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Capitolo 3

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di Laus
 
Parte I
Parte II
Parte III
Parte IV
Parte V
Parte VI
Parte VII
 
 

Parte I

 

Martedì 9 maggio, ore 15 circa.

 

Spense il phon e staccò la spina dalla presa, riavvolgendo poi il cavo attorno all’impugnatura e rimettendo l’elettrodomestico al suo posto. Uscì dal bagno, spegnendo la luce, e ritornando in camera. Joe sembrò non accorgersi del suo arrivo. Si era sdraiato supino sul letto ancora disfatto. Sembrava essersi addormentato. Non si era ancora vestito. Il suo accappatoio era finito nella valigia, insieme al resto. Aveva ancora solo l’asciugamano attorno alla vita che aveva indossato quando erano usciti dalla doccia insieme.

Françoise guardò la sveglia sul suo comodino... o meglio, quello che in quei giorni era stato di Joe. Erano le tre passate. Era ora che si cominciasse a preparare, o avrebbe perso l’aereo.

Lo guardò ancora un attimo. Dormiva veramente. E così bene, che le dispiaceva doverlo svegliare.

<<Joe.>>, provò a chiamarlo.

Ma lui non dette segno di averla sentita. Restò a guardarlo ancora un attimo, si avvicinò mettendosi a sedere sul letto, con le spalle rivolte alla testa dello stesso: <<Joe? Avanti... c’è un aereo che ti aspetta.>>

Lui emise appena una specie di grugnito. Faceva così quando non voleva svegliarsi. Lo sapeva bene. Sospirò, guardando l’orologio e scuotendo la testa. Ma forse un modo per svegliarlo. Girò un po’ il busto e iniziò a baciarlo sulla schiena, risalendo verso le spalle.

<<Vipera.>>

Françoise arrivò fino al trapezio, quando Joe si girò, baciandola e lasciando poi che lei si appoggiasse sul suo corpo, posando la testa sopra le braccia che aveva incrociato sul suo petto: <<Visto che sono riuscita a svegliarti?>>

Lui respirò profondamente, stropicciandosi gli occhi con il pollice e l’indice: <<Non mi va di andare via.>>, si lamentò.

Françoise rise lievemente: <<Fosse per me... potresti anche restare... ma in fondo devi resistere solo fino a venerdì.>>

Joe grugnì di nuovo: <<Solo io devo resistere?>>, le chiese sorridendole.

Lei ricambiò appena il sorriso, scostandosi da lui: <<Avanti, o perderai l’aereo.>>

<<E se lo stessi facendo apposta? Magari un grosso incidente che blocca la strada per ore...>>

<<Joe.>>, lo interruppe guardandolo con un’espressione eloquente.

<<Va bene. Se è questo che vuoi.>>, disse alzandosi e andando a recuperare la roba pulita che aveva lasciato su una sedia.

Sciolse l’asciugamano e lo lasciò cadere a terra: <<Ehi, non guardarmi con quegli occhi affamati.>>, disse cominciando a vestirsi.

Françoise corrugò la fronte, scuotendo la testa e lasciandosi sfuggire una specie di sorriso: <<Io ti starei guardando con quali occhi?>>

Joe si limitò a guardarla con uno sguardo divertito, allacciando la cintura dei pantaloni e sorridendo appena.

Lei lasciò passare qualche attimo di silenzio: <<Sei sicuro che non vuoi che ti accompagni in aeroporto?>>

Joe si infilò la camicia stirata, cominciando ad abbottonarla, e scosse la testa: <<No, meglio di no. O rischio di non volermene andare via più sul serio.>>

Françoise annuì, curvando le labbra in una specie di sorriso e stringendosi nel suo accappatoio: <<Come vuoi.>>

Joe la guardò e si mise a ridere: <<Su, non fare quella faccia. Devi resistere solo fino a venerdì sera.>>, disse ironico

<<Vai al diavolo!>>, gli rispose. Ma la sua voce tradiva l’ironia.

Joe la guardò senza rispondere, mentre si metteva le scarpe, divertito. Poi si alzò, si infilò la giacca e prese la valigia. Uscì dalla camera e si diresse verso il soggiorno. Françoise lo seguì, immaginando che fosse ormai vicino il momento dell’addio. No, dell’arrivederci.

Nel soggiorno, Joe prese il telefono in mano e compose il numero di Radio Taxi. Mentre attendeva in linea, si voltò verso di lei, incontrandone gli occhi: <<Non cerchi di fermarmi?>>, le chiese sorridendo.

Françoise sorrise a sua volta: <<Non uso mezzi del genere... e poi... la situazione è un po’ diversa, no?>>

Joe rimase immobile un attimo, come se ci stesse pensando. Poi, evidentemente, un’operatrice rispose. Disse l’indirizzo al quale voleva il taxi, e di suonare al citofono: <<Cinque minuti.>>, sentenziò riattaccando la cornetta.

Prese qualcosa dalla tasca del suo giaccone, posato sul divano lì accanto, e si avvicinò a lei, mostrando un mazzo di tre chiavi che gli pendeva dalla mano chiusa: <<Queste sono le chiavi del mio appartamento a Montecarlo. Quella più piccola è del portone principale del palazzo. Le alte due aprono la porta dell’appartamento. C’è una doppia serratura.>>, le spiegò lasciandole cadere le chiavi nella sua mano <<L’indirizzo te lo ricordi?>>

Françoise annuì, guardando il mazzo: <<I principi danno sempre un ricevimento dopo la gara, al quale invitano tutti i piloti. Non è così?>>

Joe annuì: <<Sì, e naturalmente tu sarai la mia accompagnatrice.>>, rispose.

Lei alzò le ciglia, annuendo: <<Sarà la nostra prima... apparizione in pubblico. Ci dovremo abituare all’idea che saremo sulle pagine di tutti i rotocalchi. Non è che la cosa mi attiri più di tanto.>>, disse posando le chiavi insieme a tutte le altre in un contenitore sulla console dell’ingresso.

Joe rimase in silenzio per un po’, riflettendo su quelle parole: <<E’ il prezzo del successo. Comunque… per ora sono riuscito a tenere i paparazzi alla larga da me. E anche tu, mi sembra.>>

<<Oh, sì. Ma domenica saremo insieme in un’occasione pubblica. Pane per i loro denti.>>, disse scuotendo la testa.

Joe rise appena: <<Una volta dissi che avrei voluto che il mondo sapesse di noi.>>, ricordò lui.

<<Quella volta... eravamo tornati nell’anonimato. Eravamo solo Joe e Françoise. Adesso siamo un campione di formula uno e la prima ballerina de l’Opera.>>, gli fece notare.

Lui sorrise: <<Ma questo non toglie che siamo sempre... Joe e Françoise.>>, rispose <<Io non mi sono innamorato di te perché sei l’etoile de l’Opera, e tu non ti sei innamorata di me perché sono un buon pilota di formula uno. Ci siamo innamorati l’uno dell’altro per quello che siamo... come persone. E siamo fra i pochi... tra quelli che interverranno a quel ricevimento... a esserne certi.>>

Françoise annuì, respirando profondamente: <<E dovrò comprare un vestito adeguato all’occasione.>>

<<Hai paura di non trovare un vestito adeguato a Parigi?>>

Lei scosse la testa: <<Esattamente il contrario.>>

<<Sono sicuro che mi farai essere l’uomo più invidiato della serata.>>, disse lui, sorridendole.

Françoise scrollò le spalle: <<Non dire sciocchezze.>>, rispose <<Le ho viste bene le ragazze dei tuoi colleghi. Attrici, top models e miss di ogni parte del mondo, dal corpo scultoreo.>>

Joe fece la faccia da finto tonto: <<Non ci ho fatto caso.>>

<<Sì, come no.>>, rispose lei sarcastica <<Ne hai giusto una che ti passa sotto il naso ad ogni gara… quella che sta col tuo compagno di squadra…>>

<<Karen?>>, chiese Joe.

<<Sì, lei.>>, disse Françoise <<Non mi dire che non l’hai mai nemmeno guardata, perché non ci credo.>>

Joe alzò le sopracciglia e rispose d’istinto: <<Se devo essere sincero, me la sono anche ritrovata in camera da letto…>> o sguardo che gli rivolse lo bloccò qualche istante, facendogli chiedere perché gli era venuto in mente di tirare fuori un episodio così potenzialmente equivoco? <<Non ci ho fatto niente.>>, si affrettò a precisare <<Lei ha provato a sedurmi, ma io l’ho respinta.>>

Lei lo guardò non proprio convinta.

<<Te lo giuro sulla tomba di mia madre, se vuoi.>>, le disse <<Te l’ho detto che… sei ancora l’unica donna della mia vita.>>

L’espressione di Françoise cambiò radicalmente, rasserenandosi quasi. Joe non mentiva se giurava sulla tomba della madre.

Suonò il citofono, e a loro parve quasi come una sentenza inappellabile.

<<Dev’essere il mio taxi. Devo andare.>>, le accarezzò un guancia, abbassandosi verso di lei per un ultimo bacio, prima di andarsene <<Ti telefono, stasera.>>

Françoise si decise a scostarsi da lui, con riluttanza, continuandolo comunque a tenerlo per mano: <<Va bene. Fai buon viaggio.>>

Joe si allontanò da lei e le loro braccia si tesero in mezzo a loro, fino a quando le loro mani non furono costrette a dividersi. Andò a recuperare la propria valigia, e la giacca. Quindi si diresse verso la porta e prese il citofono in mano: <<Arrivo.>> e aprì l’uscio. Si voltò un’ultima volta indietro <<Dopo Monaco… il prossimo gran prix sarà il 4 giugno in Belgio.>>, disse <<Avremo un po’ più di tempo per stare insieme, tests a parte. Sempre che tu mi voglia fra i piedi.>>

<<Posso farti dormire sul divano, se ti va.>>, disse ironica, ma la voce non era così ferma.

<<Se dormi insieme a me, dormo anche per terra.>>, rispose lui, ridendo. Poi tornò serio <<A venerdì.>>

<<A venerdì.>>

La porta si richiuse, con un rumore secco, e Françoise si ritrovò nuovamente da sola. Restò a guardare la porta a lungo, cominciando già a sentire qualcosa dentro... una morsa allo stomaco. Più leggera del giorno in cui gli aveva detto addio, quella volta. Quella che doveva essere l’ultima volta. Ma era una morsa più leggera. Forse, semplicemente, cominciava a sentire già la sua mancanza. Ma stavolta era certa che non sarebbero stati lontani a lungo.

Guardò l’orologio della cucina: erano appena le tre e un quarto. Aveva il pomeriggio libero. Sinceramente l’idea di passarlo in quella casa a pensare a lui non la allettava per niente. Poteva approfittarne per andare a cercare quel vestito. Solo che non le andava molto di andare in giro per boutique da sola. Avrebbe potuto chiamare Cathrine. Ma chissà se sarebbe voluta venire. Ora che aveva una bambina di pochi mesi, non aveva molte possibilità di uscire. Tuttavia…

<<E sia.>>, disse dirigendosi verso il telefono e componendo il numero a memoria.

Si mise a sedere sul divano, in attesa di una risposta. Dall’altra parte del filo il telefono squillò un paio di volte.

<<Pronto?>>, rispose una voce inconfondibile.

Ebbe un attimo di esitazione: <<Cathrine, sono io.>>

<<Françoise, come stai?>>

Sospirò: <<Joe se ne è appena partito per Montecarlo.>>, disse guardandosi le unghie della mano libera.

<<Vuol dire che sei un po’ triste, immagino.>>, rispose la voce di Cathrine dall’altro capo del filo, leggermente ironica <<Hai bisogno di consolazione da una vecchia amica?>>

Françoise sorrise: <<In realtà avrei bisogno di una vecchia amica che avesse voglia di perdere un pomeriggio intero per i negozi di Parigi.>>

<<Uhmm… si potrebbe fare.>>, rispose l’amica <<Che tipo di negozi, tanto per capire?>>

Françoise alzò gli occhi al soffitto, citandone qualcuno a caso: <<Non so… Chanel, Dior, Saint Laurent… credo che per un ricevimento alla corte di Monaco ci voglia qualcosa del genere, non credi?>>

<<Direi!>>, Françoise rise immaginandosi la faccia di Cathrine <<E direi anche che ti accompagno molto volentieri.>>

<<E come fai con Danielle?>>

Lei ci pensò su un attimo: <<Se non ti dà fastidio, la porto con me.>>, rispose <<E’ una così bella giornata. Le piacerà uscire. Sempre che a te vada bene.>>

<<Stai scherzando?! Sono la sua madrina, no? E’ logico che mi faccia piacere che tu la porti.>>, rispose guardando l’orologio <<Bene… allora… passo da voi tra… un’oretta.>>

<<Ottimo.>>, rispose Cathrine <<Così mi racconterai per filo e per segno quello che avete fatto in questi quattro giorni.>>

<<Cathrine, non credo di poterti raccontare “per filo e per segno” quello che è successo in questi quattro giorni.>>, rispose Françoise, ridendo velatamente.

<<Ma tu guarda… Si sente che è tornato, sai?>>

Françoise corrugò la fronte: <<Da cosa, scusa?>>

<<Il tuo tono di voce… sembri più leggera.>>

Françoise sorrise appena. Tutti quelli che la conoscevano e che l’avevano vista avevano detto che sembrava un’altra: <<Beh… sì. L’incertezza pesa… pesa molto sull’anima, Cathrine.>>, disse <<Adesso vado a prepararmi. Ci vediamo dopo.>>

<<Va bene, a dopo.>>

Françoise riattaccò il telefono, e rimase a guardarlo qualche secondo, sospirando. Quindi si alzò e si recò in camera. La vista del letto, ancora disfatto, le fece ripensare nuovamente a lui. Si mise a rifarlo, ma quando prese in mano il cuscino di Joe per riporlo al suo posto, l’odore della sua acqua di colonia la fece trasalire. Strinse il cuscino a sé e si sedette sul letto, come fosse una specie di orsacchiotto, e si guardò intorno. Joe non era rimasto che qualche giorno in quella casa, con lei. In quella stanza avevano vissuto ore bellissime, e intense. Le sembrava la stessa atmosfera dei primi giorni della loro storia, da quando era veramente iniziata. Ma era stato così breve il periodo... E già ogni piccola cosa, in quella stanza, in quella casa, era intrisa di lui.

Sospirò profondamente, senza nemmeno rendersi conto di sussurrare il suo nome. Guardò il cuscino malinconica, e lo rimise al suo posto, rialzandosi e coprendolo con la coperta. Fece mente locale su quello che doveva fare, cercando di allontanare la mente da quel pensiero fisso.

Tornò in soggiorno e accese l’amplificatore dell’impianto stereo. Cercò un disco nella sua collezione. Non ne cercava uno in particolare. Scartava gli involucri, cercando un titolo che le desse ispirazione. In questo modo, passò tutti i dischi di musica classica, che erano i primi nella disposizione. Continuò la sua ricerca fra quelli di musica leggera, straniera: Beatles, Carole King John Lennon, Santana, Elton John, Neil Young… Tornò indietro, prendendo il disco del pianista inglese. Quello che le aveva regalato Joe, quella sera del suo compleanno... In qualche modo c’era sempre di mezzo lui. Non ascoltava quel disco da... da quando l’aveva lasciata. Lo sfilò dal suo posto, guardandone la copertina in tinte blu e azzurre. Con quel piccolo uomo con gli occhiali, seduto al pianoforte, che la guardava vagamente sorridente.

Sollevò la parte in plexiglass che chiudeva il giradischi, e fece scivolare fuori il sottile involucro di carta bianca che conteneva il vinile. Prese quest’ultimo fra due dita, appoggiando la confezione e l’involucro del disco sul divano lì vicino. Alzò delicatamente il braccio della testina, e il piatto si azionò automaticamente, mentre toglieva la piccola protezione in plastica dall’ago. Con delicatezza, vi lasciò il disco sopra il piatto girevole e controllò che la velocità a cui girava fosse quella giusta attraverso il quarzo. Alzò la testina, e la mosse delicatamente verso il disco fino a far appoggiare la punta sulla superficie nera.

Per qualche secondo si sentirono i consueti cracchii della riproduzione analogica. Poi le dita di Elton John iniziarono a suonare sul pianoforte, in una musica semplice, ma adatta al pezzo: <<It’s a little bit funny… this feeling inside…>>

Françoise alzò il volume e si recò in camera, cantando la canzone a memoria. Lasciò la porta aperta, in modo che la musica fosse libera di entrare. Aprì l’armadio e cercò qualcosa da mettersi, mentre il disco continuava a girare e a riempire la casa del suono del pianoforte di Elton. Trovato quello che cercava, sempre continuando a cantare, si vestì e si sedette alla toeletta, per sistemarsi i capelli e darsi una leggera mano di trucco.

La testina del giradischi concluse la sua corsa, alzandosi automaticamente e tornando indietro, per posarsi sul sostegno che la teneva sospesa, mentre il piatto smetteva di girare.

Françoise smise di prepararsi e andò a recuperare giacca e chiavi della macchina. Uscì di corsa dalla casa. Era tardi e non si ricordò che l’amplificatore era rimasto acceso.

Chiuse la porta e dette una doppia mandata. Quando fu alle porte dell’ascensore, sentì il telefono squillare: <<Che tempismo.>>, sospirò.

Fece per tornare indietro e rigirare le chiavi di casa per aprire. Ma il telefono smise di squillare dopo appena tre volte. Françoise rimase ferma, con la chiave nella toppa, perplessa. Poi scrollò le spalle. Evidentemente, chiunque fosse stato a chiamare, non era una cosa così importante.

Rimise la chiavi di casa in borsa e prese l’ascensore, recandosi giù, fino al garage e alla macchina. Già, la macchina. Joe ci si era divertito in quei due giorni. L’aveva lavata, gli aveva pulito gli interni. Gli aveva fatto anche quelle regolazioni di cui parlava, ed effettivamente doveva ammettere che adesso andava meglio. Riusciva a fare le manovre in salita col solo ausilio del freno e della leva del cambio, mentre prima doveva usare parecchio l’acceleratore. La prima volta che aveva fatto una manovra del genere dopo che ci aveva messo le mani lui, per poco non andava a sbattere contro una macchina per aver dato il gas inutilmente. E Joe che rideva come un matto accanto a lei.

<<Mi immaginavo già tuo nonno che veniva a dartele.>>

<<Razza di buffone.>>, disse sedendosi nell’abitacolo vuoto e profumato di pulito, mettendo in moto.

Accese la radio, e cambiò il canale di musica classica, mettendo una stazione di musica leggera. Il pianoforte di John Lennon e di quella fantastica canzone che era “Imagine”[1] riempirono l’abitacolo della DS. Si mise a canticchiare la canzone, ritrovandosi inevitabilmente a pensare ai suoi amici. Sin dalla prima volta che aveva sentito quella canzone, le sembrava che fosse stata scritta apposta per loro.

 

<<Che cosa stai facendo?>>

Jean tolse il vinile dalla confezione, posandola sul tavolo del salotto: <<Mi hanno regalato questo disco e volevo ascoltarlo.>>

Françoise si avvicinò e prese la confezione del disco in mano. La figura stilizzata a tratti di colori diversi di una faccia di un uomo con gli occhiali la guardava dalla copertina: <<John Lennon.>>, disse ancora prima di leggere autore e titolo del disco <<”Imagine”. E’ un disco molto bello.>>, disse posando il cartone dove lo aveva messo Jean.

<<Dicono tutti così.>>, disse Jean, regolando la velocità del piatto.

<<Perché? Non hai mai sentito la canzone?>>

Jean scosse la testa: <<Lo sai che ho sempre preferito i Rolling Stones ai Beatles.>>, disse posando la testina sulla superficie nera <<E’ Arianne che me lo ha regalato, insistendo perché lo ascoltassi.>>

Per qualche secondo si sentirono solo i caratteristici cracchii della riproduzione su disco. Poi il piano iniziò a suonare e la stanza si immerse del suo suono e della voce di Lennon.

“You may say I’m a dreamer, but I’m not the only one. I hope someday you’ll join us, and the world will be as one.”

<<Françoise… tutto a posto?>>

Lei lo guardò perplessa: <<Perché?>>

<<Sembra tu sia sul punto di piangere.>>

 

“… and the world will be as one.”

Il tassista fermò l’auto, mentre il deejay alla radio annunciava la prossima canzone: <<Signore, siamo arrivati.>>

Joe aveva già preparato il suo portafoglio. Pagò l’importo e lasciò all’autista il resto. Uscì dal taxi e, dopo che il tassista gli ebbe reso le sue valigie, entrò nell’atrio partenze, alzando gli occhi a un tabellone orario. Il volo per Nizza, da dove poi avrebbe raggiunto Montecarlo, era in orario, a vedere da lì. E il check in sarebbe cominciato tra non più di un quarto d’ora. Salì verso la zona addetta, ma prima si fermò a un’edicola dove comprò Equipe, Le Monde e il Nihon Shinbun, e si mise a sedere a leggere giornale, in attesa che chiamassero i passeggeri del suo volo alle operazioni di check in.

<<Guarda la coincidenza.>>

Joe riconobbe la voce, e alzò gli occhi dal giornale, trovandosi davanti una ragazza con gli occhiali da sole: <<Karen?>>

La ragazza sorrise appena e si mise a sedere accanto a lui: <<Immagino che anche tu prenda questo volo per andare a Montecarlo.>>

<<Ma cosa ci fai a Parigi?>>, le chiese ripiegando il giornale. Pensava che dopo quell’episodio in Argentina, non gli avrebbe più rivolto la parola. Invece sembrava averla presa di buon grado. Erano quasi diventati amici.

<<Sfilate, servizi fotografici.>>, rispose lei accasciandosi sulla sedia <<Che cosa vuoi che ci faccia una modella a Parigi? Tu, piuttosto, cosa ci sei venuto a fare?>>

Joe sorrise: <<Uhm… niente di particolare.>>

Karen alzò le ciglia dietro gli occhiali da sole: <<C’entra una donna?>>, disse come se fosse una cosa ovvia e naturale.

Lui la guardò con un mezzo sorriso sulla faccia: <<Ma voi donne capite sempre tutto al volo?>>

La ragazza si mise a ridere, sbadigliando. Sembrava molto stanca: <<Siete voi uomini che siete troppo trasparenti.>>, disse, salutando qualcuno <<Hai fatto una faccia da pesce lesso che era tutto un programma. E inoltre...>>

<<Chi c’è?>>, chiese Joe guardando nella direzione in cui l’aveva vista salutare.

<<Un fotografo. Così potranno fare tutte le fantasticherie che vorranno.>>, disse sorridendo ironicamente <<Penseranno che siamo amanti. Non posso nemmeno parlare con un uomo, che subito appaiono titoli sui giornali scandalistici secondo cui sto mettendo le corna al tuo compagno di squadra. Certo che... sembra che ci siamo quasi dati appuntamento.>>, concluse con una mezza risata.

<<E’ per questo che ti sei messa gli occhiali da sole?>>, le chiese.

Karen sorrise, scrollando le spalle: <<Ormai li metto quasi per abitudine.>>, rispose <<Ma ci vuole ben altro per toglierti di dosso quelle iene. Voi piloti siete più fortunati. Non vi stanno addosso come a noi. Ma, parlando di cose serie, chi sarebbe la fortunata?>>

Joe sorrise: <<Lo scoprirai sabato alle prove.>>, rispose <<E poi… “fortunata”… credi che sia veramente una fortuna stare con un tipo come me? Non mi conosci nemmeno.>>

Karen storse le labbra: <<Sei sempre così distruttivo nei tuoi confronti?>>

<<Non ho molta autostima.>>, ammise Joe.

Lei sbuffò: <<E’ per lei che mi hai rifiutato, quella sera, a Buenos Aires?>>, disse facendolo voltare verso di lui <<Sì, te lo leggo in faccia. Allora stavate già insieme allora.>>

Joe esitò un attimo e poi scosse la testa: <<No, è una storia molto più complicata e lunga di così... e non ho intenzione di raccontartela.>>, rispose <<Comunque, sì.>>, ammise  <<Era per lei... anche se allora non stavamo insieme.>>

Karen rise, scuotendo la testa.

Joe la guardò stringendo le labbra, in una strana espressione: <<Lo trovi divertente? Forse mi ritieni un ingenuo?>>

Lei scosse la testa, stavolta in segno di diniego: <<No, Joe.>>, rispose <<Sai, ti ho odiato quella sera. E ho continuato ad odiarti per settimane.>>

<<Ho notato. Il gran premio dopo non mi rivolgesti nemmeno la parola per tutto il week end.>>,  ricordò Joe sorridendo.

<<Già.>>, annuì lei <<Non sono abituata a essere respinta. E il tuo rifiuto mi ferì, nel mio orgoglio di seduttrice infallibile. Ma… tu mi avevi colpito proprio perché sembravi diverso dagli altri. Non lo so… Forse capii che anche questo facesse parte della tua diversità.>>, sorrise, quasi beffarda <<Ho tradito Jens con molti dei suoi amici. E lui sembra non essersene mai accorto. In realtà, credo che lo sappia benissimo. Solo che… chissà… forse è veramente innamorato di me.>>

<<Sinceramente... non lo so. Non mi parla mai di te e di lui.>>, disse Joe.

Karen annuì: <<Ma tu, Joe, sei stato leale con lui. La lealtà è un valore che non tutti conoscono. E io stessa mi ero dimenticata cosa volesse dire.>>

<<Non l’ho fatto solo per lealtà nei suoi confronti.>>, precisò lui, con una curva delle sue labbra che formavano un vago sorriso.

Lei sorrise, annuendo: <<Certo… Lo so... Sai, mi piacerebbe veramente poter conoscere questa ragazza.>>

<<Uhm, devo avvertirti che sa di quella sera.>>, le disse.

<<Glielo hai detto?!>>, chiese sorpresa.

Joe la guardò perplesso, ma in qualche modo divertito dalla sua reazione: <<Tanto... non è successo niente, no?>>

Karen lo guardò sorpresa per qualche istante, poi si mise a ridere: <<Crede in te fino a questo punto?>>, chiese <<Da credere che ti sei ritrovato... una con “due grosse tette e un sedere tondo come un melone” nel letto e non ci hai fatto niente?>>

Joe rise: <<A dire il vero... è rimasta un po’ lì, quando gliel’ho detto... Non volevo nemmeno dirglielo. Mi è sfuggito di bocca. Comunque... sono riuscito a convincerla. E poi... d’altra parte... ha vinto lei.>>

Karen alzò le ciglia, come sorpresa da qualcosa: <<Devo dirle che è fortunata.>>, disse.

<<Ancora?>>

<<E’ la verità, Joe… Se è vero che non stavate insieme, allora, vuol dire che la ami veramente molto.>>

Joe ci pensò un attimo, guardandola. E poi annuì: <<Sì.>>, disse, semplicemente. Senza sentire il bisogno di aggiungere altro.

<<Io non ho mai conosciuto un uomo del genere, che ama una donna in questo modo.>>, disse <<E’ per questo che è fortunata. E poi io non sono mai riuscita a provocare quello sguardo negli uomini.>>

<<Quale sguardo?>>, chiese Joe corrugando la fronte.

<<Quello che hai tu, adesso.>>, rispose lei <<E’ diverso dall’ultima volta che ti ho visto. Ed evidentemente è colpa sua, se ti si accendono ancora di più gli occhi solo a pensare a lei.>>

 

<<And through it all she offers me protection, a lot of love and affection, whether I'm right or wrong. And down the waterfall, wherever it may take me I know that life won't break me. When I come to call, she won't forsake me. >>, da “Angel”, Robbie Williams[2]

 

 

Parte II

 

 

<<Allora… cosa è successo stanotte?>>, chiese Cathrine prendendo la sua tazza di tè dalla mano di Françoise <<E’ per questo che mi hai chiamato, no?>>

Françoise si riempì la sua tazza, lasciandoci cadere dentro una mezza fettina di limone, e cominciò a girare, con un cucchiaino. Non aveva una faccia che si potesse definire contenta: <<Avevo bisogno… di sfogarmi con qualcuno.>>, rispose. Poi alzò gli occhi verso Cathrine <<Mi dispiace se… non mi sono nemmeno fatta sentire. So che… ho dato il bidone a tutti.>>

<<Stai parlando della cena che era prevista dopo lo spettacolo?>>, chiese l’amica. Poi scrollò le spalle, scuotendo la testa e sottolineando il tutto con un gesto della mano, ancora prima che lei potesse rispondere qualunque cosa <<Non preoccuparti. Ho detto che ti eri sentita male e se la sono bevuta.>>

Françoise sorrise timidamente: <<Ti ringrazio, Cathrine. Sei veramente un’amica.>>, disse <<Non so come avrei fatto in questi mesi senza di te.>>

<<Sono una tua amica, no?>>, disse sorseggiando il suo tè.

L’altra annuì, bevendo un sorso: <<Mi chiedo cosa penserai di me dopo che ti avrò raccontato di stanotte.>>

<<Hai fatto l’amore con lui?>>

Françoise rimase con la tazza a mezz’aria, riposandola poi sul piattino, senza aver bevuto nemmeno un sorso: <<No.>>, rispose scuotendo la testa <<Ma... avrei voluto farlo.>>

<<Che cosa dovrei pensare, Françoise? Che sei una ragazza… non so… leggera?>>, le chiese posando la tazza sul tavolo <<Perché hai avuto la tentazione di lasciarti andare con l’uomo di ci sei innamorata, e che per giunta ti ama?>>

Françoise riprese la tazza in mano e stavolta bevve qualche sorso della bevanda: <<Cathrine, io non so... Io l’ho fermato… E’ stato lui a fare la prima mossa. Mi ha baciato di sorpresa… e io non ho saputo dire di no a quel bacio. Non ho quasi avuto il tempo di rendermene conto… di fermarlo. Ma forse non l’ho voluto fermare. Ho lasciato che mi baciasse… Ho lasciato che mi facesse sdraiare sul letto… E poi… l’ho fermato, gli ho detto che non potevamo farlo… e adesso mi pento di averlo fatto. Sono un controsenso vivente>>, disse posando la tazza sul tavolo e prendendosi la testa fra le mani.

<<Ma non avete fatto niente, no?>>

La voce di Cathrine ebbe come l’effetto di riportarla nel mondo reale. La guardò stringendo le labbra, senza dire niente.

<<Come hai detto tu, è stato lui a fare la prima mossa.>>, le spiegò <<Poi tu l’hai fermato… ma è stato lui il primo a chiedertelo… anche se forse non ha usato le parole per chiedertelo.>>, sospirò, cercando di scorgere un segno di luce nello sguardo di Françoise <<Era qualcosa che volevate tutti e due, Françoise. Ma... è vero che... sarebbe stato un errore. Perché non avrebbe cambiato niente. Voi... voi continuate a cercarvi, ininterrottamente, sperando di incontrarci, ma fate in modo che non accada. Ami una persona… vaghi per le strade sperando di incontrarla… e quando te la ritrovi davanti, cambi strada, sperando che non ti abbia visto… E’ normale che alla fine… si rischi di perdere il controllo.>>

Françoise scosse la testa: <<Ci è mancato così poco... che perdessi veramente il controllo. Forse adesso non mi sentirei così... non lo so. Forse starei peggio... Non riesco a capire cosa provo... So di aver fatto la cosa giusta... eppure...>>

<<L’amore non è qualcosa di razionale, Françoise.>>, la interruppe Cathrine <<L’amore non ragiona. L’amore agisce di impulso e tenta di liberarsi di qualunque prigione nella quale si cerchi di rinchiuderlo. L’amore è solo istinto, Françoise. Ancora oggi, io non riesco a capire perché mi sia innamorata di Philippe. Abbiamo passioni diverse, ci piacciono cose diverse… ma lo amo, e non posso spiegare il perché. Non lo so nemmeno io… Come potrei spiegarlo agli altri?>>

<<E questo cosa spiega?>>

Cathrine ci pensò su un istante: <<Perché ti dispiace non aver fatto l’amore con lui. Perché una parte di te lo voleva. Lo voleva fortemente... ma, come spesso accade con te, ha vinto la parte che ragiona di più. Quella che sapeva che poi ti saresti pentita per averlo fatto.>>

<<Dici che mi faccio troppi problemi?>>

Cathrine sorrise: <<Dico che sei innamorata persa, Françoise.>>, rispose <<E che l’amore... non è un qualcosa che stia molto ad ascoltare le nostre ragioni. E’ istinto. Noi amiamo una persona, e non sapremmo mai spiegare bene il perché.>>

Françoise si mise quasi a ridere: <<A pensarci bene… perché mi sono innamorata di Joe? Sì, è gentile, generoso, dolce… è un amante eccezionale… ma questo l’ho scoperto dopo.>>, disse lasciandosi sfuggire una risata quasi liberatoria.

<<Beh, anche dal lato puramente fisico, direi che ha tutte le carte in regola.>>, scherzò Cathrine <<Io non l’ho visto senza vestiti… però…>>

 Françoise rise, annuendo e chiudendo gli occhi, cercando di ricostruire l’immagine nella sua mente: <<E’ bellissimo… Una volta gli dissi che sembrava una scultura.>>

<<Addirittura?>>, chiese Cathrine <<Starai scherzando. Non è che tendi a esaltarlo un po’ troppo?>>

Françoise aprì gli occhi, sorridendo velatamente e scuotendo la testa: <<Non sto scherzando.>>

Cathrine la guardò per qualche secondo, facendo un’espressione tra l’incredulo e il sorpreso: <<Accidenti, Françoise. Non mi stupisco che tu voglia fare l’amore con lui, se è veramente così.>>, disse sorridendo. Ma il suo sorriso di attenuò, dandole un’espressione più seria <<Ma non è un fatto fisico, vero?>>

Françoise scosse la testa: <<E’ un bisogno di lui che trascende la fisicità.>>, rispose <<Non mi sono innamorata di Joe perché è un bel ragazzo. Mi sono innamorata di lui… perché è una persona stupenda. E solo conoscendolo lo si comprende. All’inizio… lo ammetto… il suo passato da teppista mi intimoriva. Ma già allora provavo un’attrazione… quasi naturale… verso di lui. Poi ho capito chi era il vero Joe… e me ne sono irrimediabilmente innamorata.>>

Cathrine , sorrise appena, annuendo: <<E chi è il vero Joe?>>

Françoise sospirò, guardando la sua tazza vuota posata sul tavolo: <<E’ una persona di una sensibilità incredibile, di una cordialità e di una gentilezza che non riesci a capire da dove venga fuori… visto il mondo in cui è cresciuto, e quindi dev’essere per forza naturale. E’ generoso, altruista, romantico… a volte sembra un bambino bisognoso di affetto. Guardi nei suoi occhi e vi vedi un animo puro, malinconico… E’ dolce… simpatico… Non ha bisogno delle parole per dirti le cose… E’ forse per questo che io cerco soprattutto i suoi occhi, cerco di leggere i suoi gesti… Joe è tutto questo.>>, disse sospirando <<Ma è anche umorale, incostante, oscuro, lunatico, indecifrabile, geloso, possessivo, impulsivo… incomprensibile. Passa da uno stato d’animo all’altro senza che tu possa rendertene conto. E’ capace di farti sentire al centro del suo mondo, e l’attimo di farti sentire esclusa da esso… Joe è anche questo. Ha tutti questi difetti… e tantissimi altri… ma non riesco a fare a meno di amare anche questo di lui.>>, scosse la testa <<Non riesco a fare a meno di amarlo… completamente.>>

<<Françoise? Ehi, c’è nessuno in casa?>>

Françoise si risvegliò come da uno stato di ipnosi, e si accorse che Cathrine la stava guardando con un vago sorriso in volto. Avevano girato per i negozi del centro per tutto il pomeriggio, passando da una boutique all’altra. E avevano trovato quel vestito. Cathrine aveva detto che sembrava fatto apposta per lei, che era semplicemente divino. Avrebbe voluto farle notare che è difficile che un vestito di Dior non sia divino. Ma la verità era che piaceva anche a lei.

Adesso erano sedute a un tavolo di un caffè del centro, bevendo un po’ di tè freddo, in attesa che si facesse sera.

<<Stavi di nuovo pensando a lui?>>

Ci pensò un attimo, poi scosse la testa: <<A dire il vero… stavo pensando a una conversazione con te… ma a essere del tutto sincera…>>

<<L’argomento era Joe.>>, indovinò Cathrine, cullando la piccola Danielle nelle braccia <<C’era da aspettarselo.>>

Françoise posò i suoi occhi sulla piccola, che sembrava sul punto di addormentarsi: <<Quella bambina cresce ogni giorno che passa.>>

Cathrine guardò la figlia con lo sguardo che una madre può riservare solo a un figlio: <<E’ aumentata di un altro mezzo chilo questa settimana.>>, disse lasciando che la bambina le prendesse un dito con la mano <<E’ il ritratto di Philippe, non credi?>>

<<Io ci vedo molto anche te.>>, rispose Françoise <<E’ una bambina bellissima. Dorme un po’ di più adesso?>>

Cathrine annuì, posando delicatamente la bambina nella sua culla, approfittando del fatto che si era addormentata: <<Sì, e devo ringraziare te. I tuoi suggerimenti sono stati efficaci.>>

Françoise alzò le ciglia, sorridendo: <<Ivan era capace di dormire dieci, quindici giorni di fila. Ma quando si metteva a piangere, era dura farlo smettere.>>

<<Oh, ne ho una vaga idea.>>, disse Cathrine sorridendo. Poi tornò seria <<Françoise, che cosa farai?>>

<<Riguardo a cosa?>>, chiese Françoise, giocando con le gocce di condensa sul suo bicchiere.

In realtà immaginava benissimo a cosa si riferisse. Ma qualsiasi scusa era buona per prendersi un po’ di tempo in più.

Cathrine bevve un sorso del suo tè, e ripose il bicchiere sul tavolo: <<Riguardo alla proposta di Joe.>>, rispose <<Ha fatto un passo importante, chiedendoti una cosa del genere. E se poi la casa è veramente come me l’hai descritta…>>

Françoise strinse le labbra, restando in silenzio un attimo: <<Non lo so, Cathrine. Veramente, non lo so.>>, rispose <<Una parte di me lo vorrebbe… ma c’è una voce… che mi dice che è ancora troppo presto. Che dovremmo far passare più tempo, rimettere le cose veramente a posto. A dirti il vero… mi sento un po’ in colpa.>>

L’amica corrugò la fronte: <<Non è sbagliato quello che dici. Ha un suo senso.>>, rispose <<Perché dovresti sentirti in colpa?>>

Le sue labbra si strinsero di nuovo: <<Mi chiedo se… questa mia esitazione sia dovuta al fatto che in realtà non sia riuscita a perdonarlo del tutto… del fatto che abbia troncato la nostra storia decidendo tutto da solo.>>, sospirò <<So perché l’ha fatto, capisco che l’ha fatto pensando a me e credendo di fare il mio bene… ma non so se l’ho perdonato veramente. E forse è per questo che non sono sicura… Io, forse, in realtà ho paura che succeda di nuovo.>>

Cathrine restò in silenzio qualche istante, guardando l’amica con uno sguardo grave, e malinconico. Fece girare il bicchiere semivuoto sul tavolo con una mano, abbassando gli occhi verso di esso: <<Françoise… non è piuttosto che tu non riesci a perdonare te stessa?>>

Françoise si limitò a guardarla in silenzio, con un’espressione perplessa, quasi malinconica.

<<Françoise, tu mi hai raccontato tutta la storia. Per filo e per segno.>>, spiegò Cathrine <<L’unica cosa che non so di tutta questa storia, è il motivo per cui Joe ti ha lasciato. E posso solo immaginare che sia una cosa tremenda, se hai detto che non lo racconteresti nemmeno a tua madre. Ma io ricordo ancora il pomeriggio in cui mi raccontasti la storia dei vostri ultimi giorni insieme… Mi hai raccontato quella storia... quando? Un anno fa?>>

<<A giugno dell’anno scorso.>>, rispose Françoise lasciandosi andare a un profondo respiro <<Dopo una delle mie tante crisi di nervi.>>

Cathrine annuì: <<Hai detto che vi eravate lasciati a marzo… quindi, probabilmente, riuscivi a considerare le cose con un minimo di distacco in più. Riuscivi a ragionarci sopra, anche se la tristezza… e la rabbia erano ancora forti.>>, si fermò un attimo, raccogliendo le idee. Cosa voleva dire veramente? <<Françoise, non so se ti ricordi quella conversazione. Ma tu per tutto il tempo… piuttosto che cercare le colpe di Joe, piuttosto che accusarlo di aver deciso per tutti e due… per tutto il tempo non hai fatto altro che chiederti come fosse stato possibile che tu non fossi riuscita a capire che c’era qualcosa che non andava, come tu non fossi riuscita a leggere certi segnali…>>

<<Se avessi aperto gli occhi prima… era così chiaro… Nei suoi gesti, nel suo modo di comportarsi… Quel suo essere nervoso e teso… Quel suo modo di amarmi quasi disperatamente… Mi ha mandato così tanti segnali, messaggi silenziosi… richieste d’aiuto. E io non sono riuscita a coglierle… Se non fossi stata così cieca, forse, adesso, le cose sarebbero diverse. Forse staremmo ancora insieme.>>

Il soggiorno di casa sua scomparì di nuovo, e Françoise si ritrovò seduta al tavolo del caffè, con Cathrine che si limitava a guardarla, aspettando una sua risposta, forse cercandola nell’espressione del suo volto.

Si passò le mani sul volto, sospirando: <<Ho una tale confusione in testa… l’unica cosa che so è che lo amo. E’ l’unica cosa di cui sono certa.>>

<<Françoise… io credo che tu abbia cercato di discolpare Joe. E abbia finito per incolpare te stessa.>>, Cathrine respirò profondamente <<Ma tu non hai alcuna colpa per quello che è successo un anno fa. Tu hai fatto tutto il possibile per salvare la vostra storia. Lui non ti ha dato modo di fare di più. Ha deciso lui. Tu l’amavi a tal punto, che hai acconsentito alla sua decisione, anche se non riuscivi ad accettarla… anche se hai lottato fino all’ultimo per fargli cambiare idea. E tu lo avevi perdonato già allora… già prima di conoscere il vero motivo che l’aveva spinto a un gesto del genere.>>, sospirò profondamente <<Io non so se sarei riuscita a perdonare a un uomo una cosa del genere. Per quanto possa essere innamorata di lui. Io credo che ci voglia un amore… enorme e totale, per perdonare una cosa del genere. Ci vuole un amore immenso per aspettare un uomo che ti ha lasciato in questo modo per più di un anno, soffrendo come hai sofferto tu. Perché io ti ho visto, sono stata accanto a te lungo tutti questi mesi, e ho visto in che condizioni eri.>>

<<Cathrine, io so di amarlo alla follia.>>, rispose Françoise <<Non è quello il punto…>>

<<Dovresti amare anche te stessa… e forse capiresti perché Joe ti ama così tanto. Perché ha lottato contro le sue paure, per tornare da te.>>, disse Cathrine <<E forse riusciresti a capire che l’unica colpa che hai, se veramente si può definire tale, è di esserti innamorata perdutamente di lui, al punto di annullare te stessa, pur di giustificarlo.>>

Françoise curvò appena le labbra, in quello che sembrava un sorriso: <<A volte, amare vuol dire annullarsi, per dare qualcosa in più.>>, disse scuotendo la testa <<Lo disse mia madre, a mio padre. Lui le disse che non poteva… rovinarsi la vita per stare dietro a lui. Per stare dietro a un paralitico. E lei gli rispose in questo modo.>>

<<E’ una situazione un po’ diversa, non credi?>>, rispose Cathrine <<Io non credo che Joe vorrebbe che tu ti annullassi per lui.>>

La campana di una chiesa suonò sette volte. Cathrine guardò l’orologio al suo polso.

<<Sarà meglio che tu vada. Non vorrai che Philippe torni a casa senza trovare nessuno?>>

Cathrine annuì: <<Prometti di pensare a quello che ci siamo dette?>>

<<Te lo prometto.>>, rispose Françoise accennando un sorriso <<Ci sto già pensando.>>

<<Bene… allora ci vediamo domani, alle prove.>>

<<Certo… ho proprio bisogno di ricominciare.>>, disse Françoise <<Non vuoi che ti accompagni?>>

Cathrine ai alzò e scosse la testa: <<No, ti allungherei la strada.>>, rispose <<Vado a piedi. Ci vogliono pochi minuti da qui.>>

<<Va bene.>>

<<Forse... credevi che sarebbe stato... più facile

La guardò avviarsi lungo la strada, verso casa sua, portando con sé la piccola Danielle.

Françoise restò seduta ancora qualche minuto, godendosi la calma di quel momento della sera, in cui la luce non aveva ancora abbandonato il cielo, ma lo tingeva di rosso e sfumature gialle, e l’atmosfera della città era unica. Chissà com’era quello stesso istante a Montecarlo?

Già, aveva detto che le avrebbe telefonato in serata.

<<Io, per esempio, odio le segreterie telefoniche.>>

Pagò il conto, lasciando una buona mancia sul tavolo. Si alzò, prendendo il suo sacchetto con dentro il vestito, e si avviò verso la macchina, che era parcheggiata nella direzione opposta rispetto alla casa di Cathrine, che era nella zona del Palais Royale e del Louvre.

Camminava adagio, godendosi i rumori e i profumi della città. In fondo non aveva nessuno che la aspettasse a casa, e il pensiero le dette un po’ di malinconia. Quella notte avrebbe dormito da sola. Il letto le sarebbe sembrato tristemente enorme.

Avere qualcuno che ti aspetta a casa, o qualcuno da aspettare. Avere qualcuno da stringere a sé durante la notte, un corpo caldo e braccia forti che ti abbracciavano, rendendoti tranquilla e facendoti sentire protetta anche nelle notti di tempesta. Erano cose che avrebbe potuto avere facilmente, se solo avesse detto di sì a quella proposta. Ma cos’era che bloccava quella risposta sulla punta della sua lingua? Veramente non riusciva a perdonare se stessa? Forse... semplicemente le cose le andavano bene com’erano adesso, e aveva il timore di rompere nuovamente l’instabile e fragile equilibrio che si era faticosamente ricreato. Forse… Ma c’era qualcosa di più… c’erano timori e paure che la bloccavano. Forse non riusciva a… scosse la testa, cacciando via il pensiero appena si fu formulato nella sua testa.

Cercò le chiavi della macchina nella borsa, e entrò dentro. Il tragitto da lì a casa era relativamente breve e ci vollero pochi minuti per arrivare. Parcheggiò la macchina al solito posto, nel garage sotterraneo. Prese l’ascensore, per salire verso casa, e nella cabina cercò le chiavi di casa nella borsetta. Uscì dall’ascensore e si diresse filata verso la porta. Aveva un po’ di fame. Si sarebbe fatta una cena leggera, e poi si sarebbe sdraiata sul divano ad ascoltare un po’ di musica. Infilò le chiavi nella porta, e iniziò a girare.

<<Ma…?>>

La chiave girò solo una mezza volta. Eppure era convinta di aver dato almeno due mandate, se non tre. Entrò in casa. Sembrava tutto in ordine, come lo aveva lasciato. Posò le chiavi sulla console dell’ingresso, continuando a guardarsi intorno, nel soggiorno, senza trovare niente di strano. Forse aveva solo avuto l’impressione di chiudere la porta a tre mandate. A parte la confezione del disco sul divano, dove l’aveva lasciata lei…

La spia dell’amplificatore era spenta. Era convintissima di averla lasciata accesa. Se ne era ricordata quando era ormai sotto casa di Cathrine. Non aveva spento lo stereo. Aveva lasciato acceso l’amplificatore. E adesso era spento. Con terrore, capì che quello voleva dire che qualcuno era stato in casa. Forse sua madre, o Jean. Erano gli unici ad avere le chiavi.

Prese la cornetta del telefono e chiamò la casa dei suoi. Il telefono squillò due volte.

<<Pronto, casa Arnoud.>>

<<Mamma, sei stata a casa mia?>>

La donna restò qualche secondo in silenzio, forse colpita dal tono di voce della figlia: <<No, cara. Io no.>>, rispose <<Sono stata tutto il pomeriggio qui con tuo padre e Jean, a preparare la lista degli invitati.>>

Si sentì morire, e dovette sedersi sul divano: <<Intendi dire che anche Jean è stato tutto il pomeriggio lì con voi?>>

<<Sì. Ma perché me lo chiedi?>>, la voce di sua madre si era fatta ovviamente apprensiva <<E’ successo qualcosa per caso?>>

<<No, mamma.>>, disse portandosi una mano alla fronte e cercando di fare una voce calma <<Passami Jean, per favore.>>

<<Va bene.>>, sentì la madre chiamare al telefono.

Passarono alcuni secondi in cui Françoise sperò che si fosse sbagliata e che in realtà avesse spento lo stereo prima di andare via, magari senza rendersene conto.

<<Françoise, cosa c’è?>>

<<Jean, dimmi che non hai dimenticato anche le chiavi l’altro giorno, quando hai incontrato Luc.>>

Silenzio. Prolungato silenzio. Una risposta più che sufficiente e plateale. Una confessione di colpevolezza in piena regola.

<<E’ così, vero?>>, gli disse <<Insieme all’agenda hai lasciato anche le chiavi, lui le ha prese, ne ha fatto una copia e oggi è venuto a casa mia.>>

<<Françoise, mi dispiace.>>, rispose Jean, mortificato <<Non so come diavolo sia venuto fuori il discorso che in quel mazzo di chiavi c’erano anche le tue. E… sì, ho lasciato le chiavi sul tavolo insieme all’agenda.>>

Françoise si portò una mano alla fronte: <<Oh, no, Jean!>>

<<Françoise… sì, lo so. Sono uno stupido…>>

<<A dopo.>>, disse sbuffando. Se stava ancora al telefono con lui era capace di attraversare la distanza lungo il filo e mangiarselo vivo dall’altra parte.

<<Aspetta, Françoise…>>

<<Devo chiamare un ferramenta, prima che chiuda. Forse se gli spiego la situazione, capisce che è urgente.>>, ribatté stizzita <<Questa non la passa liscia.>>

Riattaccò violentemente il telefono, e rialzò la cornetta, componendo un nuovo numero.

<<Polizia di Parigi. In che cosa posso esserle utile?>>, rispose una voce femminile dopo uno squillo.

<<Vorrei denunciare un caso di effrazione.>>

<<Dove?>>, chiese la poliziotta.

Françoise dette l’indirizzo: <<Il mio nome è Françoise Arnoud. Scritto…>>

<<Sì, so come si scrive. Se è la ballerina de l’Opera…>>

Françoise esitò un istante. Non era ancora abituata a essere così popolare: <<Sì, sono io.>>

<<Ha già notato se le manca qualcosa?>>

<<Sinceramente no. Ma sono certa che mi siano entrati in casa.>>, rispose <<E credo anche di sapere chi sia stato.>>

<<Intende dire che sospetta di qualcuno?>>, chiese la poliziotta.

Françoise annuì, anche se non c’era nessuno a vederla: <<Luc Rothen.>>

<<Scusi, c’è per caso qualcun altro che sta ascoltando, su un altro telefono magari?>>

Françoise restò in silenzio, perplessa: <<No… non c’è nessuno in casa a parte me.>>, rispose <<Sarà stato un disturbo della linea.>>

<<Lo ha sentito anche lei. Complimenti per l’udito. Solitamente lo avvertiamo solo noi, da qui.>>, rispose la donna <<Una volante sta venendo da lei.>>

 

<<It is a lovely thing the animal instinct.>>, da “Animal instinct”, Cranberries[3]

 

 

Parte III

 

 

Parigi, giovedì sera, ore 21

 

<<Non sai ancora nulla dalla polizia?>>

Françoise chiuse la valigia rabbiosamente. Non avrebbe avuto tempo il giorno dopo per prepararla, quindi aveva deciso di farla quella sera: <<Niente di niente. D’altronde non hanno molto in mano. Sembra che sia scomparso dalla circolazione da anni.>>, rispose alla madre prendendo la valigia e mettendola in un angolo della stanza, sempre con fare rabbioso. Era semplicemente furiosa <<Non vedo l’ora di essere a Montecarlo e buttarmi un po’ alle spalle questa storia.>>

Jean era appoggiato alla porta della stanza, con lo sguardo basso e mortificato: <<Perché non sei andata subito, come ti aveva proposto?>>, le chiese <<Avresti avuto i tuoi buoni motivi.>>

Françoise lo guardò di sbieco: <<Non potevo stare ferma ancora.>>, disse con un tono di voce non molto conciliante <<Ho la prima tra due settimane. Ricordi?>>

Driiiin.

Si voltarono verso il telefono sul comodino tutti e tre.

<<Pronto?>>, disse la voce di suo padre dall’altra stanza.

Françoise guardò stupita verso la porta.

<<Ah, ciao Joe… Sì, io sto bene, grazie. Ho visto che sei andato benone oggi nelle libere… Sì, sì… guarda che io non sono un giornalista. Non serve che tu mi dica che sono solo le libere, e che conta il sabato e la domenica.>>

Françoise scosse la testa, guardando la madre, che in tutta risposta allargò le braccia. Prese la cornetta del telefono di camera, scuotendo la testa: <<Papà, riattacca.>>

<<Va bene… buona conversazione.>>

Françoise sentì il click della cornetta, e poi si accorse che sua madre e suo fratello non si erano mossi di un centimetro. Coprì il microfono con una mano: <<Credete che sia possibile avere un po’ di privacy?>>

La madre e Jean si scambiarono uno sguardo divertito, e infine lasciarono la stanza.

<<E chiudete la porta.>>, si raccomandò Françoise <<E non cercate di origliare. Anzi parleremo in giapponese, così sono sicura che non capirete un accidente.>>

Quando la porta si fu chiusa, Françoise riprese a parlare, sdraiandosi sul letto: <<Allora, come sta il mio campione?>>

<<Ah, dicevi sul serio sul giapponese.... Comunque... il tuo campione si sente solo.>>, rispose Joe ironicamente.

Françoise rise: <<Dai, devi resistere solo fino a domani sera.>>

<<E ti sembra poco?>>

<<Hai resistito un anno…>>

<<Appunto.>>

Françoise rise di nuovo, scuotendo la testa: <<Mi aspettavo tu chiamassi più tardi.>>

<<Ho un briefing tecnico tra un quarto d’ora.>>, rispose Joe <<E queste cose possono anche durare ore. Non volevo farti fare troppo tardi. Magari avresti pensato che fossi con chissà chi.>>

<<Ma dai… non sono così prevenuta.>>, disse <<O forse lo dici perché dovrei preoccuparmi?>>

<<Sì, ti tradisco col direttore tecnico del reparto corse Ferrari.>>, scherzò.

<<Sei sempre il solito buffone.>>

Sentì Joe ridere lievemente: <<Novità su quel maniaco?>>

<<Niente.>>, rispose Françoise cambiando totalmente espressione.

<<Sicura che non abbia portato via niente?>>

<<Sì, Joe…>>, rispose sbuffando. Glielo aveva ripetuto almeno un milione di volte.

<<Hai guardato anche tra i tuoi vestiti, biancheria intima…>>

<<Joe!>>

Lui sospirò: <<Françoise, sono serio.>>

Françoise prese un profondo respiro: <<Sinceramente non ho fatto la conta della mia lingerie.>>, rispose <<Non credo si sia messo a rovistare tra i cassetti. Tu faresti una cosa del genere?>>

<<Françoise, io ho te.>>, le fece notare <<Non ho bisogno di feticci.>>

<<In realtà non so nemmeno se sia stato lui… E’ solo il principale indiziato.>>

<<E come avrebbe potuto entrare senza forzature alla porta, che oltretutto è blindata?>>, le chiese <<A meno che non sia Jet o Bretagna, e allora sarebbe anche potuto entrare da una finestra aperta. E l’unico che può avere una copia di quelle chiavi, Françoise.>>

Lei sospirò, portandosi una mano alla fronte: <<Mi sembra impossibile di essere di nuovo dentro a quest’incubo.>>

<<Posso mollare tutto e venire lì, se vuoi...>>

<<Non dirlo nemmeno per idea.>>

<<Tu lo faresti… se per esempio avessi un incidente grave…>>

<<Io sto ancora benissimo.>>, ribatté lei <<Tu resti lì e io domani ti raggiungo. E domani notte cercherai di farmi dimenticare tutta questa storia.>>

<<Oh la la. E poi sarei io che penso solo a quello?>>, le chiese Joe malizioso <<Guarda, che io sabato ho le prove. Quindi non pensare di demolirmi.>>

<<Potrebbe anche darti una marcia in più.>>, rispose lei sorridendo <<Che ne sai?>>

Joe rimase qualche istante in silenzio: <<Dov’è finita la mia piccola Françoise, quella che aveva un senso del pudore che faceva quasi tenerezza?>>

<<Ma sentilo!>>, disse lei sgranando gli occhi <<Hai dimenticato chi ti ha iniziato?>>

<<Poi sono diventato l’amante migliore della tua vita.>>, le ricordò <<L’hai detto tu, no? Non credo che sia solo merito tuo.>>

Françoise sorrise, scuotendo il capo: <<Mi manchi.>>

<<Mi manchi anche tu.>>, rispose Joe dopo qualche istante di silenzio <<E mi stanno chiamando.>>

<<Di già?>>

<<Sembra proprio di sì.>>, rispose Joe <<Fammi sapere quando parti domani pomeriggio.>>

Françoise annuì: <<Ti chiamerò prima di partire, dall’aeroporto. Dovrei arrivare verso le sei a Nizza.>>

<<Ti vengo a prendere.>>

<<Puoi?>>

<<Non sono mica in clausura.>>

Françoise ci pensò un po’ su: <<Uhm... Va bene… sento che ti chiamano. Ci vediamo domani, allora.>>

<<A domani. Ah... Françoise...>>

<<Sì?>>

<<Ti amo.>>

Sorrise: <<Ti amo anch’io… cos’è?>>

<<Cosa?>>

Françoise restò in silenzio qualche istante, aspettando di risentire quel disturbo. Ma non sentì nulla: <<Niente… una mia impressione… A domani.>>

<<A domani.>>

Françoise riattaccò il telefono, guardandolo perplessa. Restò qualche istante così, chiedendosi se non fosse solo una sua impressione e non cominciasse a farsi troppe paranoie. Poi si alzò e andò nel soggiorno: <<Avete per caso alzato il telefono?>>

<<Françoise, ci credi così biechi?>>, chiese Jean, seduto sul divano, corrugando la fronte.

<<E allora…>>, un ricordo, un flash le bloccò le parole sulla punta della lingua <<Jean, Luc, oltre a essere un pilota, era esperto in intercettazioni, vero?>>

Jean annuì: <<Sì… prese il massimo dei voti in quel corso…>>, guardò il telefono, proprio accanto a lui e poi di nuovo la sorella <<Non avrà…>>

Prese in mano la cornetta e svitò il tappo del ricevitore. Françoise aveva già visto quello che c’era dentro, e si limitò a scuotere la testa quando Jean tirò fuori una piccola cimice: <<Gran figlio di...>>

Françoise si guardò intorno, e li vide. C’erano piccoli microfoni, dietro i quadri, sotto il divano. Ritornò in camera, sapendo già cosa aspettarsi. Anche lì aveva messo dei microfoni, e anche il telefono di camera era controllato.

<<Io… ho visto le luci accese.>>

Come aveva fatto a non pensarci prima? Dalla strada non si riusciva a vedere se le luci dell’attico sono accese o no. E’ troppo in alto… E poi non ci sono cabine telefoniche[4] così vicine. Ma allora… Andò verso il cassettone, e ne aprì un cassetto. Il capo che aveva indossato la prima notte che Joe era stato lì non c’era. Lo aveva riposto sopra a tutto. Non fu difficile notarne la mancanza.

Richiuse il cassettone con un gesto rabbioso: <<Al diavolo!>>

<<Che succede?>> Jean l’aveva raggiunta in camera, e il sentirle dire quella lieve imprecazione e il vederla sedersi pesantemente sul letto, sconvolta, non le piacque per niente: <<Cosa c’è, Françoise?>>

Lei si voltò verso di lui: <<Quando… quando ti ha preso le chiavi, Jean?>>

Jean ci pensò su qualche istante: <<Giovedì… credo.>>

Françoise sospirò: <<Questa casa è piena di microfoni, Jean. E lui ha avuto tutto il tempo di metterli.>>, disse <<Ha ascoltato tutto quello che ho...>> deglutì. Il solo pensiero la faceva star male <<Quello che abbiamo fatto qui dentro… da…>>, si portò una mano alla fronte, scuotendola. Tutto quello che era successo in quella casa… tutto quello che si erano detti, tutte le volte che avevano fatto l’amore… nessuno di quei momenti era stato soltanto loro. Avrebbe potuto accorgersene facilmente prima… ma chi poteva immaginare una cosa del genere?

<<Françoise, lui dev’essere…>>

Françoise si alzò, facendogli segno di fare silenzio. Sapeva cosa voleva dirle. Conosceva quelle apparecchiature. Doveva essere lì intorno, perché funzionassero. Si portò sul balcone e guardò giù, nelle strade intorno, girando intorno al terrazzo, guardando dentro a ogni macchina, ogni buco, ogni finestra. Non le piaceva usare i suoi poteri. Ma se lo avesse fatti prima, forse, non sarebbe arrivata a questo punto. E aveva promesso a se stessa che gliela avrebbe fatta pagare cara.

Lo vide. Non se ne era andato. Eppure doveva aver capito di essere stato scoperto. Possibile fosse stupido fino a quel punto?

Ritornò in casa, rientrando dal soggiorno, con passo furioso. Suo padre e sua madre la videro passare loro davanti come un fulmine. Ma quello che li fece trasalire era lo sguardo omicida che gli videro negli occhi.

<<Jean, dove sta andando?>>, chiese la madre al figlio che era entrato in quel momento in soggiorno.

Jean si mise a seguire la sorella: <<E che ne so?!>>, rispose allargando le braccia e continuando a seguirla <<Sembra fuori di sé.>>

Françoise scese di corsa le scale, fino al pianterreno. Uscì dal portone e si diresse a passo spedito verso un furgone bianco. Perché non si era subito accorta che non l’aveva mai visto da quelle parti, quel furgonr. Ed era da quando era arrivata che era parcheggiato lì sotto.

<<Françoise, che diavolo vuoi fare?!>>

La voce di Jean dall’altra parte della strada le arrivò lontana. Quasi non la sentì nemmeno. Vedeva solo quel furgone. E sapeva bene chi ci avrebbe trovato dentro.

<<Vieni fuori, Luc! So che sei lì dentro.>>

Dal furgone non venne nessun segno di vita. Ne aveva abbastanza di aspettare una qualunque altra cosa. Ne aveva abbastanza di lui e dei suoi giochetti. Era ora di chiudere quel capitolo.

Afferrò la maniglia del portellone. Era chiusa da dentro. Poco male. Non era un problema per lei. Forse non aveva la forza di Geronimo, né tantomeno quella di Joe, Jet, Albert e via dicendo. Ma era pur sempre un cyborg. Le bastò forzare un po’ di più. La maniglia si aprì e lei lasciò scorrere il portellone, facendo un passo indietro: <<Vieni fuori!>>

<<Come diavolo hai fatto ad aprire il portellone?>>, chiese il ragazzo venendo fuori.

Aveva i capelli spettinati e la barba di qualche giorno. Ma quel solito sguardo da pazzo che gli aveva conosciuto per ultimo.

<<Come accidenti ti è venuto in mente di farmi una cosa del genere?>>, sibilò lei in un tono di voce che non aveva mai sentito uscire dalla sua bocca.

Luc fece una risatina sprezzante: <<La risposta mi sembra ovvia. Non sono ancora disposto a rinunciare a te.>>

Lei scosse la testa. Era esasperata e furiosa. E le mani le prudevano: <<La nostra storia è finita anni fa. Ma perché…>>

<<Sei stata tu a decidere che era finita. Io non ti ho dato il permesso di lasciarmi.>>, ribatté, con un tono di sufficienza, come se fosse ovvia l’assurdità che aveva appena espresso. Un tono di voce che non fece che irritarla ulteriormente.

Françoise scosse la testa: <<Sei…>>

<<Deve averti fatto soffrire parecchio il tuo nuovo ragazzo. Mi piacerebbe sapere cosa c’era scritto in quella lettera… Magari ti confessava che ti tradiva con qualcun’altra?>>

Lei non se ne accorse nemmeno, ma la sua mano stava cominciando a stringersi in un pugno: <<Luc, non entrare in cose che non ti riguardano…>>

<<Mi ha chiamato “idiota”…>>

<<Sono stato io a definirti “idiota”.>>, rispose Françoise quasi sogghignando.

Lui incrociò le mani sul petto e non sembrò nemmeno ascoltarla: <<… Resta sempre e soltanto mia… Chi si crede di essere?>>, le disse con uno sguardo sprezzante e odioso <<E’ veramente così bravo a scopare, oppure fingevi?>>

Françoise rise. Era una palla troppo invitante per non coglierla al balzo: <<No, mio caro.>>, disse scuotendo la testa <<Era con te che fingevo. Tu non sei nemmeno degno di legargli le scarpe.>>

Il suo volto si irrigidì, gonfiandosi dalla rabbia: <<Razza di irriverente.>>, sibilò cercando di tirare fuori un sorriso sprezzante << A me non hai mai fatto quello che hai fatto a lui… ma ci sarà tempo per rimediare.>>

Altra palla da non potersi lasciare scappare: <<Tu non reggeresti per cinque secondi.>>

Il volto di Luc si gonfiò ancora di più. Sembrava sul punto di scoppiare. La sua mano aperta si mosse velocemente, ma non abbastanza perché lei non se ne accorgesse. Era quello che stava aspettando. Gli bloccò il braccio, e lo fece letteralmente volare in mezzo alla strada, prendendolo di sorpresa. Luc restò qualche istante a terra, massaggiandosi la testa, e poi guardandola incredulo.

<<Dai.>>, gli disse incitandolo a rialzarsi <<Sei così debole da non riuscire a battere nemmeno una donna?>>, gli chiese Françoise beffarda.

Luc non se lo fece ripetere due volte. Si alzò di scatto e si lanciò verso di lei, con gli occhi iniettati di sangue, come un toro infuriato. Non vide il calcio partire. Sentì solo il dolore, forte e insopportabile, in mezzo alla faccia, e le sue mani andarono istintivamente a tenersi la parte colpita. Quando le guardò le vide sporche di sangue. E lui era di nuovo a terra.

<<Mi hai rotto il naso!>>, urlò, guardandola incredulo, ansimando dalla rabbia e rialzandosi in piedi a fatica. Prese qualcosa da dentro la giacca e glielo puntò contro. Era una pistola <<L’hai voluto tu. Se non vuoi essere mia non sarai di nessun altro!>>

Françoise divenne di pietra. Ma non tanto per la pistola puntata contro di lei. Ma per quello che vide dietro di lui. Jean si buttò contro di lui, bloccandogli il braccio armato.

<<No, Jean…>>

I due finirono a terra, uno contro l’altro. Non si riusciva a capire dove fosse l’arma. Era una lotta corpo a corpo fra due uomini che avevano imparato a combattere nell’esercito. Era una lotta alla pari, se non fosse stato per quell’arma. Cominciarono a rotolarsi sull’asfalto della strada, continuando a lottare. Françoise continuava a seguirli con lo sguardo, impietrita, e non si accorse nemmeno dell’arrivo della polizia dietro di lei.

Fu in quel momento che uno sparo ruppe l’aria. I due si fermarono. Erano entrambi sdraiati sul fianco, e non si riusciva a capire chi avesse subito il colpo. Ma, con suo grosso sgomento, fu Luc il primo a rialzarsi, guardando atterrito verso la volante della polizia… mentre Jean era inerme, a terra.

<<Noooooo!>>

Luc guardava prima la polizia, poi il corpo di Jean, poi Françoise… sembrava paralizzato da qualcosa, incapace di muoversi, anche di scappare.

<<Resti fermo dov’è. Non si muova.>>

Guardò appena il poliziotto che gli aveva parlato. Forse non aveva nemmeno sentito quello che aveva detto. Scosse la testa, in un gesto che aveva un vago sapore di follia.

Fu solo un attimo. La sua pistola si alzò fino alla tempia, e il rumore di un altro sparo tagliò l’aria.

 

<<The night was heavy and the air was alive, but she couldn't find how to push through.>>, da Moonlight shadow”, Mike Oldfield[5]

 

 

Parte IV

 

 

Un medico si fermò davanti a loro, aspettando che i presenti gli rivolgessero l’attenzione, per iniziare a parlare. Il suo sguardo basso e malinconico non prometteva nulla di buono. Aveva già pessime notizie stampate in faccia. Ma quanto pessime lo poteva dire solo la sua voce.

<<Allora, dottore?>>, chiese Arianne alzandosi in piedi, stringendo fra le mani un fazzoletto ormai fradicio di lacrime.

Il medico sospirò profondamente: <<E’ vivo. Ha superato l’operazione… Ma... la ferita era molto profonda e l’emorragia è stata ingente. Ha perso troppo sangue.>>, disse scuotendo la testa, con un tono di voce calmo e pacato. Quello che hanno i dottori quando comunicano i bollettini medici <<Abbiamo dovuto metterlo in uno stato di coma indotto. Potrebbe non farcela. Dipende solo da lui. Noi possiamo solo sperare e vedere come reagisce alle cure. Ha dalla sua il fatto di avere un buon fisico. Se passa la notte... ha buone possibilità di farcela... Ma non voglio che vi ci attacchiate troppo. Ovviamente, in queste condizioni, non posso sciogliere la prognosi.>>

Nessuno osò chiedergli quante erano le speranze che si salvasse. Il medico strinse le labbra, guardandoli e sapendo di non poter fare niente per loro. Ritornò sui suoi passi, lasciandoli soli nel loro dolore.

Françoise si prese il volto fra le mani. Non poteva essere… Come poteva essere successa una cosa del genere. Perché? Perché proprio Jean? Perché non era successo a lei?

Rialzò gli occhi, guardandosi intorno. Era stata colpa sua se adesso la sua famiglia, da suo padre, sua madre, i suoi zii, Arianne, fino a sua cugina Elaine, erano riuniti in quella sala d’aspetto, nell’odore di medicinale di quell’ospedale, trasalendo per ogni medico che passava lì vicino, sperando che non venisse a dar loro la notizia che non volevano sentire. Era stata solo colpa sua…

<<Françoise! Dove stai andando?!>>, sua madre la guardò allontanarsi lungo il corridoio, senza nemmeno voltarsi indietro <<Françoise!>>

Fece per alzarsi, ma una mano la fermò: <<Provo a parlarci io.>>

<<Joe… ma quando sei arrivato?>>

Il ragazzo strinse le labbra in una specie di sorriso di circostanza: <<Adesso. Sono partito appena ho saputo.>>, rispose tornando a guardare nella direzione nella quale era scomparsa Françoise <<Aspettate qui.>>

Cominciò a inseguire Françoise lungo il corridoio. Sembrava non essersi accorta di lui. Camminava a passo deciso. Sembrava avere una destinazione ben precisa. Pensò di chiamarla, ma alla fine decise di lasciarla andare dove voleva, di vedere dove lo avrebbe portato.

Bussarono alla porta.

Il direttore tecnico guardò la porta sorpreso. Eppure aveva dato ordine di non disturbare: <<Chi è?>>

La porta si aprì, e la testa di uno dei meccanici fece capolino: <<Mister Ross, dicono che c’è una telefonata per Joe.>>

Ross guardò Joe con uno sguardo interrogativo, ma lui ne sapeva quanto il suo direttore tecnico: <<Non so chi possa essere.>>, disse scuotendo la testa.

Ross si rivolse nuovamente al meccanico: <<Non può richiamare. Siamo in riunione.>>

<<Sembrava... piuttosto urgente.>>, rispose lui <<Mi pare che abbia detto di chiamarsi Françoise... ma non ho capito bene... sembrava stesse piangendo dalla voce.>>

Joe era trasalito già solo quando aveva pronunciato quel nome: <<Stava piangendo?!>>, disse alzandosi in piedi <<Cosa è successo?!>>

Il meccanico scosse la testa: <<Mi ha solo detto il suo nome e che cercava te.>>, rispose scrollando le spalle.

Joe si allontanò dal suo posto, dirigendosi verso l’uscita.

<<Ehi, dove stai..?>>

Blanchard, il responsabile del reparto corse, lo fermò con un gesto della mano: <<Lascialo andare. Tanto le prove non sono mica domattina.>>, disse in un inglese che lasciava ampiamente trasparire il suo accento francese.

<<Ma...>>

<<A vedere la faccia che ha fatto... doveva essere piuttosto grave.>>, disse Jens, piuttosto preoccupato.

Intanto Joe aveva raggiunto il telefono. Era lo stesso dal quale aveva chiamato un’oretta e mezzo prima: <<Pronto, Françoise...>>

<<Jean è in sala operatoria.>>

Joe ci mise a metabolizzare le parole: <<Come... come è possibile?>>

Dall’altra parte passarono alcuni secondi di silenzio, intervallati da qualche singhiozzo soffocato: <<E’ stato Luc... era appostato sotto casa mia... io l’ho... l’ho affrontato... lui ha tirato fuori una pistola... e a quel punto è intervenuto Jean... hanno cominciato a lottare... e poi è partito un colpo. E poi Luc si è tolto la vita... ma intanto Jean...>>, un nuovo attacco di pianto le soffocò in gola le ultime lettere <<Joe, mi dispiace di averti disturbato...>>

<<Stai scherzando?...>>

<<... Non sapevo chi chiamare... Io...>>

<<Françoise, non ti preoccupare... Io...>>

Cadde la linea. Joe staccò la cornetta dall’orecchio e la guardò perplesso. Certo... doveva essere in un ospedale, a un telefono pubblico. Forse aveva finito gli spiccioli.

<<Tutto a posto?>>

Si voltò verso l’uomo, che lo guardava da una certa distanza. Scosse la testa. Non si chiese nemmeno quando fosse arrivato: <<No, signor Ferrari, non è niente a posto.>>, disse riattaccando la cornetta <<Il fratello della mia ragazza è in sala operatoria. Se ho capito bene, è stato colpito da un proiettile. E... a sentire dal tono di voce di lei... non era affatto una cosa da poco.>>

<<Allora è piuttosto grave...>>, disse avvicinandosi a lui <<Dove è successo?>>

<<A Parigi.>>, rispose secco Joe. Temeva che non l’avrebbe lasciato partire, ma ci sarebbe andato a costo di giocarsi il posto <<Signore, devo andare da lei. Ha bisogno di me.>>

Lui alzò le ciglia: <<Beh, Parigi non è lontana.>>, rispose <<E domani non ci sono prove.>>

<<E se venerdì...>>

<<Se venerdì, o sabato le cose non ti permettessero di tornare... ti rifarai in Belgio.>>, rispose lui come se fosse la cosa più normale del mondo <<Sei un ottimo pilota. Non sarà un problema se salti una gara.>>

Joe lo guardò piuttosto sorpreso.

<<Ragazzo mio, non voglio che tu ti schianti contro un guard rail perché hai la testa da un’altra parte.>>, disse con una smorfia che voleva forse essere un sorrido <<Quindi... vai a Nizza, prendi il nostro aereo privato, e se puoi, cerca di tornare almeno per sabato. Meglio per venerdì. Sennò... ci saranno altre gare.>>

Attraversò parecchi corridoi e atri, e qualche volta rischiò di perderla di vista. Dopo qualche minuto, giunse su un ampia terrazza. Cercò Françoise intorno, chiedendosi se non avesse sbagliato e non l’avesse persa definitivamente. Ma poi la vide appoggiata alla ringhiera, che dava sulla città. Offrendo una visuale bellissima, che lei non la stava nemmeno guardando. Teneva lo sguardo basso, e i suoi occhi brillavano. Probabilmente per le lacrime.

Restò qualche momento a guardarla, forse aspettando che fosse lei a girarsi verso di lui. Ma non successe: <<Françoise.>>

Lei alzò appena la testa. Fu per dire qualcosa, ma il suo viso di contorse in una smorfia. Quella smorfia che si ha prima di scoppiare a piangere, dopo aver cercato di trattenere troppo a lungo le lacrime. Corse verso di lui, con uno scatto che ebbe qualcosa di fulmineo, scontrandosi col suo petto, facendolo vacillare un attimo all’impatto, e cominciando a piangere sulla sua maglia, stringendola fra le sue dita come se la volesse strappare.

Joe esitò un attimo, ancora troppo sorpreso da quel gesto per riuscire a fare qualunque cosa. Lentamente le sue braccia si strinsero attorno a lei, tenendo forte a sé il suo corpo scosso dai singhiozzi. Restò in silenzio e lasciò che si sfogasse. Che buttasse sulla sua spalla tutto il dolore, la frustrazione, tutte le lacrime che aveva bisogno di far uscire dai suoi occhi e dalla sua anima.

Per un lasso di tempo lunghissimo non fece altro che questo. Darle una spalla su cui piangere e delle braccia che le dessero una minima illusione di protezione da una vita che ancora una volta le si era rivoltata contro. Sapeva molto bene come ci si sentiva in quei momenti, e sapeva che l’unica cosa di cui aveva bisogno in quel momento era quello che le stava dando. Una cosa che a lui era mancata spesso, e che spesso aveva trovato in lei.

Non si mosse da quella posizione fino a quando non fu Françoise stessa a scostarsi da lui. Fino a quando non fu lei a dirgli che era abbastanza. Molto dopo che il suo pianto sembrava essersi calmato.

Alzò i suoi occhi gonfi e lucidi verso di lui: <<Lo sapevo… non avrei dovuto chiamarti… come farai domattina?>>

Joe le porse il suo fazzoletto di stoffa, ma vedendo che non lo prendeva, fu lui stesso ad asciugarle le lacrime: <<Stai scherzando? Credo che la vita di tuo fratello sia molto più importante di qualunque stupida corsa.>>, rispose <<Sono stati loro stessi a dirmi di venire qui, quando ho spiegato loro la situazione.>>

Françoise abbassò gli occhi: <<Grazie…>>, poi alzò la testa, guardandosi intorno <<Quando mio padre fu colpito da quel proiettile, fu portato proprio in questo ospedale. E in quei giorni venivo qui per restare sola. Per poter piangere da sola. Non riuscivo a credere che mio padre non avrebbe più potuto correre insieme a me… giocare a calcio con mio fratello… Non ci volevo credere.>>, scosse la testa <<E adesso non riesco a credere che Jean rischi di morire per colpa mia.>>

Joe corrugò la fronte, stringendo le labbra: <<Françoise, non è stata colpa tua. Jean ha voluto difenderti. Ha rischiato la vita per farlo. Sapeva dei rischi a cui andava incontro.>>, le disse obbligandola ad alzare gli occhi verso di lui <<Lo ha fatto perché ti voleva bene.>>

<<Se io non avessi provocato Luc, lui adesso non sarebbe qui a lottare tra la vita e la morte…>>

<<E’ grave.>>, disse Joe dopo un bel po’ <<I medici non hanno molte speranze. Ci vorrebbe un miracolo.>>

Françoise non disse nulla. Non sapeva cosa dire né come dirglielo nel modo più delicato possibile.

<<Evidentemente è destino che io non possa parlargli da figlio a padre.>>

<<Non dire così…>>

<<Ho scoperto di avere due fratelli, cioè un fratello e una sorella. Fukushima dice che il ragazzo assomiglia molto a me… e una matrigna.>>

Françoise si sentiva sempre più impotente ogni secondo che passava.

<<Sai qual è la cosa che più mi fa andare in bestia?>>, le disse mettendosi la testa fra le mani <<Che lui è venuto qui per me… è venuto qui solo per incontrare me. Se…>>

<<No. Non dire così!>>, lo interruppe mettendogli le mani sulle spalle e guardandolo in volto quando lui alzò gli occhi verso di lei <<Non dirlo o tutto quello che ha fatto sarà inutile.>>

<<Ma è colpa mia se adesso è in quella stanza di ospedale!>>, cercò di protestare in preda a una rabbia confusa <<E’ colpa mia se…>>

<<No, Joe. Tu non hai nessuna responsabilità in questo.>>, gli disse con tono deciso <<Io credo che lui sia stato felice di incontrarti, almeno una volta. E sono sicura che avrete modo di parlarvi, sono sicura che sopravviverà.>> [6]

<<Ti ricordi quando mio padre rimase coinvolto in quell’esplosione? Ecco... tu non hai alcuna responsabilità in quello che è successo. E se stai qui a colpevolizzarti di colpe che non hai, quello che ha fatto Jean sarà stato inutile.>> le sue parole sembrarono quantomeno farla reagire <<Devi provare a reagire, Françoise. Jean adesso, ha bisogno di te. Ha bisogno che tu sia forte. Se vuoi veramente che si risvegli, devi fargli avvertire la tua presenza. Devi fargli capire che gli sei accanto…>>

Françoise sembrò considerare per un istante l’idea, ma poi scosse la testa, riappoggiandola sulla sua spalla: <<Non ne ho la forza, Joe. Non ce la faccio.>>

Joe non l’aveva mai vista così. Forse solo quando lui l’aveva lasciata. Forse solo allora aveva visto nei suoi occhi quella disperazione. Ma stavolta sembrava molto più profonda: <<Françoise, non sei sola. Hai una famiglia.>>, le disse <<Ed è una famiglia fantastica. Devi restare insieme a loro… affrontare questo insieme a loro. Tuo padre e tua madre hanno bisogno di te… Arianne ha bisogno di te… i tuoi zii, i tuoi cugini.>>, prese la testa tra le sue mani e la costrinse di nuovo a guardarlo <<Nei momenti di difficoltà, noi due e gli altri… cyborgs ci siamo sempre aiutati a vicenda. Ci siamo sempre sostenuti, l’uno con l’altro. Tu lo facevi allora. Quella non era una famiglia vera e propria, ma per noi era come se lo fosse. Per me che non ne avevo mai avuta una poi era… era fantastico. Sapevamo di doverci sostenere, perché se crollava uno, rischiavamo di crollare tutti. Con i membri della tua famiglia devi fare esattamente quello che facevamo fra di noi. Dovete sostenervi l’uno con l’altro, perché se crolla uno, crollano tutti. Hai la fortuna di non essere sola in questo dolore... e i tuoi hanno la fortuna di averti accanto... E io lo so quanto sia prezioso averti accanto. Da Ivan a Punma… lo sanno tutti. Vuoi non fare la stessa cosa per la tua vera famiglia?>>

Françoise abbassò nuovamente lo sguardo e strinse le labbra. Aveva imparato dalla sua famiglia, dal loro esempio, l’arte di sostenersi l’un l’altro nei momenti di difficoltà. Di non voltarsi le spalle, quando uno aveva bisogno dell’altro. Temeva che il fatto di essere diventata un cyborg l’avrebbe portata a distaccarsi da quella realtà, dall’accoglienza di un posto da poter chiamare “casa”. Tuttavia, in quel posto, ci era sempre tornata. Anche se, probabilmente, non avrebbe mai avuto il coraggio di confessare loro che non era più la stessa di un tempo. Ma non era questa la cosa importante, adesso. Adesso i suoi avevano bisogno di lei. E lei aveva bisogno di loro. Qualunque cosa lei fosse, niente avrebbe cambiato il fatto che loro erano la sua famiglia.

Lentamente, quasi impercettibilmente, cominciò a muovere il capo in un gesto di assenso: <<Va bene, Joe. Andrò da loro. Ma… ti prego…>>, rialzò la testa verso di lui <<Restami accanto. Ho bisogno di te…>>

Joe le sorrise e annuì: <<Va bene, resterò qui con te.>>, rispose, baciandole la fronte e riaccostandola a sé con un abbraccio <<Adesso andiamo da loro.>>

Françoise si limitò ad annuire, lasciando che lui cominciasse a guidarla, tenendola per mano, per i corridoi di fredda luce al neon e dall’odore di medicinali dell’ospedale che le passavano accanto senza che nemmeno ci facesse caso. Era come un cieco che si lasciava guidare dal suo cane. Percorsero all’inverso il tragitto dell’andata,  in silenzio. I corridoi dell’ospedale, a quell’ora, erano ovviamente vuoti. Dopo pochi minuti arrivarono al punto in cui erano partiti. I membri della famiglia Arnoud alzarono la testa verso di loro. Erano rimasti tutti lì, dove li avevano lasciati. Tutti tranne Arianne.

<<Dov’è Arianne?>>, chiese Françoise.

<<Hanno detto che poteva restare una sola persona con lui.>>, rispose la madre <<E ho insistito perché andasse lei.>>

Françoise abbassò lo sguardo: <<Capisco… Mi dispiace di essermene andata via così…>>

<<Françoise, la tua è stata una reazione comprensibile.>>, la interruppe il padre <<Ma non devi pensare che sia colpa tua. Vedrai che Jean ce la farà. Ha molte cose per cui vale la pena di continuare a vivere. E tu sei fra queste.>>

La ragazza sorrise appena: <<Ti ringrazio papà.>>

Il signor Arnoud ricambiò il sorriso: <<Perché non ti siedi qui, accanto a me e tua madre?>>

Joe le lasciò la mano, quasi volesse spingerla ad accettare l’invito. Françoise scambiò appena uno sguardo con lui. Uno sguardo di gratitudine, inq qualche modo. Poi si avvicinò ai suoi genitori e si mise a sedere sul divano, tra la madre e il padre, che stava seduto sulla sua sedia a rotelle. In un gesto quasi istintivo, Françoise prese le mani dei suoi genitori, e le strinse. Era qualcosa che non faceva da quando la lasciavano dormire in mezzo a loro, nelle sere di tuoni e fulmini. Era qualcosa che le dava sicurezza. Era quel calore umano che solo due genitori sanno dare alla figlia. Provava qualcosa di simile quando teneva la mano di Joe. Ma ne avvertiva la differenza.

Joe guardò la scena soddisfatto. Prima avrebbe voluto dirle che lui sarebbe restato lì, ma lei aveva soprattutto bisogno di loro. Adesso sembrava averlo capito da sola. Si guardò intorno e andò a sedersi accanto all’uomo che doveva essere lo zio di Françoise. A vedere dalla fisionomia, doveva essere il fratello della madre.

<<Tu devi essere Joe.>>, gli disse l’uomo, quando si fu seduto accanto a lui.

Joe annuì: <<Sì, sono io.>>, gli disse porgendogli la mano <<Mi dispiace conoscerla in una circostanza del genere.>>

L’uomo sorrise appena: <<Io sono François… senza la “e” finale.>>, rispose stringendogli la mano <<E lei è mia moglie Therese.>>, disse indicando la donna seduta accanto a lui.

Joe si alzò a stringerle la mano, e notò che Elaine stava dormendo con la testa appoggiata sulle sue ginocchia. Quell’immagine gli fece tenerezza, e gli dette anche una certa sensazione di malinconia.

<<Joe, come hai fatto ad arrivare così in fretta?>>, gli chiese Françoise, attirando la sua attenzione.

<<Mi hanno messo a disposizione un jet privato.>>, rispose lui.

<<Joe… ti prego… resta domani, se vuoi… ma venerdì torna a Monaco.>>, gli disse Françoise <<Credo che… mio fratello non vorrebbe che tu non corressi a causa sua.>>

Avrebbe voluto ribattere di no, ma il tono della sua voce lo fece riflettere: <<Sei sicura?>>

Françoise annuì: <<Ti terrò informato su qualunque sviluppo.>>, rispose <<Te lo prometto. Hai fatto già molto… Se non ci fossi stato tu sarei ancora laggiù a piangermi addosso.>>

Joe sorrise: <<Vedremo… se domani tuo fratello dà qualche segno di ripresa, torno a Montecarlo.>>, le rispose, poi i suoi occhi si spostarono un po’ di lato <<Credo che tuo padre abbia un po’ di sonno.>>

Françoise guardò il padre, che riusciva a malapena a tenere gli occhi aperti. Era stata una giornata molto dura per lui. Per quanto potesse essere preoccupato, la stanchezza stava cominciando ad avere la meglio sul suo fisico già provato.

<<Papà, vuoi sdraiarti sul divano?>>

<<Sarebbe una buona idea.>>, rispose l’uomo sbadigliando.

<<La aiuto.>>, disse Joe, alzandosi prima di tutti e avvicinandosi a lui <<Su, si aggrappi a me.>>, gli disse, protraendosi verso di lui, ricordandosi quello che aveva visto fare a Jean il giorno in cui erano andati a casa Arnoud.

L’uomo gli cinse il collo con un braccio. Joe lo sollevò delicatamente tenendolo in piedi e quindi lo aiutò a coricarsi sull’unico divano vuoto della sala.

<<Grazie.>>, disse l’uomo sorridendo <<Adesso va meglio. Certo che hai una bella forza. Jean fa molta più fatica ad alzarmi.>>

Joe sorrise un po’ a disagio: <<Vuole che le vada a prendere una coperta?>>, disse spostando il discorso su un altro punto

<<No, va benissimo così.>>

La madre di Françoise si fece un po’ più in là: <<Françoise, fai un po’ di posto per il tuo ragazzo.>>

La ragazza guardò prima lei, e poi Joe. Quindi si scostò dal poggiabraccia del divano, avvicinandosi nuovamente alla madre, e lasciando il posto libero alla sua destra, dove Joe andò a sedersi.

<<Avevi paura che te lo portassi via se si sedeva accanto a me?>>

<<Mamma…>>

<<Guarda, tuo padre si è già addormentato.>>, disse, senza darle attenzione e guardando il marito <<Doveva essere veramente esausto. D’altronde è abituato ad andare a dormire presto. E sono già le due.>>

La ragazza guardò il padre. Vederlo addormentato sul divano, la riportò indietro nel tempo, nelle sere d’inverno, quando lei si metteva a giocare davanti al caminetto e lui si addormentava sul divano del salotto: <<Perché non provi a dormire un po’ anche tu, mamma?>>, chiese rivolgendo lo sguardo alla donna <<Se vuoi, ti lasciamo questo divano libero, così…>>

La donna scosse la testa: <<Non riuscirei a dormire, sapendo che Jean è tra la vita e la morte.>>, disse sospirando.

<<Ma non sapremo niente fino a domattina…>>

<<Se sarò troppo stanca mi addormenterò da sola.>>, le disse sorridendo, ma in modo stanco <<Non ti preoccupare.>>

Françoise annuì: <<Come vuoi.>>

<<Ce la farà.>>

Françoise si voltò verso la madre, senza dire niente.

<<Non può morire proprio per la festa della mamma, non credi?>>, spiegò la donna <<Sono convinta che ce la farà. Ricordo ancora quando nacque. Era così piccolo. Avevi paura di romperlo a tenerlo in mano. E tuo padre davanti a quel vetro a dire a ogni persona che passava: “guardi, quello è mio figlio!”. E anche  i vostri nonni… stavano a ore davanti a quel vetro a guardare il nipote. E pensare che… quando hanno scoperto che ero incinta per poco non ci cacciavano di casa.>>

Françoise lesse la domanda sulla faccia di Joe: <<I miei nonni non vedevano proprio di buon occhio la relazione fra mio padre e mia madre.>>

<<Le nostre due famiglie venivano entrambe da Maisons.>>, spiegò lo zio di Françoise <<Però c’erano stati parecchi screzi in passato per via di alcune terre. Gli Arnoud andarono in rovina e i nonni dei nonni di Françoise incolpavano la nostra famiglia di questo, e intanto dovettero trasferirsi a Parigi a cercare più fortuna.>>

<<Mia madre rimase incinta di Jean prima del matrimonio… e naturalmente quest’unione era piuttosto contrastata.>>, continuò Françoise <<Immaginati un po’ il casino.>>

<<Mio padre arrivò addirittura a minacciarmi di diseredarmi se non avessi rinunciato a Michel. Io gli dissi che poteva anche farlo, se voleva.>>, concluse la madre di Françoise ridendo al ricordo <<Ci rimase così male che acconsentì alle nozze.>>

<<Anche perché mia madre lo fece ragionare.>>, intervenne suo fratello <<Tu non c’eri, ma avessi sentito che litigate si facevano.>>

La donna rise. Evidentemente si immaginava bene la scena.

Joe rise insieme a lei: <<Non lo sapevo proprio… Ma come si sentì quando scoprì di essere incinta?>>, le chiese attirandosi lo sguardo di Françoise addosso <<Voglio dire... era un figlio non programmato.>>

La signora Arnoud non ci pensò molto: <<Inizialmente ero terrorizzata. Soprattutto perché temevo la reazione dei miei. E poi… non era proprio il momento.>>, disse <<Io ero una delle poche donne a studiare all’università. Un figlio… sarebbe stata una bella responsabilità… Non lo volevo… lo ammetto. Una mia compagna di corso mi disse che conosceva qualcuno che avrebbe potuto… farmi abortire… Ma più passavano i giorni e più lo sentivo una parte di me. Mi rendevo conto del fatto che una vita stesse crescendo dentro di me… E che questo era il frutto del mio amore con Michel. Abortire sarebbe stato come rinnegare quell’amore… Mi resi conto di aver amato questo bambino sin dal primo giorno in cui avevo scoperto di averlo dentro di me… e il giorno dell’appuntamento… non ci andai.>>

Joe annuì, lentamente: <<Lei crede che… qualunque madre provi gli stessi sentimenti verso un figlio che non voleva e che non cercava?>>

<<Solo quelle che si rendono conto di quanto siano fortunate… ad averlo trovato.>>, rispose <<Mia madre mi diceva sempre che non esiste amore più grande di quello di una madre verso i propri figli. E io… ho capito soltanto allora cosa intendesse dire. Solo quando ho scoperto di aspettare Jean… ma soprattutto quando ho deciso di tenerlo. Credi forse che per tua madre non sia stato lo stesso?>>

Joe guardò la donna, e poi guardò Françoise, che distolse gli occhi ammettendo la colpa di aver spiattellato almeno una parte della storia.

Poi sorrise: <<Io credo che mia madre… purtroppo… non abbia avuto il tempo di dirmelo. Io… tutto questo ho dovuto capirlo da solo. Ma non avevo una sola certezza che fosse così.>>, disse <<Mi chiedevo perché mi avesse fatto nascere, se sapeva quello a cui andavo incontro. Ma il fatto è che… non mi ha potuto proteggere da tutto quello a cui sono andato incontro. E invece… nella notte della vigilia di Natale mia madre, con una polmonite che avrebbe ucciso un cavallo, se ne andava in giro con un bambino di 7 mesi in mano… cercando qualcuno a cui lasciarlo, per essere sicura che almeno io sopravvivessi. Ed è morta sulle scale di un orfanotrofio… sola, perché la sua famiglia l’aveva abbandonata, a causa mia, perché aveva deciso di tenermi. E per tanto tempo sono stato troppo accecato dalla rabbia per capire quanto quello fosse stato… un grande gesto d’amore.>>, sospirò sfiorandosi gli occhi con l’indice e il pollice di una mano <<E ho cominciato a odiare me stesso… pensando che se non fossi nato io, lei avrebbe potuto avere una vita diversa, probabilmente migliore.>>

La donna guardò il ragazzo per qualche istante, con uno sguardo profondo e limpido: <<Una vita diversa, forse. Ma chi ti dice che sarebbe stata migliore?>>, gli chiese <<Per me Jean e Françoise sono state le cose più belle che mi siano capitate in tutta la mia vita. Forse non sono stata una madre perfetta, ma ho sempre cercato di fare del mio meglio… e se, a volte, ho sbagliato, l’ho fatto pensando di fare il loro bene. Ho sbagliato per amore. Senza di loro la mia vita sarebbe stata vuota. Sentire un bambino crescere dentro di te, tenerlo in braccio, vederlo crescere, vederlo camminare per la prima volta, sentire le sue prime parole… sono emozioni che non si possono descrivere. Le devi provare per capire appieno cosa ti diano.>>, strinse le labbra <<Continuo a rivedere tutta la vita di Jean nei miei occhi… e continuo a dirmi che non può finire qui. Ho visto mia madre quando ha perso mia sorella… io non… voglio portare nessuno dei miei figli al cimitero. Dovranno essere loro ad accompagnare me.>>

Le ore passarono, e con esse la notte. Quando Joe si svegliò erano all’incirca le sei del mattino, e aveva la schiena a pezzi. I coniugi Arnoud stavano ancora dormendo. Alla fine anche la signora Arnoud si era arresa al dio Morfeo. Mentre gli zii dovevano aver fatto un salto a casa, nella notte. Si ricordava vagamente che avevano detto che sarebbero tornati la mattina. Françoise non c’era. Joe si guardò intorno, cercandola. Si alzò e cominciò a camminare per sgranchirsi le gambe.

Fermò un infermiere: <<Scusi, c’è per caso un bar?>>

<<Giù, nella hall.>>

<<Grazie.>>

Scese al piano terra e seguì le indicazioni. Ma anche l’odore di caffè fresco. Il bar non era molto grande, ma d’altra parte era il bar di un ospedale. La vide a un tavolo. Forse avrebbe dovuto aspettarsi di trovarla lì. Stava guardando fuori dalla finestra, chissà cosa. Forse più che guardare, teneva semplicemente gli occhi girati verso il vetro.

Prese un caffè e un croissant, e si portò al suo tavolo.

<<Buongiorno.>>, le disse sedendosi.

Françoise voltò gli occhi verso di lui e gli sorrise: <<Buongiorno.>>

<<Da quanto sei sveglia?>>, le chiese addentando il suo croissant.

<<Mezz’ora fa.>>

<<Nessuna notizia di Jean?>>

Lei si limitò a scuotere la testa, abbassandola.

Joe fece una specie di smorfia, sospirando: <<Beh, se ha passato la notte dovrebbe avere buone possibilità, no.>>

Lei annuì: <<Joe...>>, rialzò lo sguardo verso di lui <<Mi dispiace di aver raccontato di tua madre alla mia.>>, disse tutto d’un fiato, come a togliersi un peso dallo stomaco.

Lui restò un po’ spiazzato da quella “confessione”, e per un attimo restò in silenzio: <<Non hai di che scusarti. Mi hai tolto il pensiero.>>, ribatté <<Prima o poi avrei dovuto farlo io.>>

<<E c’è un’altra cosa…>>, riprese Françoise <<Ma questa riguarda Luc.>>

Joe finì il suo croissant e bevve un sorso del suo caffè: <<Dobbiamo proprio parlarne?>>

Françoise strinse le labbra<<Aveva messo microfoni dappertutto… prima che noi arrivassimo in casa.>>, spiegò <<Intendo ancora prima che noi tornassimo dagli Stati Uniti. E quindi ha sentito tutto quello che abbiamo detto e fatto.>>

Joe la guardò perplesso, continuando a sorseggiare il suo caffè. Per un attimo non seppe cosa pensare. Effettivamente l’idea di essere stato “spiato”, di essere stati spiati non lo esaltava affatto. Però...: <<Spero che sia schiattato dall’invidia.>>

Françoise si mise a ridere, più che altro per il modo in cui lo disse. O forse perché qualunque cosa era una scusa buona per alleggerire un po’ l’anima: <<Sì… credo che sia successa una cosa del genere. Quando mi ha telefonato, immagino l’abbia fatto solo “per interromperci”.>>, disse <<E ha rubato quel capo intimo.>>

<<Ma tu guarda.>>, commentò lui alzando le ciglia, come a dire “te l’avevo detto io”.

<<Sì, va bene. Avevi ragione.>>, ammise lei.

<<Ti dà molta noia il fatto che lui abbia sentito tutto?>>

Lei strinse le labbra, restando in silenzio un attimo: <<Me ne sarei potuta accorgere…>>

Joe annuì, ma era ironico: <<Certo. Tutti i giorni arrivi a casa e ti metti a scansionare l’appartamento in cerca di cimici.>>, disse <<Ma per favore, Françoise...>>

<<No… ma…>>, strinse le labbra, per poi sbuffare, come spazientita <<Mi…>>

<<Ti rode che non siamo stati in qualche modo soli?>>, le chiese finendo il suo caffè e posando la tazzina sul piattino.

Françoise storse appena la bocca, annuendo: <<Sì! A te no?>>

Joe si appoggiò all’indietro, sullo schienale della sua sedia: <<Cambia qualcosa, per noi, questo?>>, le chiese <<Voglio dire… In quel momento pensavamo di essere solo noi due. Certo… fa un certo effetto sapere di non essere stati esattamente soli, ma d’altra parte nemmeno a casa Gilmore eravamo esattamente soli.>>

<<Ma a casa Gilmore non mettevano dei microfoni nelle nostre camere.>>, gli fece notare.

Joe sorrise, pensando che non aveva tutti i torti: <<Dimentica i microfoni e pensa solo a noi due. Siamo noi due, la cosa importante.>>, disse seguendo il bordo della sua tazzina con la punta di un dito <<Non un idiota che ascoltava dalla strada. E che probabilmente si stava rodendo il fegato, perché avrebbe voluto essere al mio posto. Pensa solo a noi due, com’eravamo in quei momenti. Il resto non conta.>>, concluse, voltando poi lo sguardo verso l’entrata, come attirato da qualcosa.

Françoise si voltò indietro, e vide Arianne venire verso di loro. Li salutò con un cenno della mano, e ordinò un caffè forte al barista. Poi si portò da loro.

<<Buongiorno.>>, disse la ragazza quando li ebbe raggiunti <<Posso sedermi insieme a voi?>>

<<Certo.>>, rispose Françoise <<Mi sembri un po’ più serena.>>

Arianne sorrise: <<Andiamo, Françoise. Devo avere un aspetto orribile. Non ho chiuso occhio tutta la notte.>>, rispose <<Però ho appena parlato col dottore.>>

<<Che cosa ha detto?>>, chiese Joe, corrugando la fronte.

<<Ha detto che… Jean sembra rispondere bene alle cure. Meglio di quanto osassero sperare...>>, rispose. Il barista le portò direttamente il caffè al tavolo <<Grazie, ma sarei venuta a prenderlo al banco.>>

<<Si figuri. Tanto non c’è molto movimento a quest’ora del mattino.>>

<<Grazie.>>, ripeté Arianne, mentre il barista si allontanava <<Forse gli ho fatto pena.>>

<<Che altro ha detto il dottore?>>, chiese Françoise.

Arianne zuccherò appena il caffè, rimestando con il cucchiaino: <<Che, fortunatamente, Jean ha un buon fisico… e quindi, visto che è riuscito a passare la notte senza problemi, ha buone possibilità di farcela.>>, disse. Sospirò lievemente mentre posava il cucchiaino nel piattino della tazzina <<Anche se non è ancora fuori pericolo. Lo terranno ancora in coma indotto. Bisogna aspettare e vedere come si comporta nelle prossime ore.>>

Françoise respirò profondamente: <<Avrei dovuto esserci io al suo posto.>>

La ragazza scosse la testa: <<Ma che dici, Françoise? Se la pensi così, quello che ha fatto Jean sarebbe stato inutile.>>, replicò <<Farebbe la stessa cosa milioni di volte. Si sentiva molto in colpa per averti combinato quel casino. Non si dava pace.>>

Questo la fece sentire ancora più in colpa: <<Non avrei dovuto attaccarlo in quel modo…>>

<<Jean diceva che avevi tutte le ragioni del mondo.>>, la interruppe <<Diceva che se avesse provato a torcerti solo un capello, se la sarebbe dovuta vedere con lui. Lo sai che se fa un errore, si sente in dovere di rimediare a tutti i costi.>>

Françoise annuì, abbassando la testa: <<Già.>>, rispose, con un lieve sorriso <<Siamo simili da quel punto di vista.>>

Qualcosa simile a un lampo di luce passò negli occhi di Arianne: <<Oddio… Beethoven.>>

<<Dove lo hai lasciato?>>

<<Nella macchina… mi ero quasi dimenticata di lui.>>, disse alzandosi.

<<Vado io, se tu vuoi restare qui.>>, si propose Joe.

Arianne lo guardò, stringendo le labbra: <<Mi faresti un piacere immenso.>>, disse <<Poverino… si sarà sentito abbandonato.>>

<<Ma no. Scommetto, che si sarà addormentato.>>, rispose Joe <<Se lo hai lasciato in macchina, penserà che prima o poi andrai a riprenderlo. Però tra un po’ potrebbe avere bisogni fisiologici che è meglio che faccia fuori.>>, concluse ridendo.

Arianne annuì, ridendo a sua volta. Si era quasi scordata come si faceva: <<Già… ecco le chiavi.>>, disse togliendole dalla borsa <<E’ parcheggiata nel parcheggio qui davanti, vicino all’entrata. E’ una 2CV[7]. Dentro c’è anche il guinzaglio... e l’occorrente.>>

Joe prese le chiavi dal tavolo e annuì: <<Allora vado.>>

Si incamminò verso l’uscita del bar, seguito dallo sguardo delle ragazze. L’uscita dell’ospedale era poco lontana dal bar. Uscì all’aperto. L’aria era fresca, e sembrava prospettarsi una bella giornata di sole. Attraversò la strada e si ritrovò nell’ampio parcheggio dell’ospedale. C’erano parecchie 2CV tra le macchine parcheggiate, ma fu facile individuare quella di Arianne, perché un grosso muso familiare fece capolino dietro sopra la cappotte.

<<Woof, wof.>>

Evidentemente Arianne l’aveva lasciata aperta per far entrare l’aria.

Joe si avvicinò e aprì la portiera posteriore, lasciando uscire il cane, che lo accolse protendendosi verso di lui sulle zampe posteriori. Mugolava in quel classico modo che hanno i cani. Evidentemente era contento di vedere una faccia conosciuta dopo tanto tempo che l’avevano lasciato solo.

Joe lo fece abbassare e lo accarezzò sulla testa: <<Ehi, sì. Sono qui. Adesso ti porto a fare un giro.>>

Il cane si mise a sedere, guardandolo, mentre gli metteva il guinzaglio che era nel bagagliaio: <<Woof, wof… wof.>>

<<Vuoi sapere se Jean sta bene?>>, gli chiese, vedendo il necessaire per ripulire i suoi resti e prendendolo, senza nemmeno rendersi conto che stava parlando con un cane.

<<Wof.>>

Gli aveva risposto davvero?

<<Jean ha buone possibilità di farcela, non ti preoccupare.>>, rispose <<Andiamo, su.>>

Joe si incamminò e Beethoven lo seguì, o meglio, si mise davanti a lui, guidandolo: <<Ok, il parigino sei tu d’altra parte.>>

Era una zona nuova per Beethoven, e annusava ogni albero e ogni pezzo di muro che in qualche modo lo attirava, lasciando ogni tanto il suo segno. Per Joe non era un problema. Non aveva nessuna fretta. E quell’atmosfera in cui era immersa la città che si stava risvegliando era suggestiva.

<<Ma è vero che in quel modo voi segnate il territorio?>>, chiese Joe, all’ennesimo segno lasciato dal suo amicone a quattro zampe.

<<Wof.>>

Di nuovo si era trovato a fare uno scambio di battute con un cane. E lui sembrava avergli anche risposto. Scosse la testa, sorridendo divertito di se stesso.

Camminarono a lungo per le strade intorno. Joe aveva bisogno di sgranchirsi un po’ le gambe, e schiarirsi un po’ le idee. E l’aria fresca del mattino era l’ideale. Gli unici negozi aperti erano le edicole, i fornai, e alcuni bar, dai quali veniva un buon odore di caffè e paste dolci, che gli riempiva le narici. La gente in giro era ancora poca. Come le macchine e i mezzi pubblici. La città avrebbe cominciato ad animarsi verso le 8. La gente cominciava a svegliarsi in quel momento, oppure dormiva ancora. Joe si fermò a un edicola, dove acquistò di nuovo l’Equipe, Le Monde e il Nihon Shinbun.

Il giornale nipponico era del giorno prima, ma era l’unico modo per sapere cosa succedeva in Giappone con una certa visione panoramica. In prima pagina c’era un trafiletto che rimandava a un servizio sul gran premio, che cominciava il giorno in cui era uscito il giornale in Giappone, all’interno dello sport. E naturalmente c’era una sua foto a corollario. Grazie alla formula uno, era diventato una specie di eroe nazionale. D’altronde era stato il primo a far comparire la bandiera giapponese su un podio. Eppure non riusciva ancora a sentire appieno quella bandiera come sua, né l’inno nazionale che suonava ad ogni vittoria. Piegò i giornali e se li mise sotto un braccio, riprendendo a camminare.

Trovarono un parco e vi entrarono. C’erano solo gli addetti alla pulizia dei vialetti e alla manutenzione, e qualche podista che stava facendo la sua corsetta prima di andare a lavorare. Camminarono ancora un po’, e infinr Joe si sedette su una panchina, e lasciò libero Beethoven, che si mise a inseguire qualcosa, forse una farfalla. Non c’era nessuna in giro, e già aveva avuto modo di notare che non attaccava le persone. Poteva permettersi di lasciarlo libero per un po’.

Aprì il Nihon Shinbun, leggendo i titoli della prima pagina, qualcosa di politica, della cronaca e gli articoli che via via lo interessavano, mano a mano che sfogliava le pagine.

Un articolo senza foto e altri orpelli, situato in basso a destra, in una pagina di cronaca, attirò la sua attenzione.

 

Morto anche il quarto mostro di Shoushen

 

TOKYO – Ieri mattina è stato ritrovato morto nella sua cella nel carcere di Yokohama, Shin’ichi Nomura, 42 anni, il quarto dei cosiddetti “mostri di Shoushen”. Dopo una prima analisi della scena, sembra che la morte sia stata causata da un abuso di psicofarmaci, di cui non si conosce la provenienza.

Nomura stava scontando una pena di trentacinque anni di prigione, ai quali era stato condannato in un processo avvenuto lo scorso anno riguardante gli scabrosi avvenimenti accaduti nel riformatorio di Shoushen, nel periodo in cui lui e gli altri suoi tre colleghi condannati nel processo, vi avevano prestato servizio, alla fine del decennio scorso. Durante il processo era stato accertato che Nomura e gli altri suoi tre colleghi imputati abusavano di alcuni minori detenuti nel riformatorio.

Anche gli altri tre imputati condannati in quel processo erano già morti nel corso dei mesi scorsi, nelle carceri nelle quali erano stati rinchiusi. Nomura era l’ultimo sopravvissuto del quartetto.

 

L’articolo non diceva altro. Non c’era molto altro da dire, d’altra parte. Avrebbero potuto dire che probabilmente non si era trattato di suicidio, ma dell’opera di qualche yakuza che non vedeva di buon occhio certi individui. L’abuso di minori non era un crimine perdonabile nemmeno da loro.

Joe sospirò. Avrebbe dovuto sentirsi sollevato, visto che quell’incubo era definitivamente finito? O forse si era sorpreso nello scoprire che la notizia lo lasciava quasi indifferente? Forse, per lui, quella storia era veramente finita il giorno in cui quei quattro erano stati condannati. Se non addirittura il giorno in cui aveva testimoniato.

Gli era costato molto. Per quello che aveva dovuto tirare fuori da un cassetto della sua memoria di cui avrebbe voluto tirare via la chiave. Per quello che aveva perso per tutta quella storia. Soprattutto per quello.

Adesso lo aveva ritrovato. In realtà, forse, tutta quella storia lo aveva provato per quello a cui aveva dovuto rinunciare. Se non ci fosse stata lei, forse sarebbe stato tutto più semplice. E magari sarebbe stato anche più facile salire sul banco dei testimoni.

Ma quella storia, ormai, era finita. Aveva ricominciato, per l’ennesima volta, a ricostruire la sua vita sui cocci che ne erano rimasti. Non avrebbe lasciato che qualcos’altro, qualunque altra cosa, la distruggesse di nuovo.

Voltò pagina.

 

<<If you fall, I will catch you, I'll be waiting, time after time>>, da “Time after time”, Cindy Lauper[8]

 

 

Parte V

 

 

<<Sta migliorando di ora in ora. Se continua in questo modo, lo terremo in stato di incoscienza altre ventiquattro ore, per precauzione, e poi domenica potremo risvegliarlo.>>, disse il dottore ai familiari di Jean <<Però, a questo punto, posso dire con sicurezza che il ragazzo è fuori pericolo. La possibilità che ci siano ricadute è praticamente nulla.>>

La signora Arnoud si lasciò cadere a sedere, con un evidente sospiro di sollievo: <<Sia ringraziato il Cielo.>>

Il dottore sorrise: <<Signori, perché non andate a casa adesso? Cenate, fate una bella dormita come si deve, e domattina tornate qui.>>, propose <<Se ci saranno novità importanti, sarò io stesso a richiamarvi. Ve lo assicuro.>>

I coniugi Arnoud si guardarono l’un l’altro, finendo con l’annuire entrambi.

<<Va bene, dottore.>> disse la donna, alzandosi <<Se lei ci assicura che Jean, a questo punto è fuori pericolo, torniamo a casa.>>, poi si rivolse alla futura nuora <<Vai anche tu Arianne. Sembri molto stanca.>>

La ragazza annuì, accennando un sorriso: <<Va bene, Floriane. Andrò a casa a riposare anch’io.>>

<<Mamma, papà. Vi accompagno a casa, allora.>>, disse Françoise. Gli occhi indicavano ancora la difficile notte passata poche ore prima. Ma il suo volto era decisamente più sereno adesso.

<<Allora, io, a questo punto, torno a Montecarlo.>>, disse Joe.

Françoise si voltò verso di lui: <<Se vuoi, possiamo passare dall’aeroporto…>>

Joe scosse la testa: <<No, è dall’altra parte della città.>>, rispose <<Prenderò un taxi. E ci vedremo lunedì, qui a Parigi. O forse anche domenica sera. Ma è giusto che tu stia con tuo fratello, adesso.>>

Françoise lo guardò qualche istante in silenzio. Era logico che sarebbe dovuta rimanere accanto a Jean, ma ancora una volta c’era qualcosa che si frapponeva tra lei e Joe. Uno strano gioco in cui il destino sembrava divertirsi molto: <<Va bene.>>, disse avvicinandosi a lui e abbracciandolo.

Lui si scostò appena per guardarla in volto, continuando a cingerla con le braccia: <<Ci sentiamo per telefono, va bene?>>

Lei annuì: <<Ok.>>

Joe la baciò sulla fronte e si separò da lei. Quindi salutò gli altri, e si avviò lungo il corridoio, verso l’ascensore che lo avrebbe portato al piano terreno. Anche lui era stanco, e aveva bisogno di una bella dormita. O su quel guard rail ci sarebbe finito sul serio.

Françoise lo seguì con gli occhi, stringendosi nelle braccia: <<Joe.>>

Lui si voltò, rimanendo fermo ad aspettare le sue parole.

Françoise fece un passo avanti, e fu per dire qualcosa. Ma non sapeva nemmeno lei che cosa voleva dirgli e le sue labbra rimasero appena socchiuse, senza proferire parola. Le richiuse, scuotendo la testa: <<Volevo solo augurarti buona fortuna e…>>, la sua mano andò istintivamente ad afferrare qualcosa alla base del suo collo. Lo sollevò, guardandolo. Era un semplice ciondolo in oro, con la sua iniziale.

<<Ah, Françoise... prima che tu vada via...>>

Lei e Joe si fermarono sulla soglia di casa, mentre sua madre toglieva qualcosa da un cassetto della console all’ingresso.

<<L’altro giorno ho fatto un po’ di pulizie, e guarda cosa ho trovato dietro l’armadio della tua camera.>>

Si avvicinò alla figlia, e le aprì la mano mostrandole una catenina dorata con attaccata una F.

<<Ma era quella che mi aveva regalato il nonno per il mio... decimo compleanno.>>, disse Françoise strabuzzando gli occhi e prendendo l’oggetto in mano, quasi incredula <<E io che pensavo di averla persa chissà dove.>>

Lo lasciò ricadere al suo posto e iniziò a camminare verso di lui, togliendosi la catenina dal collo, nel frattempo.

Joe la guardò incuriosito, mentre si avvicinava a lei e lasciò che le sue mani gli legassero la catenina al collo. Alzò il pendente e lo guardò: <<Avevi detto che questo è un ricordo dei tuoi nonni materni, molto importante per te. Io non posso…>>

<<E’ per questo che voglio che lo tenga tu.>>, gli rispose <<Lo puoi portare mentre guidi?>>

Joe la guardò in silenzio. Poi spostò il suo sguardo sul pendente  guardò, annuendo: <<Certo.>>, rispose <<Non me lo toglierò mai. Come l’orologio.>>, concluse alzando il polso e mostrando l’oggetto.

<<Non mi ero nemmeno accorta che lo stessi portando.>>, disse abbassando la testa.

<<Forse perché ormai è diventata una parte di me.>>, rispose Joe, lasciandosi cadere il pendente alla base del collo <<Grazie.>>

Lei sorrise: <<Vai e torna vincitore.>>

<<Sennò non mi vuoi più?>>

Françoise scosse la testa, ridendo: <<…>>

Le labbra di Joe le lasciarono qualunque cosa stesse per dire in gola. Fu un bacio breve, quasi rubato, dopo il quale si scambiarono appena uno sguardo, senza dirsi nient’altro. Nemmeno ciao.

Restò a guardarlo fino a quando non fu scomparso dietro un angolo, e ancora dopo. Si lasciò sfuggire un sospiro e quindi tornò indietro, dai suoi: <<Andiamo anche noi?>>

La madre di Françoise annuì, alzandosi: <<Sì, cara.>>, rispose <<Andiamo a casa. Arrivederci Arianne.>>

<<Arrivederci, Floriane.>>

Françoise andò dietro a suo padre, cominciando a spingere la sua sedia da dietro. Entrambi salutarono Arianne, e si avviarono lungo il corridoio, seguiti dalla signora. Percorsero il tragitto fino alla macchina più o meno in silenzio. Erano tutti molto stanchi. E adesso che la tensione si era un po’ allentata, la stanchezza aveva cominciato a farsi sentire seriamente.

Françoise aiutò suo padre a entrare in macchina, sul sedile del passeggero. E gli fissò la cintura di sicurezza, come sempre. Mentre sua madre entrava di dietro, ripiegò la carrozzina in due, e la ripose nel bagagliaio. Quindi si mise al posto di guida e mise in moto la macchina, ma esitò un attimo prima di partire, sorridendo…

<<C’è qualcosa che non va, cara?>>, le chiese la madre da dietro, vedendo che non partiva.

<<Guarda papà.>>

La donna accolse l’invito, e vide il marito che si era già addormentato profondamente, nonostante fosse appena salito: <<Tuo padre è sempre riuscito a dormire ovunque.>>, commentò quasi ridendo <<Io non so come faccia.>>

Françoise mise in moto, fece manovra a marcia indietro, e uscì dal parcheggio: <<Dev’essere esausto.>>

<<Già.>>, convenne la madre <<Françoise, sei sicura di non voler andare a Montecarlo? Ormai Jean…>>

Françoise scosse la testa, continuando a guardare la strada e guidando con regolarità, in modo da non svegliare il padre: <<No, mamma. Voglio essere qui quando Jean si risveglierà.>>, rispose <<Glielo devo, no?>>

La donna annuì, anche se Françoise non la poteva vedere: <<E’ un bravissimo ragazzo.>>, disse <<Credo che sua madre sarebbe orgogliosa di lui.>>

Françoise ci mise qualche secondo a realizzare cosa intendesse dire: <<Purtroppo non sono sicura che lui pensi la stessa cosa.>>, rispose <<Ma… ti ringrazio per aver rafforzato in lui l’idea che sua madre lo abbia amato.>>

La donna sorrise: <<Françoise, era solo la verità.>>

Françoise sospirò: <<Mamma, lo so.>> rispose <<Ma stando con lui mi sono accorta che tante cose che nel mio universo sono scontate, per lui non lo sono affatto. Joe non ha mai avuto una famiglia, e si è perso molte cose per questo.>>, respirò profondamente <<E io mi sono resa conto di quanto sia stata fortunata ad avere voi.>>

<<E’ sempre più facile vedere ciò che non si ha, piuttosto che apprezzare ciò che si ha, no?>>

Françoise annuì: <<Già…>>

Erano sulla strada che lei e Joe avevano percorso per andare a Maisons il lunedì. C’era un po’ di traffico. La gente che tornava a casa dopo una lunga giornata di lavoro. Tra poco sarebbe arrivata al punto in cui avevano incontrato l’incolonnamento. Guardò l’orologio sul cruscotto: erano le sette. Forse non era troppo tardi.

<<Mamma, possiamo fare una deviazione?>>, le chiese <<Vorrei farti vedere una cosa. E’ importante.>>

La donna restò qualche istante in silenzio: <<Dove dobbiamo andare esattamente?>>

<<Ad Asnières.>>

La madre ci pensò su un attimo: <<Va bene… se dici che è importante.>>, rispose.

Françoise svoltò nella strada in cui erano svoltati l’altro giorno.

<<Quando siamo venuti a casa vostra, lunedì, abbiamo trovato un incolonnamento, così abbiamo svoltato in questa strada.>>, cominciò a raccontare dopo qualche chilometro <<Stava guidando lui, e io mi sono dimenticata di dirgli di voltare dove doveva. Così siamo andati avanti… e…>>, accostò sulla destra <<Siamo arrivati davanti a questa casa.>>

La donna si mosse sul sedile posteriore, perché era dalla parte di Françoise e da lì non riusciva a vedere: <<Accidenti. Sembra una bella casa.>>

<<Ti va di vedere l’interno?>>, le chiese la figlia.

La donna guardò ancora per qualche istante la casa, e poi la figlia: <<Perché no?>>, poi guardò il marito, che dormiva profondamente, russando anche. Sembrava non si fosse accorto di niente <<Lui lasciamolo dormire. Tanto non si sveglia nemmeno se arriva la terza guerra mondiale.>>

Françoise rise, uscendo dalla macchina, e aiutando la madre a fare altrettanto. Poi andò alla casa davanti e suonò. Dopo qualche istante dal citofono uscì la voce di una donna che Françoise conosceva già: <<Sì?>>

<<Scusi l’orario.>>, rispose Françoise <<Sono la ragazza che è venuta a vedere la casa lunedì, signora Nyon. Ricorda?>>

<<Certo…>>

<<Vorrei far vedere la casa a mia madre. E’ possibile? Mi rendo conto che è un po’ tardi...>>

<<No, nessun problema.>>, rispose la donna <<Solo che sto dando da mangiare al mio piccolo… Le posso dare la chiave e farle fare da sola, se non le dà fastidio.>>

<<Va benissimo.>>, rispose Françoise <<Anzi, sono io che mi scuso per il disturbo.>>

<<Nessun disturbo.>>, rispose la donna dall’altra parte del citofono <<Arrivo subito.>>

La comunicazione si chiuse. Pochi istanti dopo la porta della casa si aprì, e la signora Nyon uscì, raggiungendole al cancello: <<Buonasera.>>, disse.

<<Buonasera a lei.>>, disse la madre di Françoise stringendole cordialmente la mano.

 <<Ecco le chiavi.>>, disse la donna porgendo il mazzo a Françoise <<Fate pure con comodo.>>

<<La ringrazio.>>, disse la ragazza.

Madre e figlia si avviarono verso il cancello dalla parte opposta. Françoise scelse una chiave fra le tante, ricordandosi bene quale fosse, e aprì il cancello, lasciando entrare la madre.

<<C’è parecchio verde.>>, commentò la donna guardando il giardino anteriore l’entrata.

<<E dietro ce n’è almeno il doppio.>>, disse Françoise avviandosi lungo uno dei vialetti laterali che portavano a una delle due brevi scalinate agli angoli della parte anteriore della veranda.

Davanti a ogni serie di scalini partiva una colonna a base quadrata. La donna la seguì con gli occhi, andando a incontrare il terrazzo, e cominciando a seguirlo fin dove riusciva a vederlo: <<Ma quanto è grande quel terrazzo?>>

<<Gira intorno a tutta la casa.>>, spiegò Françoise che aveva già aperto la porta di casa <<Il terrazzo è rettangolare, ma la pianta della casa, al piano terra segue la veranda. E’ una specie di esagono. Mentre al piano di sopra e nel seminterrato si trovano nuovamente dei rettangoli.>>

<<Singolare direi.>>, disse la madre raggiungendola.

Entrò nella casa prima della figlia, e notò subito la stanza molto grande sulla sinistra, con il caminetto posto sul lato dal quale erano entrate, e ampie finestre sui muri sul fondo: <<Questo sarebbe il soggiorno, immagino.>>

<<Sì, sulla destra ci sono la cucina.>>, disse guidandola dentro la stanza attraverso una parete obliqua. Da lì le fece vedere il tinello e un'altra stanza che poteva essere utilizzata come un piccolo salottino. Dal salottino la riportò nel corridoio che dava sul soggiorno, dove le fece vedere il piccolo bagno di servizio del pianoterra e un’altra stanza a cui si accedeva dal soggiorno.

<<Sarebbe ottima come studio.>>, commentò la madre <<Tra l’altro ci sono finestre dappertutto. E’ molto luminoso come ambiente giorno.>>

<<Sì, ho notato anch’io. Scendiamo di sotto.>>, disse portandola alle scale, che erano vicine all’ingresso <<Ci sono molte pareti oblique, hai notato?>>

<<Sì, particolari, ma interessanti.>>, commentò la madre mentre scendevano.

<<Ecco. Su e giù è più tradizionale come forme… anche se tradizionale non lo è per altri versi.>>, erano arrivate al piano sotterraneo, dove girò sulla destra, nell’ampia taverna, dalla quale si accedeva alla stanza vuota che lei avrebbe potuto utilizzare come palestra, e ad altre due stanze, un altro bagno con un piccolo box doccia. Nella taverna c’era anche un piccolo forno a legna, un altro caminetto e un piano cottura, con lavello e un ampio piano da lavoro.

<<Là dietro cosa c’è?>>, chiese la donna indicando una porta sulla destra delle scale.

<<Il garage, e la cantina.>>, rispose Françoise riprendendo a salire verso il piano superiore, dov’era il reparto notte. Ma continuò a salire, portandola fino alla mansarda.

<<Non si è fatto mancare niente il proprietario di questa casa: anche la mansarda ampia e abitabile.>>, commentò la madre guardandosi intorno e avvicinandosi a una porta vetrata: <<E un altro piccolo terrazzino a tetto con vista su Parigi. Notevole.>>, uscì all’esterno e si affacciò, a vedere il retro della casa <<E’ vero: qui dietro c’è almeno il doppio di verde. E c’è anche una bella piscina. Tua cugina ci andrebbe matta.>>

Françoise sorrise: <<Non è ancora tutto.>>, rispose <<Ti faccio vedere il reparto notte, vieni.>>

Riscesero al primo piano, dove le fece vedere le tre camere, piuttosto grandi, il terzo bagno con doccia, e finirono il giro nella camera più grande.

<<Questa camera ha un bagno tutto per sé.>>, commentò la donna <<Con tanto di doccia e vasca idromassaggio. Il mio sogno... Françoise?>>

La camera si affacciava sulla parte del terrazzo che offriva la vista su Parigi e le luci che la illuminavano nella sera. La madre la raggiunse

<<Era giorno quando siamo venuti la prima volta, e non… non avevo visto questo spettacolo.>>, disse Françoise guardando verso la città.

La madre si mise a guardare la città con lei: <<Certo è una casa molto bella. Facendo i conti, ci sono cucina, tinello, soggiorno, studio, tre... no, quattro bagni, taverna, garage, piscina, palestra, mansarda abitabile, quattro camere, di cui questa è anche piuttosto grande, e anche le altre non scherzano.>>, disse sottolineando le sue parole con un’espressione del viso <<E il giardino è una meraviglia.>>

<<Non credi che sia esagerata... per due persone?>>, le chiese Françoise.

Lei scosse la testa: <<No. E’ una casa molto bella. E avete abbastanza amici da riempirla una volta sì e l’altra pure. E poi potrete sempre riempirla con tanti bambini. Lo spazio non vi mancherebbe.>>

Françoise strinse le labbra, quasi mordendosele. Come faceva a dirle che lei non poteva avere figli, che non li avrebbe mai sentiti dentro di sé, né che li avrebbe mai tenuti in braccio, visti crescere, visti camminare per la prima volta, ascoltato le loro prime parole, risolto i loro problemi...

<<Inoltre siete vicini alla città.>>, riprese la donna <<Da qui all’Opera ci vorrà una ventina di minuti, massimo mezz’ora. Cosa aspetti a dirgli di sì?>>

Françoise si voltò verso di lei, neanche tanto sorpresa che avesse capito al volo: <<Come fai a sapere che non gli ho ancora detto di sì?>>

La donna sospirò: <<Andiamo, Françoise. Sono tua madre.>>, disse come se fosse la cosa più ovvia del mondo <<Tu sei inquieta per qualcosa, il tuo ragazzo è arrivato in città, tu mi fai vedere una casa stupenda. La connessione è logica.>>

Françoise sorrise, ma scosse la testa: <<Non so perché non gli ho detto di sì.>>, rispose <<Forse è tutta una sommatoria di cose: vorrei esser sicura che il nostro rapporto solido, vorrei… riuscire a perdonarmi per non essere riuscita a evitare tutti i nostri casini…, vorrei essere sicura che… quando dice che non mi lascerà mai più, per nessun motivo, dica la verità… e chissà quante altre cose.>>, sospirò <<Abbiamo appena ricominciato… forse venire a vivere con lui… è un passo troppo lungo, per il momento. C’è già stato un passo del genere una volta… Non vorrei commettere lo stesso errore.>>

La madre tornò a guardare Parigi e le sue luci, sospirando, e restando in silenzio: <<Speravi che fosse più facile?>>

La ragazza la guardò perplessa, rimanendo in silenzio qualche secondo. Poi tornò a guardare le luci della città, con sguardo malinconico: <<Forse... ero così presa dal mio dolore... da credere che se fosse tornato da me... non ci sarebbero stati problemi... da non considerarli nemmeno. Nessuno mi ha detto che sarebbe stato facile... ma nemmeno che sarebbe stato così difficile. Perché?>>

La madre restò in silenzio alcuni istanti, guardando distrattamente la città: <<Se è vera solo la metà delle cose che mi hai raccontato su voi due, voi vi siete lasciati, una volta.>>, disse. La sua voce era pacata, e rassicurante. Incredibilmente rassicurante <<E dev’essere stato qualcosa di traumatico. Per entrambi. Basta vedere come sei stata male in tutti questi mesi. Quanto hai sofferto. Non ti avevo mai visto soffrire così. E’ normale... che dopo una botta del genere... tu abbia paura... voglia essere cauta e non precipitare le cose... chiunque lo farebbe. E’ umano... e razionale.>>

<<Cosa vuoi dire?>>, le chiese Françoise.

La donna la guardò, accennando un sorriso: <<E’ l’amore a essere difficile, Françoise. In amore non c’è mai niente di facile. Le prove che ti chiede di affrontare non sono mai facili.>>, si fermò un attimo, tornando a guardare Parigi <<Sai perché? Perché... l’amore deve essere forte per poter passare attraverso qualunque tempesta.>>

Françoise sospirò profondamente: <<Che cosa devo fare, mamma? Come devo affrontare questa prova?>>

<<Françoise, devi essere tu a decidere.>>, le disse <<Questa è una decisione che devi prendere da sola.>>

<<Ma io non so cosa fare...>>

La donna scosse la testa: <<Ti aiuterebbe se ti dicessi che Joe mi ha detto di avere intenzioni molto serie con te…?>>

<<Lo ha detto anche a me…>>

<<… Così serie da sposarti, prima o poi… e non così tardi da quello che mi ha fatto capire? Ha parlato di un anno, due al massimo.>>

Françoise sgranò gli occhi incredula: <<Ha detto questo?>>

La madre si limitò ad annuire, e la ragazza rimase in silenzio, con gli occhi tesi verso il basso, guardando il nulla.

<<Così non fai che confondermi di più.>>, disse dopo un lungo istante di silenzio.

<<Tu lo ami, Françoise?>>, le chiese, con le luci della città gli brillavano negli occhi.

<<Accidenti se lo amo, mamma.>>, rispose Françoise senza nemmeno un secondo di esitazione. Poi la guardò <<Credi che questa mia esitazione...>>

La madre scosse la testa, interrompendola: <<No, Françoise. Si vede che sei sincera. Che lo ami sul serio. Dovresti essere più sicura dei tuoi sentimenti per lui. Perché è una sicurezza che sei in grado di avere.>>

<<Mi stai dicendo di accettare?>>, le chiese perplessa.

<<Françoise, tu sei sempre stata una persona che ragiona troppo.>>, le disse la madre <<Io credo che con Joe tu sia finalmente riuscita a lasciarti andare, almeno un po’. Non so perché, ma non ci hai ragionato su molto. Ti sei semplicemente innamorata di lui. Eppure conoscevi il suo passato, il suo carattere e i milioni di difetti che mi hai raccontato. Ma ti sei innamorata di lui, e non c’è un motivo razionale per cui ci si innamora di una persona. Non riesco a trovare un motivo razionale per cui mi sono innamorata di tuo padre. E non riesco a trovare un motivo razionale per cui la nostra storia duri da quasi trent’anni.>>, respirò profondamente <<Quello che sto cercando di dirti è che… tu una volta ti sei lasciata andare, completamente, e sei rimasta scottata. E’ normale che adesso tu abbia paura di rimanere scottata un’altra volta. Ma è normale e umano.>>

<<Dovrei smetterla di fare tanti problemi?>>

<<Quando io non so cosa fare, Françoise, seguo l’istinto, seguo il cuore.>>, rispose la donna <<Quando sono rimasta incinta di Jean, ho seguito l’istinto. Quando tuo padre è rimasto paralizzato, ho seguito il mio istinto. Non si può ragionare troppo su qualcosa che non si sa come maneggiare. Si può solo provare… provare a fare quello che ci sentiamo di fare. Potrebbe andare male. Ma potrebbe essere la cosa giusta.>>

Françoise scosse la testa: <<Non lo so... io...>>

La donna curvò le labbra in un sorriso di fronte all’insicurezza della figlia: <<Ti sto anche dicendo che  non siamo robot preprogrammati, ma abbiamo un istinto. Magari quello che ci dice non è sempre la cosa più giusta da fare. Ma quantomeno è una strada possibile.>>

Françoise sorrise, ma era quasi un sorriso di frustrazione: <<Quindi?>>

La madre scosse la testa: <<Cosa dice il tuo cuore, Françoise?>>

La ragazza sospirò: <<Il mio cuore dice che dovrei accettare a occhi chiusi.>>, rispose <<Ma… non so… mi sembra una cosa da pazzi in questo momento della…>>

<<L’amore non è qualcosa di razionale. L’amore non ragiona. L’amore agisce di impulso e tenta di liberarsi di qualunque prigione nella quale si cerchi di rinchiuderlo. L’amore è solo istinto, Françoise.>>

“In fondo era una pazzia anche pensare che avrei potuto amare di nuovo qualcuno…”

<<Françoise?>>

La voce della madre la portò via dai suoi pensieri e tornò a guardare la madre, aspettando che continuasse, senza dire niente.

<<Françoise.>>, ripeté la madre <<Tu... Tu credi che per lui sia facile?>>

 

<<And there are voices that want to be heard. So much to mention but you can't find the words. The scent of magic, the beauty that's been, when love was wilder than the wind. Listen to your heart, when he's calling for you. Listen to your heart. There's nothing else you can do. I don't know where you're going and I don't know why, but listen to your heart before you tell him goodbye.>>, da “Listen to your heart”, Roxette[9]

 

 

Parte VI

 

 

Montecarlo, 14 maggio, ore 23.30 circa

 

<<Signor Shimamura, quella non è la faccia di chi ha vinto il gran premio più suggestivo della stagione.>>

Joe si voltò, chiedendosi se avesse avuto le allucinazioni uditive: <<Bretagna!?>>

<<Già, proprio io. Sono ospite di Grace Kelly in persona Mi ha visto qualche tempo fa in uno spettacolo, e mi ha invitato a questa festicciola. Sai com’è... tra attori...>>, rispose prendendo due coppe di champagne da un cameriere che stava andando in giro con un vassoio pieno <<Brindiamo?>>

Joe prese la coppa dalla sue mani: <<A cosa?>>

Bretagna storse le labbra, pensandoci un po’ su: <<Alla nostra amicizia?>>, chiese alzando il bicchiere.

<<Vada per la nostra amicizia.>>, rispose alzando il bicchiere contro il suo, e bevendo un sorso del suo champagne.

Bretagna lo assaggiò, quasi con un fare da intenditore: <<Lo champagne francese è squisito.>>, disse guardando il bicchiere <<Ma, dimmi, dov’è Françoise? Pensavo che sarebbe venuta.>>

Joe finì il suo bicchiere e lo posò su un tavolo: <<A Parigi.>>, rispose mettendosi le mani in tasca <<Dove sennò?>>

Bretagna lo guardò perplesso. La sua faccia gli faceva intendere che forse aveva tirato fuori la battuta sbagliata: <<Non avrete mica…>>

Joe scosse la testa veementemente: <<No, Bretagna. Non è colpa mia. Problemi di famiglia.>>, disse senza allargarsi. Ma in fondo, a Bretagna poteva anche dirlo <<Suo fratello Jean è in ospedale. Gli hanno sparato…>>

<<Oh, my God!>>

<<Ma adesso sembra stia bene. Oggi pomeriggio lo hanno risvegliato dal coma indotto.>>, lo tranquillizzò <<Françoise mi ha detto che ha fatto in tempo a vedermi vincere.>>

<<Meglio così.>>, rispose Bretagna accennando un sorriso, e sospirando quasi di sollievo <<Ma perché non vai da lei, invece di restare qui ad annoiarti.>>

<<Sono l’ospite d’onore.>>, rispose Joe alzando le spalle <<Non sarebbe educato.>>

Bretagna fece una smorfia eloquente, finendo il suo bicchiere: <<Come ti sei imborghesito, figlio mio.>>

<<Non sono parole mie.>>, precisò Joe <<Sono parole di Françoise. Le ho telefonato, prima. La raggiungerò domani a Parigi.>>

Bretagna guardò il ragazzo, e quel suo velo di malinconia che gli copriva il volto: <<E’ perché non c’è lei che sei così cupo?>>

Joe guardò la gente che stava ballando nella sala. Sembrava divertirsi. Anche Karen e Jens stavano ballando insieme. Ma la sua testa era decisamente qualche centinaio di chilometri più a nord: <<Si vede molto?>>

L’altro si mise a ridere: <<Si vede lontano un chilometro.>>, rispose <<Adesso potreste anche pensare di andare a vivere insieme. In fondo tra Monaco e Parigi…>>

Joe fece una smorfia. Fu come se avesse toccato un tasto dolente: <<Ci avevo pensato, ma…>>

<<Ah, non è possibile che tu sia sempre insicuro.>>, lo interruppe Bretagna <<Figlio mio, datti una mossa. Questa non ti aspetta per sempre.>>

Joe lo guardò di sbieco, mangiandoselo vivo colo solo sguardo: <<Perché non mi lasci finire di parlare?>>

Bretagna si sentì improvvisamente piccolo piccolo: <<Ah, beh…>>

<<E perché dev’essere sempre colpa mia?>>, insisté, battendosi una mano contro il petto <<Io gliel’ho proposto… e lei, ora come ora, non se la sente. Dice che ha bisogno di tempo…>>, distolse lo sguardo e abbassò la voce <<E credo che sia anche una richiesta ragionevole, tutto sommato.>>

Bretagna fece una faccia da bambino rimproverato: <<Non potevo sapere… Mi sono attenuto a quello che avviene di solito.>>

Joe alzò gli occhi al cielo: <<La tua fiducia mi riempie di commozione immensa, veramente. Ho le lacrime agli occhi.>>

<<Scusami.>>, disse con un’espressione mortificata <<Ma mi sembra strano che Françoise non accetti una proposta del genere… da te.>>

Joe storse le labbra in una smorfia, lasciandosi scappare una mezza risata di ironia: <<Perché? Tu ci vivresti con qualcuno che non ti ha mai dato uno straccio di sicurezza in vita tua?>>

Bretagna si grattò la pelata, sospirando: <<Beh, Joe… adesso sei tu a essere troppo severo con te stesso…>>

<<E’ la verità, Bretagna. E’ la pura e semplice verità.>>, rispose <<E’ normale che sia troppo presto. Appena un anno fa l’ho lasciata senza darle uno straccio di spiegazione. Per quello che ne sa lei, potrei rifarlo ancora.>>

Bretagna sospirò nuovamente: <<Ha sofferto molto durante quest’anno…>>

<<Lo so.>>, lo interruppe Joe.

L’altro raccolse un profondo respiro: <<Beh, Joe. Anche per te non sarà stato facile. Immagino tu ti sia sentito quasi costretto a lasciarla.>>

Joe sgranò gli occhi guardandolo come se lo avesse colpito allo stomaco di sorpresa: <<Come fai a…? Françoise ti ha…?>>

Bretagna scosse la testa, facendogli morire la domanda in gola. Forse aveva sbagliato di nuovo battuta. Poco male: <<Io a differenza vostra, leggo i giornali, soprattutto quando devo stare ad aspettare un aereo che ritarda di ore.>>, rispose <<Ah, non farmici pensare.>>

Joe corrugò la fronte: <<Sui giornali non c’era scritto tutto…>>

Bretagna si lasciò scappare una mezza risata: <<Andiamo Joe. So un po’ della tua storia, so quello che hai passato.>>, rispose <<Joe Shimamura, ex teppista ed ex detenuto nel riformatorio comediavolosichiama, lascia la sua ragazza il giorno in cui lei riparte per la Francia, e sul giornale di quello stesso giorno c’è la storia delle obbrobriosità che accadevano in questo riformatorio.>>, si prese una piccola pausa, studiando la reazione del ragazzo <<Basta fare due più due, e avere un po’ di fantasia. Comunque, non ti preoccupare. Non l’ho detto a nessuno e non voglio sapere da te niente di più di quello che non abbia letto sul giornale. Mi ha già fatto sufficiente ribrezzo quello. Però… pensai che se era vero quello che avevo dedotto, avevi le tue buone ragioni… anche se forse non hai agito nel modo più giusto.>>

<<Che cosa avrei dovuto fare?>>, gli chiese Joe <<Sono stato a chiedermi giorni e giorni se ci fosse una via d’uscita…>>

Bretagna annuì: <<Lo so… lo immagino.>>, lo interruppe <<Io non ti biasimo. Ti sto solo dicendo che… al posto suo anch’io avrei i miei dubbi. Se sono disposto a tutto per l’amore di una persona, e questa persona non mi permette di dimostrarglielo… Come mi devo sentire?...>>

<<Je t’aime, Joe. Dammi la possibilità di amarti… e di dimostrarti quanto ti amo.>>

<<… Potrei anche pensare che questa persona non ritenga che il mio amore sia tanto forte. E se capiterà un’altra cosa simile, potrebbe anche lasciarmi di nuovo.>>

Joe restò in silenzio qualche secondo, guardando la gente che ballava, senza vederla veramente. Infine annuì, sospirando: <<So di averla soffrire come un cane. E io ce la sto mettendo tutta per rimediare.>>, disse <<Ma è evidente che… pensavo che le cose sarebbero state più…>>

<<Facili?>>

Joe guardò l’amico per qualche istante, con le labbra strette: <<Sì, pensavo che sarebbe stato più facile.>>, rispose <<E invece…>>

<<Joe, stavolta credo che i miei venti anni e passa più di te valgano qualcosa.>>, gli disse, con un tono quasi paterno <<In amore non c’è niente di facile. E’ dura la verità, ma a volte l’amore non basta a se stesso. E quello che vi è accaduto un anno fa… ne è la dimostrazione bella e buona.>>

Joe lo guardò scuotendo la testa: <<Non avrei dovuto lasciare che il mio passato si mettesse fra noi.>>

Bretagna scrollò le spalle: <<A posteriori, siamo tutti bravi a parlare, Joe. A dire “avrei fatto questo invece di quello.”>>, disse <<Anch’io avrei fatto meglio a reagire quando mi cacciarono dal mondo del teatro. E invece… mi sono dato all’alcool, e sono diventato l’ombra di me stesso. Mi faccio schifo a pensare com’ero in quei giorni. Ma non posso portare indietro le lancette dell’orologio. Non posso mandare indietro il tempo.>>

<<Nessuno può tornare indietro, ma tutti hanno il diritto di andare avanti.>>, recitò Joe.

Bretagna fece un gesto del capo, in segno di apprezzamento: <<Bella frase.>>, commentò <<Vedi che hai capito?>>

Joe sorrise: <<Non è mia. E’ di Françoise.>>

L’altro si mise a ridere: <<Avrei dovuto immaginarlo.>>, disse <<Vedi Joe… la verità è che gli esseri umani trovano molto più facile vivere dei loro rimpianti, di quello che avrebbero potuto fare e non hanno fatto. Perché è molto più facile distruggere che costruire. Perché è molto più facile piangere sulle rovine di ciò che si è distrutto, piuttosto che cercare di costruire qualcosa da esse.>>, sospirò <<E sai perché è difficile ricostruire?>>

Joe scrollò le spalle: <<Forse perché... ogni volta che provi a ricostruire qualcosa, parti con così tanta voglia di fare che trascuri la cosa più importante: le fondamenta.>>

Bretagna rise: <<Si vede che anche tu sei un esperto di demolizioni.>>, disse amaramente ironico <<E si vede che sei maturato molto. Sono fiero di te come se tu fossi mio figlio.>>, concluse di nuovo ironicamente.

Joe si mise a ridere: <<Ma non dire stronzate. Al massimo potrei essere tuo nipote, e tu il fratello brutto di mia madre.>>

<<Ma tu e Françoise vi passate le battute a vicenda?>>

Joe scosse la testa, immaginando a cosa si riferisse: <<Fui io a farle notare che eri troppo brutto per essere suo padre.>>

<<Ah ah ah. Spiritosone.>>, disse alzando gli occhi al cielo. Poi si mise a ridere <<D’altronde, però, hai ragione. Per quanto anagraficamente potrei essere tuo padre, in realtà ti vedo come un ottimo amico. Sì, è vero... forse è un po’ il rapporto che c’è fra lo zio scemo e il nipote.>>

Joe si voltò verso di lui, accennando un sorriso: <<Anche per me sei un buon amico.>>

<<Onorato che tu mi consideri tale.>>, disse Bretagna in modo teatrale.

Joe sorrise: <<Ti ringrazio. Mi hai aperto un po’ gli occhi.>>, disse <<Vedi che quando vuoi sei saggio?>>

L’attore scosse la testa: <<Joe, io recito una parte. Tutti noi recitiamo una parte sul palcoscenico della vita. In realtà nemmeno noi stessi sappiamo realmente cosa e chi siamo.>>, disse accompagnando ogni sua parola con un gesto delle mani <<La maggior parte delle persone interpreta un ruolo che gli altri hanno loro assegnato. Un uomo è grande quando riesce a recitare una parte che si sceglie e si fa da solo, senza badare alle aspettative degli altri.>>, la sua attenzione fu attirata da qualcosa che accadeva in un’altra parte del salone <<Che mi venga un colpo!>>

Joe si voltò in quella direzione, e non credette ai suoi occhi: <<Ma... che ci fa qua?>>

Bretagna sospirò, alzando gli occhi al cielo, e poi guardandolo scuotendo la testa: <<Se trovi uno specchio, guardati e vedi la risposta. Beh, che aspetti, razza di pesce lesso rammollito!? Vai da lei, no?!>>, disse dandogli una sonora pacca sulla spalla, che lo fece andare avanti di qualche passo.

Joe si voltò a guardarlo un’altra volta, e Bretagna gli fece un nuovo cenno di incitamento col capo.

Non se lo fece ripetere una seconda volta e si incamminò verso di lei, mentre Bretagna lo seguiva con lo sguardo, scuotendo la testa: <<Che ci fa qua.>>, ripeté <<Ma tu dimmi…>>

Non era facile raggiungerla. Doveva passare in mezzo alla sala, e scansare le coppie che ballavano. Vide quel presuntuoso di Ron Gale avvicinarsi a lei, e cominciare a parlarci. Uno strano impulso che gli venne direttamente dallo stomaco gli fece affrettare il passo.

<<Ti va di ballare?>>

<<Françoise.>>

Françoise spostò il suo sguardo da Ron a Joe, che li aveva raggiunti proprio in quel momento, appena in tempo per sentire l’invito di Gale, a cui rivolse di nuovo lo sguardo: <<Mi dispiace, ma avevo già promesso questo ballo al mio ragazzo.>>, disse guardando nuovamente Joe e sorridendogli.

Era semplicemente...

<<Ah Joe... io non immaginavo che...>>

Joe si voltò verso Gale, con sguardo tutt’altro che conciliante: <<Ti ho detto un milione di volte che non voglio che tu mi chiami per nome.>>, sibilò.

<<Andiamo... ce l’hai sempre per quella vecchia storia?>>, chiese allargando le braccio.

<<Sono un tipo che non scorda facilmente.>>, rispose Joe a muso duro.

Gale scrollò le spalle: <<Fu un semplice incidente di gara.>>

<<Ti stavo doppiando e tu rallentasti apposta. La visibilità era scarsa per la pioggia, e io non ebbi il tempo di accorgermene. Così la mia sospensione destra si spezzò contro la tua gomma posteriore sinistra e il tuo compagno di squadra vinse il mondiale.>>, ricordò Joe sprezzante <<Una bella coincidenza. Non c’è che dire[10].>>

Gale alzò le braccia, allargandole: <<Pensala come vuoi. Per me è acqua passata.>>

<<Avrei dovuto...>>

<<Ehem... Joe, io sono qui, eh?>>

Gale sorrise: <<La tua ragazza ha ragione.>>, disse <<Beh, io vi saluto. E’ stato un piacere conoscerti.>>

Françoise si limitò a sorridere, mentre Gale si allontanava da loro, sotto lo sguardo furioso di Joe.

<<Ce l’hai ancora con lui per quella storia?>>, gli chiese, riuscendo finalmente a riattirare la sua attenzione.

<<Ancora?! Io ci ho perso un mondiale per quella sua bravata!>>, le fece notare.>>

<<Sì... ricordo vagamente. Pioveva da matti... Ci fu l’incidente... e tornaste tutti e due ai box. E tu uscisti dalla macchina come una belva, dirigendoti verso di lui con tutta l’intenzione di prenderlo a pugni[11].>>

<<Avrei dovuto farlo.>>, ribatté Joe, riguardando nella direzione in cui Gale si era allontanato.

Françoise si mise quasi a ridere: <<Allora, mi offri questo ballo o no?>>

Joe fece una specie di smorfia: <<Stai scherzando?! Sai che sono una frana!>>

<<Posso sempre andare a richiamarlo.>>, lo minacciò scherzosamente.

<<Françoise, sai benissimo che non so ballare!>>

<<Ma non è difficile...>>

Joe rise: <<Françoise, no.>>, ribadì scuotendo la testa <<Sono negato.>>

Françoise alzò gli occhi al cielo: <<Modestamente parlando, sei con una delle migliori ballerine del mondo…>>

<<Appunto. Non voglio rovinare i tuoi preziosi piedini d’oro.>>

<<Lasciati guidare da me.>>, disse prendendolo per mano e accompagnandolo quasi a forza sulla pista da ballo <<Basta seguire la musica.>>

Joe sospirò rassegnato, e cominciò a muovere i piedi, lasciandosi guidare da lei. Incredibilmente, stava ballando davvero.

<<Vedi che non è difficile?>>, gli disse, con un ampio sorriso.

Joe ricambiò: <<D’altronde sono con la migliore ballerina del mondo, no?>>

Lei sorrise, abbassando appena lo sguardo: <<Non esagerare...>>

<<Non sto esagerando.>>, la interruppe <<Vedo che hai trovato un “vestito adeguato”. Sei bellissima.>>

Françoise alzò la testa verso di lui: <<Sei il solito adulatore.>>

Joe sorrise: <<Sono solo un uomo innamorato... ah, c’è anche...>>, si voltò verso il luogo nel quale aveva lasciato Bretagna, ma non lo vide. Lo cercò un po’ per la sala...

<<Stai cercando qualcuno, Joe?>>

Lui tornò a guardarla, senza dire alcunché per qualche momento. Poi scosse la testa: <<Nessuno... Ma non dovresti essere a Parigi con Jean?>>

Françoise raccolse un profondo respiro.

<<E tu che ci fai qui?>>

<<Jean... io...>>

Era stato spostato in una stanza normale. Cercò qualcosa, sul comodino accanto a lui. Prese il telecomando e accese il piccolo televisore in bianco e nero che gli era stato portato.

<<... che inizia l’ultimo giro di questo bellissimo gran prix di Monaco. Shimamura, con la sua Ferrari 312B2, ha un vantaggio di circa 9 secondi su Storm.>>

<<E’ in testa.>>, commentò Jean, mettendosi a sedere con la schiena alla spalliera.

<<...si avvia quindi a vincere il suo secondo gran premio della stagione e a rafforzare la sua leadership in testa alla classifica piloti. Una gara semplicemente perfetta la sua, dominata praticamente dall’inizio alla fine. Eccolo alla curva del Mirabeau...>>

<<Non dovresti essere da lui?>>

Françoise scostò un attimo gli occhi dallo schermo: <<Ce l’ha fatta anche senza di me. Non sarei mai potuta andare con te in quelle condizioni, Jean...>>

<<Ma adesso sto bene, no?>>, fece un cenno verso lo schermo <<Ehi... è all’ultima curva.>>

Françoise si voltò appena in tempo per vederlo passare sul traguardo: <<Lo sai che è venuto qui... mercoledì sera?>>

Jean scosse la testa, mentre Joe faceva il suo giro d’onore: <<No, non lo sapevo. Ma ora che lo so... lo apprezzo molto.>>, disse <<Non fa che confermare le buone impressioni che mi aveva dato.>>

Françoise annuì: <<Ne sono felice.>>

<<Vai da lui, Françoise.>>

<<Ma...>>

<<Io sto bene, ormai.>>, la interruppe Jean <<Non preoccuparti...>>

<<E’ stato lui stesso a dirmi di venire qui.>>, gli rispose alzando la testa verso di lui <<Ha insistito dicendo che stava benissimo e che tanto non sarebbe morto prima di aver fatto da testimone al mio matrimonio.>>

Joe annuì, sorridendo: <<Era un velato ultimatum nei miei confronti?>>

Françoise sorrise: <<Io non ti ho mica chiesto niente.>>, gli fece notare <<Non ancora.>>

Lui sorrise: <<A proposito di questo… c’è una cosa che ti devo dire.>>

<<Non vorrai chiedermi di sposarti adesso?>>

Joe la guardò scherzosamente perplesso: <<Non vuoi venire a vivere con me e, secondo te, ti chiedo di sposarmi adesso?>>

<<Joe, a prop…>>

<<Comunque era un’altra la cosa che ti volevo dire.>>, la interruppe.

Lei rimase un istante con le labbra ancora dischiuse. Poi sospirò: <<Ti ascolto.>>

Joe respirò profondamente: <<Ti ricordi l’anello… che mi hai reso quando ti ho lasciato?>>

Françoise annuì: <<Certo che me lo ricordo.>>, rispose <<Come potrei dimenticarlo?>>

Joe accennò un sorriso quasi imbarazzato, e abbassò un attimo lo sguardo: <<Ecco… io quell’anello ho intenzione di rendertelo solo quando ti chiederò di sposarmi, se tu accetterai, si intende.>>

Françoise lo guardò per qualche istante, senza dire una parola: <<Direi che sono d’accordo.>>, rispose <<E’ giusto.>>

<<Non sembri sorpresa.>>, disse Joe perplesso, quasi deluso.

Lei scrollò le spalle: <<Di solito un anello si regala quando…>>

<<No, non per quello.>>, la interruppe scuotendo la testa <<Insomma, ti ho appena detto che un giorno ti chiederò di sposarmi…>>

Françoise rimase qualche attimo interdetta, e poi si mise a ridere: <<Ah, era per quello… Diciamo che la tua futura suocera ha rovinato la sorpresa.>>

<<Ah.>>, rispose Joe come stordito <<Bene.>>

<<Mi dispiace.>>, disse lei, ancora ridendo.

<<Ma no, figurati.>>, disse lui sorridendo <<Allora Jean sta bene veramente. Mi fa piacere.>>

Françoise annuì: <<Lo dimetteranno fra tre o quattro giorni. E poi dovrà stare un po’ a riposo, in modo che la ferita si cicatrizzi. Arianne era così felice... la capisco.>>

<<Ti ci ho fatto passare qualche volta.>>, ricordò lui, sorridendole.

<<Noooo... seriamente solo una.>>, disse lei, scuotendo la testa <<Ma per fortuna andò tutto bene anche allora.>>

<<Grazie a te.>>

Lei sorrise: <<Non lo puoi sapere...>>

<<Lo so e basta.>>

Françoise si limitò a sorridere: <<Ti ho già fatto i complimenti per oggi?>>

Joe annuì: <<Prima al telefono. Ma dal vivo sono più sentiti.>>

<<Allora complimenti, signor Shimamura.>>, disse.

<<La ringrazio, mademoiselle...>>

<<E così sarebbe lei?!>>

<<Karen...>>, disse Joe voltandosi e vedendo la ragazza.

Françoise la guardò sorpresa per qualche istante, poi lanciò appena un’occhiata a Joe, e quindi tornò a guardare la ragazza. A vederla dal vivo era ancora più bella di quanto sembrasse in tv. Non si stupiva che fosse una delle top models più ricercate: <<Io sono Françoise Arnoud, piacere.>>, disse porgendole la mano <<Vedo che Joe ti deve aver già parlato di me.>>

La ragazza sorrise, stringedogliela: <<Karen Liendhberg. Molto piacere. Beh, anche Joe ti ha parlato di me, a quello che so.>>

<<Vagamente.>>, rispose Françoise.

Karen alzò le spalle: <<Allora spero che tu non ce l’abbia con me.>>, rispose.

Françoise scosse la testa: <<Non stavamo insieme allora... quindi...>>

<<Beh, sì... certo...>>

<<Karen... ecco dove ti eri cacciata...>>, Jens, o almeno le pareva che fosse lui, si voltò verso Françoise e le porse la mano <<Piacere. Jens Reutmann. Tu sei la ragazza di Joe?>>

Françoise lanciò un nuovo sguardo a Joe, stringendo la mano al suo collega: <<Sì, mi chiamo Françoise... vedo che la mia fama mi precede.>>

Jens sorrise: <<Come sta suo fratello?>>

Joe anticipò la sua occhiata: <<E’ stato Ross a spifferare a tutta la squadra che merc...>>

<<Sta bene.>>, disse Françoise tornando a guardare Jens.

<<Ottimo.>>, rispose Jens. Poi tornò a guardare Karen <<Beh, mi piacerebbe stare qui a parlare un po’ di più con voi... ma credo che sia il caso di lasciarvi soli. Tra l’altro stavamo anche per andare via.>>

<<E’ stato un piacere conoscerti, Françoise.>>, disse Karen.

Françoise le sorrise cordialmente: <<Anche per me.>>

<<A presto... buonanotte.>>, disse Jens.

<<’Notte.>>

Li guardarono allontanarsi tra la folla, e anche loro si misero un po’ in disparte, andando a prendersi qualcosa da bere.

<<A quanti hai raccontato di me?>>, chiese Françoise mentre lui le porgeva un cocktail.

<<Beh, solo a loro credo.>>, rispose Joe bevendo un sorso <<E più o meno perché ci sono stato quasi obbligato. Comunque ormai siamo allo scoperto.>>

Françoise si guardò intorno: <<Effettivamente ormai è così...>>

<<Ti ho già detto che sei bellissima.>>

Lei lo guardò e accennò un sorriso lusingato: <<Un paio di minuti fa.>>, rispose <<Con quello che ho penato per trovare questo vestito, era il minimo che potessi dirmi.>>

Joe sorrise, scuotendo la testa e finendo il suo bicchiere: <<Non è solo il vestito… Il vestito è meraviglioso e ti sta alla perfezione, ma non è solo quello.>>, disse <<Non lo so… è qualcosa di te… che non saprei spiegare.>>

Françoise non disse niente, limitandosi a sorridere. Posò il bicchiere vuoto su un tavolo, e abbassò la testa, appoggiandola sulla sua spalla. Lui le sfiorò appena i capelli con le labbra, inebriandosi del suo profumo. La strinse a sé, restando in silenzio con lei per qualche istante.

<<A che ora devi essere a Parigi domani?>>

<<Alle 15.>>, rispose Françoise, scostandosi appena da lui e lasciando che le accarezzasse i capelli.

Joe annuì: <<Perché non andiamo anche noi, allora... Dovremo comunque partire presto se vogliamo essere a Parigi per tempo. Sono sempre 600 e passa km.>>

Françoise mosse la testa in un cenno di assenso: <<Sì, hai ragione... Andiamo.>>

Joe le accarezzò una guancia, sorridendole: <<Aishiteru, Françoise.>>

<<Je t’aime, Joe.>>

 

<< I've never seen you looking so gorgeous as you did tonight. I've never seen you shine so bright. You were amazing. I've never seen so many people want to be there by your side. And when you turned to me and smiled it took my breath away. And I have never had such a feeling such a feeling. Of complete and utter love, as I do tonight.>> da “Lady in red”, Chris De Burgh[12]

 

 

Parte VII

 

 

Luglio 1972

 

Joe scese le scale, smettendola di asciugarsi i capelli e lasciando che l’asciugamano gli ricadesse sulle spalle. Seguì la luce accesa proveniente dalla cucina. Si fermò sulla soglia.

<<Cosa stai mangiando?>>

Françoise era seduta al bancone che divideva tinello e cucina. Si voltò verso di lui, finendo di masticare qualcosa: <<Un po’ di frutta.>>, disse.

Joe si avvicinò, e si sedette su uno sgabello accanto a lei, dando però le spalle al bancone: <<Vedo che hai cominciato a mettere a posto un po’ di roba.>>, disse guardandosi intorno e vedendo un paio di scatoloni vuoti in un angolo.

<<Già.>>, disse <<Continuerò domani. Ora sono stanca morta.>>

<<Lo siamo tutti e due.>>, ribatté Joe, sporgendosi in avanti.

Françoise rise.

Joe corrugò la fronte: <<Cosa c’è da ridere?>>

Lei aspettò di calmarsi un po’: <<Stavo ripensando a una scena di oggi.>>, rispose <<Ho preso un cartone pieno di libri, e quelli erano pesanti. Jean mi guarda con due occhi strabuzzanti: “Io non riuscivo nemmeno a sollevarlo!”, ha detto. Credo che ci sia rimasto male. Ha fatto una faccia... Io non ci ho nemmeno pensato che potesse... La sua faccia... avresti dovuto vederla...>>

Joe si mise a ridere: <<Sì... immagino. Ti ha mai chiesto come hai fatto a far volare quel maniaco per terra?>>

Françoise scosse la testa: <<No. Non credo nemmeno mai come ho fatto a sollevare un cartone pieno di libri.>>, rispose alzandosi <<Meglio così. Vado a farmi una doccia anch’io.>>

Joe annuì: <<Bene... così poi andiamo a letto e ci facciamo una bella dormita.>>

Françoise si voltò verso di lui sulla soglia della cucina: <<Sempre che tu lo liberi.>>

Joe la guardò perplesso: <<Che liberi cosa?>>

<<Il letto. Ci sono almeno una quindicina di cartoni sopra.>>

<<Eh!>>, disse lui sbarrando gli occhi. Poi scosse la testa <<No, io adesso non mi metto a togliere cartoni dal letto. Ma con tutto il posto proprio lì?!>>

<<Io di certo non mi ci metto.>>, ribatté Françoise <<Vuoi che dormiamo per terra?>>

<<Ma...>>, un flash gli passò per la testa, e gli fece dimenticare il resto della battuta <<Non sarebbe una cattiva idea.>>

Françoise corrugò la fronte: <<Cosa? Dormire per terra?>>

<<Sì...>>

<<Senti Joe. O liberi quel letto, o trovi una soluzione. E cerca di farlo nei prossimi quindici minuti.>>, disse scomparendo

Joe sorrise ironico, fingendo un’espressione spaventata: <<E chi l’ha detto che è l’uomo a fare la voce grossa in casa?>>, disse, grattandosi la testa.

<<C’è stato il femminismo, ricordi?>>, gli rispose la voce di Françoise, lontana, forse già al piano di sopra.

Non sentì alcuna ribattuta da parte sua, e si lasciò scappare una risatina ironica, scuotendo la testa. Terminò di spogliarsi e andò ad aprire l’acqua della doccia. Mentre aspettava che la temperatura arrivasse al punto giusto, gli occhi le finirono sull’ampia vasca a idromassaggio che era proprio lì accanto...

Entrò cautamente nella vasca colma di acqua ribollente, stando attenta a non scivolare, e si adagiò sul fondo, mettendosi accanto a lui, con il quale scambiò uno sguardo e un istintivo sorriso. Si lasciò avvolgere dal sottile piacere delle bolle di acqua che massaggiavano il suo corpo, e già cominciava a sentirne i benefici effetti sulla sua mente. Si stava rilassando. Restò in silenzio alcuni momenti, chiudendo e lasciandosi andare a quella sensazione di pace che le dava anche il solo rumore dell’acqua che gorgogliava attorno al suo corpo.

<<Complimenti.>>

Joe riaprì gli occhi che anche lui aveva chiuso, e la guardò perplesso, non capendo a cosa si riferisse: <<Per cosa, scusa?>>

Françoise sorrise, tenendo gli occhi chiusi: <<Per l’appartamento. Te lo sei scelto proprio bene. Hai buon gusto.>>

Joe tornò ad appoggiare la testa sul bordo della vasca, guardando il soffitto: <<Sì, non mi posso lamentare.>>, rispose.

Françoise aprì gli occhi, voltandosi verso di lui: <<Prima non ho avuto modo di dirti una cosa.: <<Sono tornata in quella casa... con mia madre, giovedì sera... dopo che tu te n’eri andato.>>

Joe la guardò prima con la coda dell’occhio, e poi si voltò verso di lei, corrugando la fronte, perplesso. Ma anche timoroso di ciò che avrebbe potuto dire in seguito: <<E quindi?>>

Lei ci pensò su un attimo. Aveva iniziato quel discorso, senza nemmeno sapere come l’avrebbe portato avanti. Né di come lo avrebbe concluso. Di quale sarebbe stata la sua risposta: <<Abbiamo parlato... Avevo bisogno di schiarirmi un po’ le idee.>>, disse <<Io non avevo ancora capito... o non volevo capire perché ti avevo detto di no.>>

Joe restò in silenzio, e il suo silenzio si accompagnò a quello di Françoise, lasciandoli col solo rumore dell’acqua sullo sfondo.

Lei raccolse un profondo respiro, quindi riprese a parlare: <<La verità è che... sì, la verità è che avevo... che ho paura, Joe.>>, disse voltandosi verso di lui <<Ho scoperto che per quanto tu mi ami, e per quanto io ti possa amare... ciò può non bastare. Tu mi hai lasciato nonostante mi amassi... e nonostante io ti amassi... Nonostante ci amassimo, la nostra storia si era fermata. Non era una volontà di nessuno dei due... Era qualcosa aldilà di noi e della nostra volontà... e io ho paura che possa succedere di nuovo.>>

Joe si voltò lentamente, tornando a guardare l’acqua che ribolliva andando a sbattere sul suo corpo. Aspettò qualche secondo, prima di parlare: <<Io non so cosa fare, Françoise...>>

<<Joe... non sta a te fare qualcosa. Tu hai già fatto molto. Hai affrontato le tue paure, le hai sconfitte... e hai dimostrato di credere veramente nella nostra storia. Mi hai dimostrato di voler... ricominciare sul serio.>>, lo interruppe. Si morse le labbra, prima di riprendere a parlare <<Sono io che adesso dovrei cercare di sconfiggere le mie paure... le mie insicurezze... I miei fantasmi.>>

Joe la guardò malinconico: <<Sono io a farti paura?>>

Lei sospirò, cominciando a fare dei cerchi sull’acqua con un dito: <<Quello che rappresenti per me... mi fa paura. Quell’amore così grande e importante... da essere terrorizzata all’idea di perderlo... di nuovo.>>, sospirò profondamente, alzando la testa verso di lui <<Io ho paura di perderti di nuovo. Di perderti per un motivo che non ha niente a che fare con me. Un qualcosa per cui non potrei fare niente... niente per evitarlo... E l’idea mi terrorizza. Anche se tu mi dici che non succederà mai più... una volta è successo.>>

Joe distolse lo sguardo: <<Non posso dire che... mi dispiace. E so che non è sufficiente...>>

<<No, Joe... sono io che devo chiederti scusa, adesso.>>

Joe la guardò perplesso, dischiudendo appena le labbra, come per dire qualcosa. Parole che non vennero mai fuori.

Françoise si bagnò le labbra con la lingua: <<Io... ti ho sempre amato in modo incondizionato. Senza mai chiederti niente in cambio... Ma adesso... avevo dimenticato quel modo di amarti, perché da quando ho cominciato a ricevere qualcosa da te... ho capito quanto era... stupendo essere amata da te.>>, raccolse un profondo respiro <<E quando mi è sfuggito tutto di mano... come granelli di sabbia... mi sono sentita perduta. Lo scotto, il dolore è stato troppo grande... e quando tutto è ricominciato... è arrivata la paura che potesse succedere di nuovo.>>

<<Françoise...>>

<<Io non ho pensato... a quello che poteva essere stato per te.>>, continuò lei <<Non ho pensato che... se io avevo sofferto... tu potevi aver sofferto quanto me... e che potessi avere le mie stesse paure. Ma tu hai avuto il coraggio di andare fino in fondo... di credere in questa storia fino in fondo. E hai cercato di ricostruire quello che era stato distrutto. Senza fermarti troppo a ragionare sul passato... su tutto quello che era successo. Senza mai tornare indietro. E’ il momento che cominci a crederci anch’io.>>, si voltò verso di lui <<Joe, io voglio credere in te. Amare vuol dire anche credere l’uno nell’altro... è il momento che cominci a credere veramente in te, come mi dice il cuore, e a smetterla di avere tutti i miei stupidi dubbi.>>

Joe si limitò a guardarla per un po’, accennando un vago sorriso di cui non era nemmeno consapevole: <<Ma tu hai sempre creduto in me, Françoise. Anche quando non ci credeva nessuno... nemmeno io...>>

<<Voglio vivere insieme a te.>>

Lui rimase con le labbra dischiuse, semplicemente sorpreso, spiazzato dalle sue parole. Le richiuse, andando a guardare avanti a sé, respirando come se avesse trattenuto il respiro per chissà quanto. Poi tornò a voltarsi verso di lei: <<Sei veramente sicura?>>

<<Non sono sicura che sia la cosa giusta. Ma sono sicura di volerlo.>>, rispose lei, senza esitare un solo istante.

<<E’ un passo importante, Françoise.>>, le ricordò.

<<Ci hai per caso ripensato?>>, gli chiese, piuttosto seria.

Non aveva colto la battuta, e Joe quasi si mise a ridere: <<No, sono felice di... che tu abbia deciso di farlo insieme a me.>>

Françoise sorrise appena, distogliendo gli occhi: <<Amarsi... vuol dire guardare insieme nella stessa direzione.>>

Lui le prese un braccio, inducendola delicatamente a sedersi su di lui, in modo da poterla vedere bene in volto e abbracciarla. I suoi capelli erano raccolti, lasciando scoperto e ben visibile il suo collo: <<Cosa stiamo vedendo, Françoise?>>

Un lieve sorriso le incurvò appena le labbra. Ci pensò su un attimo, abbassando appena lo sguardo. Lo rialzò quasi subito, mostrando un’espressione sicura: <<Una vita insieme.>>

Joe si limitò a sorridere, restando inerme per qualche istante. Poi le sue labbra...

Posò il phon sul mobile, dandosi un’ultima spazzolata ai capelli asciutti, e aggiustandosi un po’ la chemise che aveva indossato per andare a dormire. Uscì dal bagno e scese le scale. Non c’erano luci accese. Ma un lieve bagliore, che proveniva da dietro il divano, davanti al caminetto. Seguì quella luce: <<Joe?>>

Nessuna risposta. Raggiunse il bagliore, che era provocato dalla luce di alcune candele accese.

<<Ecco perché “dormire per terra” non era una cattiva idea.>>, disse quasi sottovoce, guardando l’ampio futon che era stato adagiato davanti al divano. Ma lui dov’era?...

<<Buh!>>

Françoise fece un balzo per lo spavento, e si girò furiosa dietro di sé: <<Ma sei impazzito.>>

Joe stava ridendo come un matto, tenendosi lo stomaco: <<Non dirmi che non ti eri accorta di me.>>

Françoise respirò a pieni polmoni: <<No, non me ne ero accorta. Razza di deficiente!>>, disse andandosi sul futon e guardandolo ancora infuriata.

Joe smise di ridere, e andò a sedersi accanto a lei: <<E dai. Non te la sarai presa sul serio?>>, le chiese incrociando le gambe.

Aveva solo un paio di shorts addosso. Era così che dormiva durante l’estate. E il suo stare con la schiena un po’ curva, un proteso in avanti, metteva in risalto quelle linee perfette che gli attraversavano il torace. Si erano ancora più definite rispetto a qualche tempo prima. Probabilmente perché si teneva in allenamento durante la stagione.

<<Mi hai spaventata a morte.>>, disse distogliendo lo sguardo, e portandosi le gambe al petto.

<<Va bene, va bene.>>, disse alzando le mani in un gesto di scuse <<Mi dispiace. Scusami.>>

Françoise sorrise: <<Dove lo hai trovato questo futon?>>

<<E’ mio.>>, disse Joe voltandosi accanto a lui e togliendo un tovagliolo da sopra qualcosa. Ne scoprì un contenitore pieno di ghiaccio, nel quale era stata adagiata una bottiglia di champagne.

<<E le candele?>>, chiese Françoise guardandolo scartare il tappo.

<<Erano in uno scatolone lì vicino.>>, rispose lui togliendo il fermo di metallo al tappo <<Ho pensato di creare un po’ di atmosfera.>>

<<Ehi, non sei sul podio. Non la scuotere.>>

Joe rise: <<Lo so. Non sono mica scemo fino a quel punto.>>

Tolse delicatamente il tappo, e lo champagne rimase dentro la bottiglia, senza straboccare. Joe si voltò di nuovo a prendere qualcosa: <<Mi dispiace, ma ti dovrai accontentare di un bicchiere di carta. Non ho trovato i calici.>>, disse porgendogliene uno di una coppia di due e riempiendoglielo. Poi si servì per sé, e posò nuovamente la bottiglia nel ghiaccio.

<<A cosa brindiamo?>>, chiese Françoise, quando tornò a guardarla col bicchiere in mano.

Joe ci pensò un attimo su: <<Beh, vediamo... a noi due... alla nostra nuova casa... a una vita insieme.>>, concluse alzando il bicchiere, invitandola a fare altrettanto.

Françoise fece sbattere delicatamente il suo bicchiere contro quello di Joe. Ovviamente non si sentì il rumore dello sbattere del vetro, ma era speciale lo stesso: <<Cin cin.>>

Joe sorrise: <<Cin cin.>>

Svuotarono i loro bicchieri e li posarono a terra. Françoise si guardò intorno: <<Ci vorrà un bel po’ prima che questa casa sia tutta a posto.>>

Joe si sdraiò, con un braccio sotto la testa: <<Con l’aiuto dei tuoi non ci vorrà così tanto.>>, disse <<Un paio di settimane e sarà tutto a posto. In fondo c’è voluto molto tempo per mettere le cose a posto fra noi. Ma adesso... è tutto a posto, no?>>

Françoise annuì, sorridendo. Aprì le labbra per rispondere qualcosa, ma non c’era molto altro da dire. Le richiuse e si sdraiò accanto a lui, come lui, con gli occhi rivolti verso il soffitto.

<<Uhm... non sai dove potrei trovare un po’ di bambù?>>, chiese Joe improvvisamente

Françoise si voltò verso di lui perplessa: <<Cosa ci devi fare?>>

<<Domani è il 7 luglio.>>, rispose Joe alzandosi a sedere e guardandola <<La festa di Tanabata[13].>>

Françoise annuì. Ormai era totalmente fuori rispetto al calendario giapponese: <<E che desiderio vorresti esprimere?>>

Joe scosse la testa, sorridendo: <<Non te lo posso dire, sennò non si avvera.>>

<<Ok. Ma almeno posso sapere se mi riguarda?>>, chiese Françoise.

Lui scosse nuovamente la testa, sorridendo: <<Tsk tsk.>>

<<Va bene. Non insisto.>>, rispose chiudendo gli occhi.

Era troppo stanca per insistere. Si sentiva svuotata. Aveva quella sensazione di vuoto stanco di chi ha finalmente raggiunto qualcosa che aspettava da tanto tempo. Di chi se ne è liberato. E poi era vero. Lo sapeva anche lei. I desideri non si rivelano, perché altrimenti non si avverano. Lo aveva imparato sin da bambina.

Sentì le sue labbra sulla sua bocca, e istintivamente gli mise le braccia attorno al collo, aprendo gli occhi quando lo sentì scostarsi da lei.

<<Potrei attaccare anch’io un bigliettino a quella pianta di bambù?>>

Joe sorrise, annuendo: <<Tutti quelli che vuoi.>>, rispose spostandole una ciocca di capelli dal viso <<Quest’anno, e i prossimi dieci, venti, trenta... mille anni. Per sempre.>>

 

<<Oh, once in your life you find someone, who will turn your world around, bring you up when you're feeling down. Yeah, nothing can change what you mean to me. There's a lot that I could say, but just hold me now, 'cause our love will light the way.>>, da “Heaven”, Bryan Adams[14]

 

F I N E

 

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[1] Imagine uscì nel 1971 (n.d.a.)

[2] Trad.: <<E aldilà di tutto questo lei mi dà protezione, tanto amore e affetto, che io abbia ragione o no. E giù per la cascata, ovunque mi possa portare, so che la vita non mi spezzerà. Quando la invoco, so che lei non mi abbandonerà.>>

[3] Trad.: <<E’ una bella cosa l’istinto animale.>>

[4] Vi ricordo che i cellulari erano roba da fantascienza ^^.

[5] Trad.: <<La notte era buia e l’aria viva, ma lei non sapeva come andare oltre.>>

[6] Vedi Rivelazioni, Parte XII

[7] Non ditemi che non conoscete la mitica Citroën 2CV?! Suvvia.

[8] Trad.: <<Se cadi, io ti terrò, aspetterò, di volta in volta.>>

[9] Trad.: <<E ci sono voci che vogliono essere ascoltate. Hai così tanto da dire, ma non riesci a trovare le parole. Il profumo della magia, quanto è stato bello quando l’amore era più selvaggio del vento. Ascolta il tuo cuore, quando ti sta chiamando. Ascolta il tuo cuore. Non c’è altro che tu possa fare. Io non so dove tu stia andando e non so perché. Ma ascolta il tuo cuore, prima di dirgli addio.>>

[10] Chi ci ricorda questa vignet... ehm, scena?

[11] Eddai, era facile: Michael Schumacher e David Coulthard, Spa, Gp del Belgio 1998

[12] Trad.: <<Non ti ho mai visto bella come stasera. Non ti ho mai visto splendere così. Eri affascinante. Non ho mai visto così tante persone voler essere lì, al tuo fianco. E quando ti sei voltata verso di me e hai sorriso, mi hai fatto mancare il respiro. E non ho mai provato un sentimento del genere... un sentimento di amore completo e totale, come stanotte.>>

[13] Il 7 luglio in Giappone si festeggia la festa di Tanabata. Essa è riferita alla leggenda di due innamorati, Orihime e Hikoboshi, che si possono incontrare una sola volta all’anno, proprio il 7 luglio. In occasione di questa festività, i giapponesi sono soliti scrivere i loro desideri su foglietti di carta, che poi appendono a una pianta di bambù. Tra l’altro Ishinomori creò un episodio del manga molto bello incentrato su questa festività (indovinate chi erano i protagonisti? ^^). Per ulteriori curiosità riguardo alla leggenda, vi consiglio questo link: http://www.jhike.com/plugin.php?name=News&file=article&sid=33.

[14] Trad.: <<Oh, una sola volta nella vita trovi qualcuno, che farà girare il tuo mondo, che ti solleverà quando ti sentirai giù. Sì, niente può cambiare ciò che significhi per me. Ci sono molte cose che potrei dire, ma adesso stringimi e basta, perché il nostro amore illuminerà il nostro cammino.>>