E S E G E S I
Capitolo 14°
VII – LIBERTÀ E CARITÀ
(14,1 - 15, 6)
a. Libertà cristiana
(14, 1-12)
In virtù del fatto di essere
stato affrancato da Cristo, Paolo si considerava completamente libero
dall’osservanza di digiuni e astinenze o di particolari giorni ritenuti
più importanti di altri religiosamente. Si era così
completamente emancipato dalla schiavitù spirituale da non
sentirsi nemmeno legato alla sua stessa emancipazione, perciò
non aveva alcun problema a conformarsi al modo di vivere giudaico quando
si trovava fra i Giudei e, con la stessa facilità, si adattava
al modo di vivere dei Gentili, quando viveva fra loro. La sua preoccupazione
maggiore era di non creare ostacoli alla predicazione e diffusione dell’evangelo,
da cui poteva derivare il bene del prossimo.
Ma per molti altri cristiani non era
così, non tutti erano così emancipati come lui. Paolo
lo sapeva bene e perciò raccomandava che costoro fossero trattati
con gentilezza. La fede di un cristiano può essere, sotto molti
aspetti, debole, immatura, disinformata. Ciononostante il cristiano
deve essere ugualmente accolto nella comunità con amore e non
costretto a sostenere discussioni sugli aspetti della sua vita nei quali
non è ancora arrivato all’emancipazione.
Paolo affronta due “settori” della vita
in cui potevano sorgere dei problemi: uno è il cibo, l’altro
l’osservanza religiosa di giorni particolari.
Alcuni non si facevano scrupolo di mangiare
qualsiasi tipo di cibo, altri preferivano astenersi da qualche cibo
particolare. Alcuni non facevano distinzione fra giorni più
o meno sacri, considerando ogni giorno “sacro al Signore”, altri, invece,
ritenevano alcuni giorni più santi di altri. Che fare quando
queste persone si trovano insieme nella stessa comunità? Devono
discutere a fondo la questione per cercare di convincersi e convertirsi
l’un l’altro?
No, dice Paolo. Ognuno deve seguire
il proprio cammino di fede e il proprio ritmo di crescita spirituale.
Chi gode di maggiore comprensione e, quindi, di l-bertà, non
deve disprezzare chi sembra essere più debole o immaturo. Chi
ha scrupoli di coscienza, a sua volta, non disprezzi chi fa ciò
che lui o lei non farebbe. Ogni credente è servo di Cristo e a
Lui ne renderà conto, qui e nella vita futura.
Non compete al cristiano giudicare un
altro (Mt 7, 1) perché tutti saranno soggetti al giudizio
di Dio. Paolo pertanto insiste sul principio della libertà cristiana.
“ Il cristiano è signore di tutto, assolutamente
libero, non soggetto a nessuno” scriveva Lutero.
14
. 1.
Accogliete chi è debole nella fede,
non allo scopo di giudicare le opinioni. Accogliete, questo
è l’imperativo fondamentale del testo: non respingete chi ha
qualche scrupolo di coscienza. L’impressione è che l’apostolo
considera la comunità romana, nella sua maggioranza, “forte”,
mentre i deboli sembra siano una minoranza. I deboli, tuttavia, devono
essere ugualmente accolti e non discriminati. Ma in cosa consiste la debolezza
della fede? Non è debolezza nei fondamenti della fede, ma debolezza
rispetto alla convinzione che la propria fede permetta di compiere determinate
azioni. Paolo si considera fra i “forti” (15, 1) ma non approva la poco
fraterna insistenza nell’esprimere liberamente all’esterno la propria
libertà interna senza tener conto degli effetti di questo atteggiamento
sugli altri. Questi diversi modi di atteggiarsi rispetto a cibi o a giorni
particolari non devono essere oggetto di condanna o di discus-sione. Il
termine diakriseij
, qui tradotto con “giudizio”, nel senso di condanna, può anche
significare discutere, criticare, distinguere. L’apostolo, quindi,
consiglia di evitare le critiche o le discussioni tendenti a stabilire
torti o ragioni, quindi un giudizio, sugli scrupoli di coscienza.
2 .
L’uno crede di mangiare ogni cosa, l’altro, essendo debole, mangia
verdure . Il termine “crede” qui vuole indicare la certezza
che la sua fede gli permette di poter mangiare di tutto. Chi, invece,
proprio perché la sua fede non ha ancora raggiunto questa certezza,
preferisce seguire un regime vegetariano. È evidente, quindi,
che il cibo oggetto di discussione sia la carne, probabilmente perché,
specialmente a Roma e in tutti i paesi al di fuori della Palestina, c’era
anche il rischio di consumare parti di animali che erano stati usati
nei sacrifici agli déi, o che non erano stati macellati secondo
le prescrizioni della legge giudaica.
3
Colui che mangia non disprezzi chi non mangia, chi non mangia,
non giudichi chi mangia, Dio, infatti, lo ha accolto . È
evidente che la maggioranza, composta da coloro che mangiano di tutto,
potrebbe avere un atteggiamento di superiorità e disprezzo nei
confronti di quella minoranza che invece si astiene, ritenendoli immaturi.
Questi ultimi, da parte loro, potrebbero essere scandalizzati dal comportamento
dei primi. Il consiglio di Paolo è di evitare qualsiasi critica,
qualsiasi giudizio, il disprezzo reciproco e la conseguente condanna
morale, perché tutti sono stati ugualmente accolti da Dio. La frase
infatti Dio lo ha accolto è riferita a chi mangia di tutto. Nella
legislazione giudaica era dichiarato “impuro” chi mangiava carne di certi
animali e questa impurità legale rendeva la persona incapace di accostarsi
al culto religioso senza aver prima tolto l’impurità mediante particolari
prescrizioni, ma nella nuova economia Dio ha tolto l’impurità legale
accogliendo chiunque accetti la salvezza ottenuta dal Figlio di Dio stesso.
4 .
Tu chi sei che giudichi il domestico altrui? Per il proprio padrone
sta in piedi o cade. Ma il suo Signore può farlo stare in piedi
. Colui che giudica si pone, ovviamente, al di sopra degli
altri, posizione da evitare, secondo gl’insegnamenti di Gesù
stesso (Mt 7,1; Lc 6,37). Nella comunità i credenti sono tutti servi
del Signore e nessuno di essi deve giudicare gli altri. Spetta al Signore
decidere se un suo servitore debba cadere o stare in piedi. Ma il Signore
è potente da farlo stare in piedi: la posizione del servo non
poggia sulla sua capacità di stare in piedi, ma sulla potenza
del Signore di farlo rimanere saldamente in piedi.
5 .
Uno, infatti, giudica giorno da giorno, un altro giudica ogni
giorno (uguale). Ognuno sia pienamente convinto nella propria mente
. Ora Paolo passa al secondo argomento: l’osservanza di giorni speciali,
verso i quali si manifesta lo stesso atteggiamento di disprezzo o di
critica/condanna. Nella legge cerimoniale dell’Antico Testamento erano
previste alcune festività religiose, per non parlare del Sabato,
giorno di riposo, sulla cui violazione pendevano precise condanne, e
per il quale anche Gesù fu spesso criticato dai Farisei. Paolo non
prende posizione nei confronti di tale osservanza, ma dichiara che in questo
campo vi è la più completa libertà, ma questa libertà
deve provenire da una perfetta convinzione della propria coscienza. Quale
che sia la prassi scelta, ognuno deve porsi in una ubbidienza che sia ferma,
decisa, risoluta, coraggiosa e gioiosa.
6 .
Chi considera il giorno, lo considera per il Signore, e chi mangia,
mangia per il Signore, infatti rende grazie a Dio, e chi non mangia,
non mangia per il Signore e rende grazie a Dio . Chi osserva
giorni particolari, dice Paolo, li osserva con l’intenzione di servire
il Signore, e lo stesso avviene per chi fa il contrario. La frase chi
non ha riguardo al giorno, lo fa per il Signore non fa parte del testo
meglio accertato. La stessa cosa Paolo afferma per quanto riguarda l’astensione
da cibi particolari, sia chi mangia sia chi si astiene lo fanno per
il Signore, rendendoGli grazie.
7 .
Nessuno di noi infatti vive per se stesso e nessuno muore per se
stesso.
8 .
Infatti se viviamo, viviamo per il Signore, se moriamo, moriamo
per il Signore. Ogni cristiano vive la sua vita davanti a Cristo
come suo servitore, sia il forte come il debole. Nessuno vive o muore
per se stesso, cioè senza altro obiettivo che di compiacere
al Signore utilizzando la vita (e la morte) al Suo servizio.
9 .
Per questo infatti Cristo morì e visse (
ezhsen)
affinchè sia signore e dei morti e dei viventi. Il termine
“visse” è chiaramente riferito alla resurrezione. Influenzati
probabilmente da 1 Te 4,14, alcuni copisti hanno usato
anesthn (risuscitò)
ma il primo termine appare più antico e meglio attestato, secondo
la critica testuale. In virtù della sua morte, e della successiva
resur-rezione, Cristo è ugualmente Signore e dei morti e dei
viventi.
10 .
Tu invece perché giudichi il tuo fratello? O tu perché
disprezzi il tuo fratello? Tutti infatti compariremo al tribunale
di Dio . Riprendendo il filo del di-scorso (vv 3,4) Paolo ora
rimprovera l’atteggiamento poco caritatevole e po-co fraterno di chi
giudica (i deboli) e di chi disprezza (i forti) il proprio fratello.
L’unico tribunale è quello di Dio, di fronte al quale tutti,
indistintamen-te, dovremo comparire. Alcuni manoscritti, risalenti alla
prima metà del II secolo (Marcio, Policarpo, Tertulliano e Origene)
hanno sostituito la parola
qeou¤ (Dio) con
XristouÍ (Cristo),
probabilmente influenzati da 2 Co 5,10, ma la prima lezione è
la meglio attestata.
11 .
È scritto infatti: io vivo, dice il Signore, (davanti)
a me si piegherà ogni ginocchio e ogni lingua loderà
Dio . Citazione da Isaia 45,23, passo che in Fl 2,10 è
da Paolo applicato a Cristo. Questo “piegarsi” di ogni ginocchio non
solo afferma l’assoluta autorità di Dio (e di Cristo) ma anche
il suo potere di giustizia suprema e perfetta. (Per me stesso l’ho giurato;
è uscita dalla mia bocca una parola di giustizia e non sarà
revocata: ogni ginocchio si piegherà davanti a me, ogni lingua
mi presterà giuramento).
12 .
Perciò (dunque) ognuno di noi darà conto di se
stesso (a Dio). Poiché alcuni importanti manoscritti antichi
omettono “a Dio” ne è stata messa in dubbio la sua originalità,
ma la sua probabilità intrinseca è in suo favore, poiché
senza di essa la frase è incompleta. Concludendo il discorso
su questo argomento Paolo conferma che ciascuno di noi, noi credenti,
dovrà rendere conto solo di se stesso, nessuno potrà
rispondere al posto di un altro. E sarà a Dio, non ad alcun
uomo, che si dovrà rendere conto.
b. Carità cristiana
(14: 13-23)
La libertà del cristiano, come qualsiasi libertà,
non è senza limitazioni. A queste limitazioni il credente
vi si sottopone volontariamente. Paolo, quindi, passa ad illustrare
queste limitazioni.
È evidente che in molte comunità della
chiesa primitiva il problema dei cibi che potevano o non potevano
essere mangiati era molto sentito, specialmente fra i cristiani provenienti
dal giudaismo. Fin dai tempi antichi le leggi giudaiche sui cibi contraddistinguevano
gli Ebrei fra tutti gli altri popoli e, col passare del tempo, la
loro osservanza era diventata più importante di tutte le prescrizioni
della Torah, quasi una bandiera.
Non solo la carne di certi animali era proibita, ma
anche il sangue di tutti gli animali, infatti, per poter mangiare
la carne degli animali ammessi, cioè “puri”, questi dovevano
essere macellati in maniera da far scolare via tutto il sangue, perciò
dovevano essere sgozzati. Al di fuori del territorio nazionale giudaico
essi però non potevano avere la certezza che le carni acquistate
al mercato da venditori non ebrei fossero state macellate in maniera legale
(kasher).
Gesù, come sappiamo, ebbe un atteggiamento critico
nei confronti delle posizioni estreme raggiunte dal fariseismo,
dichiarando: «non c’è nulla di
esterno all’uomo che, entrando in lui, possa renderlo impuro; sono,
invece, le cose che escono da lui che lo rendono impuro»
(Marco 7, 15ss) e l’evangelista commenta (v.19) che così dicendo,
Gesù aveva dichiarato puri tutti i cibi.
Questo concetto viene ripreso da Luca negli Atti (cap.
10) quando narra dell’invio di Pietro in casa del centurione Cornelio
a Cesarea. L’apostolo ebbe una visione che lo esortava a non considerare
impuro ciò che Dio aveva purificato, e si convinse ad entrare
in casa di un non ebreo per annunziargli l’evangelo.
Ma ci volle del tempo perché i cristiani provenienti
dal giudaismo si convincessero di questo. Le comunità cristiane
di Palestina, formate esclusivamente da Ebrei, continuarono ad osservare
le leggi di purità, oltre che a frequentare il Tempio e le
Sinagoghe, e lo stesso Pietro fu protagonista di un increscioso incidente,
ad Antiochia, in merito al quale ebbe uno scontro con Paolo (Ga 2,
1-14).
La questione, secondo Luca (Atti 15), fu oggetto di
una conferenza a Gerusalemme (che alcuni considerano come il primo
Concilio Ecumenico) che si concluse con la decisione che i Gentili
dovevano essere ammessi nelle comunità sulla base della fede
in Cristo, come lo erano anche i Giudei, chiedendo loro, tuttavia, di
astenersi da quei cibi che i fratelli Giudei consideravano ripugnanti.
È stato ampiamente sostenuto che Paolo non avrebbe
preso parte a questa decisione, perché essa era in conflitto
con i suoi principi sulla libertà dei cristiani, ed in particolare
sulla libertà dei Gentili nei confronti della legge giudaica.
Ma la cosa non è certa.
Comunque sia, la decisione di chiedere ai Gentili di
astenersi dai cibi ritenuti spiacevoli dai Giudei doveva favorire
la comunione nelle comunità miste.
Fra le decisioni di Gerusalemme si chiedeva l’astensione
dalle carni di animali che erano stati offerti in sacrificio agli
idoli. Problema sorto, ovviamente, in ambiente pagano, e Paolo ne aveva
trattato alcuni aspetti nella sua corrispondenza con la chiesa di Corinto
(1 Co 8, 1-13; 10, 19-33).
È evidente che nelle città come Corinto
e Roma l’acquisto della carne macellata poteva far sorgere ai cristiani
qualche problema di coscienza. Una grande quantità di carne
proveniva da animali sacrificati agli idoli, ai quali veniva offerta
solo una parte dell’animale, il resto della carne poteva essere venduto
nei mercati al minuto. Tra i cristiani ve n’erano alcuni di coscienza
equilibrata che non davano alcuna importanza a questo fatto, ve n’erano
altri che ritenevano che tali carni "contaminate" dall’idolatria e si
rifiutavano di mangiarne.
Scrivendo ai Corinzi l’apostolo si era schierato con
coloro che ritenevano in coscienza che, non essendoci alcuna sostanza
nelle divinità pagane, potevano in tutta libertà mangiare
la carne sacrificata agli idoli. Ma la conoscenza deve tenere conto
anche dell’amore e del riguardo nei confronti di chi ha una conoscenza
più limitata: la conoscenza non è tutto. Pertanto anche
ai Corinzi Paolo consiglia di non creare ostacoli al processo di fede
dei fratelli più deboli.
Sembra, tuttavia, che a Corinto il problema avesse preso
un’inclinazione più seria. Infatti, alcuni membri della comunità
non si limitarono ad acquistare e mangiare in privato le carni di animali
sacrificati agli idoli, ma accettarono anche di partecipare ai banchetti
che avevano luogo nei templi pagani, nei quali non solo si consumava
la carne del sacrificio, ma tutto il trattenimento era organizzato per
onorare la divinità. Su questo punto l’intervento di Paolo è
chiaro e forte: «voi non potete bere il calice
del Signore e il calice dei demoni, non potete partec-pare alla mansa
del Signore e alla mensa dei demoni» (1 Co 10, 21). Sebbene
in Cristo tutto sia permesso, non tutto è utile all’edificazione
della comunità cristiana e alla diffusione dell’evangelo della salvezza.
A Roma il problema consisteva soprattutto nell’evitare
che la componente giudaica della comunità si separasse dalla
componente “gentile”. Questo scopo poteva essere raggiunto semplicemente
applicando a tutto il comportamento il principio della carità
e del rispetto della libertà altrui, e Paolo mette in guardia
i romani dal pericolo di distruggere la fratellanza per il puntiglio
di sostenere un principio, sia pure giusto.
È bene avere una fede forte, una coscienza emancipata,
ma i cristiani non sono individui isolati, che vivono ognuno per
proprio conto: sono membri di una comunità, in comunione fra
di loro. Pertanto essi sono tutti individualmente responsabili, specialmente
quelli più maturi, dello sviluppo della comunità e della
sua prosperità.
13 .
Dunque non giudichiamoci più l’un l’altro, ma piuttosto
giudicate questo: di non porre ostacolo o scandalo al fratello.
Pertanto, poiché ognuno deve rendere conto di se stesso a Dio,
dobbiamo evitare di criticarci reciprocamente. Piuttosto stiamo attenti
che il nostro comportamento non provochi o sia occasione d’inciampo per
qualche fratello o sorella e possa indurlo a peccare. Ciò avviene
quando, per seguire l’esempio di un fratello più emancipato, si
fa qualcosa che la nostra coscienza non approva del tutto.
14 .
So e sono persuaso nel Signore Gesù che niente è
impuro per se stesso È un’espressione enfatica
che dà un gran peso a ciò che segue. Essere convinti
“nel Signore Gesù” vuole probabilmente indicare che si tratta
di una convinzione derivante dalla comunione col Cristo risorto e
dalla conoscenza profonda dei Suoi insegnamenti (Mc 7, 14-19, Mt 15,
10-11.15-20). Nulla è impuro per se stesso, ha insegnato Gesù.
Tutte le risorse del mondo sono a disposizione per l’uso dell’umanità,
tutto è “buono” dal punto di vista spirituale, ma questa qualità
può perdersi se ne viene fatto un uso improprio o se si pensa
di compiere un’azione illecita; se non per chi considera che
qualcosa sia impura, per lui è impura. Per chi è convinto
che una cosa è impura, per lui lo è, fino a quando non
si convincerà del contrario.
15
. Infatti, se per un cibo il tuo fratello
è rattristato, tu non cammini più secondo amore; non
perdere, per un cibo, colui per il quale Cristo è morto
. Se la tua libertà ed emancipazione nei confronti di un
cibo reca qualche difficoltà o disturbo alla crescita della
fede del tuo fratello e ne sei consapevole, certamente il tuo comportamento
non proviene dall’amore e mette a rischio la fragilità del
fratello debole, rendendo vano per lui il sacrificio di Cristo.
16
. Non sia perciò bestemmiato
ciò che per voi è bene. In altre parole: il
vostro privilegio non diventi oggetto di biasimo. È chiaro che
questa frase è rivolta ai “forti” che, come tutti i credenti
in Cristo, hanno il privilegio della libertà anche dalle vecchie
prescrizioni legalistiche, ma che rischiano, qualora non si facciano
guidare dall’amore, che questo privilegio diventi oggetto di biasimo,
sia da parte dei “deboli” sia da parte di chi è ancora fuori dalla
comunità cristiana. La presenza fra i cristiani di un egoismo disposto
a correre il rischio di causare la rovina spirituale del proprio fratello
debole per un piatto di carne, certamente getterebbe nel biasimo (blasfemia)
e nel discredito lo stesso evangelo.
17
. Infatti il regno di Dio non è
cibo e bevanda, ma giustizia e pace e gioia nello Spirito Santo
. Gesù, infatti, ha insegnato ai suoi discepoli: «
non siate con ansietà solleciti di ciò che mangerete
o di ciò che berrete… ma cercate prima il regno di Dio e la sua
giustizia » (Mt 6, 25.34). È vero che Gesù
si rifer-va all’ansiosa sollecitudine della vita quotidiana, tuttavia
il suo insegnamento richiama la superiorità e priorità del
Regno su tutto il resto, sull’importanza assoluta del bene spirituale rispetto
a quello materiale, dicendo che il secondo dipende dal primo e non viceversa.
Paolo qui ci dice che ciò che caratterizza il clima del regno
di Dio è la giustizia, la pace e la gioia e questi elementi derivano
dallo Spirito di Dio. Perciò il mangiare o non mangiare un cibo
particolare non rende testimonianza della presenza del regno di Dio;
la sua presenza, invece, è testimoniata piuttosto dalla realtà
dell’azione dello Spirito Santo mediante la giustizia, la pace e l’allegrezza.
18
. Infatti chi serve Cristo in questo
(modo) è gradito a Dio e stimato dagli uomini. Questa
frase vuole sottolineare quella precedente. Il credente che serve Cristo
nella giustizia, nella gioia e nella pace dello Spirito Santo, non solo
piace a Dio, ma incontra anche l’approvazione degli uomini, vale a dire
di coloro ai quali la comunità cristiana porge il messaggio evangelico,
la buona notizia della venuta del regno di Dio.
19
. Pertanto perseguiamo le (opere) della
pace e dell’edificazione gli uni verso gli altri. Le opere
di edificazione reciproca, cioè promuovere tra i membri della
comunità un’atmosfera serena e pacifica in modo che tutto contribuisca
all’edificazione del corpo di Cristo (Ef. 4, 12). Tutti, nella chiesa
di Cristo, sono impegnati nella sua edificazione.
20
. Non demolire, a causa di un cibo,
l’opera di Dio. Questa frase è riferita
all’opera di Dio nei confronti del singolo fratello (o sorella) più
debole , la nuova creatura
che ha iniziato il cammino della fede. Tutte
le cose, infatti, sono pure, ma è male per l’uomo che mangia creando
inciampo . Pur ribadendo che non esistono più cibi “impuri”,
l’apostolo dichiara che è un male mangiarne dando scandalo, cioè
provocando un’occasione di caduta per qualcun altro.
21
. (E’) bene non mangiare carne né
bere vino né (fare ciò) che fa inciampare il tuo fratello
. La raccomandazione è, quindi, di astenersi da ciò
che può scandalizzare. Il cristiano più forte che
è convinto “di poter mangiare di tutto” ha certamente più
spazio di manovra del debole che “mangia solo verdure”, perché
può rinunciare, per amore del fratello più debole,
a questa sua libertà; perciò astenersi è cosa
buona. È più problematico comprendere perché
qui Paolo aggiunga anche il “bere vino”. È la prima volta che
questo concetto compare in questo testo, mentre fin dall’inizio del
capitolo si parla di cibi e di giorni particolari. È probabile
che si tratti di un esempio ipotetico: per amore del fratello debole si
deve essere pronti a rinunciare non solo a mangiare certe carni, ma
anche a bere vino, se ciò dovesse creare qualche ostacolo. In altre
parole si deve essere pronti a non fare nulla che possa essere occasione
di caduta per il fratello o la sorella in fede.
22
. Tu (la) fede che hai, abbila per te
stesso di fronte a Dio. La tua fede, cioè la fiducia
e la consapevolezza di poter fare una certa cosa, serbala per te stesso
di fronte a Dio. La libertà interiore non ha bisogno di essere
espressa esternamente per goderne. Il sacrificio della rinuncia è
compensato dal fatto di aver contribuito all’edificazione del fratello
sapendo che comunque la libertà non è stata annullata, ma
solo volontariamente rinunciata. Beato chi non giudica
se stesso in ciò che approva. Frase di difficile comprensione,
che si presta a varie interpretazioni. Una possibile interpretazione è
la seguente: beato il fratello forte che, nel comportarsi secondo la
sua coscienza, cioè facendo ciò che sa di poter fare liberamente,
lo fa in modo da non rendersi colpevole di essere occasione di caduta
per un altri fratello. Beato, quindi, chi riesce a regolare l’uso della
propria libertà secondo la legge dell’amore. Così facendo
non sente salire dalla sua coscienza alcuna voce accusatrice.
23
. Invece colui che dubita, se mangia
è condannato, perché non (agisce) con fede; ora tutto
ciò che non (viene) dalla fede è peccato. Chi
ha qualche dubbio, chi non è pienamente convinto – qui la parola
pistijè presa nel suo significato
di fiducia, convinzione – se mangia si autogiudica e si autocondanna
perché la sua coscienza si sente a disagio, ha un senso di colpa,
poiché la sua azione non proviene dalla convinzione, e ciò
che non proviene dalla convinzione è peccato. Ovviamente, questa
frase è collegata all’argomento trattato, e non va applicata
in senso universale.