LA  PRIMA  LETTERA  DI  PIETRO

SPUNTI  DI  ESEGESI
Stato e Chiesa
(1 Pietro 2, 13-17)
 di Lino De Benetti


INDICE

Introduzione
1. Il contesto generale e la situazione essenziale
2. Analisi esegetica del testo
3. Messaggio teologico
4. Sguardo agli altri dati del Nuovo Testamento


Introduzione

Lascio il titolo tradizionale all'esegesi del passo per quanto sia consapevole che in effetti i termini del problema sono molto diversi da quelli che oggi vanno appunto sotto i nomi di «stato » e «chiesa ». Per questa ragione mi sono attenuto strettamente alle istanze mosse dal passo in se stesso senza allacciarmi alla tematica biblica più generale sull'argomento, ma cercandole l'aggancio solo in sede conclusiva. Rimando perciò il lettore ai trattati specifici sull'argomento che compongono del resto una ricca bibliografia (1) .

1) Il contesto generale e la situazione essenziale

Le raccomandazioni qui contenute vanno comprese in una dimensione particolare del popolo cristiano che si evidenzia in due situazioni e considerazioni-guida. Anzitutto la sua configurazione di diaspora(2) per cui sotto un angolo di osservazione sociologica è un popolo senza cittadinanza come ben è reso in 1, 17: « nel tempo del vostro pellegrinaggio» ( paroikía ) (3) e in 2, 11 da due aggettivi che caratterizzano i credenti come « stranieri e pellegrini» ( parepídemos e paróikos). In secondo luogo troviamo una situazione di « imminente fine» (4, 7) che permea tutta la lettera (cf 1, 5; 5, 10; 4, 17) e che ci dà la netta sensazione di una vicina persecuzione(4) forse già parzialmente in atto almeno nella sua fase non cruenta. In tal senso mi sembra siano da comprendere le calunnie che i credenti indubbiamente già subivano (cf 2, 14; 3, 14-18; 4, 12-16; 5, 9).

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2) Analisi esegetica del testo

2, 13a. Siate sottomessi ( ypotágète) per amore del Signore.
Il verbo-soggetto della frase è un imperativo aoristo passivo che viene tradotto con « siate sottomessi» o « siate soggetti» e che letteralmente si potrebbe rendere con «continuate volontariamente a sottomettervi». E' anche lo stesso verbo che è usato nei contesti classici abbastanza analoghi di Romani 13, 1ss e Tito 3, 1 e che ci fa capire come per i cristiani si tratti di una sottomissione volontaria, che scaturisce da quella prioritaria verso Gesù Cristo cioè, come si afferma nel nostro passo, « per amore del Signore» (5) A lui infatti tutto è sottoposto non volontariamente, ma per una vittoria ottenuta (cf 3, 22). Che questo sia il senso più naturale dell'esortazione può essere confermato anche da una lezione tardiva (6) del v. 13 che aggiunge l'avverbio « oûn» per cui avremmo « sottomettetivi dunque» dove il « dunque» è sintomatico di una situazione precedente cioè la sottomissione al Cristo. Del resto che si tratti di una subordinazione volontaria dovuta cioè ad un rapporto di fede, mi pare si veda molto bene dal fatto che questa esortazione è ripetuta altre due volte sì da formare un contesto unico:

a) sottomissione dei liberi-cristiani alle persone in autorità;
b) sottomissione dei credenti-schiavi ai rispettivi padroni (2, 18);
c) sottomissione delle mogli ai propri mariti (3, 1) e tutti subordinati l'un l'altro (3, 8) per l'amore che in Cristo li unisce

2, 13b-14 Ad ogni umana creatura ( pásê 'anthropínê ktísei ).
Sembra anche a me preferibile questa traduzione(7) che si riferisce agli uomini in autorità più che all'autorità in se stessa resa invece dalle traduzioni come « istituzioni umane; autorità umana, ordinamento umano ». Manca infatti qui il termine classico per potestà o autorità (8) ('exousía ) che poi nel Nuovo Testamento è anche collegato ad altre categorie teologiche, le cosiddette «potenze spirituali »(9) L'esortazione del nostro testo a sottomettersi è riferita, anche oltre, a persone e non a istituzioni (i padroni, i mariti, i credenti stessi l'uno all'altro). Sembra del resto che l'aggiunta dell'aggettivo «umana» ( 'anthropínê) dia ancor maggior rilievo a questa constatazione, che l'autore cioè voglia esplicitamente avvertirci che si tratta di uomini. Si passa infatti subito dopo a nominarli: ecco così presentata la figura dell' imperatore , qui chiamato semplicemente re secondo l'uso orientale, e i governatori che sono i proconsoli ossia i presìdi delle province romane nominate all'inizio (cf 1, 1) (10) .

2, 15-17. Poiché questa è la volontà di Dio (óti oútos estìn tò thélêma toû Theoû)
La sottomissione agli uomini in autorità viene presentata ora in chiave antitetica quasi polemica alla diversa condotta dei cristiani. Essi facendo il bene dimostrano di essere uomini liberi (non più sottomessi allora!) e non stolti. E' precisamente da questo contesto che troviamo l'autentica visione dello « Stato » di questo passo. Il « re » e i « governatori » sono infatti visti dalla speranza dei cristiani come i garanti e i tutori di una certa legalità: « punire i malfattori » e « dar lode a chi fa bene ». Lo Stato non è dunque volutamente compreso nella sua dimensione politica né valutato nelle sue implicazioni socio-economiche che anche in quel tempo erano indubbiamente evidenziabili (11) .

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3) Messaggio teologico

Solo ora è possibile stringere qualche conclusione con questa linea di orientamento e di indicazione anche per il tempo attuale.

a) Il nostro passo sottintende una speranza . I cristiani sanno di essere uomini liberi, in senso assoluto non sono nemmeno soggetti agli uomini che in questa terra hanno un potere, ma la loro autentica e prima sottomissione è verso Dio la cui volontà è che essi abbiano una missione profetica da condurre nel mondo. Se questa missione li porta alla croce, quindi alla apparente totale sottomissione agli uomini, come è accaduto per Gesù, non ha importanza. Anzi. E' proprio la sottomissione agli uomini mandatari di un umano potere che eleva la subordinazione cristiana a motivo di superamento agapico verso la stoltezza e la malignità degli uomini. Ma anche e forse soprattutto da un solo piano umano, attraverso la loro condotta, essi dimostrano con i fatti (gesti e opere d'amore) l'infondatezza delle accuse mosse dai « malfattori ».

b) Non dobbiamo pertanto cercare in questo passo nessuna legittimazione divina del potere politico. Il cristiano gli è sottomesso criticamente nella fiducia cioè che esso tuteli lo svolgersi legale di quegli eventi in cui i cristiani sono direttamente implicati. La legittimazione del potere politico è la sua semplice esistenza (12) e il credente non fa altro che riconoscere una situazione di fatto. Non si chiede cioè se questo potere sia buono o cattivo o, come diremmo oggi, se sia una monarchia o una repubblica, se sia uno stato democratico o totalitario, se sia un regime capitalista o socialista.

c) Detto questo non dobbiamo però concludere che il credente in assoluto debba sempre e comunque obbedienza allo stato. Di qui la necessità di rivolgerci altrove per chiarire e ampliare ciò che nel Nuovo Testamento e per i primi cristiani era lo Stato. E' importante ricordare che il nostro passo riflette una situazione, come dicevo all'inizio, di pre-persecuzione. I cristiani non hanno ancora «gustato» l'amarezza e la tragedia del potere scatenato verso i suoi fini. Per ora l'autore ispirato può solo e giustamente raccomandare ai cristiani la massima sottomissione all'imperatore e ai proconsoli romani proprio perché avverte l'imminenza di una catastrofe che per quanto sta ai cristiani non deve essere né sollecitata né provocata. La visione che il nostro passo dà al problema «stato e chiesa» è dunque parziale perché proprio in dialettica con una situazione che si è verificata solo «in prima istanza». Manca infatti ancora quella seconda verifica ed esperienza dello stato demoniaco di cui troviamo la documentazione in Apocalisse 13 e per cui l'atteggiamento dei credenti cambierà radicalmente.

d) Come molto lucidamente osserva Sergio Rostagno: «lo Stato come concetto non esiste nel Nuovo Testamento» (13) e «il cristiano primitivo tende molto di più a considerare gli eventi che si producono come rivolgimenti cosmici piuttosto che come fatti politici» (14) L'uomo contemporaneo non è che sia più politicizzato del cristiano primitivo, ma ha potuto vedere l'intera parabola dell'atteggiamento della fede neotestamentaria verso lo Stato. Siamo in grado cioè di comprendere le ragioni storiche dei brani essenziali che danno una configurazione più chiara a ciò che il messaggio neotestamentario ci trasmette circa il dato «Stato». Qui in 1 Pietro siamo ancora in presenza, per così dire, della prima fase (molto simile a quella di Romani 13, Tito 3, 1 e 1 Timoteo 2, 1s) cioè ad una visione di una specie di stato neutro (15) quale effettivamente poteva apparire in quella precisa situazione.

Così per noi oggi questa parola non cessa la sua illuminante rivelazione che si condensa in quella esortazione di sottomissione polemica ed agapica che abbiamo sopra descritto, ma che non ci fa dimenticare la più ampia domanda: ma l' intera e autentica struttura dello Stato è sempre e comunque neutrale?

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4) Sguardo agli altri dati del Nuovo Testamento

Per non lasciare sospesa questa domanda, occorre a questo punto passare in rassegna, sia pure rapidamente, gli altri passi del Nuovo Testamento. Così si capiranno meglio le scelte di fondo che i primi cristiani hanno fatto di fronte a una fisionomia dello Stato che hanno imparato a conoscere a mano a mano che il messaggio di Gesù trovava la sua verifica sul piano storico

a) Il pensiero di Gesù: Marco 12, 13-17

E' vero, come giustamente afferma Cullmann, che considerando la posizione di Gesù di fronte allo Stato, «non dobbiamo limitarci » a questo racconto, «ma dobbiamo prendere le mosse dall'atteggiamento di Gesù verso gli Zeloti » (16) . Tuttavia una retta esegesi di questo famoso testo dovrebbe ormai dimostrare due cose fondamentali:

— Gesù non intende affatto legittimare il potere dello Stato (Cesare) di governare come vuole il mondo (qui la Palestina). Egli si limita a riconoscere a Cesare la sua funzione (e non diritto) di amministratore economico della sua moneta nella riscossione e nella circolazione del tributo. Diversi esegeti giustamente insistono sul valore del termine greco qui usato che non significa «dare» ma restituire . In una parola a Cesare va restituito solo ciò che gli appartiene. Di fronte ai collaborazionisti dello Stato romano (Erodiani) e ai partigiani Zeloti (nel nostro testo sono i Farisei che pur senza intenti rivoluzionari non sono certo teneri verso Roma, per quanto ufficialmente si dimostrassero ipocritamente neutrali), Gesù rispose in maniera sottile e polemica verso gli uni e verso gli altri. Perché:

« se risponde sì, è liquidato come Messia, perché un Messia non scende a patti con Cesare; se risponde no, si scopre come ribelle e questo a due passi dalla fortezza dove presidiano i soldati romani e Pilato » (17) .

— Gesù non intende nemmeno equiparare il potere dello Stato (Cesare) a quello di Dio: il primo sul «regno materiale », il secondo sul «regno spirituale ». Questo pensiero separatista non è presente in Gesù. Sbagliati sono perciò tutti quei richiami a questo passo per l'altra legittimazione che gode ancora un vasto consenso: la separazione dei poteri tra Stato e Chiesa in due diverse sfere di competenza.

Qui Gesù chiede all'uomo, che vuol essere suo discepolo, di restituire a Dio ciò che Gli appartiene. E a Lui appartiene tutto! Non solo l'uomo intero senza nessuna falsa separazione tra anima e corpo, ma anche ogni sfera della dimensione della vita, compresa quella che erroneamente si è chiamata profana in contrapposizione con l'altra cosiddetta sacra .

b) Lo Stato neutro (prima fase)

Dopo il primo diffondersi del Kerygma e la fondazione di comunità cristiane, i primi seguaci di Gesù si trovarono subito di fronte a degli ostacoli in diretta connessione con il dato «Stato». Per questo ben presto impararono a loro spese che le autorità pubbliche non sempre erano tenere nei loro confronti. Di ciò ne fanno testo, per esempio, i vari episodi di intolleranza giudaica di cui ci riferisce il libro di Atti . La risposta degli apostoli di fronte alla proibizione di esercitare liberamente il ministero della predicazione è inequivocabile: disubbidienza (18) E non si tratta, come qualcuno pur suggerirebbe, di un atteggiamento acritico come mancanza di consapevolezza della dimensione politica circa la nascente tensione tra Stato e chiesa cristiana!

E' tuttavia vero che lo Stato viene ancora sostanzialmente concepito e valutato come un istituto neutrale volto al mantenimento dell'ordine e tra l'altro di un ordine che poteva assicurare la libertà della predicazione. Così fu per circa un trentennio. Fanno senza dubbio parte di questo periodo 4 testi: Romani 13, 1-7; Timoteo 2, 1; Tito 3, 1 e il passo sopra esaminato di 1 Pietro 2, 13-17.

Occorre tuttavia ripetere che, specialmente da Romani 13, non si deve affatto dedurre una investitura divina dello Stato, ma la semplice constatazione della sua esistenza come istituto che, di per sé, non è contro la volontà di Dio ed è perciò ministro di Dio nel «punire chi fa il male e premiare che fa il bene». Anche la preghiera (1 Timoteo 2, 1s) e la sottomissione (Romani 13; Tito 3, 1) sono intese più che altro in connessione di fedeltà all'autorità assoluta e sovrana del Signore Gesù Cristo .

c) Lo Stato demoniaco (seconda fase)

Il popolo cristiano gusterà tuttavia ben presto, a proprie spese, che quei magistrati per cui essi pregavano e ai quali stavano soggetti, calpesteranno ogni libertà compresa quella di vivere e annunciare l'Evangelo. A questo punto il loro atteggiamento muta radicalmente. Per esempio Apocalisse 13 (e tutto il contenuto del libro!) è una spregiudicata requisitoria della fisionomia demoniaca dello Stato: la bestia che proferisce arroganti bestemmie (Ap 13, 5).

Comprendiamo così meglio anche i passi della «fase» precedente. Lo Stato allora non è di natura divina, né gode di alcuna legittimazione da parte di Dio. Esso invece subisce tutte quelle metamorfosi caratteristiche di ogni istituzione umana. Compiendo il bene può essere «servo» di Dio allora diventa Suo ministro (Romani 13, 2); oppure può opporsi a Dio e allora diventa un essere demoniaco perché fa la volontà di Satana, il demone per eccellenza.

d) L'etica politica

Nelle due fasi, che abbiamo così rapidamente elencate, ci troviamo di fronte all'intera parabola del dato «Stato»: i cristiani hanno conosciuto tutto, tutto quello che dovevano sapere. Qui si fermano anche i documenti biblici a nostra disposizione. Per capire il tipo di relazione tra chiesa e stato oggi, le vicissitudini storiche seguenti non aggiungono, a dire il vero, gran che: né gli ibridi compromessi (cesaropapismo, concordati), né le lotte per la supremazia della chiesa (il potere delle due spade), né i privilegi, né le pretese neutralistiche (corrente puritano - revivalista). Tutte sono ripetizioni di quello che era già successo nel primo secolo e che la storia neotestamentaria ci ha trasmesso.

Per questa regione, per quanto riguarda i rapporti tra Chiesa e Stato, dobbiamo riconoscere nel Nuovo Testamento due caratteristiche:

la componente critica in quanto è sempre sottinteso che c'è un Vero e più Alto potere: Dio;

la componente politica dell'annuncio evangelico che muta le relazioni sociali fino al punto da provocare delle precise scelte sia a livello individuale e sia nelle strutture.

Di qui altri e nuovi problemi che più che al tema «Stato e Chiesa» sono attorno all'altro e più complesso argomento: «Chiesa e Mondo» (19) Anche qui il credente, nel mutare delle situazioni storiche, dovrà rispondere di volta in volta con scelte di fede.


NOTE A MARGINE

1. Ricordo qui le opere soltanto in lingua italiana rimandando il lettore alle bibliografie ivi contenute. O. Cullmann, Dio e Cesare, Edizioni di Comunità, Milano 1957; H. Schlier, Lo Stato del Nuovo Testamento, in «Il tempo della chiesa», pp. 3-26; H. Rahner, Chiesa e struttura politica nel cristianesimo primitivo, Jaca Book, Milano 1970; R. Niebuhr, Uomo morale e società immorale, Jaca Book, Milano 1968, O. Cullmann, Gesù e i rivoluzionari del suo tempo, Morcelliana, Brescia 1971. torna al testo

2. La I° lettera di Pietro è infatti indirizzata alle chiese e ai cristiani di una vasta zona geografica che abitavano di fatto in mezzo ad un ambiente prettamente pagano e dominato dal potere di Roma imperiale. torna al testo

3. E' veramente sintomatico notare come questo termine sia così semanticamente mutato sino ad assumere oggi il significato, quasi oggettivamente, di ripartizione vera e propria di territori ecclesiastici: « La parrocchia». Anche la nota e bella frase di Wesley: «la mia parrocchia è il mondo» si ricollega in definitiva ad un concetto di estensione geografica e non alla effettiva situazione temporale dei cristiani. torna al testo

4. Poco importa qui se si tratti della persecuzione imminente sotto Nerone (64 d.C.) o la seconda di Domiziano (96 d.C.) come suggerisce A. Wikenhauser, Prima lettera di Pietro, in «Introduzione al N.T.», Paideia, Brescia 1963, p. 473 per quanto più avanti (p. 477) sembra accedere alla prima ipotesi. Non sappiamo infatti con certezza quando e come siano state toccate dalle persecuzioni le popolazioni di quei territori. torna al testo

5. Si deve qui notare l'interessante proposta di W. Foerster circa uno schema diverso nel collocare il piano della lettera seguito in questo contesto. Egli infatti dice che 2, 13 non è altro che la « soprascritta» del brano che va fino a 3, 9 per cui l'autore di 1 Pietro esorterebbe la comunità cristiana a sottomettersi ad «ogni categoria di uomini » (2, 1), per poi distinguerli in : « i liberi all'autorità, gli schiavi ai padroni, le donne ai mariti, e tutti gli uni gli altri » (cf Grande Lessico del Nuovo Testamento, vol. V, Paideia, Brescia 1969, pp. 1328-1329). Non vedo tuttavia la necessità di questa ulteriore distinzione tesa ad avvalorare una tesi che sta in piedi da sola nella naturale lettura del testo e nella comprensione linguistica dei termini qui usati (cf più avanti l'esegesi a 2, 13-14). torna al testo

6. Cf il testo critico di A. Merck e il commento a 1 Pietro 2, 13 di P. De Ambroggi in «La  Sacra Bibbia» (epistole cattoliche), Marietti Roma 1949, p. 120. torna al testo

7. Seguo qui la traduzione di B. Schwank, Prima lettera di Pietro, collana «Commenti spirituali del Nuovo Testamento», Città Nuova, Roma 1966, p. 60. Cf anche le decisive argomentazioni filologiche di W. Foerster, op. cit., in contrasto per esempio con M. Zerwick, Analysis Philological Novi Testamenti Graeci, ist. Pont. Bibl., Roma 1960. p. 538. torna al testo

8. L'interessante saggio di T. Eschenburg, Dell'autorità, il Mulino, Bologna 1970, documenta molto bene che all'inizio potestà e autorità erano due concetti molto diversi, ma che ormai ai tempi del Nuovo Testamento avevano assunto nello Stato romano lo stesso significato (vedere specialmente le pp. 11-33). torna al testo

9. Cf H. Schlier, principati e potestà nel Nuovo Testamento, Morcelliana, Brescia 1967 e specialmente W. Foerster, op. cit,. vol. III, pp. 630-665. torna al testo

10. Come giustamente nota W. Wikenhauser, op. cit., p. 470, i nomi geografici di 1, 2 (Ponto, Galazia, Cappadocia, Asia, Bitinia) « sembrano designare non delle province romane, ma gli antichi territori, poiché una provincia del Ponto e una della Bitinia non esisteva, ma solo una provincia Bithinia-Pontus». E' però chiaro che quando si parla di « governatori » non ci si può riferire altro che ai presidi delle province (senatoriali o imperiali) che Roma aveva in quei territori (l'odierna Turchia). torna al testo
 

11. Per le ragioni esaminate all'inizio non sono qui dello stesso parere di S. Rostagno nel suo peraltro ottimo studio quando afferma che in questo passo mancherebbe, rispetto allo Stato « ogni riserva critica » (cf S. Rostagno, Il cristiano e lo Stato del Nuovo Testamento, in « La posizione delle chiese evangeliche di fronte allo Stato », Claudiana, Torino 1970, p. 47). torna al testo

12. Così H. Schlier, op. cit., p. 14. torna al testo

13. Così S. Rostagno, op. cit., p. 49. torna al testo

14. Ibid., p. 37. torna al testo

15. Ibid., p. 48. torna al testo

16. O. Cullmann, op. cit., p. 27. torna al testo

17. S. Rostagno, op. cit., p. 39. torna al testo

18. Atti 4, 19; 5, 29, torna al testo

19. E' infatti molto vero, come osservava già T.S. Eliot, che « la distinzione tra Chiesa e mondo non è così facile da tracciare come quella tra Chiesa e Stato» (cf T.S. Eliot, L'idea di una società cristiana, Edizioni di Comunità, Milano 1960, p. 93). torna al testo