la successione davidica. All’inizio del regno di Giosia altri decidevano per lui, ma più tardi egli perseguì una politica che prevedeva la progressiva liberazione dall’Assiria e la ricostruzione interna delle strutture dello stato in vista di una profonda riforma politica e religiosa.

Questa riforma fu introdotta dopo il sorprendente ritrovamento avvenuto nell’anno 622 a.C., nel tempio di Gerusalemme, di un libro che da tempo è considerato la base del codice deuteronomico. 2 Re 22-23 descrive dettagliatamente come questo libro fu trovato dal sacerdote Hilkiah in occasione di alcuni lavori di riparazione del tempio e consegnato al segretario Shafan che a sua volta lo consegno al re Giosia. Il re, dopo aver consultato la profetessa Huldah, lo fece leggere pubblicamente e, assieme a tutto il popolo, stabilì un patto con l’Eterno, «impegnandosi a seguire l’Eterno e a osservare i suoi comandamenti, i suoi precetti e i suoi statuti con tutto il cuore e con tutta l’anima, per mettere in pratica le parole di questo patto, scritte in quel libro » (2 Re 23, 3).

Il Deuteronomio, scritto in forma di un discorso di Mosè, richiama antiche tradizioni di Israele, cerca di riassumerle sistematicamente, di unificarle e di interpretarle teologicamente secondo nuovi punti di vista. Alcuni testi importanti, che trattano del rapporto dell’Eterno con il suo popolo, sono formulati in modo analogo ai trattati di vassallaggio degli assiri e completano il testo dell’Alleanza (Dt 4, 1-2.44-45; 26, 16-19; 29, 1-2. 29; Gs 23, 1-2.16) con la relativa stipulazione del trattato (2 Re 23, 1-3) e con il rituale della sua rinnovazione (Dt 31, 9-13).

Molti elementi suggeriscono l’ipotesi che il Deuteronomio sia stato redatto in più fasi. La prima redazione può essere probabilmente situata intorno all’anno 700 a.C., sotto Ezechia, in relazione al tentativo, da questi promosso, di centralizzare il culto a Gerusalemme e di opporsi all’invadenza assira. Sotto Giosia si deve aver lavorato intorno a questa opera. L’ultima redazione risale al periodo dell’esilio ed a quello immediatamente successivo.

I redattori di questo libro non vanno ricercati fra i leviti della campagna, come si è pensato per molto tempo, ma piuttosto fra quegli esponenti della cultura giudaica, osservanti delle tradizioni, che da Gerusalemme occupavano da generazioni posti importanti a corte. Al centro di questo gruppo si trovava forse la famiglia di Shafan, il segretario, i cui membri erano per lo più degli «scribi», ma non mancano anche i sacerdoti. Costoro, intendendo forse elaborare dei piani di indipendenza e di restaurazione, utilizzando antichi scritti, diedero vita alla legge del Deuteronomio.

Il loro scopo principale era quello di dare una risposta alla sfida rappresentata dalla cultura assira, che si presentava potentissima, completamente nuova e superiore in ogni settore alla cultura giudaica. L’impatto con questa cultura, fin dai tempi di Acaz, aveva precipitato Giuda in una profonda crisi. Ora con Giosia e con il fortunato ritrovamento del rotolo della legge nel tempio, si presentava la possibilità di riemergere dalla clandestinità e di introdurre questa legge anche ufficialmente. Essa divenne pertanto lo strumento principale della riforma di Giosia.

Gosia volle che il tempio di Gerusalemme fosse purificato da tutti gli oggetti di culto assiri e cananei e ordinò che si chiudessero le case nelle quali aveva luogo la prostituzione sacra. Proibì a tutti i sacerdoti di svolgere le loro funzioni in Giuda r-chiamandoli e Gerusalemme. Il tempio ritrovato a Tel ‘Arad fu distrutto definitivamente in questo periodo. Con la distruzione dei luoghi di culto nella provincia assira di Samerina, Giosia estesa la sua riforma anche ai territori che un tempo erano appartenuti al regno del nord e di affermare anche qui la sua autorità (2 Re 23, 15). In un solo luogo era possibile adorare legittimamente Dio (Dt 12) e cioè nel tempio di Gerusalemme. Nel Deuteronomio tuttavia il tempio non viene espressamente nominato, così come non viene mai nominata la stessa città di Gerusalemme. Come ultima cosa Giosia celebrò con grande solennità la Pasqua; dispose inoltre che il sacrificio delle vittime venisse trasferito dall’ambito familiare a quello centrale del tempio e rese obbligatorio il pellegrinaggio rituale a Gerusalemme.

Giosia aveva saputo sfruttare il momento politicamente più favorevole per varare le sue riforme. Il potere assiro stava ormai declinando e doveva appoggiarsi all’Egitto per contrastare l’avanzata babilonese. Nel 612 a.C. con la conquista di Ninive, i babilonesi posero fine al potere militare più temuto di quei tempi nell’antico oriente, di cui ancora oggi possiamo ammirare eccezionali opere d’arte e di architettura.

Con la caduta della potenza assira si diffusero grandi speranze di pace che durarono poco in quanto Giosia, tre anni dopo fu ucciso dal faraone egiziano Necao II nella battaglia di Meghiddo. I successore non furono alla sua altezza e non riuscirono ad evitare la sconfitta e la successiva deportazione in Babilonia che pose fine nel 586 al regno di Giuda.

Giosia fu una delle figure più dotate ed affascinanti, tra quelle che succedettero al trono di Davide, fu l’ultimo re importante del regno di Giuda. Nonostante che la sua opera sia rimasta incompiuta, egli ha fortemente influenzato la successiva storia di Israele (Gr 22, 15s), innalzando Gerusalemme a luogo centrale di culto, proclamando il Deuteronomio ed incarnando l’immagine ideale di monarca.

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