ESEGESI 1 PIETRO 3, 21

21. oÁ kai\ u¥ma=j a¦nti¢tupon nu=n s%/zei ba/ptisma, ou¦ sarko\j a¦po/qesij r¥u/pou a¦lla\ suneidh/sewj a¦gaqh=j e¦perw/thma ei¦j qeo/n di¡ a¦nasta/sewj 'Ihsou= Xristou=,

Per il font Sgreek.ttf, necessario per visualizzare il testo greco
scrivere a Chiesa di Cristo e vi verrà spedito come file attachment

pronome relativo neutro nominativo singolare = il quale o la quale o che. È strettamente collegato con il precedente uÀdatoj, che è il genitivo singolare del nome neutro irregolare uÀdwr = acqua
kai\ congiunzione che può avere il significato di anche. = anche
u¥ma=j pronome personale, accusativo della 2a persona plurale = voi
a¦nti¢tupon  aggettivo della 2a declinazione di genere neutro, nominativo singolare = immagine o figura di 
nu=n avverbio = ora, in questo momento
s%/zei indicativo presente 3a persona singolare del verbo swzw = salva. Il tempo presente in greco non indica un’azione che si svolge e termina il suo effetto nel presente, ma un’azione che continua e si perpetua nel tempo. Quindi la traduzione esatta dovrebbe essere: continua a salvare
ba/ptisma  nome neutro della 3a declinazione (con tena in dentale semplice), nominativo singolare  = battesimo 
ou¦ particella negativa  = non 
sarko\j nome femminile della 3a declinazione (con tema in gutturale), genitivo, singolare  = della carne, del corpo umano
a¦po/qesij nome femminile della 3a declinazione (con tema in iota), nominativo, singolare  = eliminazione
r¥u/pou nome maschile della 2a declinazione, genitivo, singolare = sporcizia
a¦lla\  congiunzione avversativa  = ma
suneidh/sewj nome femminile della 3a declinazione (con tema in iota), genitivo, singolare  = coscienza, coscienza dei propri peccati
a¦gaqh=j aggettivo femminile della 1a e 2a declinazione (tema in o non contratto) genitivo singolare. = buona, utile, adatta, conveniente
e¦perw/thma nome neutro della 3a declinazione (con tema in dentale semplice) = invocazione, impegno
ei¦j preposizione con l’accusativo = verso, nei confronti di
qeo/n nome maschile della 2a declinazione, accusativo singolare = Dio
di' preposizione col genitivo = per mezzo di, attraverso
a¦nasta/sewj nome femminile della 3a declinazione (con tema in iota), genitivo, singolare = risurrezione
'Ihsou= nome proprio 2a declinazione (tema in o contratto), genitivo, singolare = di Gesù
Xristou= nome proprio 2a declinazione (tema in o contratto), genitivo, singolare = di Cristo
Il contenuto del versetto 21 si trova inserito, come un inciso, in un lungo brano, che va dal versetto 3, 8 al versetto 4, 19, nel quale Pietro esorta i cristiani ad avere un comportamento coerente con la loro nuova condizione di credenti. Anche se tale comportamento può essere motivo di afflizione, i credenti in Gesù devono sempre tenere presente l’esempio di Gesù il quale, pur essendo giusto, ha sofferto per i peccati degli ingiusti e, pur essendo morto nella carne, è stato vivificato dallo Spirito (v. 18).

Pietro parlando della ribellione a Dio, oppone ad essa il comportamento di Noè che, al contrario dei ribelli, dimostra la sua fedeltà al progetto divino e, contro ogni evidenza esteriore, costruisce l’arca seguendo le istruziondi Dio; arca nella quale egli stesso e tutta la sua famiglia trovano la salvezza (Ebrei 11, 7).

Il ricordo delle acque del diluvio, che furono motivo di morte per l’umanità ribelle e motivo di salvezza per Noè e la sua famiglia, a causa della loro fedeltà a Dio, offre a Pietro l’occasione per accostare questa antica catastrofe dell’ umanità, di cui rimane ancora vivo il ricordo, ad una realtà superiore che viene oggi offerta a tutti gli uomini attraverso la risurrezione di Cristo.

Come attraverso le acque del diluvio trovò salvezza il fedele Noè, così attraverso la risurrezione di Cristo possono trovare salvezza tutti coloro che pongono la loro fiducia in Dio. Perciò le acque del diluvio, causa di morte ma anche di salvezza, divengono l’antitipo, l’immagine, la figura, delle acque del battesimo nelle quali l’uomo peccatore muore per risorgere a nuova vita grazie al sacrificio ed alla risurrezione di Cristo.

L’accento posto sulla fiducia di Noè ai disegni divini e sul sacrificio di Cristo, morto quanto alla carne (la sua natura umana), ma vivificato dallo Spirito (v. 18), ci fa capire che il discorso centrale non verte tanto sull’atto materiale del battesimo in sé stesso, quanto piuttosto nell’azione di Dio attraverso la risurrezione di Cristo e nella disposizione d’animo di colui che viene battezzato.

Pietro, affermando che le acque del battesimo, come già anticamente quelle diluvio, possono ora continuare a salvare anche noi, teme di poter essere frainteso e specifica quindi che non si tratta di un semplice bagno materiale del corpo, ma è necessario che l’uomo si riconosca peccatore agli occhi di Dio; in altre parole il battesimo come atto in sé stesso non ha alcun valore:

a) se non è preceduto dalla nostra fiducia nel fatto che Dio può salvarci per mezzo di Cristo

b) e se non è altresì preceduto dalla nostra consapevolezza di essere nella condizione di uomini peccatori, incapaci di uscire da soli da questa nostra condizione, ma soltanto grazie all’aiuto che Dio ci offre per mezzo di Gesù Cristo.

Fede, ravvedimento e battesimo sono quindi strettamente intrecciati fra loro per cui non si può parlare di uno di questi elementi senza richiamare implicitamente anche gli altri, come del resto avviene in tutto il Nuovo Testamento. Quando ci riferiamo alla nostra salvezza non possiamo mettere l’enfasi soltanto sulla fede escludendo il ravvedimento ed il battesimo, nello stesso modo in cui non possiamo parlare del battesimo senza presupporre la fede ed il ravvedimento.

Il parallelismo creato da Pietro, usando la stessa preposizione greca di¡ tanto davanti alla parola uÀdatoj (acqua) che alla parola a¦nasta/sewj (risurrezione), mette in stretta relazione l’acqua del diluvio con la risurrezione di Cristo. In tal modo l’autore vuole farci intendere, con un semplice espediente linguistico, che l’acqua del battesimo trova il fondamento della sua efficacia di salvezza nella risurrezione di Gesù Cristo. Come Noè ed i suoi furono salvati « attraverso (dia/ )» le acque del diluvio, così  anche noi oggi siamo salvati « attraverso ( dia/ ) la risurrezione di Gesù Cristo », con cui entriamo in comunione mediante l’atto del battesimo. Nel battesimo infatti si realizza in noi una morte simile a quella di Cristo mediante l’immersione totale nell’acqua. L’emersione dall’acqua è il segno che noi, similmente a lui, stiamo camminando in novità di vita ed è anche segno che diventeremo partecipi di una resurrezione simile alla sua. Questo mistero ci è stato rivelato molto chiaramente da Paolo nella lettera ai Romani: « Noi dunque siamo stati sepolti con lui per mezzo del battesimo nella morte, affinché come Cristo è risuscitato dai morti per la gloria del Padre, così anche noi similmente camminiamo in novità di vita (cf 2 Cor 5, 17; Gl 6, 15). Poiché se siamo stati uniti a Cristo per una morte simile alla sua, saremo anche partecipi della sua risurrezione » (Rm 6, 4-5).

Tale unione del credente con la morte e la resurrezione di Cristo, che si realizza nel battesimo, viene ancora ribadita molto chiaramente da Paolo anche nella lettera ai Colossesi: « . . . essendo stati sepolti con lui nel battesimo, in lui siete anche stati insieme risuscitati, mediante la fede nella potenza di Dio che lo ha risuscitato dai morti. E con lui Dio ha vivificato voi, che eravate morti nei peccati e nell’incirconcisione della carne, perdonandovi tutti i peccati » (Cl 2, 12-13).

Nel passo parallelo di Galati Paolo torna di nuovo con forza su questo argomento, dicendo: « Poiché voi tutti che siete stati battezzati in Cristo, vi siete rivestiti di Cristo » (Gl 3, 27). Essere rivestiti di Cristo significa che Dio concede al credente ravveduto di immedesimarsi nella morte e nella resurrezione di Cristo a tal punto da far esclamare a Paolo: « Io sono stato crocifisso con Cristo e non sono più io che vivo, ma è Cristo che vive in me; e quella vita che io vivo nella carne, la vivo nella fede del Figlio di Dio, che mi ha amato e ha dato se stesso per me » (Gl 2, 20).

Da questi passi appare chiaramente che il battesimo è intimamente legato alla nostra fede nella risurrezione di Cristo. Non ha senso volerlo separare da questa fede e relegarlo ad un ruolo di secondaria importanza nel processo di salvezza. Per sé stesso è un atto materiale che non ha alcun valore, se viene praticato in modo separato dalla fede e dal ravvedimento, ma acquista valore se inserito come parte integrante di quel processo per cui l’uomo si apre a Dio e dimostra concretamente di voler accogliere il Suo dono gratuito di salvezza.

Guardandolo da un punto di vista umano, potremmo dire che esso rappresenta la firma finale in un contratto. Anche se esiste la volontà fra due contraenti di stipulare un accordo, questo accordo diventa valido ed efficace soltanto dopo la loro firma nel contratto. Tale accostamento potrebbe sembrare a prima vista profano, ma non lo è poi tanto se anche nella Bibbia in generale e nel Nuovo Testamento in particolare viene usato il termine greco sfragi/j ed il corrispondente verbo sfragi/zw , con il senso di convalidare, sigillare. Con questo significato, ma in senso traslato, Paolo usa tale termine quando scrive agli Efesini, dicendo: « In lui anche voi, dopo aver udito la parola della verità, l’evangelo della vostra salvezza, e aver creduto, siete stati sigillati con lo Spirito Santo della promessa» (Ef 1, 13). Più avanti egli aggiunge: « E non contristate lo Spirito Santo di Dio, col quale siete stati sigillati per il giorno della redenzione» (Ef 4, 30). Anche scrivendo ai Corinzi, Paolo afferma: « Or colui che ci conferma assieme a voi in Cristo e ci ha unti è Dio, il quale ci ha anche sigillati e ci ha dato la caparra dello Spirito nei nostri cuori ».

In tutte e tre queste frasi il riferimento al battesimo non è diretto, ma indiretto attraverso lo Spirito Santo. Paolo afferma che vi è un’ « unico battesimo» (Ef 4, 5) ed è appunto in questo unico battesimo che noi riceviamo il dono dello Spirito Santo (Atti 2, 38 «e voi riceverete il dono dello Spirito Santo »).

La metafora del sigillo acquista nelle parole di Paolo un’importanza teologica, diventa un’immagine e nello stesso tempo uno strumento del linguaggio della fede. Ciò che può essere difficile spiegare attraverso un ragionamento concettuale, acquista forma e plasticità solo per mezzo della metafora o di un linguaggio figurato. La stessa cosa fa Pietro quando parla delle acque del diluvio come immagine e figura di una realtà superiore. Lo stesso fa Paolo quando paragona il battesimo al passaggio del Mar Rosso da parte degli Ebrei in fuga dall’Egitto (1 Co 10, 2).

In entrambi questi casi si trattava di un atto voluto e compiuto da Dio per la salvezza di Noè e della sua famiglia e per la salvezza del popolo d’Israele. In entrambi i casi è stata però necessaria la partecipazione umana all’iniziativa divina, attraverso un atto concreto di fede. « per fede Noè, avvertito divinamente di cose che ancora non si vedevano e mosso da santo timore, preparò per la salvezza della sua famiglia l’arca, mediante la quale condannò il mondo e divenne erede della giustizia che si ottiene mediante la fede » (Eb 11, 7). Dio ha salvato Noè, « predicatore di giustizia» (2 Pt 2, 5), e la sua famiglia dal diluvio facendogli costruire l’arca. Noè ha partecipato con fede al progetto divino di salvezza costruendo materialmente l’arca secondo le istruzioni precise che Dio stesso gli dava e l’ha costruita quando ancora non c’era alcun segno esteriore che poteva far presumere l’imminente catastrofe, dimostrando in tal modo una completa fiducia in Dio. Se Noè non avesse costruito l’arca, come gli aveva detto Dio, avrebbe dimostrato con questo suo rifiuto di non avere fiducia in Lui ed avrebbe in tal caso subito la stessa sorte di tutto il resto dell’umanità, destinata a perire nelle acque del diluvio a causa della sua malvagità senza limiti (Gn 6, 5-8).

Il battesimo, visto da Pietro come una realtà superiore rispetto all’immagine delle acque del diluvio, assume l’importanza di una nuova azione divina che richiede la partecipazione fiduciosa dell’uomo. Non si tratta quindi di un’opera meritoria da parte dell’uomo, ma di un’opera divina alla quale l’uomo è chiamato a partecipare con la stessa fede con quale Noè costruì l’arca.

Lo stesso discorso vale nel caso di Paolo che paragona il battesimo al passaggio del Mar Morto. Anche questo episodio, memorabile della storia del popolo ebraico, viene ricordato dall’autore della lettera agli Ebrei come un esempio di fede concreta da parte di Mosè e del popolo: « Per fede passarono il Mar Rosso come se attraversassero una terra asciutta; quando invece gli Egiziani tentarono di fare ciò, furono inghiottiti » (Eb 11, 29). Anche in questo caso Dio ha preso l’iniziativa eliminando l’ostacolo che poteva impedire al suo popolo la fuga dall’Egitto. Questo intervento straordinario di Dio nella storia del suo popolo richiedeva però la parteceipazione fiduciosa di Mosè e del popolo stesso. Come ha separato le acque del Mar Rosso, Dio avrebbe potuto benissimo trasportare Mosè e l’intero popolo sull’altra sponda del Mare. Ma in tal caso avrebbe compiuto una forzatura. Egli ha separato le acque del Mare e gli Ebrei hanno potuto con fiducia attraversare quel tratto di mare sull’asciutto senza temere che le acque si richiudessero su di loro. L’azione di Dio ha richiesto anche in questo caso una partecipazione fiduciosa dell’uomo. Senza questa fiducia in Dio, Mosè e gli Ebrei non avrebbero mai attraversato il Mar Rosso rimanendo schiavi in Egitto.

Gli esempi del capitolo 11 continuano e fra essi troviamo anche ricordata la figura di Abramo, il cui comportamento viene citato da Paolo per sostenere la giustificazione per fede. Ma anche Abramo ha dimostrato concretamente la sua fede « . . . quando fu chiamato, ubbidì per andarsene verso il luogo che doveva ricevere in eredità; e parti non sapendo dove andava » (Eb 11, 8). Quando Dio gli chiese di offrirgli in sacrificio Isacco, non esitò a farlo, pur sapendo che questo figlio rappresentava la sua unica speranza di avere una discendenza, come Dio gli aveva promesso. La sua fiducia in Dio non conosceva limiti « perché Abrahamo riteneva che Dio era potente da risuscitarlo anche dai morti; per cui lo riebbe come per una specie di risurrezione » (Eb 11, 19). Se Abramo non avesse accolto l’invito di Dio di lasciare il suo paese, i suoi parenti e la casa di suo padre per recarsi in una terra straniera, se si fosse rifiutato di sacrificare il suo unico figlio Isacco, avrebbe egli ancora dimostrato concretamente la sua cieca fiducia in Dio? Certamente no! E Paolo non l’avrebbe mai citato come esempio per coloro che vogliono ottenere la giustificazione per fede. La fede quindi per essere tale, come sostiene anche Giacomo (Gc 2, 14-26) ha bisogno di manifestarsi con un atteggiamento concreto. Senza questa manifestazione concreta non si può parlare di fede, ma di semplice adesione intelletuale che non può portare alla salvezza, come non portò alla salvezza i molti capi dei giudei, che, pur credendo in Gesù, « non lo confessavano per non essere espulsi dalla sinagoga » (Gv 12, 42). Giovanni va anche oltre e ci spiega il motivo del loro comportamento: «perché amavano la gloria degli uomini più della gloria di Dio » (v. 43).

La vera fede quindi richiede anche una conversione totale dell’ uomo che riconosce Gesù come unico "Signore" (kýrios) incontrastato della propria vita e si sottomette a lui in ogni cosa e quindi anche nel battesimo per la sua rigenerazione mediante l’azione dello Spirito Santo (Tt 3, 5-7).

Molti si chiedano come mai Dio che è puro spirito abbia dovuto usare un mezzo materiale come l’acqua per portare la salvezza all’umanità. Questa perplessità è una naturale conseguenza della civiltà occidentale fondata sulla cultura greca. Nella concezione greca spirito e materia sono in contrapposizione fra loro. Lo spirito rappresenta la parte nobile ed immortale, mentre la materia è la parte ignobile destinata alla corruzione. Nella concezione giudeo-cristiana tale separazione non esiste, ma spirito e materia sono complementari l’uno dell’altra.

Quando Dio ha creato l’universo materiale, tale universo all’inizio era una cosa buona. L’uomo stesso è stato formato col fango della terra e cioè con gli stessi elementi materiali di cui era composto il mondo. L’autore del libro della Genesi ci comunica con parole semplici, ma significative, una verità inconfutabile che anche la scienza moderna non ha alcuna difficoltà ad accettare. L’uomo si differenzia dal resto del creato perché Dio ha soffiato su di lui il suo Spirito e lo ha creato « a sua immagine e somiglianza». Nell’uomo esiste quindi una parte materiale, composta dagli stessi elementi di cui è formato il mondo, e una parte spirituale, donatagli da Dio, che lo eleva al di sopra di tutte le altre creature.

Nel suo progetto di salvezza dell’umanità, Dio ha sempre tenuto conto sia della parte spirituale che di quella materiale di cui l’uomo era stato formato. Quando egli ha mandato Suo Figlio in questa terra per portare a termine il suo progetto di salvezza dell’umanità, non ha inviato un Essere spirituale superiore, ma ha mandato un uomo di carne ed ossa come noi con tutte le sofferenze, le paure, le malattie, le tentazioni e persino la morte che questo stato comportava. Non è stato uno spirito che è salito sulla croce, che ha sofferto, che è morto, ma è stato un uomo come noi.

In Cristo Dio è sceso in mezzo all’umanità ed ha condiviso con essa la sofferenza, il dolore, la morte. Naturalmente Dio lo ha risuscitato dai morti e lo ha posto a sedere sulla destra, per dire che gli ha sottoposto ogni cosa sia in cielo che in terra.