Vite ad un bivio

di Laus

(N.B.: in questa fic troverete, in alcune scene, un linguaggio scabroso ed esplicito. Il motivo lo capirete facilmente conoscendo i personaggi e considerando dove sono nati e cresciuti. Non scandalizzatevi, su ^^. Tanto se conoscete Cyborg 009 siete di sicuro tutti maggiorenni ^^)

 
Prologo
Parte I
Parte II
Parte III
Parte IV
Parte V
Parte VI
Parte VII
Parte VIII
Epilogo
 

Prologo 

 

<<Al ladrooooooooooooooo!>>

Il ragazzo continuò a correre a tutta velocità, senza preoccuparsi della gente che lo guardava, né tanto meno dell’uomo che gli inveiva contro urlando a più non posso. Nessuno cercò di fermarlo e per lui fu facile nascondersi nel labirinto di vicoli maleodoranti e pieni di spazzatura del quartiere. Vicoli che ormai conosceva come le sue tasche.

Svoltò per l’ennesima volta in un’altra strada, rallentando il passo. Ormai era quasi vicino a casa e quel commerciante grasso e puzzolente di fumo poteva fare quel che voleva. Non l’avrebbe ripreso più. Scoprì la bocca, che aveva coperto con la sciarpa, e respirò un po’ dell’aria non proprio salutare del vicolo.

<<Salve Stan!>>

Il ragazzo si voltò verso l’uomo che lo aveva chiamato, che se ne stava, come al solito, seduto su un gradino sporco di una rampa di scale traballante, bevendo avidamente da una bottiglia di bourbon di bassa qualità, nonostante fossero neanche le dieci di mattina. L’uomo gli sorrise, mostrando i denti che avrebbero avuto bisogno di una bella lavata e di un controllo da un buon dentista.

<<Ciao Jack.>>, lo salutò il ragazzo con un cenno della mano, tirando dritto.

Stan continuò a camminare fino a una scalinata di un vecchio palazzo i cui muri erano completamente ricoperti da graffiti e scritte varie. Salì sul primo gradino ma si bloccò non appena vide un uomo uscire dal portone. L’uomo si fermò sulla soglia, chiudendo ancora di più il suo cappotto nero, evidentemente sentendo il freddo dell’esterno. Portava gli occhiali da sole, nonostante di sole non si vedesse nemmeno l’illusione. Si abbassò ancora di più il cappello a tesa sugli occhi e fu allora che vide Stan.

La sua bocca si curvò in una specie di ghigno: <<Salve ragazzo.>>, gli disse mettendosi le mani in tasca <<Tutto bene.>>

Stan non rispose, limitandosi a guardarlo in modo piuttosto torvo. L’uomo sembrò non curarsene. Cominciò a scendere le scale, lentamente, fino a passare accanto a Stan e a continuare nella direzione da cui il ragazzo era arrivato.

<<A presto.>>, disse quando si fu allontanato di qualche metro da Stan, alzando una mano coperta da un guanto nero, ma senza voltarsi.

Stan lo seguì con lo sguardo colmo di disprezzo fino a che non fu scomparso dalla sua vista. Quindi salì di corsa le scale che lo portarono al portone. Si involò verso le scale che portavano ai piani di sopra, senza neanche guardare l’ascensore, sulla porta del quale c’era, ormai nessuno ricordava nemmeno più da quanto, un cartello che avvertiva che era “Fuori servizio”.

<<Ehi, Stan!>>

Stan si fermò, arrivato ormai al primo pianerottolo, e si voltò verso l’uomo, sapendo già fin troppo bene cosa aveva da dirgli. Non gli rispose nemmeno. Aspettò che fosse lui a parlare.

<<Quand’è che vi deciderete a pagare?>>, gli disse l’uomo, che ogni giorno sembrava sempre più grasso, aspirando fumo dalla sua sigaretta <<Ormai sono tre i mesi di arretrati.>>

Stan strinse le labbra e il pugno. Avrebbe voluto stamparglielo in faccia, su quella sua grossa faccia stupida e madida di sudore. Ma non poteva.

<<Prima possibile, Al.>>, gli disse Stan cercando di mantenere una voce calma.

L’uomo fece una smorfia di disappunto: <<Non ricordo quant’è che sento questa storia.>>

Stan avrebbe voluto dirgli che neanche lui ricordava quante volte gli fosse stato chiesto di far aggiustare lo scalino che c’era poco prima del loro piano. Prima o poi qualcuno ci si sarebbe fatto male.

<<Mi dispiace, Al.>>, disse Stan abbassando la testa.

L’uomo tornò sui suoi passi: <<Sì, certo. Anche a me.>>, e si richiuse nel suo stanzino.

Stan ricominciò a salire le scale di corsa. Doveva fare quattro piani a piedi per arrivare. Fece attenzione allo scalino pericolante, saltandolo di netto e arrivò fino alla loro porta.

<<Vaffanculo, puttana!>>

Stan stava per aprire la porta con la chiave, ma si bloccò al suono dell’ennesimo litigio dei suoi vicini. Quell’ubriacone di Jad stava di nuovo dando di matto. Perché Valerie continuava a stare con quell’essere abominevole, che non faceva altro che bere, picchiarla e chissà che altro. Restò in ascolto e sentì qualcosa frantumarsi. Forse l’ennesima bottiglia vuota. Subito dopo Clark, il loro bambino, scoppiò a piangere.

Stan strinse le labbra e si decise ad aprire la porta di casa sua.

<<Non puoi fare una cosa del genere, Nick. Non te lo poss…>>

La ragazza, seduta sul piccolo divano dalla stoffa ormai logora e sgualcita, si bloccò quando notò l’arrivo di Stan. Nick era seduto sulla poltrona, il cui stile e colore non avevano niente a che fare con quelli del divano, ma era altrettanto logora. Si tolse la testa dalle mani e alzò a sua volta lo sguardo sul ragazzo.

<<Stan, che ci fai qui?>>, chiese Nick visibilmente sorpreso <<Non dovresti essere a scuola?>>

Stan li guardò entrambi, uno per volta: <<Si è rotto il riscaldamento. Ci hanno mandato tutti a casa.>>, rispose.

In realtà era una menzogna. A scuola non ci era andato. La riteneva una perdita di tempo.

La ragazza si alzò dal divano. Nick e Stan la seguirono con lo sguardo fino al frigo, da dove prese una bottiglia d’acqua per poi versarsene un bicchiere.

<<Quell’uomo è stato di nuovo qui, vero?>>, chiese Stan rivolto un po’ a tutti e due.

La ragazza rimase col bicchiere a mezz’aria, per poi posarlo nuovamente sul tavolo. Nick abbassò lo sguardo, cominciando a sfregarsi lentamente le mani l’una contro l’altra. Stan spostava gli occhi da uno all’altra, studiando le loro reazioni. Fuori si sentì l’ennesima sirena spiegata della polizia, quasi la colonna sonora di quel quartiere,  avvicinarsi sempre di più, fino a fermarsi. Doveva essere a non più di trecento metri da lì.

<<Non devi farlo, Nick.>>, disse Stan dopo un bel po’ di silenzio <<Non abbiamo bisogno dei soldi di quelli là.>>

Nick alzò gli occhi verso il ragazzo, visibilmente teso. Si grattò la testa: <<Però…>>

<<Niente però!>>, intervenne la ragazza, quasi urlando <<Credi veramente che sia una soluzione plausibile. Ti rendi conto che…>>

<<Ti rendi conto che nostra madre è ferma in quel letto in questa topaia da mesi?!>> urlò Nick alzandosi di scatto dalla poltrona dove era stato seduto fino ad allora <<E che non possiamo farla curare perché non abbiamo abbastanza soldi per farlo!? Ti sei dimenticata che in questa merda di paese i medici non ti fanno neanche guardare l’ospedale se non hai l’assicurazione?!! Che succederà quando quel lardoso panzone che sta di sotto ci caccerà in mezzo a una strada perché non possiamo pagargli l’affitto?!!>> Nick era rimasto in piedi, ansimante, con le mani appoggiate sui fianchi, guardando la sorella che non riusciva a fare altro che tenere lo sguardo basso, perché non aveva risposte a quelle domande <<Che cosa faremo, Iris?>>

<<Andrò a lavorare anch’io, Nick. Mi spaccherò la schiena se necess…>>

<<Non dire stronzate!>>, gli urlò Nick a muso duro <<Tu vai a scuola e cerchi di uscire da questa merda!>>

<<Pecché ullate voi?>>

<<Kerry, tesoro.>>, disse Iris guardando la bambina che era uscita dalla porta dell’unica camera da letto di quella topaia.

Kerry si stava stropicciando gli occhi. Evidentemente stava dormendo e loro l’avevano svegliata.

Stan si avvicinò a lei e le si inginocchiò davanti. Si mise la mano nella tasca della giacca e la porse alla bambina, a cui di colpo si illuminarono gli occhi: <<Tieni piccola. Torniamo di là, ti va?>>

La piccola si rigirò fra le manine la barretta di cioccolata che Stan le aveva appena regalato e annuì, senza togliere gli occhi dal regalo appena ricevuto, quasi avesse paura che volasse via. Stan la prese in braccio e la riportò in camera, chiudendo la porta dietro di sé.

Nick e Iris, rimasti soli nella cucina, cioè l’unica altra stanza della casa, rimasero in silenzio alcuni istanti, guardando la porta dietro la quale i due erano spariti. Poi Nick volse nuovamente lo sguardo alla sorella. I suoi occhi erano tristi e disperati, ormai quasi come se quella fosse una maschera impossibile da togliere. Era molto tempo che non la vedeva sorridere. Per lei, per loro, l’inverno era cominciato molto prima. Quel freddo gelido e pungente che adesso ghiacciava le strade di New York, loro lo sentivano ormai da tantissimo tempo. Non ricordava nemmeno più da quanto.

Nick non si accorse che la sua mano si era stretta in un pugno e cominciò a parlare:<<Iris, io voglio che almeno loro ce la facciano a uscire da quest’incubo.>>, disse <<Permettimi di farlo.>>

Iris scosse la testa: <<Non posso, Nick. Non posso.>>, disse guardandolo con occhi umidi <<Ce la dobbiamo fare insieme. Usciremo insieme da questo incubo.>>

Stan era rimasto con le spalle attaccate alla porta. Strinse le labbra alle parole di Iris. Quindi, sempre con Kerry in braccio che era tutta intenta a divorare la cioccolata, si avvicinò al piccolo letto della piccola e ve la mise sopra.

<<Hai dormito poco stanotte.>>, le disse rimboccandole le coperte e ripensando al coro di ubriachi che li aveva tenuti tutti quanti svegli fino alle quattro e mezzo <<Perché non dormi ancora un po’?>>

<<Kerry non ha sonno.>>, disse lei. Ma i suoi occhi stanchi e uno sbadiglio la tradivano.

Stan le sorrise: <<Dormi, su. Se dormi, dopo lo zio Stan ti dà di nuovo la cioccolata.>>, disse prendendole dalle mani la carta ormai vuota.

La piccola sorrise fiduciosa e chiuse gli occhi. Stan restò a guardarla per pochi minuti, quanto le bastò per addormentarsi. Poi si sporse su di lei e la baciò dolcemente sulla fronte. Quindi si allontanò dal letto.

<<Stan…>>

La voce debole di sua madre, stesa nel letto matrimoniale in mezzo alla stanza, richiamò la sua attenzione. Stan si avvicinò a lei, e si inginocchiò accanto al letto, appoggiando le braccia sopra le coperte: <<Come stai oggi, mamma?>>

La donna sorrise. Il suo volto mostrava tutta la sofferenza e il dolore causati dalla lunga malattia: <<Sono viva, Stan.>>

Il ragazzo sorrise. Quello era un modo come un altro per non ammettere che la situazione peggiorava lentamente ogni giorno.

<<Forse… sarebbe meglio se fossi…>>

<<No, non dirlo, mamma.>>, le disse Stan precedendola <<Non dirlo nemmeno per scherzo.>>

La donna sorrise nuovamente: <<Ormai sono solo un peso per voi. Lo so che non pagate l’affitto per pagare le medicine. Hughes finora non vi ha cacciato solo perché era amico di vostro padre.>>

<<Tu non sarai mai un peso, mamma. Ce la faremo, vedrai.>>

La donna sorrise di nuovo, volgendo gli occhi al soffitto: <<Voi siete giovani. Dev’essere questo che vi rende tanto forti. Io ormai…>>

Una smorfia di dolore le contorse il volto.

<<Mamma…>>

<<Non preoccuparti, Stan. E’ già passato.>>, lo rassicurò lei con gli occhi chiusi <<Adesso vorrei riposare un po’. Scusami.>>

Stan annuì, alzandosi: <<Certo, mamma.>>

La baciò sulla guancia, rubandole un nuovo sorriso. Quindi si avviò a piccoli passi verso la porta. Prima di aprirla si portò una mano agli occhi. Non voleva che Nick e Iris lo vedessero piangere.

 

<<Mother doesn’t know where love has gone. She says it must be youth that keeps us feelin’ strong. I see her little face that’s turned to ice. And when she smiles she shows the lines of sacrifice.>> da “Through the barricades”, Spandau Ballet[1]

 

Parte I

 

Il yellow cab[2] si fermò a lato di un marciapiede. Il passeggero pagò la corsa e scese. Il tassista non passò un secondo di più in quel quartiere e pigiò forte sul gas, facendo fischiare le gomme e scomparendo nel giro di pochi secondi.

<<Aaaaaaaaaahhhhhh. Finalmente a casa!>>

Jet respirò a pieni polmoni l’aria gelida del primo inverno di New York, intrecciando le mani dietro la nuca e guardandosi intorno, come se vedesse quelle strade maleodoranti per la prima volta. Al buio della sera quelle strade sembravano ancora peggio. Non c’era nessuno in giro. E per quei pochi che c’erano, voleva dire che era meglio starne alla larga. Quel periodo di vacanza ci voleva proprio. Una macchina della polizia gli passò accanto a sirene spiegate e a tutta velocità. Jet la seguì con lo sguardo, lasciando che il colore delle luci girevoli gli illuminasse il viso e gli entrasse negli occhi. La vide scomparire come un lampo dietro un vicolo.

<<Mpff.>>, disse a voce alta scuotendo la testa <<Certe cose non cambiano mai.>>

Riprese a camminare, mettendosi le mani in tasca e guardando ogni minimo angolo della strada per imprimerselo ancora meglio in mente. Si sentì strattonare, e quasi cadde per terra. Il ragazzo che gli aveva causato la perdita dell’equilibrio si voltò appena, continuando ad allontanarsi: <<Mi scusi signore.>>

Jet scosse la testa: <<Ehi, vieni qui.>>

Il ragazzo non gli diede retta e si mise a correre.

“Illuso”, pensò Jet, cominciando a rincorrerlo.

La fuga del ragazzo durò poco. Jet lo raggiunse in pochi secondi, afferrandolo per un braccio e costringendolo a guardarlo in faccia.

<<Signore, mi lasci!>>, lo supplicò il ragazzo che non poteva avere più di 14 anni <<Non ho fatto niente.>>

Jet alzò gli occhi al cielo. Ma non erano riusciti a inventare qualcosa di nuovo in tutto quel tempo: <<Ridammi il portafoglio, amico.>>

Il ragazzo storse la bocca, rivelando tutta la sua colpevolezza nell’espressione accigliata che assunse il suo volto. Sospirò profondamente e si mise una mano nella tasca del giubbotto, tirandone fuori il portafoglio di Jet e rendendoglielo.

Jet glielo strappò di mano e fece per rimetterselo nella tasca della giacca, squadrando il ragazzo, che teneva gli occhi bassi. Doveva essere portoricano, o comunque di origini ispaniche. Era magro finito. Lo sentiva chiaramente dal suo braccio, che teneva ancora fra le mani. E i suoi vestiti erano troppo grandi per lui. Magari erano riciclati dal vecchio guardaroba di qualche suo fratello maggiore.

Jet sospirò: <<Quant’è che non mangi?>>

Il ragazzo alzò gli occhi, colmi di paura: <<Da un giorno, signore.>>

<<Non oso chiederti cos’hai mangiato.>>, disse Jet ritirando fuori il portafoglio e lasciando andare il braccio del ragazzo. Tirò fuori un biglietto da 50 dollari e lo porse al ragazzo: <<Non è granché, ma almeno oggi mangerai come si deve.>>

Il ragazzo guardò prima Jet e poi il biglietto verde, con gli occhi improvvisamente illuminati.

<<Su,>>, disse Jet agitando il biglietto <<Prendili! Che aspetti?!>>

<<Nostro padre… non vuole che facciamo l’elemosina.>>, rispose il ragazzo, quasi sconsolato.

Jet storse la bocca: <<Perché rubare è meglio, vero?>>, gli disse in tono di rimprovero. Ma il ragazzo ancora non li prese. Jet sospirò profondamente: <<Facciamo così: è una ricompensa per avermi ritrovato il portafoglio.>>

L’espressione del ragazzo cambiò di colpo: <<Veramente posso?>>

<<Ma certo, dai!>>

Il ragazzo prese finalmente il biglietto da 50 con la mano tremante.

<<E adesso vai, prima che cambi idea.>>

Non se lo fece ripetere due volte. Ringraziò Jet e scomparve dalla sua vista dopo pochi secondi.

Jet restò fermo, guardando nella direzione in cui il ragazzo era sparito per qualche istante. Poi riprese a camminare, scuotendo la testa: <<Certe cose non cambiano proprio mai.>>

Non era cambiato proprio niente. Era come se non se ne fosse mai andato. Anche quel buco di locale era sempre lì, al suo posto. Jet rimase fermo a guardare l’insegna di cui non andavano almeno la metà delle luci per un bel po’. Era tornato in quei luoghi, ma c’erano ferite troppo fresche nella sua anima per correre il rischio di riaprirle rincontrando chi le aveva provocate[3].

Si fece coraggio e cominciò a coprire lentamente la distanza che lo separava dal locale. Ad ogni passo che faceva sentiva il cuore aumentare il suo battito. Sulla soglia del locale si sentiva già il brusio proveniente dal piano di sotto, dove stava il locale vero e proprio. Esitò un attimo, ma finalmente si decise a scendere le scale.

Il locale era pieno, come al solito. L’attenzione di quasi tutta la clientela, per la maggior parte di sesso maschile, era calamitata dalla vecchia e malfunzionante tv in bianco e nero in un angolo in alte del locale, dietro il bancone. C’era una partita dei Knickerbockers[4] trasmessa in diretta. Giocavano al Madison Square Garden. Mancavano 4 secondi di gioco effettivi alla fine del quarto quarto, l’ultimo, e i Knicks stavano perdendo di due contro i Boston Celtics. Un giocatore della squadra di casa stava per beneficiare di due tiri liberi concessigli per aver subito fallo su tiro. Se li avesse segnati tutti e due sarebbe stato l’agognato pareggio[5]. Nel bar scese un insolito silenzio, quasi avessero paura anche loro di poter deconcentrare il giocatore con ogni più piccolo rumore proveniente da lì. Il giocatore palleggiò un paio di volte a terra, guardò verso il canestro e tirò. Fuori! Un coro di invettive e “fuck” vari accompagnò l’errore e la faccia sconsolata del giocatore inquadrata impietosamente dalla telecamera.

L’arbitro rese la palla al giocatore, per l’ultimo tiro libero. Stavolta fece canestro. I Celtics fecero la rimessa da fondo campo. Il tempo ricominciò a correre. A Boston bastò fare il gioco dei quattro cantoni e far passare i secondi rimasti. La sirena decretò la fine del match. I Knicks avevano perso di uno. Un coro di voci deluse e commenti acidi su “quell’idiota” si alzò nel locale.

Jet sospirò. Per un attimo era ritornato a essere un tifoso. Si guardò intorno sentendosi sollevato nel vedere che non c’era nessuno di sua conoscenza. Si avvicinò al bancone, ringraziando il cielo che tanta gente era così incavolata per l’esito della partita da alzarsi e andarsene a sbollire la rabbia da un’altra parte.

Si sedette e non appena la barista lo vide alzò una mano: <<Una bir…>>, la parola gli si bloccò in gola quando riconobbe la ragazza aldilà del bancone.

<<Jet!? Sei proprio tu?>>, lo precedette lei.

Jet chiuse la bocca, rimasta semiaperta con l’ultima sillaba della sua birra ancora dentro: <<Sì, sono io Iris.>>, disse annuendo.

<<Che accidenti ci fai qui?>>, gli chiese prendendo una birra da sotto il bancone e aprendola, per poi mettergliela davanti.

Jet prese la bottiglia e ne bevve un sorso: <<Così… è sempre utile ricordare da dove vieni.>>

Iris sorrise senza denti: <<Io pensavo che la gente, una volta andata via di qua, se ne tenesse ben alla larga.>>

<<Mi è sempre piaciuto distinguermi.>>, rispose lui bevendo un altro sorso di birra e guardandosi intorno.

Il locale si era svuotato. Evidentemente tanta gente era venuta lì solo perché era l’unico posto nell’isolato dove potevi bere birra e guardare la partita.

<<Nathalie non sta più da queste parti.>>, sentì la voce di Iris dirgli dietro l’orecchio <<Se ne sono andati qualche tempo fa.>>

Jet si voltò verso di lei. Si sentì sollevato nel soppesare le parole di Iris a una a una: <<Andati?>>, chiese aggrottando la fronte <<Lei e George?>>

Iris smise di asciugare un bicchiere, rimanendo ferma con lo straccio dentro il vetro e guardando Jet incuriosita: <<Allora lo sapevi.>>

Jet strinse le labbra, annuendo: <<Sono stato da queste parti qualche tempo fa…>>

Iris alzò le ciglia come se fosse sorpresa: <<Ah sì? Non lo sapevo.>>, disse tornando ad asciugare il bicchiere.

Notò una nota di irritazione nella sua voce: <<Pensavo te l’avessero detto.>>, disse Jet distogliendo gli occhi.

Iris mise il bicchiere ormai più che asciutto a posto: <<No, non lo sapevo. Per tua informazione, non parlo con Nathalie da anni. Dovresti saperlo, questo.>>, disse <<Comunque Gorge e Nathalie si sono sposati qualche mese fa e poi sono partiti per non so dove. Ho sentito che lui ha trovato lavoro da qualche altra parte, lontano da New York. Le Rose Blu, per quel che ne so, non esistono più.>>

“Cioè, dimenticatela definitivamente, caro il mio Jet.”, tradusse lui sorseggiando la birra “Non ti preoccupare Iris. L’ho già fatto non sai nemmeno da quanto.”

<<E tu come stai?>>, chiese lui sperando di riuscire a cambiare discorso <<Che ci fai a lavorare in un posto del genere?>>

Iris si mise a pulire il bancone con uno straccio: <<Ho bisogno di soldi, Jet. Ho maledettamente bisogno di soldi.>>, disse lasciando lo straccio sul bancone e asciugandosi la fronte con l’avambraccio.

Jet aggrottò la fronte: <<Problemi?>>

Iris fermò lo straccio che aveva ricominciato a strofinare sul bancone e guardò il locale. Non c’era molta gente. Phil non gli avrebbe detto niente se si fosse fermata un attimo. Sollevò lo straccio e lo buttò in malo modo sul bancone, davanti a Jet. Quindi appoggiò i gomiti sul tavolo e si mise la testa fra le mani, passandosene poi una fra i capelli, mentre l’altra andò a fare da base di appoggio al mento: <<Una montagna di problemi.>>, disse guardandolo in faccia <<Da dove vuoi che cominci? Nostro padre è morto l’inverno scorso perché una trave di ferro gli ha fracassato la testa. La ditta di costruzioni edili per cui lavorava non ci ha pagato un centesimo di risarcimento perché i loro avvocati erano molto più bravi di quelli che potevamo permetterci noi. Siamo rimasti senza il becco di un quattrino, mia madre si è ammalata di cancro alle ossa e non possiamo farla curare perché non siamo assicurati. Nick non riesce a trovare un lavoro decente perché nessuno ne dà a un ex teppista. E Stan sta ripercorrendo la strada del fratello. Allora, devo continuare?>>

Jet stava elucubrando tutta la vita degli ultimi sei mesi della ragazza che gli stava davanti e che lei stessa gli aveva raccontato in meno di 30 secondi. Sospirò profondamente: <<Mi dispiace, Iris. Mi dispiace.>>, disse abbassando gli occhi <<Lo so che non ti serve a niente, ma mi dispiace.>>

<<Ti sei dimenticata di Kerry. Ciao Jet.>>, disse Phil, il grasso e vecchio proprietario del locale, passando dietro a Iris con un paio di bottiglie di birra in mano.

Iris si portò la mano da sotto il mento alla faccia, mentre Jet seguiva Phil con lo sguardo fino ai clienti a cui aveva preso le birre.

<<Kerry?>>, chiese poi Jet tornando a volgersi a Iris, che si teneva ancora la faccia in una mano.

Lei liberò il suo volto dal palmo e annuì: <<Già, Kerry… mia figlia.>>, disse come se dovesse confessare qualcosa.

<<Tua figlia?>>, disse Jet sempre più incuriosito <<Hai una figlia?!>>

<<Già…>>, annuì Iris a labbra strette <<Ha due anni… e non ha un padre.>>

Jet non capì immediatamente il significato delle ultime parole, e gli ci volle un po’ per assimilarle del tutto: <<Capisco.>>

Iris annuì e dette uno sguardo distratto all’orologio. Era quasi mezzanotte.

<<Il mio turno è finito. Devo andare.>>, disse cominciando già a slacciarsi il grembiule nero dietro la schiena.

Jet rimase stordito per un attimo: <<Da sola… a quest’ora?>>

Iris stava già entrando nello stanzino che fungeva da spogliatoio: <<Lo faccio sempre.>>

<<Ti posso almeno accompagnare?>>, le chiese Jet alzandosi in piedi.

Iris alzò le spalle: <<Se ti va… aspettami qui. Non ci metterò molto.>>

Jet annuì e si rimise a sedere, mente Iris scomparve nello stanzino.

Si tolse il grembiule nero e aprì un armadietto nel quale era riposta la sua roba. Si dette un’occhiata al piccolo specchio che era appeso all’anta. Aveva gli occhi stanchi e un aspetto orribile. Avrebbe dovuto curarsene? Non aveva forse altri problemi ben più gravi di quale fosse il suo aspetto fisico in quel momento? Che effetto le aveva fatto rivederlo?

Afferrò il suo maglione di lana e se lo infilò, richiudendo l’armadietto dopo aver tirato fuori il resto delle sue cose. Si infilò la sciarpa e il cappotto che un tempo era appartenuto a sua madre, e uscì dallo stanzino. Venne fuori da dietro il bancone salutando Phil con una mano e facendo un cenno a Jet. Lui pagò il conto e la raggiunse.

Uscirono dal locale e Iris rabbrividì e si strinse nel cappotto per cercare di proteggersi dal freddo pungente. Cominciarono a camminare uno a fianco all’altro, restando in silenzio per qualche istante. Gli unici rumori che si sentivano erano quelli di sottofondo della metropoli.

<<Casa tua è a un paio di isolati da qui.>>, esordì Jet improvvisamente <<E’ sempre quella?>>

Iris annuì, tenendo gli occhi bassi: <<Sì, è sempre quella catapecchia.>>

Jet annuì, respirando a fondo.

<<Fino a quando Hughes non ci caccerà fuori perché non paghiamo l’affitto.>>, continuò lei alzando gli occhi verso un cielo di cui non si riuscivano a vedere le stelle.

Jet non disse niente, limitandosi a continuare a camminare tenendo gli occhi bassi. Non sapeva cosa dire. Qualunque parola gli sembrava assolutamente inutile e superflua.

<<E tu? Perché sei andato via da New York?>>, gli chiese Iris dopo qualche istante di silenzio.

Jet storse la bocca in una smorfia, pensando a una storia convincente da raccontarle. Non gli venne in mente niente, ma si sentì sollevato nel capire che quella domanda significava che lei non sapeva niente: <<E’ una lunga storia. Magari un giorno te la racconterò.>>

Iris si lasciò sfuggire una leggera risata.

<<Cosa c’è da ridere?>>, chiese Jet senza riuscire a trovare un solo motivo valido di quell’ilarità improvvisa.

Iris smise di ridere: <<E’ che… pensavo mi fosse passata… e invece…>>

<<Che cosa?>>, chiese Jet <<Cosa…>>

Iris respirò profondamente, riempiendosi i polmoni di aria gelida: <<Un tempo mi facevi andare in bestia quando non volevi mai raccontarmi niente di te.>>, gli rivelò <<Tu non te ne accorgevi, ma mi facevi rimanere male quando non volevi raccontarmi niente delle tue bravate.>>

Jet contorse il viso in una specie di smorfia sorpresa: <<Tu te la prendevi?>>

<<Sì, ma non te lo davo mai a vedere.>>, disse lei sorridendo <<Ero troppo orgogliosa.>>

Jet scosse la testa e alzò gli occhi al cielo, mettendosi a ridere: <<Non me ne sono mai accorto.>>, disse.

Iris sorrise. Ma era un sorriso amaro e Jet se ne accorse, smettendo immediatamente di ridere e schiarendosi la gola.

<<Lo so che non te ne accorgevi.>>, disse Iris cominciando a cercare le chiavi dentro la tasca del cappotto e facendole poi uscire, lasciando che tintinnassero nella sua mano <<Ma ormai credo che mi sia passata. Siamo arrivati.>>

Jet non si era nemmeno accorto di aver salito le scale che portavano al portone insieme a lei.

<<Sali insieme a me?>>, gli chiese Iris vedendo che l’aveva seguita sulle scale.

Jet sembrava perplesso: <<Beh…>>

<<Di sopra ci sono Kerry, mia madre e Stan e non ci sono stanze al riparo da occhi indiscreti.>>, lo rassicurò lei indovinando i suoi pensieri <<Ci sono caduta una volta. Non lascerò che succeda di nuovo.>>

Jet strinse le labbra in una specie di sorriso: <<Va bene.>>

Seguì Iris lungo le scale: <<Ti ricordi che siamo al quarto piano, vero?>>

<<Ricordo anche un ascensore. E’ possibile?>>, disse Jet ironico.

<<Io non lo ricordo neanche più.>>, rispose Iris <<Attento allo scalino.>>

Jet saltò lo scalino pericolante, esattamente come aveva fatto Iris. Poi quasi si scontrò contro la sua schiena, perché non si era accorto che lei si era fermata.

<<Lei cosa ci fa ancora qui?>>

Jet alzò gli occhi sopra la spalla di Iris, e vide un uomo vestito con un cappotto nero e un cappello a tesa larga sulla testa. L’uomo buttò a terra la sigaretta, spegnendola con la suola della scarpa, e alzò i suoi occhiali da sole verso di loro: <<Buonasera, signorina Callaghan. Stavo aspettando suo fratello.>>, le disse <<Mi ha aperto l’altro… ma mi ha detto che suo fratello Nicholas non c’era e così… Siamo disposti ad alzare ancora l’offerta.>>

<<Non mi importa.>>, sibilò Iris <<Andatevene.>>

L’uomo ghignò beffardo: <<E’ circa un’ora che sono qui e la coppia qui accanto ha litigato circa ogni dieci minuti.>>, disse avvicinandosi a lei <<Per quanto è disposta a sopportare ancora questo…>>, si fermò e si guardò intorno come se dovesse cercare la parola più adatta <<Questo letamaio. Potrebbe vivere in una vera casa se accettaste la nostra generosa offerta.>>

<<Ho detto di andarsene.>>, disse nuovamente Iris con voce tremante <<Non siamo interessati.>>

<<Suo fratello non mi sembrava così convinto.>>, insisté l’uomo <<In fondo è lui che deve decidere.>>

Jet avrebbe voluto mollargli un pugno e spaccargli quelle lenti scure sul naso: <<Se ne vada.>>, disse minaccioso.

L’uomo in nero sembrò accorgersi solo allora di lui: <<Oh, vedo che è in compagnia.>>, disse sprezzante <<Va bene. Tornerò… magari con argomenti più convincenti.>>

Passò loro accanto e cominciò a scendere le scale, facendole scricchiolare ad ogni passo. Passarono alcuni secondi, dopo i quali si sentì il portone del palazzo sbattere. Iris emise un profondo respiro, come se l’avesse trattenuto fino ad allora.

Jet le si parò davanti, con un’espressione interrogativa: <<Vuoi spiegarmi che diavolo sta succedendo?>>

Iris alzò gli occhi verso di lui, stringendosi le labbra. Poi scosse violentemente la testa: <<No, Jet. Non posso.>>, disse coprendo a lunghe falcate la distanza che la separava dalla porta.

Jet la fermò prima che aprisse la porta, posandole una mano sulla spalla: <<Iris…>>

<<Non posso… Non posso.>>

Iris aprì la porta e Jet la seguì dentro casa: <<Siete nei guai?>>

<<Jet, non parlare a voce così alta.>>, disse lei togliendosi il cappotto e buttandolo sul divano, per poi lasciarcisi andare sopra e massaggiarsi le tempie.

Lui prese il cappotto e lo spostò sulla poltrona, per sedersi accanto a lei: <<Iris, chi era quell’uomo?>>

<<Jet…>>

<<Chi era quell’uomo?>>, ripeté lui scandendo ogni minima sillaba.

Iris alzò gli occhi sull’orlo delle lacrime verso di lui. Incrociò le braccia sul petto, in un ultimo inutile, tentativo di barricata. Guardò gli occhi di Jet, chiedendosi cosa c’era dentro, chiedendosi se quell’uomo davanti a lei avrebbe potuto aiutarla, in che modo. Se sarebbe servito fare quello che le sue labbra stavano cominciando a fare da sole…

<<Jet… tu qui?>>

Gli occhi di tutti e due si spostarono su Nick, che era rimasto fermo sulla soglia di casa, con uno sguardo visibilmente sorpreso nel vedere l’inattesi ospite.

Jet si alzò in piedi: <<Salve, Nick.>>, disse porgendogli la mano <<E’ molto tempo che non ci vediamo. Come stai?>>

Nick guardò la mano tesa di Jet e poi guardò lui. Chiuse la porta dietro di sé e passò accanto a Jet senza stringergli la mano: <<Beh, credo che Iris ti abbia detto come stiamo.>>, disse togliendosi la giacca e abbandonandola su una sedia <<Di merda. Ecco come stiamo.>>

Nick andò a prendersi una birra in frigo e la stappò con un gesto nervoso, bevendone poi un sorso. Jet lo guardò perplesso: un tempo erano stati grandi amici. Ma gli sembrava che qualcosa si fosse incrinato. Aveva visto un qualcosa di simile alla rabbia, all’odio, negli occhi di Nick e un tono di accusa velata nei suoi confronti. Accusa di cosa? Di non essere stato presente mentre la loro vita andava lentamente a pezzi? Come poteva sapere lui?

Come poteva sapere Nick?

<<Credo che sia meglio che me ne vada. Si è fatto tardi.>>, disse Jet sentendo nell’aria di non essere più il benvenuto.

Si avviò verso la porta e Iris si alzò: <<Ti accompagno fino al portone.>>

<<Non è necessario.>>, disse Jet notando lo sguardo severo con cui Nick guardò la sorella.

<<Insisto.>>, disse lei aprendogli la porta e uscendo prima di lui.

Scesero silenziosamente le scale, fino al portone che dava sull’esterno. Iris lo aprì e uscì fuori, seguita da Jet.

<<Mi ha fatto piacere averti rincontrato, Jet.>>, disse Iris fermandosi sul pianerottolo tra il portone e le scale.

<<Anche a me. Ma non mi sembrava che Nick fosse molto felice di vedermi… e non riesco a capire il perché. Forse gli ho fatto qualcosa e non mi ricordo.>>

Iris alzò le spalle, stringendosi nel suo maglione di lana. Era uscita senza giacca e fuori faceva veramente freddo: <<E’ un periodaccio. Non te la devi prendere.>>

Jet annuì, non molto convinto: <<E’ meglio che vai adesso. Non voglio che tu ti prenda una polmonite.>>, poi mosse le labbra in una piccola smorfia, come se stesse riflettendo su qualcosa <<Facciamo così… se hai bisogno di me… alloggio al Leyton. Lo conosci, no? Il numero della stanza è il 119.>>

Iris annuì: <<Ve bene.>>

<<Buonanotte.>>, disse Jet cominciando a scendere le scale.

<<Buonanotte, Jet.>>

Iris lo guardò fino a quando non fu scomparso dalla sua vista, per poi rimanere ancora lì ferma per qualche istante. Avrebbe dovuto dirgli la verità? Tutta? Fino in fondo? Ne avrebbe avuto il coraggio se Nick non fosse entrato interrompendola.

Una folata di vento gelido le ricordò che era fuori. Sospirò profondamente e rientrò nel portone. Non aveva affatto voglia di affrontare Nick e tutto quello che le avrebbe detto su Jet. Ma non poteva nemmeno restare lì fuori a morire dal freddo.

 

<<I'm not ready for this, though I thought I would be. I can't see the future, though I thought I could see.>>, da “I still do”, Cranberries[6]  

 

Parte II  

<<Tutto a posto, Jet? Ti sento strano.>>

Jet fece un’espressione sorpresa. Aveva cercato di nascondere quella strana sensazione che sentiva dentro. Era preoccupato. Non aveva parlato a Françoise dell’uomo in nero, di Iris, di Nick e di tutti i loro casini. Aveva cercato di farsi sentire a posto, come se tutto andasse bene. Eppure lui si era accorto che qualcosa non andava. O non era un buon attore oppure Joe lo conosceva meglio di quanto lui stesso pensasse.

<<Ma no, Joe. Va tutto bene.>>, disse Jet cercando di essere convincente e voltando lo sguardo verso le mille luci di New York <<Forse rivedere New York mi ha fatto venire un po’ di malinconia. Tutto qui. Lì tutto a posto?>>

Joe, dall’altro capo del filo, esitò un attimo. Probabilmente aveva capito che Jet aveva voluto cambiare discorso. Tuttavia rispose: <<Sì, tutto a posto. Il professor Gilmore è andato a riposare un po’. Ieri notte ha fatto tardi nel suo laboratorio. Anche Ivan sta dormendo... e credo che lo farà ancora per parecchio. Per il resto… sono rimasto solo io.>>

<<Anche Françoise se n’è andata, eh?>>, disse Jet pregustandosi la battuta <<Rispetto a Parigi arrivi sempre secondo.>>

<<Credo che sia più che comprensibile.>>, rispose Joe <<Se Gilmore non me lo avesse impedito, sarei partito con lei. Dice che vuole approfittare di questo periodo per sottopormi ad alcuni tests e accertarsi che mi sia ripreso davvero e che il coma non abbia sballato niente[7]. Magari, la raggiungerò… se tutto questo finisce in fretta. Non ne posso più.>>

<<Ma sono passati quasi due mesi! Ma anche tu… non riesci a stare senza di lei nemmeno un paio di settimane?>>, chiese Jet sorpreso.

Joe restò in silenzio qualche secondo: <<L’idea di un po’ di tempo io e lei da soli a Parigi è allettante.>>

Jet annuì, comprendendo. Aveva voluto dire che lì in casa era impossibile starsene tranquilli. O forse non aveva voluto ammettere che non riusciva a stare senza di lei. Comunque…

Bussarono alla porta.

<<Chi diavolo è a quest’ora?>>

<<Che succede?>>

<<Bussano alla porta.>>, disse Jet alla cornetta <<Scusami un attimo.>>

Jet appoggiò il telefono sul letto e andò alla porta: <<Chi è?>>, chiese prima di aprire.

<<Sono Iris.>>

Jet trasalì. Che ci faceva lì a… guardò l’orologio… erano quasi le 3 di notte. Aprì la porta e si ritrovò proprio Iris davanti. Aveva gli occhi lucidi e gonfi, quelli di una persona che aveva appena pianto. Anche una guancia era rossa e gonfia, come se qualcuno le avesse mollato un ceffone.

<<Posso entrare?>>, gli chiese.

<<Ce… certo.>>, rispose Jet togliendosi dalla soglia e facendola entrare. Quando fu dentro, richiuse la porta <<Che cosa è successo?>>

Iris si sedette sul letto, con gli occhi bassi, contorcendosi le mani l’una dentro l’altra. Vedendo che non rispondeva, Jet si inginocchiò davanti a lei e le mise le mani sulle spalle, inducendola a guardarlo in faccia: <<Che diamine è successo?>>

<<Jet… Ehi, Jet! Che succede? Chi c’è lì con te?>>

Tutti e due si voltarono verso la cornetta che era rimasta sul letto dove Jet l’aveva lasciata: <<Oh, Cristo. Mi ero dimenticato…>>, Jet si sdraiò sul letto per raggiungere la cornetta <<Senti Joe… eh… Ti richiamo più tardi.>>

<<Chi accidenti c’è lì?>>

Jet esitò: <<Ti richiamo più tardi io. Buonanotte.>>, e riattaccò il telefono. Poi ci pensò su un attimo e lo staccò dalla sua base. Così nessuno l’avrebbe disturbato. Poi si ricompose a sedere sul bordo del letto, accanto ad Iris <<Allora? Ho appena sbattuto il telefono in faccia al mio migliore amico. Me lo spieghi cosa succede?>>

Iris restò in silenzio. Jet poteva sentire il suo respiro regolare, ma profondo: <<Vuoi un bicchiere d’acqua?>>, le chiese sperando di riuscire a cavarle almeno un sì o un no. Ma lei si limitò ad annuire. Jet sospirò profondamente e si alzò per andare al frigo. Prese un grosso e capiente bicchiere di carta da sopra l’elettrodomestico, da cui estrasse una bottiglia d’acqua, versandone il contenuto nel bicchiere, fino a riempirlo. Rimettendo l’acqua nel frigo, notò l’area freezer. La aprì e ne estrasse un contenitore per ghiaccio. Andò un attimo in bagno a prendere un asciugamano e, tornato al frigo, vi mise il ghiaccio dentro, chiudendo poi l’asciugamano attorno ai cubetti.

Tornò a sedersi sul letto, accanto ad Iris, porgendole il bicchiere d’acqua e quella specie di borsa del ghiaccio di fortuna. Lei prese l’una e l’altra: <<Grazie.>>, disse bevendo un lungo sorso d’acqua e portandosi l’asciugamano alla guancia gonfia.

Adesso, almeno, aveva smesso di singhiozzare. Jet restò in silenzio a guardarla ancora per qualche secondo, fino a quando Iris non ebbe staccato le sue labbra dal bicchiere: <<Chi è stato?>>, le chiese.

Iris sospirò: <<Nick. Abbiamo litigato.>>

Jet annuì. Avrebbe dovuto immaginarlo: <<Per causa mia?>>

Lei rimase zitta qualche secondo, stringendo le labbra: <<Anche.>>

<<Anche…>>, ripeté Jet a bassa voce <<Ma perché ce l’ha con me?>>, le chiese <<Non riesco a capire cosa gli ho fatto… oppure non lo ricordo. Io e lui siamo sempre stati buoni amici.>>

Iris si morse il labbro inferiore: <<E’ qualcosa che è successo dopo… dopo che tu te ne sei andato.>>, disse <<Ma non è tutta colpa tua. Non ti posso dire di più, Jet. Mi dispiace. Non chiedermi altro…>>

<<Ma Iris…>>

<<Per favore.>>, lo supplicò voltandosi con gli occhi verso di lui <<Non posso dirti altro. Credimi… è meglio così.>>

Jet richiuse la bocca, rinunciando a continuare su quell’argomento. Rimase in silenzio alcuni secondi, raccogliendo le idee: <<Va bene. E cos’è l’altro per cui avete litigato?>>

<<Jet…>>

<<Ha a che fare con l’uomo in nero?>>, chiese lui tirando a indovinare <<Chi è? Cosa vuole da voi?>>

Iris lo guardò di nuovo con gli occhi che lo pregavano di non costringerla a parlare. Ma stavolta Jet non desistette: <<Chi è? Non è uno strozzino, perché ha parlato di un’offerta. Allora? Un compratore di organi? Un…>>

<<Più o meno…>>, disse Iris abbassando gli occhi e stringendo l’asciugamano pieno di ghiaccio tra le mani.

Jet rimase ancora una volta con la bocca semiaperta per la sorpresa: <<Cosa vuol dire “più o meno”?>>

Iris alzò la testa, ma senza guardare Jet. Restò silenziosa qualche istante. Poi, lentamente, cominciò a parlare: <<Si è presentato da noi qualche settimana fa.>>, disse <<Dicendoci che forse aveva la soluzione a tutti i nostri problemi. Ci ha fatto vedere una ventiquattrore piena di dollari… non credo di averne mai visti così tanti tutti insieme in vita mia… ci ha detto che erano 500.000. Ci ha detto che...>>, Iris deglutì, come se stesse per ammettere qualcosa di terribile. Raccolse un profondo respiro e quando ricominciò a parlare la voce le tremava un po’ <<Ci ha detto che ce li avrebbe dati se… Nick avesse venduto loro il suo corpo.>>

Jet sgranò gli occhi, ma Iris non aveva finito: <<Ovviamente noi non abbiamo accettato. Lui ha richiuso la valigetta e ha detto che si sarebbe rifatto vivo. E ha mantenuto la parola. Da allora è venuto quasi ogni giorno e ogni volta con un’offerta sempre più alta. Adesso è arrivato a… 2 milioni di dollari. Ma… come hai sentito… è ancora disposto ad alzare l’offerta e… Nick sta vacillando.>>

Jet si alzò in piedi, passandosi le mani fra i capelli e cominciando a camminare nervosamente per la stanza. Arrivò davanti alla finestra, senza vedere ciò che c’era aldilà del vetro. Poi si girò nuovamente verso Iris, che adesso le dava le spalle: <<Nick sarebbe disposto a fare una cosa del genere?!>>

Iris annuì, anche se Jet non poteva capirlo bene: <<Te l’ho detto Jet. Siamo disperati. Abbiamo tremendamente bisogno di soldi.>>, disse lei <<Ma se il prezzo è mio fratello…>> si prese la testa fra le mani, ricominciando a singhiozzare sommessamente <<Non posso permetterglielo, Jet. Non posso… non posso…>>

Jet la guardò qualche istante, stringendo il pugno così forte che le nocche erano diventate bianche. Aveva la sensazione di sapere fin troppo bene chi poteva aver così bisogno di corpi giovani e forti da giocare sulla disperazione della gente, pur di ottenerli. Solo loro potevano avere mezzi finanziari così ingenti da potersi permettere di pagare quelle cifre. Potevano essere soltanto loro. Quei maledetti Fantasmi Neri. Avevano bisogno di corpi per trasformarli in cyborgs come avevano fatto a lui e ai suoi compagni. Non poteva permetterglielo. Li doveva fermare. Li dovevano fermare.

Si portò di nuovo davanti a lei, inginocchiandosi, davanti a lei e mettendole le mani sulle spalle. Iris lo guardò negli occhi, mettendogli istintivamente una mano sopra una di quelle che Jet aveva posato sulle sue spalle: <<Non glielo permetteremo.>>, le disse <<Vedrai, si risolverà tutto. Te lo prometto.>>

Lei annuì: <<Ti ringrazio, Jet.>>, gli disse cercando di sorridere <<Mi dispiace di essere piombata qui all’improvviso. Ma non sapevo dove altro andare. Tutti i nostri… amici… ci hanno abbandonato… io…>>

Jet scosse la testa: <<Non preoccuparti.>>, disse alzandosi <<Anzi… se…>> strinse le labbra mettendosi le mani nelle tasche e scrollando le spalle <<Se vuoi… se non te la senti di tornare a casa.. puoi rimanere qui… io dormirò sulla poltrona…>>

<<Ma…>>, Iris era sorpresa, ma in pochi secondi realizzò che effettivamente non aveva nessuna voglia di tornare a casa e rischiare di litigare nuovamente con Nick. Accennò un sorriso e annuì: <<Ti ringrazio, Jet. Non so come sdebitarmi.>>

<<Di nulla… io devo fare una… cosa… giù. Se intanto vuoi farti una doccia o… non so… io devo uscire. Questione di un quarto d’ora, mezz’ora al massimo.>>

<<Va bene.>>, rispose lei <<Ti ringrazio.>>

Jet si limitò a sorridere. Poi andò a prendere le chiavi lasciate sul tavolo della stanza accanto al frigo e uscì, avendo già bene in mente le prime cose da fare.

Doveva contattare Gilmore e 009, per prendere accordi e preparare le prime contromisure. 005 doveva essere in Arizona. Avrebbe potuto raggiungerlo facilmente lì a New York il giorno dopo.

 

<<I know the world can drive you to your knees. But when you need to cry, baby. Cry to me. Hold on, ‘til you feel a little stronger.>>, da “Hold on”, Jamie Walters[8]  

 

Parte III

 

Joe guardò la cornetta del telefono come se volesse mangiarla dalla rabbia. Gli aveva sbattuto il telefono in faccia! Razza di idiota. Aveva anche detto “buonanotte”! Non lo sapeva che lì in Giappone erano le 5 del pomeriggio?[9] Riattaccò il telefono sbattendolo praticamente sopra la base: <<Al diavolo!>>

Come fece per allontanarsi il telefono squillò nuovamente.

<<Razza di deficiente…>>, disse Joe riavvicinandosi. Riprese la cornetta in mano, con uno sguardo che a vederlo faceva paura: <<Grandissimo stronzo!>>

Dall’altro lato della cornetta ci furono alcuni istanti di silenzio: <<Uhmm… ciao amore. Ti amo tanto anch’io.>>

Lo sguardo di Joe cambiò radicalmente: <<Françoise… ah… io credevo che fosse Jet.>>, disse lui grattandosi la testa. Avrebbe voluto avere il fuoco di Chang per sprofondare sotto terra.

<<Ah, che sollievo.>>, rispose lei ironica dall’altro capo del filo <<Mi stavo giusto chiedendo che cosa avessi fatto per meritarmi cotanto aggettivo[10].>>

<<E’ una storia lunga.>>, rispose Joe cadendo pesantemente a sedere sul divano accanto al telefono.

<<Magari un giorno me la racconterai, eh?>>

<<Uhm… mi ha riattaccato il telefono in faccia.>>, tagliò corto Joe. Avrebbe dovuto dirle che aveva chiaramente sentito che qualcuno, anzi, “qualcuna” era entrata in camera sua e lui non aveva voluto dirgli chi era?

<<Considerato come tratti le persone al telefono non lo biasimo.>>, disse lei nuovamente ironica.

<<E dai… ho detto che mi dispiace.>>, rispose Joe quasi stizzito.

<<No, non l’avevi ancora detto.>>, gli fece notare lei.

Joe sospirò profondamente, portandosi una mano alla fronte: <<Sono profondamente dispiaciuto. Giuro che troverò il modo per farmi perdonare.>>

<<Uhm… suona bene.>>, disse lei quasi ridendo <<Mi stai restando fedele?>>

Joe sorrise nel sentire il tono scherzoso con cui l’aveva detto: <<Stai scherzando? Tu non hai idea di cosa mi sta facendo fare Gilmore!>>, rispose Joe ben contento di cambiare argomento <<Sono così stanco che non ho neanche la voglia di mettere il naso fuori casa. Non è che c’è il tuo zampino?>>

<<No… semmai io ho tutto l’interesse ad averti pienamente in forma. Non credi?>>

Joe rimase un po’ interdetto: <<Sei Françoise o Bretagna che mi sta facendo uno scherzo?>>

<<Come diavolo fai a pensare di scambiare la voce di Bretagna per la mia? Lui non può cambiare anche la voce, non ricordi?>>

Lui rise: <<No, non potrei. Mi stavo solo chiedendo da dove veniva fuori questa… malizia?>>

<<Uhm… mi manchi?>>

<<Così tanto?>>, le chiese Joe sdraiandosi sul divano e mettendosi comodo.

Gilmore lo stava osservando da un po’, senza che Joe si fosse accorto di niente. Un vago sorriso gli si disegnò sulle labbra e decise di andare oltre. Si sentiva un po’ indiscreto. E inoltre aveva un sacco di cose da fare nel suo laboratorio. I risultati degli ultimi tests che aveva fatto su Joe erano ottimi. Sembrava che il suo fisico e il suo cervello non si fossero nemmeno accorti di essere stati in coma per qualche giorno.

La porta scorrevole del laboratorio si aprì davanti a lui. Gilmore camminò nella stanza, dirigendosi verso la sua scrivania. Qualcosa, però, attirò la sua attenzione. La luce rossa lampeggiava. Era il sistema che sfruttava i satelliti in orbita intorno alla terra.

Gilmore spinse un bottone e la faccia di Jet apparve su un enorme schermo: <<Salve professore.>>, disse il ragazzo con un’espressione un po’ sorpresa, guardando il minuscolo apparecchio che sembrava una specie di orologio, di quelli da portarsi nei panciotti <<Allora questo coso funziona davvero!>>

Il professore sembrò piuttosto offeso: <<Certo che funziona, Jet! Cosa credevi?>>

<<No… niente…>>, si difese Jet.

<<Che cosa è successo?>>

Jet cambiò espressione, diventando piuttosto serio: <<Credo che ci siano dei problemi.>>, disse <<E credo che c’entrino i Fantasmi Neri.>>

Gilmore aggrottò la fronte: <<Che genere di problemi?>>

Jet si grattò la testa: <<Un mio amico… beh, ha ricevuto un’offerta piuttosto consistente in cambio del suo corpo.>>

<<Che cosa!?>>

<<E non è finita… io credo che… insomma, questo mio amico e la sua famiglia non se la passano troppo bene.>>, continuò Jet <<Hanno bisogno di soldi… insomma, credo che abbiano scelto lui perché è disperato.>>

Gilmore si lisciò il mento con una mano, chiudendo gli occhi, come per esaminare meglio le parole di Jet: <<Sei assolutamente sicuro che c’entrino i Fantasmi Neri?>>, chiese dopo un po’.

<<Sicuro no… però è probabile non crede.>>, disse il ragazzo <<Chi avrebbe interesse ad avere dei nuovi corpi umani a disposizione e chi è che può permettersi di spendere tali cifre. Qui si parla di milioni di dollari, dottore.>>

Gilmore sospirò: <<E così la tranquillità è finita…>>, disse quasi a bassa voce. Poi si rivolse nuovamente a Jet <<Ti farò raggiungere da 005 domani. Noi e il resto della squadra arriveremo col Dolphin appena possibile. Stai in attesa di ulteriori disposizioni e non fare mosse avventate.>>

002 annuì: <<Va bene, professore.>>, disse <<Ah… e si scusi con Joe da parte mia.>>

Gilmore aggrottò la fronte: <<Di cosa ti devi scusare?>>

<<Uhm…>>, Jet si grattò la testa <<Non ci siamo lasciati molto bene prima. Gli dica che poi gli spiegherò.>>

Gilmore non sembrava convinto, tuttavia annuì: <<Stai attento, Jet.>>, si raccomandò.

<<D’accordo professore.>>

La comunicazione si chiuse. La faccia del dottor Gilmore sparì dal piccolo display del microricevitore satellitare. Jet se lo rimise nella tasca dei pantaloni. Non era più grande di una bussola. Riprese la strada verso l’ascensore. Già… avrebbe trovato Iris in camera… Le aveva detto che poteva rimanere a dormire lì quella notte. Ma era veramente stata una buona idea. Un tempo lei era stata innamorata di lui. Lo sapeva. Lo aveva sempre saputo.

A quei tempi Jet era un ragazzo che voleva solo vivere la vita fino in fondo, giorno per giorno. Senza preoccuparsi troppo di quello che faceva. Con un unico pensiero: vivere al massimo. Naturalmente secondo la concezione di vita che aveva allora. Mentre l’ascensore saliva, Jet si sentiva uno stupido nel pensare a come aveva passato quegli anni. Gli sembravano stupide tutte quelle cose a cui un tempo aveva dato chissà quale valore.

Lui era il duro del quartiere, un capobanda. Di ragazze che si inginocchiavano ai suoi piedi ce n’erano a bizzeffe. Facevano parte del divertimento. E Iris era stata una di loro. Ma se allora non gliene era fregato assolutamente niente, adesso… si sentiva in colpa. Per lui non aveva voluto dire niente. Per lei… Cristo Santo… e pensare che aveva quasi fatto ammazzare Joe per averlo accusato ingiustamente di aver fatto la stessa cosa[11]. Un tempo gli avrebbe dato una pacca sulla spalla dicendo “così si fa”. E invece gli aveva dato un pugno, colmo di rabbia e disprezzo. Era cambiato così tanto?

L’ascensore si fermò. Jet coprì a lunghe falcate la distanza che lo portò davanti alla sua camera. Stava per aprire la porta, ma prima si ricordò di bussare.

<<Puoi entrare, Jet.>>

Jet aprì lentamente la porta: <<Ma Iris… sei ancora…>>

<<Scusami se ho preso il tuo accappatoio.>>, disse lei.

Era seduta su un lato del letto, con le gambe raccolte contro il petto, abbracciandosele. I suoi capelli erano ancora umidi.

<<Hai una maglietta da prestarmi?>>, chiese a Jet quando lui ebbe richiuso la porta.

Jet la guardò… imbarazzato? Nervoso? Si rese conto che quei pochi centimetri di pelle scoperta delle sue gambe che si intravedevano calamitavano i suoi occhi senza che lui riuscisse a far cambiar loro direzione. Ora che ci pensava, era la prima volta che si trovava da solo in camera con una donna da quando…

<<Sì, certo. Te la prendo subito.>>, rispose Jet imponendosi di muoversi e dirigendosi verso l’armadio, deglutendo. Aprì l’anta e guardò dentro <<Ho anche degli shorts, se vuoi.>>

Jet prese una maglietta e un paio di shorts, a caso, e si girò per lanciarli sul letto a sua portata di mano. Ma se la ritrovò davanti. Non si era neppure accorto che si fosse mossa, tanto era stata silenziosa. O forse era lui che era troppo su di giri? Era così vicina che riusciva a sentire distintamente il profumo dello shampo.

Cercò di riprendersi: <<Ecco.>>, disse porgendole gli indumenti.

Iris fece per prenderli, ma Jet mollò la presa non appena la sua mano venne sfiorata da quella di lei e la roba cadde a terra.

<<Mi dispiace…>>, disse Jet <<Sono una frana.>>

<<Non importa.>>, disse Iris chinandosi a raccogliere le cose e rialzandosi subito <<Mi sembra così strano…>>

Jet era perplesso: <<Cosa?>>

<<Un tempo ti saresti approfittato di una situazione del genere.>>, disse lei <<Ci stavo pensando… mentre eri via.>>

Jet capì perfettamente a cosa stesse alludendo: <<Beh, sono cambiato… ero solo un ragazzo stupido.>>

Iris sorrise: <<Era solo una facciata.>>, disse <<Credo che questo sia il vero Jet. Però…>>

<<Però cosa?>>, chiese lui aggrottando la fronte.

Iris esitò qualche istante, poi scosse la testa: <<Niente…>>, disse allontanandosi di qualche passo da lui e dandogli le spalle.

Jet la guardò allontanarsi da sé e provò quasi un senso di sollievo. Ma dopo appena un paio di passi, lei si voltò di scatto e Jet si ritrovò le sue braccia intorno al torace. L’aveva quasi fatto cadere per terra tanto l’aveva colto assolutamente di sorpresa.

<<Iris…>>

Lei alzò appena il viso: <<Jet, fai l’amore con me. Ti prego.>>

Jet sgranò gli occhi. Poi scosse la testa e la guardò diritto in faccia: <<No, Iris. Non posso… io…>>

Ma l’incontro con i suoi occhi fu quasi fatale. Qualunque cosa gli suggerisse la sua ragione fu sovrastata dal veemente risveglio del suo istinto. Si sentiva già pentito quando appoggiò le sue labbra su quelle di lei. Ma non bastò a fermarlo. Una voce sempre più flebile in un angolo della sua coscienza continuava a ripetergli che non doveva farlo. Ma ormai avvertiva già le mani di lei che cominciavano ad armeggiare coi suoi vestiti. La voce non si arrese e continuò a urlare. Ma Jet la sentiva appena. E smise di sentirla completamente quando l’accappatoio di Iris scivolò definitivamente a terra.

Non avrebbe più sentito quella voce fino al mattino dopo.

 

<< I know it's late, I know you're weary. I know your plans don't include me. Still here we are, both of us lonely, longing for shelter from all that we see. Why should we worry? No one will care. Look at the stars so far away. We've got tonight, who needs tomorrow?>> da “We’ve got tonight”, di Kenny Rogers[12]

 

Parte IV

<<Ehi, microbo! Cosa ci fa la tua faccia da culo da queste parti?>>

Stan si voltò, riconoscendo al volo la voce: <<Lasciami perdere, Brad.>>, disse continuando a camminare.

Brad era un ragazzo di non più di 18 anni. Si sentiva forte nel suo giubbotto di pelle borchiato. Sogghignò in modo per niente rassicurante: <<Avete sentito?>>, disse ai suoi cinque scagnozzi <<Ha detto di lasciarlo perdere. Peccato che abbia giusto voglia di divertirmi un po’. Anche voi ragazzi?>>

Stan cercò di non fermarsi, anche se aveva una gran voglia di tirargli un pugno su quella sua faccia da schiaffi. Ma sapeva benissimo che cosa intendeva Brad per “divertimento”. Ovvero, picchiarlo tanto per passare il tempo, torturarlo con le sigarette sulla pelle. Non voleva certo essere oggetto di quel genere di divertimento e loro erano in troppi per sperare di cavarsela con la violenza.

Ma Brad si accorse del tentativo di fuga: <<Prendetelo.>>, disse ai suoi.

Stan si mise a correre immediatamente a tutta velocità. Dopo pochi metri si guardò indietro. Gli erano già alle costole. Improvvisamente si scontrò contro qualcosa, non appena svoltò a un angolo, e fu scaraventato a terra dall’impatto.

<<Tutto bene, ragazzo?>>

Stan alzò gli occhi verso la voce che presumibilmente si rivolgeva a lui. Vide solo un enorme uomo dalla pelle rossa che lo guardava e gli tendeva una mano per aiutarlo a rialzarsi. Ma non ebbe nemmeno il tempo di rispondere, perché gli scagnozzi di Brad lo raggiunsero e lo “aiutarono” ad alzarsi in modo non proprio gentile.

<<No…>>, gemette il ragazzo cercando inutilmente di liberarsi.

<<Che cosa state facendo a quel ragazzo?>>

Gli scagnozzi, che già se ne stavano andando trascinando con loro Stan, guardarono l’uomo.

<<Fatti gli affaracci tuoi, muso rosso.>>, disse uno di loro brandendo un coltello e sbattendone ritmicamente la lama sul palmo di una mano in modo minaccioso <<Anche se sei grande e grosso non ci fai paura.>>

L’uomo guardò il ragazzo che aveva appena parlato e poi la lama del suo coltello: <<Credi di essere forte solo perché hai un coltello in mano?>>, chiese in tono pacato.

Il ragazzo col coltello aggrottò la fronte: <<Ma che diavolo blateri? Ora mi hai proprio rotto.>>

Si lanciò con il coltello in mano contro l’uomo, pronto a ficcarglielo da qualche parte. Però l’uomo gli bloccò il braccio e cominciò a stringere, facendogli cadere il coltello a terra, e facendo poi volare per terra il ragazzo.

<<Maledetto muso rosso. Torna nelle riserve!>>, gli urlò un altro lanciandosi contro di lui.

Anche questo finì a terra con un solo colpo.

I due che tenevano Stan lo mollarono e si lanciarono insieme contro l’uomo, ma senza migliori risultati dei loro compagni. Ne era rimasto solo uno. L’uomo lo guardò, sempre con quella sua espressione impassibile. Non era nemmeno sudato. Il ragazzo scappò via terrorizzato. E i suoi compagni lo seguirono non appena si furono rialzati. L’uomo e Stan li guardarono allontanarsi tra le strade sporche.

<<Tutto bene, ragazzo?>>, chiese allora l’uomo a Stan.

Stan lo guardò. Aveva uno sguardo che incuteva tranquillità, nonostante l’aspetto. Se quella mano avesse strinto una delle sue, l’avrebbe potuta rompere. Ma a Stan non incuteva paura. Si sentiva al sicuro. Riuscì perfino ad accennare un sorriso: <<S… Sì, non so come ringraziarla.>>

L’uomo sorrise vagamente, senza mostrare i denti.

<<0… Geronimo!>> l’uomo si voltò verso la voce che evidentemente lo aveva chiamato <<Ecco dove ti eri cacciato.>>, concluse l’uomo a cui apparteneva la voce raggiungendoli.

<<Ti avevo perso.>>, disse Geronimo al nuovo arrivato.

<<No, sono io che ho perso te.>>, poi si voltò verso il ragazzo, che lo stava guardando in uno strano modo <<Salve. Ci conosciamo?>>

Il ragazzo mosse la bocca senza dire niente. Poi finalmente uscirono delle parole dalle sue labbra: <<Tu sei Jet!>>

Jet aggrottò la fronte, squadrando il ragazzo da cima a fondo. Improvvisamente i suoi occhi si illuminarono: <<Stan!?>>

Il ragazzo annuì. Gli occhi gli brillavano manco si fosse trovato al cospetto del suo giocatore di baseball preferito.

<<Accidenti!>>, disse Jet <<Quando ti ho visto l’ultima volta eri un poppante. Adesso hai… quanto… 15 anni?>>

Stan annuì. Sembrava che avesse perso il dono della parola.

<<E perché non sei a scuola allora?>>, chiese Jet.

Il ragazzo strinse le labbra: <<Non mi interessa la scuola!>>

Jet aggrottò la fronte: <<Tuo fratello e tua sorella si sbattono come muli per farti studiare e tu dici che non ti interessa?>>

<<Io ho sempre detto che non mi interessava!>>, si difese Stan <<E poi non ricordo che tu frequentassi la scuola molto più di me.>>

Jet sospirò. Effettivamente non era lui la persona migliore per fare ramanzine del genere: <<Proprio per questo… Ah… lasciamo perdere.>>, disse con un gesto della mano.

<<Stan, che cosa ci fai qui?!>>

Il ragazzo si voltò verso la ragazza che li stava raggiungendo a grandi falcate con un sacchetto della spesa in mano.

<<Oh, no. Iris…>>

<<Non dovresti essere a scuola?!>>, gli disse Iris quando li raggiunse.

Stan abbassò gli occhi, senza rispondere.

<<Che cosa devo fare con te, Stan?!>>, lo rimproverò.

<<E tu dove sei stata stanotte?>>, le chiese Stan <<Perché non sei tornata? Kerry non riusciva a dormire perché tu non c’eri.>>

Iris accusò il colpo. Guardò Jet, che teneva gli occhi puntati da un’altra parte, proprio per evitare di incrociare il suo sguardo.

<<Sono stata da un’amica…>>, mentì Iris <<Tuo fratello mi ha fatto arrabbiare di brutto.>>

<<Sì… ho sentito.>>, disse Stan in un tono quasi d’accusa.

Iris sospirò: <<Porta questa roba a casa e di’ a Kerry che la mamma torna subito.>>

<<Gliel’ho ripetuto per tutta la notte.>>, disse Stan guardandola con uno sguardo di fuoco.

<<Per favore, Stan. Non rendere le cose più difficili di quanto non siano già.>>, lo pregò lei.

Stan prese il sacchetto in mano e si avviò verso casa senza dire una parola. Geronimo guardò l’uno e l’altra rimasti con lui: <<Credo che sia meglio scortarlo fino a casa. Quei teppisti potrebbero essere nei paraggi.>>

Si mise a seguire Stan da lontano, lasciando Jet e Iris da soli.

<<Mi dispiace di essere andata via…>> <<Io…>>

Avevano cominciato a parlare nello stesso momento, e questo non fece che aumentare l’imbarazzo. Passarono alcuni pesantissimi secondi di silenzio, sul sottofondo dei rumori metropolitani. In lontananza si sentì l’ennesima sirena della polizia.

<<Senti Iris.>>, cominciò Jet facendosi forza <<Per quello che è successo stanotte io…>>

<<Non pretendo niente Jet.>>, disse lei <<Sono stata io a volerlo. Non devi sentirti in qualche modo legato. Anzi, mi devo scusare per essermene andata via senza nemmeno salutarti stamattina.>>

Jet la guardò con le labbra strette. La faceva facile lei: <<Iris, non è così semplice.>>, disse <<Io… E’ stato un errore…>>

<<Jet, ti ho detto che non ti chiedo niente.>>, lo interruppe lei <<Lo so benissimo che per te non posso essere niente più di un’amica. Un tempo non ti facevi tutti questi problemi.>>

Jet sospirò: <<E mi preferivi come ero allora?>>

Iris lo guardò perplessa: <<Forse in un posto in cui i problemi ti sovrastano schiacciandoti,>> disse abbassando gli occhi <<è meglio vivere riuscendo a fregarsene.>>

<<Iris, non è fregandosi dei problemi che si riesce a risolverli.>>, disse Jet in un tono deciso che quasi sorprese Iris.

La ragazza respirò profondamente: <<Però, ogni tanto, dimenticarsene fa bene.>>

Jet aggrottò la fronte: <<Vuoi dire che sei venuta a letto con me solo per dimenticarti dei tuoi problemi?>>

Iris scosse la testa: <<No… non per quello, Jet. Però… almeno per una notte ho lasciato tutti i miei problemi fuori dalla stanza nella quale dormivo. Ne avevo bisogno. A te non capita mai di aver bisogno di staccare? Di dimenticarti di tutto? Anche solo per cinque miniti.>>

Jet annuì. Eccome se gli capitava.

<<Sai… ogni tanto ho bisogno di qualcosa per ricordarmi di essere viva, e non di esistere soltanto… E ho bisogno di sentirmi amata… perché il mondo non fa altro che darmi calci nel sedere.>>, continuò lei <<Sarà meglio andare a casa, adesso. Stan ha ragione. Kerry ha bisogno di me.>>, disse cominciando a camminare.

Lui la seguì. Camminarono in silenzio per alcun minuti.

<<Posso farti una domanda indiscreta?>>, chiese Jet a un certo punto.

Iris si limitò ad annuire.

<<Dov’è il padre di Kerry?>>

Iris sospirò, rimanendo silenziosa per alcuni istanti: <<Non lo so.>>

<<Ehm… sai almeno chi è?>>, chiese Jet cercando di smorzare l’audacia della domanda con un sorriso.

Iris fece una specie di risata: <<Certo che lo so.>>

<<E lui lo sa?>>, chiese Jet.

Iris ci pensò un attimo: <<No.>>, disse infine scuotendo la testa <<E credo che sia meglio che non lo sappia mai.>>

Jet alzò le ciglia: <<Perché? E’ un uomo così pessimo?>>

Lei scosse la testa: <<No… è che non voglio che si senta in qualche modo… obbligato a fare chissà che. Non stavamo nemmeno insieme… quando è successo.>>

Ormai erano arrivati a casa di Iris. Geronimo si era seduto sulle scale del condominio e si alzò non appena li vide arrivare.

<<Allora… ci vediamo.>>, disse Jet fermandosi sull’altro marciapiede <<Cerca di far ragionare Nick.>>

<<Certo.>>, disse lei <<E tu dimenticati di stanotte. Va bene?>>

Jet annuì, ma avrebbe voluto dirle che non era così facile. Per un circa duecento motivi. Ma Iris aveva già attraversato la strada, allontanandosi da lui.

Sentì un suono familiare e prese il microricevitore satellitare dalla tasca. Ne aprì il coperchio che copriva il display: <<Siamo pronti a partire.>>, gli disse 009 dal display <<Arriveremo stasera.>>

<<Bene.>>, rispose 002.

<<Lì come va?>>, chiese 009.

002 si guardò intorno, mentre 005 l’aveva ormai raggiunto: <<Ma, il tipo non si vede.>>, disse.

<<Uhm… e a te come va?>>, chiese Joe.

Jet trasalì: <<Che cosa intendi dire?>>

<<Chi è venuta in camera da te ieri sera?>>

Jet deglutì: <<Non sono cavoli tuoi.>>, tagliò corto.

<<Uhm… va bene.>>, rispose Joe <<Un’altra cosa.>>

<<Uff… dimmi.>>, sbuffò.

<<Quando a New York sono le 3 di notte in Giappone sono le 5 del pomeriggio.>>

Jet fece una faccia perplessa: <<E allora?>>

<<La prossima volta di’ buonasera, non buonanotte!>>  

 

<<Tell me, in a world without pity, do you think what I'm askin's too much? I just want something to hold on to and a little of that human touch>>, da “Human touch”, di Bruce Springsteen[13]

 

Parte V

 

<<Ehi… yuuuh… Jet, sei dei nostri?>>

<<E smettila!>>, sbottò Jet dando un colpo al braccio di Bretagna che gli sventolava davanti.

<<Allora ci sei.>>, disse Bretagna incrociando le braccia sul petto <<Sembravi su un altro pianeta.>>

Jet sbuffò: <<Sono presentissimo.>>, sibilò Jet.

Il suo sguardo si incrociò con quello di Joe, che non sembrava molto convinto. Jet cercò di guardare dall’altra parte.

<<Ripeto: sai soltanto di Nick come persone a cui abbiano fatto questo tipo di offerta, 002?>>, chiese Gilmore riportando la conversazione al suo argomento principale.

Jet annuì: <<Che io sappia, sì.>>

<<Uhm… però che strano.>>, disse 004 appoggiando la testa sulle braccia posate sullo schienale della sedia sulla quale sedeva al contrario.

<<Perché ti sembra strano?>>, chiese 002 <<Non mi credete forse?>>

004 alzò la testa perplesso: <<Io non ho detto questo.>>

<<Forse,>> intervenne 009 guardando Jet con uno sguardo strano <<intendeva semplicemente dire che è strano il loro modo di operare. Se è vero che si tratta dei Fantasmi Neri, loro una volta rapivano le persone. Non davano loro dei soldi.>>

002 si grattò la testa: <<Effettivamente non è così normale…>>

<<Forse vogliono essere sicuri di tenerli in pugno.>>, disse 003.

Gli occhi di tutti si voltarono verso di lei, invitandola a chiarire cosa aveva voluto dire: <<Beh,>> continuò <<E’ vero che gli danno dei soldi… ma se vengono traditi hanno modo di rifarsi sulla famiglia. Questo potrebbe essere un ottimo deterrente. Con… tanti di noi non avevano questa possibilità.>>

<<Non vogliono correre il rischio di essere traditi nuovamente. Forse stanno lavorando a qualcosa di grosso se usano mezzi tanto ingenti.>>

<<Probabilmente hanno sguinzagliato i loro cani da caccia per tutto il mondo.>>, disse Gilmore visibilmente preoccupato.

<<Alla ricerca di disperati in cerca di una via d’uscita.>>, continuò 004 <<Mi fanno sempre più schifo.>>, concluse alzandosi di scatto e facendo sobbalzare la sedia.

Nella sala di controllo del Dolphin, dove si erano riuniti tutti, cadde un silenzio assordante.

<<Beh, professor Gilmore.>>, disse 009 <<Come agiamo?>>

L’anziano scienziato chiuse gli occhi, per far lavorare meglio il cervello: <<Uhm… l’unica pista che abbiamo è quell’uomo.>>, disse <<Non ci resta che tenerlo d’occhio. Scoperti i suoi mandanti e dove agiscono, si vedrà.>>

<<Direi che io, 007 e 003 ci prenderemo la responsabilità di questa prima fase.>>, disse 009 alzandosi dal suo posto.

<<E io no?>>, esplose 002.

009 lo guardò: <<Non credo che sia una buona idea.>>, disse <<Quell’uomo ti ha già visto.>>

<<Stai scherzando?!>>, disse Jet lanciandosi su di lui e prendendolo per il bavero <<Non puoi lasciarmi fuori da questa missione.>>

<<No, non ho detto che ti lascio fuori da questa missione>>, disse 009 stringendo il polso di Jet fino al punto da costringerlo a mollare la presa <<Ho detto che per ora è meglio che ne resti fuori.>>

Jet sbuffò peggio di una locomotiva, tenendosi il polso che gli faceva piuttosto male. Joe gli aveva voluto ricordare chi era il più forte e chi aveva il comando. Tante volte se lo fosse dimenticato.

<<Dai, 002. Che problema c’è?>>, gli disse 004 dandogli una pacca sulla spalla <<Noi restiamo qui in caso di necessità. Ce la spassiamo, insomma.>>

<<Certo, 004.>>, disse 002 ancora risentito, ma più calmo <<Adesso scusatemi.>>

Jet uscì come una furia dalla stanza.

<<Perché lo hai lasciato fuori?>>, chiese Françoise avvicinandosi e rivolgendosi a Joe.

Joe la guardò, sospirando: <<L’ho detto, no?>>

<<Sì, hai detto una delle ragioni.>>, lo corresse lei <<Quelli sono suoi amici. Lo sai, vero?>>

Lui respirò a fondo: <<Appunto per questo. Mi sembra troppo coinvolto. E so per esperienza personale che non è un bene.>>, disse <<Rischia di fare qualcosa di avventato.>>

<<Joe ha ragione.>>, intervenne Albert <<Lo sai com’è fatto Jet. E’ impulsivo. Rischia di mandare all’aria tutto.>>

Françoise annuì: <<Lo capisco benissimo.>>, disse alzando gli occhi.

Jet, intanto, era uscito di sopra, e si era seduto lì dove il Dolphin presentava, all’esterno, l’unico punto su cui si potesse stare in piedi e camminare. Il velivolo era ammarato al largo della baia di New York. Da laggiù, nel buio profondo del largo mare, la sua città sembrava solo un enorme agglomerato di puntini luminosi.

<<Posso?>>

Jet non si voltò nemmeno: <<Guarda che io non sono Joe.>>

<<Lo so.>>, disse lei sedendosi accanto a lui.

<<E allora?>>

<<Sono preoccupata per te.>>, gli disse <<E lo è anche Joe. Lo sono tutti.>>

Jet strinse le labbra in una smorfia rabbiosa: <<Perché!? Io sto benissimo.>>

Françoise sospirò: <<Jet, non mentire. Non con me.>>

Lui non disse niente, guardando le luci della città malinconico. L’unico rumore che si sentiva era quello dell’acqua che sbatteva contro le pareti del Dolphin. Da lì si vedeva New York, ma non arrivava il suo fracasso.

<<Jet, ti ricordi di quando Joe è finito in coma?[14]>>

<<Certo.>>

<<Beh, allora tu mi hai detto che se avessi avuto bisogno di te, tu ci saresti sempre stato. Se avessi avuto bisogno di sfogarti, di una spalla su cui piangere… di qualcuno da prendere a pugni.>>

Jet annuì, ricordando: <<Sì, è vero.>>

<<Ecco.>>, disse lei accennando un sorriso <<E allora non dimenticare che la cosa è reciproca. Io capisco che tu voglia tenerti tutto dentro. Però ricorda che la nostra capienza non è infinita e che a forza di tenersi tutto dentro… prima o poi arriva la goccia che fa traboccare il vaso.>>

Jet sospirò, soppesando quelle parole: <<Joe è fortunato. L’ho sempre detto.>>, disse <<Visto che proprio ci tieni… Secondo te… il fatto è che non so nemmeno come porre il problema.>>, disse alzando gli occhi al cielo.

<<Jet…>>

<<Io… io mi sento in colpa per aver dato sfogo a un istinto puramente umano!>>

Le parole gli erano uscite di bocca come pallottole da una mitragliatrice, come se tutto d’un colpo avesse trovato le parole e il coraggio per dirlo.

<<Non capisco…>>

<<Io non volevo che succedesse… non volevo.>>, disse Jet scuotendo la testa <<Continuo a ripetermi che non ho approfittato della situazione… che è stata lei… e anche lei mi ha detto la stessa cosa… mi ha detto che lo ha voluto lei… ma io non riesco a togliermi questo senso di colpa dalla testa.>>

Françoise cominciava a capire cosa c’era scritto tra le righe di quel monologo confuso e scoordinato: <<Jet, tu hai fatto…>>

<<Sì!>>, esplose lui sottolineando il tutto con le mani <<Sono andato a letto con lei. Ma io non volevo… non volevo farlo. Io ho sempre saputo quello che lei provava per me e una volta… ne ho pure approfittato. Ma ero una persona diversa. Non volevo che succedesse ancora. Non volevo… Mi sento un verme. Mi faccio schifo.>>

<<Adesso dovrei darti un pugno?>>

I due si voltarono indietro. Joe era lì in piedi, dietro di loro: <<Mi spiace. Non ho potuto fare a meno di ascoltare.>>

Jet sospirò ritornando a guardare verso le luci della città: <<Sì, Joe. Dammi pure un pugno. Me lo merito.>>

Joe si sedette accanto a Françoise: <<Jet… non dicevo sul serio. Mi sembra che ti stia facendo troppi problemi.>>

<<E cosa dovrei fare secondo te?>>, gli chiese a muso duro.

<<Perché lo hai fatto?>>, gli chiese Joe.

<<Cosa?>>

<<Chiediti perché lo hai fatto.>>

Jet rimase perplesso, guardando Joe. Non riusciva a capire dove volesse arrivare a parare.

<<Jet, hai fatto l’amore con lei perché “volevi passare una notte diversa” o semplicemente perché avevi un estremo bisogno di un qualche contatto umano?>>, gli tradusse Françoise <<Credo che sia questo che vuole dire Joe.>>

Jet rifletté alcuni istanti su quello che gli aveva detto Françoise, sorprendendosi a porsi quella domanda.

<<Certo che non l’ho fatto per passare una notte diversa.>>, rispose Jet più a se stesso che agli altri due <<Forse un tempo lo avrei fatto… ora non più. Però non dovevo farlo ugualmente.>>

<<Jet, c’è qualcuno che soffrirà per questo?>>, chiese Joe <<A parte te, intendo.>>

Jet scosse la testa: <<Nessuno soffrirà per questo.>>

<<E Iris?>>

<<Iris… non è affatto pentita di averlo fatto.>>, disse Jet respirando a fondo <<Mi ha detto che lo ha voluto lei. Però io avrei dovuto fermarmi… non riesco a togliermelo dalla testa… io…>>

<<Jet.>>, lo fermò Joe <<La verità è che tu non eri pronto. Aldilà del fatto che possa essere più o meno giusto o sbagliato fare l’amore con una persona che non si ama, tu non eri pronto. Per tanto tempo hai vissuto facendo finta che certi colori non esistessero. E quando il tuo istinto ha tolto il bianco e nero con cui ti eri imposto di vedere la vita, sei come rimasto accecato e hai avuto paura. Tu ti senti in colpa perché hai infranto una regola che ti eri imposto. Perché sei un cyborg.>>

Jet era rimasto ad ascoltare quel lungo monologo in silenzio. Inizialmente aveva scosso la testa. Ma piano piano le parole di Joe avevano cominciato a sembrargli descrivere perfettamente come si sentiva.

<<Come analista saresti stato perfetto.>>, disse accennando un sorriso.

Joe sorrise: <<Il fatto è che ci sono semplicemente già passato. Solo che la cosa è stata più graduale.>>

<<Vi devo ringraziare… tutti e due.>>

<<E di che?>>, chiese Françoise <<Siamo amici, no?>>

<<Già… Bene.>>, disse Jet alzandosi <<Vi lascio con questa romanticissima veduta di New York. L’ho capito che siete venuti qui a consolarmi solo perché volevate questo posticino tranquillo tutto per voi.>>

<<Jet, sei il solito idiota.>>, disse Joe scuotendo la testa.

<<Ma tu guardalo… invece di ringraziarmi…>>, disse Jet allontanandosi <<Non fate tardi e non stancatevi troppo stanotte. Domani dovete lavorare.>>

   

<<I can see the world in a different light. Now it's easy to say where I went wrong, what I did right.>> da “Limelight”, Alan Parsons Project[15]

 

Parte VI 

 

<<Uhm… cosa stiamo aspettando esattamente?>>, chiese 007 guardando da un paio di centinaia di metri, nascosto insieme a 003 e 009 dietro un vicolo, il portone di un palazzo così fatiscente da chiedersi come facesse a restare in piedi. Ma la cosa che più gli sembrava incredibile era che la  gente ci vivesse dentro. Erano le 10 del mattino e faceva un freddo indecente.

<<Che l’uomo nero si faccia vivo.>>, rispose 009 <<Mi pare ovvio.>>

<<Uhm… e se non si fa vivo?>>

<<Arriverà, arriverà.>>

<<Sta uscendo qualcuno.>>, disse 003.

<<Beh, è tutta la mattina che vediamo uscire gente da lì.>>, disse 007 annoiato.

Uscirono tre persone, o meglio, una ragazzo, una ragazza e una bambina. I due avevano più o meno l’età di Joe e Françoise. La bambina poteva avere al massimo due o tre anni.

<<Perché non abbiamo portato anche Chang?>>, si lamentò 007 intirizzito <<Almeno ci scaldavamo un po’?>>

<<Sssht! Credi di riuscire a stare zitto per dieci secondi?>>, lo rimproverò 003 <<Sto cercando di ascoltare.>>

<<E che avranno mai da dirsi quei due?>>, chiese 007 a voce bassa.

<<Quei due sono gli amici di Jet.>>, rispose 009, con un volume di voce minimo.

007 fece una faccia sorpresa. Avrebbe voluto chiedere perché loro lo sapevano e lui no. Ma preferì starsene zitto.

<<Porti anche Kerry con te?>>, stava dicendo Nick ad Iris.

La ragazza guardò amorevolmente la bambina che scalpitava nella sua mano: <<Sì, ogni tanto bisogna pur farla uscire. La porto solo a fare un po’ di spesa.>>

Nick sorrise e si inginocchiò davanti alla bambina, arruffandogli i capelli con la mano: <<Ehi, piccolina. Non fare arrabbiare la mamma. Va bene?>>

La bambina annuì, ridendo: <<Cetto, tzio Nick.>>

<<Che carina.>>, si lasciò sfuggire Françoise dal suo punto d’ascolto.

<<Lo dai un bacino sulla guancia al tuo vecchio zio Nick?>>, le chiese il ragazzo.

La bambina sorrise con l’innocenza e la naturalezza che solo una piccola di quell’età può mostrare e lasciò la mano della madre per abbracciare lo zio e dargli un bacetto su una guancia. Nick la abbracciò, a sua volta. Poi si alzò in piedi portandosela in braccio e la fece andare sopra la sua testa, tenendola ben salda e facendole vedere il mondo dall’alto: <<Vola vola vola.>>, le diceva ogni volta che la tirava su.

La bambina sembrava divertirsi un mondo e sembrò altrettanto delusa quando Nick la rimise a terra: <<Adesso è meglio che andiate.>>, disse a entrambe.

<<Ci vediamo dopo allora.>>, disse Iris.

Nick annuì: <<Certo… ah, Iris.>>

La ragazza, che aveva già fatto qualche passo si voltò e inaspettatamente si trovò nell’abbraccio del fratello.

<<Che cosa vuol dire?>>, gli chiese quando si fu staccato da lei.

<<Che volevo chiederti scusa per l’altra sera.>>, disse Nick sorridendo.

Iris sorrise vagamente: <<Non importava, Nick. Siamo tutti molto nervosi ultimamente. Dobbiamo solo restare uniti, ma ogni tanto perdiamo il controllo.>>

<<Già…>>, disse Nick annuendo <<A dopo.>>

Iris si allontanò, portando Kerry con sé e facendo ben attenzione che non lasciasse mai la sua mano. Nick restò a guardarle mentre si allontanavano lungo la strada. Le sue labbra composero un’ultima parola, prima che lui rientrasse nel portone.

<<Cosa succede?>>, chiese 009 <<Ehi, 003!>>

003 era rimasta come sorpresa da qualcosa.

Stavolta 009 le mise una mano sulla spalla, scuotendola dalla specie di torpore nella quale sembrava caduta: <<Ehi… 003?!>>

<<007… cosa vuol dire so long?>>, chiese lei risvegliandosi improvvisamente.

<<So long? Che non lo sai? Vuol dire “addio”.>>, rispose 007 come se fosse la domanda più scema del mondo.

003 sospirò profondamente: <<Sì, lo sapevo.>>, disse <<Ma volevo essere sicura che fosse proprio quello che ha detto.>>

009 aggrottò la fronte: <<Chi?! Nick?!>>

Lei si limitò a volgere lo sguardo verso di lui e ad annuire, lentamente.

<<Oh mio Dio!>>, disse 007 <<Non avrà intenzione…>>

<<Temo proprio di sì.>>, disse 003 <<Purtroppo credo che abbia deciso di accettare quell’offerta.>>

007 e 009 si guardarono come storditi. Poi tutti e due guardarono nuovamente 003.

<<Dobbiamo fare qualcosa.>>, disse 009 <<Dobbiamo impedirgli di fare una sciocchezza del genere a tutti i costi!>>

007 puntò il gomito a un muro, per poi appoggiare la testa sulla mano, alzando gli occhi al cielo: <<Sì, certo. Tre sconosciuti arrivano dal nulla e gli dicono: “senti bello. Non puoi fare una cosa del genere perché noi siamo cyborgs e ci siamo passati prima di te. E sappiamo che sarebbe una sciocchezza.”>>

<<Io non intendevo questo.>>, disse 009.

<<E cosa intendevi?>>, chiese 007 volgendo appena le pupille verso di lui.

009 e 003 lo stavano fissando attentamente, e solo allora 007 se ne accorse. Guardò prima l’uno e poi l’altra. Quindi sospirò e incrociò le braccia sul petto, abbassando la testa e chiudendo gli occhi: <<Su, cosa dovrei fare?>>

009 e 003 si guardarono per un breve sguardo di intesa.

<<Prendi le sembianze di Nick.>>, disse 003.

<<Cosa?>>, chiese 007 sgranando gli occhi.

<<Prendi le sembianze di Nick e di’ di no al suo posto.>>, chiarì 009.

<<Ma…>>

007 fu per dire qualcosa, ma proprio in quel momento una macchina nera si fermò davanti al palazzo. Tutti e tre si voltarono a guardarla. Ne scese un uomo vestito completamente di nero.

<<Accidenti! Devono essere loro.>>, disse 009.

<<Infatti in quella valigia che tiene in mano ci sono dei soldi… e parecchi.>>, disse 003 stringendo le labbra.

009 si rivolse a 007: <<Muoviti!>>

<<Ma… e cosa faccio adesso?! Quelli sono già lì! Non ce la farò mai a precederli. Guardate, quello sta già entrando…>>

<<Quarta fila di finestre. La seconda alla tua destra.>>, disse 003.

007 la guardò perplesso: <<Eh?>>

<<Vola fino a quella finestra e fai quello che devi fare!>>, gli ordinò 009 indicandola con un braccio. Ed era il tono “non ammetto repliche!” che fece deglutire 007.

<<Va bene… va bene.>>, disse 007 trasformandosi in uccello <<Tocca sempre a me.>>

007 si allontanò velocemente e in pochi secondi fu arrivato alla finestra.

<<Cosa devo fare con lui?>>, disse 009 sbuffando e scuotendo la testa.

Intanto 007 picchiettò sul vetro della finestra.

<<Che ca…>>, Nick si voltò e quando vide l’uccello fermo sul davanzale si avvicinò e aprì il vetro <<Ehi, cosa c’è? Vuoi un pezzo di pane? Te ne darei se ne avessi.>>

L’uccello si infilò in casa, nonostante Nick avesse cercato di coprire tutta la finestra col suo corpo.

<<Ehi.. aspe…>>, Nick si voltò fulmineamente.

<<Salve.>>, disse 007 tornato al suo aspetto normale <<Mi dispiace, ma è per il tuo bene.>>

<<Cos… Ouch!>>

Nick si piegò in due, colpito in pieno dal pugno allo stomaco di 007. Proprio in quel momento bussarono alla porta.

“Accidenti… potevi metterci qualche secondo in più. Ora dove lo metto questo?!”, pensò 007 guardandosi nervosamente intorno. Vide una porta. Prese Nick su una spalla e lo trasportò fino a lì.

Bussarono nuovamente, e stavolta così forte che 007 temette che la porta cadesse giù.

<<Ehi, sono io. Signor Phelan, mi apra.>>

La porta portava a uno stanzino pieno di scope.

“Mi dispiace, amico, ma ti devo lasciare qui dentro.”, disse lasciando il corpo inerme di Nick dietro la porta.

Bussarono una terza volta. E ancora più forte.

<<Arrivo… arrivo.>>, disse 007 trasformandosi in Nick.

Aprì la porta e l’uomo in nero lo guardò da dietro le sue lenti scure.

<<Buongiorno.>>, disse l’uomo sogghignando.

007/Nick sorrise appena: <<Salve.>>

<<Non mi fa entrare? Guardi che ho portato tutto.>>, disse alzando la valigetta in modo che Nick potesse vederla.

<<Capisco… ma non sono più interessato.>>, disse 007/Nick senza togliersi dalla porta.

L’espressione dell’uomo si rabbuiò: <<Che cosa?!>>

<<Ha capito bene. Ci ho ripensato.>>, disse 007/Nick <<Capirà che è una scelta importante…>>

<<Vuole più soldi?>>, chiese l’uomo <<Le darò più soldi. Tre milioni di dollari.>>

007/Nick deglutì, fingendosi esitante. Un po’ di scena ci voleva: <<No io…>>

<<Razza di scansafatiche! Invece di cercare un lavoro vai a passare le giornate nei bar a ubriacarti!>>

Le voci venivano da fuori. 007/Nick si voltò indietro, più perché le trovava familiari che perché interessato dal litigio in sé.

<<Io faccio quello che mi pare!>>, urlò 009 rimanendo in equilibrio precario nonostante lo spintone di 003.

Gli altri due occupanti della macchina guardarono la scena divertiti.

<<Entra immediatamente in quella merda di portone e fila a casa!>>, urlò 003 spintonandolo nuovamente.

<<E va bene, va bene.>>, disse 009 entrando nel portone con un pass partout che funzionò al primo colpo.

<<Ehi, amico!>>, urlò uno degli occupanti dell’auto nero <<Ti sei fatto prendere bene al guinzaglio, eh?>>

<<Ehi tu!>>, gli disse 003 stizzita <<Non mi pare che nessuno ti abbia interpellato! Guarda di non rompere le palle e di chiudere quella ciabatta!>>

003 entrò e tirò quasi un sospiro di sollievo. Poi notò che 009 si era seduto a terra, con la schiena appoggiata alla porta, e stava ridendo come un matto.

<<Che cosa c’è di divertente?>>, gli chiese spazientita.

Joe cercò di calmarsi per poter rispondere: <<E c’è da chiederlo?! E’ stato troppo divertente vederti… no, che dico?... sentirti fare la “donna di strada volgare e senza peli sulla lingua”.>>

<<Razza di buffone!>>, gli sibilò Françoise con uno sguardo che avrebbe potuto incenerire un bue <<Non mi sono divertita affatto. Ho detto più volgarità in questi ultimi due minuti che in tutta la mia vita. Ma non c’era proprio nessun altro modo?>>

Joe continuò a ridere: <<Dovevamo sembrare due abitanti di questo quartiere, no?>>

003 restò a guardarlo scuotendo la testa per qualche secondo: <<Se hai finito di ridere possiamo anche andare, non credi?>>, disse avviandosi.

009 riuscì a riprendere a fatica il controllo e la seguì lungo le scale.

<<Allora non mi fa entrare?>>

L’uomo in nero lo chiese per la quarta volta a quello che pensava essere Nick.

<<Perché mi volete a tutti i costi?>

L’uomo sogghignò: <<Mi dispiace. Questo non posso dirglielo.>>

007/Nick aggrottò la fronte: <<Volete trasformarmi in un cyborg, vero?>>

L’uomo in nero si lasciò sfuggire un sussulto impercettibile. Ma a 007 non passò inosservato: “Bingo.”, pensò.

L’uomo respirò profondamente: <<Ah, allora ha capito.>>, disse <<Beh, sì. Tecnicamente è questo. Però è molto di più.>>

<<Che cosa intende dire?>>, chiese 007.

L’uomo sogghignò nuovamente: <<Glielo dirò in macchina.>>

<<No, lo voglio sapere adesso.>>

L’uomo sembrava cominciava a perdere la pazienza: <<Lei mi serve per avviare un progetto che porterà alla realizzazione del più potente cyborg mai conosciuto.>>, disse con voce tremante <<Lei sarà il prototipo. Quello con cui dimostrerò ai miei superiori che il mio cyborg è il più potente che si sia mai visto. Ha l’età, il fisico e l’intelligenza per sopportare il duro processo di trasformazione che richiede questo tipo di cyborg. Ho cercato uno come lei in tutto il mondo. Io ho bisogno di lei, ho bisogno del suo corpo. La sua famiglia ha bisogno di soldi. Io le offro i soldi e lei mi dà il suo corpo. Mi sembra uno scambio equo.>>

<<Quindi io sarei il primo?>>, chiese 007.

<<Certo!>>, sibilò l’uomo <<E l’unico… per adesso.>>

Stavolta fu 007/Nick a sogghignare. L’uomo non ebbe nemmeno il tempo di chiedere il perché di quello strano sorriso che un colpo in testa da dietro lo fece stramazzare a terra privo di sensi.

<<Grazie. E’ quello che volevamo sapere.>>, disse 007 guardando l’uomo inerte a terra. Poi si rivolse ai suoi due compagni che avevano sentito tutta la parte più importante della conversazione <<E adesso che facciamo?>>

009 guardò ancora qualche secondo il corpo dell’uomo che aveva steso a terra. Poi alzò gli occhi: <<Tu prendi le sue sembianze e vai via insieme ai quei due scagnozzi che lo stanno aspettando al piano di sotto. Però prima…>>

<<Prima cosa?>>, chiese 007 seguendo la direzione degli occhi di 009. La valigetta con i soldi giaceva riversa a terra accanto all’uomo <<Che cosa vuoi fare con quei soldi?>>

009 raccolse la valigetta e ne andò a svuotare il contenuto sul tavolo. Prese qualcosa dalla sua tasca e ve la infilò dentro. Quindi porse nuovamente la valigetta a 007.

<<E’ tutta tua.>>, disse.

007 prese la valigetta in mano: <<Che cosa ci hai messo dentro?>>

<<Una ricetrasmittente. Così saremo sicuri di localizzarti in qualunque momento.>>

<<Va bene.>>, disse 007 trasformandosi nell’uomo in nero <<Ma non so nemmeno come mi chiamo.>>

009 storse la bocca. Non ci aveva pensato: <<Uhm… arrangiati.>>

<<Come “arrangiati”?!>>

<<Cerca di scoprirlo da solo. Semmai ci rifaremo vivi noi. Se ci porterai alla loro base segreta non dovrai fare l’infiltrato per tanto tempo.>>

007 non sembrava del tutto convinto: <<Uhm… e sia. Fate presto però…>>, disse uscendo dalla porta.

003 e 009 rimasero soli insieme al corpo dell’uomo.

<<Lo portiamo con noi?>>, chiese 003 indicandolo.

<<Certo… anzi, andiamo.>>, rispose 009 prendendo di peso l’uomo sulla spalla.

003 ebbe un sussulto: <<Aspetta…>>

<<Che cosa c’è?>>

<<Una voce… di là… oltre quella porta.>>disse lei intimandogli di fare silenzio con un gesto della mano <<Sembra sofferente.>>

009 la guardò andare verso la porta indicatagli poco prima: <<Ma 003, non abbiamo tempo!>>

Lei non sembrò ascoltarlo e si portò fino alla porta, aprendola lentamente. Intanto, però, un paio di colpi dall’altra parte della stanza attirarono l’attenzione di entrambi.

<<Che cos’è?>>, chiese 009.

003, a cui era venuto quasi un colpo, tirò un sospiro di sollievo: <<Dietro quella porta c’è Nick.>>, disse <<Deve avercelo messo 007.>>

<<Chi c’è lì?>>, si sentì dire da dietro la porta in questione, insieme a un altro paio di colpi <<Aprite! Maledizione, aprite!>>

009 posò il corpo dell’uomo a terra e andò ad aprire la porta, che 007 aveva chiuso a chiave. Quasi gli sbatté contro il naso tanta fu la veemenza con cui Nick uscì fuori. Era stata tanto furiosa la sua uscita che gli ci volle qualche passo per riuscire a fermarsi e non cadere a terra.

Guardò i due estranei che si trovavano in casa sua: <<E voi chi diavolo siete?>>, chiese. Poi vide cha la ragazza aveva la mano sopra la maniglia della porta di camera e quest’ultima era aperta <<Ehi, cosa stai facendo?>>

La ragazza lo guardò con un’espressione neutra sul volto: <<C’è una donna che si stava lamentando.>>, disse.

<<Cosa?>>, disse Nick incredulo <<Io non sento niente.>>

<<E’ perché la sua voce è molto bassa. Quasi un sussurro…>>, disse lei.

<<Non è poss… oddio, mamma!>>

Nick si lanciò verso la porta e l’aprì. Françoise fece appena in tempo a scostarsi per non essere travolta. Vide Nick portarsi verso il letto matrimoniale al centro della stanza, dove giaceva una donna. Si portò appena sulla soglia, guardando la scena.

<<Mamma, cosa c’è?>>

Françoise restò qualche secondo in attesa. Poi scosse la testa. Avrebbe dovuto dirglielo?

<<Mamma… rispondi, per favore.>>

Joe si avvicinò a Françoise e si fermò accanto a lei, sulla soglia.

<<Che cosa…>>, il volto di lei lo fece trasalire <<Perché stai piangendo?>>

<<Il cuore di quella donna non batte più, Joe.>>, rispose lei sussurrando appena, in modo che Nick non sentisse <<Quella donna è morta.>>

   

<<Beyond the door there's peace, I'm sure. And I know there'll be no more tears in heaven...>> da “Tears n heaven”, Eric Clapton[16]

 

Parte VII

 

Jet salì di corsa le scale, a due a due. Sull’ultimo scalino, quello del piano dell’appartamento di Iris e della sua famiglia, trovò Françoise, seduta, con il mento appoggiato sulle ginocchia. Quando si accorse dell’arrivo di Jet, che si fermò qualche scalino più giù, mosse appena gli occhi.

<<Come… come sta… come stanno?>>

Françoise chiuse gli occhi: <<Come vuoi che stiano?>>

Jet annuì. Aveva fatto una domanda stupida. Avrebbe voluto muoversi. Ma sarebbe stata gradita la sua presenza? Iris avrebbe voluto vederlo? O sarebbe stato meglio girare sui tacchi e tornarsene da dove era venuto? Scomparire per sempre.

Mentre era assorto in questi pensieri, la sua attenzione fu catturata dalla figura piccola e delicata che uscì dalla porta dell’appartamento di Iris. Kerry aveva un orsacchiotto spelacchiato in una mano, mentre l’altra mano era alla bocca, in un gesto molto infantile. Anche Françoise notò la piccola.

Kerry si sedette proprio accanto alla ragazza: <<Tu sei amica di mamma?>>, le chiese.

Françoise sorrise: <<Non esattamente, piccola.>>

<<Pekké mamma sta piangendo?>>, chiese Kerry prendendo l’orsacchiotto con due mani e guardandolo negli occhi di plastica.

Françoise strinse le labbra. Kerry sembrava non essersi accorta di niente. O semplicemente non aveva capito. Cercò aiuto nello sguardo di Jet. Che cosa poteva dire a quella bambina. Non voleva mentirgli. Ma anche dire la totale verità non le sembrava il caso.

Jet incrociò gli occhi di Françoise e capì il suo disagio. Si sedette sullo scalino sotto il loro e sorrise a Kerry: <<Kerry, tu sai cosa è successo al nonno qualche tempo fa?>>

Kerry annuì, accarezzando l’orsacchiotto: <<Nonno Bill è volato in cielo. Mamma ha detto che lui ci guarda da dietro le nuvole.>>

Jet sorrise: <<E nonna volerà in cielo da tuo nonno…>>

<<Allora un giorno rivedrò anche lei?>>

Jet annuì: <<Sì, fra molto molto tempo. Il viaggio che hanno iniziato è molto lungo. Tuo nonno è partito un po’ prima e ora nonna lo raggiungerà.>>

Kerry guardò Jet con un’espressione perplessa: <<Allora nonno sarà contento ora. Anche nonna lo sarà.>>

<<Sì, perché sono di nuovo insieme.>>, disse Jet <<Tua madre piange perché… la nonna le mancherà ma… sa che era una cosa che prima o poi sarebbe successa e sa che la nonna è contenta per questo. Piangerà per un po’… ma tra un qualche tempo gli passerà. E tu dovrai aiutarla e non farla mai arrabbiare. Va bene?>>

Kerry annuì: <<Io non faccio mai arrabbiare mamma.>>, disse <Ma non posso andare a trovare nonno e nonna oltre le nuvole?>>

Jet scosse la testa: <<No. Vedi nel posto dove sono andati non accettano di buon grado i bambini piccoli come te. Quando sarai molto, molto più grande li raggiungerai. E poi starete sempre insieme.>>

Kerry accennò un sorriso. Poi la sua attenzione fu attirata da qualcosa dietro di lei. Jet seguì la direzione del suo sguardo, incontrando la figura di Iris. C’era un qualcosa di simile al sorriso sulle sue labbra. Il contrasto con gli occhi gonfi di lacrime era evidente.

<<Mamma, Jet dice che la nonna andrà dal nonno.>>, disse Kerry rialzandosi in piedi.

Iris annuì e si inginocchiò davanti alla figlioletta che le era venuta incontro: <<Sì, piccola. Vuoi andare a salutarla?>>

Kerry annuì, quindi si rivolse a Jet: <<Mi accompagni?>>

Jet sembrò piuttosto sorpreso: <<Chi? Io?>>, chiese indicandosi.

<<Sì, Jet per favore.>>, disse Iris <<Mia madre ti ricordava sempre con affetto. Le farà piacere se le dai un ultimo saluto.>>

Jet non sembrava molto convinto, ma dopo pochi secondi annuì e si alzò: <<Va bene. Andiamo piccola.>>, disse a Kerry.

<<Mi prendi in braccio?>>, le chiese la bambina con un sorriso a cui era impossibile dire di no.

<<Ma ceeerto.>>, disse Jet prendendola in collo e facendola virare un po’ nell’aria tenendola nelle braccia, mentre andava verso la porta.

Iris e Françoise li guardarono finché non furono scomparsi dentro l’appartamento. Dopodiché il silenzio ricadde sul piano. Quando in posti del genere succedono fatti del genere, anche chi urla sempre riprende la parola rispetto dalle parole accantonate in qualche remoto angolo della mente. Nessun urlo, litigio. Niente di niente. Perfino Hughes era venuto a fare le sue condoglianze e aveva detto a Nick e ad Iris che non solo avrebbe chiuso un occhio per un altro po’ di tempo, ma anche che se avevano bisogni di liquidi per il funerale, lui era disposto a prestare qualcosa. Glieli avrebbero ridati, aveva detto. Magari avrebbe fatto fare a Nick dei lavoretti al palazzo, facendosi ripagare a quel modo.

<<Grazie… io non sapevo come dirglielo.>>, disse Iris <<In questo momento non sono in grado di pensare a niente di concreto.>>

<<Figurati…>>

<<Mia madre sorrideva. Anche lei sapeva che era molto meglio così. Perché non riesco a capirlo anch’io?>>, chiese Iris non tanto a Françoise, quanto a se stessa.

<<Perché le volevi molto bene.>>, disse Françoise.

<<Sì, lo so… il resto era solo una stanza in penombra e il dolore.>>, disse Iris <<La vita non è tutto… è un contenitore che si riempie e si svuota. E quando è vuoto vuol dire che non vale più la pena tenerselo.>>

<<Ma siamo noi che dobbiamo riempire questo contenitore che ci è dato vuoto.>>, disse Françoise.

Iris annuì: <<Scusa… io non riesco a vedere altro che bianco e nero ora.>>, disse mettendosi la faccia in una mano <<Tu sei la sua…>>

Françoise guardò Iris troncandole la domanda in gola: <<Non sono la sua ragazza.>>, disse <<Sono solo una sua amica. Io e Jet siamo decisamente troppo diversi per poter stare insieme.

<<Beh, non vuol dire.>>, disse Iris sorridendo appena <<Anche mia madre e mio padre non avevano niente in comune. L’amore è complementarità…>>

<<… ma non opposizione continua. O qualcosa del genere. Lo ha detto Jet.>>, disse Françoise <<E poi sono già innamorata di un altro. Che tra l’altro è il miglior amico di Jet. Quindi dubito che Jet pensi anche solo di provarci.>>

Iris sorrise: <<E’ molto cambiato da quando stava qua… Un tempo ci provava con tutte. Non gliene fregava niente se era la ragazza del suo migliore amico.>>

Françoise sorrise: <<Sì, immagino.>>, disse <<Comunque mi piace pensare che non lo farebbe mai con me anche perché Joe gli romperebbe il muso.>>

Iris quasi rise: <<E’ geloso?>>

<<Uhm… non lo da a vedere, ma lo è.>>, rispose Françoise <<E pensa che io non me ne accorga.>>

Jet e Kerry uscirono dalla porta. Kerry era letteralmente abbrancata al braccio di Jet.

<<Dai, fai volare un’ata vota>>, stava supplicando Kerry saltellando come un grillo.

<<Ancora?!>>, chiese Jet <<Cosa vuoi fare da grande? L’astronauta?>>

<<Kerry vola vola.>>, mimò la bambina alzando entrambe le braccia e saltando.

Jet sorrise: <<E va bene.>>, disse prendendola con entrambe le braccia e sollevandola <<Tieniti forte, eh. Vola vola vola.>>

Kerry sembrava entusiasta mentre Jet la faceva girare come una trottola per aria.

<<Non so perché gli è sempre piaciuto questo gioco.>>, disse Iris guardando i due divertita <<Gli piace guardare il mondo dall’alto in basso.>>

Françoise non rispose e, non sentendo niente, Iris si voltò verso di lei: <<Ehi…>>

Françoise smise di fissare Jet e Kerry e si riebbe: <<Cosa? Ah, scusami. Ero sovrappensiero.>>

<<Sai che non so nemmeno il tuo nome?>>, disse Iris sorridendo <<Con tutto questo casino non te l’ho nemmeno chiesto.>>

Françoise sorrise: <<Mi chiamo Françoise.>>

Iris aggrottò la fronte: <<Sei di Montreal o di quelle parti là[17]?>>

Françoise scosse la testa: <<No, sono francese. Proprio francese. Addirittura di Parigi.>>

<<Come fa Jet a conoscere una francese?>>, chiese Iris sempre più sorpresa. Non tanto del fatto in sé, quanto di scoprire l’ennesima rivoluzione nella vita di un uomo che pensava di conoscere <<Fino a qualche anno fa, Jet usciva a malapena dal West Side?!>>

Françoise strinse le labbra: <<E’ una lunga storia.>>

Le due tornarono a guardare Jet e Kerry che stavano ancora giocherellando.

<<E’ una bambina meravigliosa.>>, disse Françoise.

Iris annuì: <<Già. Sono felice di non aver deciso di abortire quando scoprii di essere rimasta incinta, quasi... Dio… sono passati già tre anni. Purtroppo…>>, il volto di Iris si rabbuiò <<Ammetto che per le condizioni in cui eravamo era un rischio decidere di crescere un figlio da sola, senza un padre intendo. Ammetto di aver anche pensato all’eventualità di…>>, Iris scosse la testa, facendo volare via il pensiero dalla sua mente <<Fortunatamente Nick è stato una specie di padre per lei.>>

Françoise la guardò perplessa: <<Non sai proprio niente di dove sia finito il padre di Kerry?>>, chiese.

Iris restò in silenzio qualche secondo: <<Non voglio che si senta obbligato a fare qualcosa. Ormai è meglio che le cose restino come sono.>>

Non aveva risposto esattamente alla domanda, ma Françoise non ebbe il tempo di farglielo notare.

“003, 002.”

Entrambi i cyborgs ebbero un sussulto come sentirono la voce di 008 nelle loro radio, dentro la loro testa.

“Raggiungeteci subito. Abbiamo scoperto il nascondiglio del Fantasma Nero.”

<<Jet, dobbiamo andare.>>, disse Françoise.

<<Sì, sì… lo so.>>, disse Jet <<Su piccola Kerry. Giuro che un giorno di questi ti faccio volare il cielo con un dito. Adesso lo zio Jet deve andare.>>

La bambina, pur a malincuore, lasciò la presa.

<<Andiamo, Françoise.>>, disse avviandosi giù per le scale.

Françoise dette un ultimo cenno di saluto ad Iris e a Kerry e lo seguì giù per le scale e fuori dal portone. Gli si affiancò sulla strada, seguendolo.

<<Dove stiamo andando, Jet?>>, gli chiese quando si accorse che stavano girando quasi a caso.

<<In un posto dove sono sicuro che nessuno ci disturberà.>>

La ragazza si bloccò. E Jet si fermò appena qualche passo dopo di lei, guardandola perplesso: <<Che c’è?>>

<<Jet! Non è il momento di fare stupidi scherzi! Dobbiamo andare al Dolphin!>>, sibilò lei.

Jet sembrava sempre più perplesso. Alzò le spalle: <<Appunto… non vorrai che prenda il decollo qui in mezzo alla strada dove qualcuno mi può vedere?>>, disse allargando le braccia <<Non voglio finire sulla prima pagina del New York Times.>>

Françoise sembrava come stordita: <<Era questo che intendevi…>>

Lui fece una smorfia, come se non riuscisse a comprendere: <<Certo che era questo che…>>, fece qualche secondo di silenzio. Poi improvvisamente scoppiò a ridere <<Françoise, veramente non avrai pensato che… no, è troppo divertente.>>

Lei incrociò le braccia sul petto, con un’espressione piuttosto seccata. Ne aveva abbastanza di gente che rideva di lei quel giorno: <<Ti rendi conto di come me l’hai detto?>>

Jet si fermò, o almeno ci provò: <<Ah.. ho capito. Sì, ammetto che era ambigua la frase.>>, disse <<Ma dovresti sapere che non mi proverei mai a fare una cosa del genere. Io voglio vivere a lungo. Joe mi cancellerebbe dalla faccia della terra.>>

<<E allora non ridere.>>, disse stizzita lei <<Sei tu che l’hai sparata grossa.>>

Jet ebbe un ultimo sussulto di ilarità: <<Va bene, va bene.>>, disse <<Ho sbagliato io. Il fatto è che dove stiamo andando...>>

<<Sì, ho capito: ci portavi le tue conquiste.>>, disse Françoise sospirando e chiudendo gli occhi in uno slancio di esasperazione.

Lui smise finalmente di ridere e annuì: <<Già… forse è per quello che ho usato quell’espressione.>>, disse grattandosi la testa <<Mi dispiace. Non volevo offenderti.>>

<<Perdonato.>>, tagliò corto Françoise <<Adesso andiamo.>>

Jet annuì e ricominciò a camminare, con lei al fianco.

<<Posso farti una domanda indiscreta, Jet?>>

<<Certo.>>, rispose lui <<Ma non chiedermi di sedurti. Non potrei mai. Voglio vivere, te l’ho det… ouch.>>

Jet si massaggiò lì dove Françoise aveva mollato la gomitata, sorridendo divertito.

<<Sei sempre il solito stupido.>>, gli disse lei <<Volevo solo chiederti… cioè… ecco… E’ lì che tu ed Iris avete…>>

<<Fatto sesso? Sì.>>

Jet era stato diretto e conciso. Françoise aveva visto la sua espressione passare dal divertito al contratto nel giro delle sue poche parole. Si chiese se dovesse andare avanti, ma la sua bocca fu più veloce di ogni eventuale risposta a quella domanda: <<Quando è stato?>>

Lui contrasse ancora di più il volto, stringendosi nella sua giacca: <<Perché mi fai queste domande?>>

Françoise trasalì. Restò silenziosa, cercando una risposta che aggirasse quell’idea che gli frullava in testa. Non la trovò. Anzi, capì che non era stata una buona idea introdurre quel discorso prima di una missione. Bastava una minima distrazione per ritrovarsi all’altro mondo.

<<Lascia perdere, Jet.>>, disse stringendo le labbra in un sorriso tirato <<E’ solo una stupida curiosità. Anzi… perdonami per averti fatto domande così delicate.>>

Jet la guardò perplesso. Era sicuro che gli nascondesse qualcosa… ma magari era veramente solo una sua stupida curiosità.

<<Eccoci, siamo arrivati.>>, disse.

Françoise si guardò intorno. Erano in mezzo a dei magazzini abbandonati. In giro non  c’era nessuno.

<<Beh, adesso però dovrai stringerti a me.>>, disse Jet ritrovando quell’espressione divertita di poco prima.

<<Uhm… guarda che se ne approfitti per palparmi da qualche parte sarà peggio per te.>>

Jet rise: <<Oh oh… e cosa mi faresti?>>

Anche lei rise: <<Uhm… lo dico a Joe?>>

<<Azz…>>, disse Jet mostrando i denti <<Va bene.. cercherò di trattenermi. Allora, è pronta a spiccare il volo, mademoiselle?>>

Françoise annuì e gli salì sulle spalle: <<Andiamo, comandante.>>

Jet si alzò in volo, sfrecciando veloce verso il cielo, fino oltre la coltre di smog e nuvole che copriva la città.

   

<<Life isn’t everything.>>, da “Song for guy”, di Elton John[18]

 

Parte VIII

 

<<Ti conoscevo come una persona senza scrupoli, ma non pensavo che arrivassi ad approfittarti delle sciagure della gente pur di perseguire i tuoi scopi.>>

Gilmore guardava severamente l’uomo legato a una poltrona speciale davanti a lui. Conosceva quell’uomo. Un’intelligenza scientifica assolutamente magnifica. Adoperata e vissuta nel modo sbagliato.

<<Io non pensavo che tu arrivassi a tradire la scienza per le tue stupide crisi di coscienza, Gilmore.>>, disse l’uomo sprezzante, con lo sguardo carico di una lucida pazzia <<Ho dato tutta la mia vita a questo progetto. Se fosse andato a buon fine, i Fantasmi Neri avrebbero finalmente riconosciuto le mie capacità e mi avrebbero coperto di soldi e potere. E io sarei stato uno scienziato realizzato. La tua  tecnologia dei cyborgs della serie 00 è superata, Gilmore. Il futuro è del mio tipo di cyborg. Se riuscirò a uscire da qui e a portare a termine il mio progetto, ti dimostrerò che ho ragione spazzando via i tuoi miseri cyborgs senza che nemmeno tu te ne possa accorgere.>>

Gilmore lo guardò con uno sguardo carico di sdegno: <<Soldi e potere. E’ per questo che fai lo scienziato, Krueger?>>, gli disse <<Permettimi di dire che non accetto lezioni di etica da un individuo che pensa che la scienza sia questo. Se qui c’è qualcuno che ha tradito la scienza e soprattutto se stesso, quello sei proprio tu.>>

Krueger non rispose, limitandosi a guardare da un’altra parte, come se le parole del professore non l’avessero nemmeno sfiorato.

La porta della stanza si aprì.

<<Professore, siamo quasi arrivati.>>, disse 003 entrando.

Gilmore annuì: <<Va bene. Puoi andare.>>, disse.

003 annuì e uscì di nuovo dalla stanza, lasciando i due scienziati nuovamente soli, se si eccettuava la presenza di 001 che però dormiva profondamente sulla scrivania del dottor Gilmore.

La ragazza si riavviò lungo il corridoio dal quale era venuta. Per quanto ci provasse a lasciare i pensieri da parte, la sua testolina continuava a fare congetture e a cercare vie d’uscita a quello che le sembrava evidente. A tutto si mischiava il senso di colpa per non aver detto la verità a Jet. O almeno quella che lei pensava essere la verità.

“Non ho prove.”, continuava a pensare, mentendo a se stessa.

<<Che cos’hai, Françoise?>>

La voce di Albert la ricatapultò nel mondo reale. Era arrivata meccanicamente nella stanza di controllo. Tutti gli occhi dei suoi compagni erano puntati su di lei.

<<Cosa c’è?>>, le chiese nuovamente Punma <<Guarda, che se Joe ti fa soffrire ci pensiamo noi a dargli una lezione.>>

<<Ma perché dev’essere sempre colpa mia?>>, chiese Joe spazientito.

<Ah ah ah… il ragazzo si difende.>>, intervenne Chang <<E’ sicuramente colpevole. Su, confessa. Cos’altro hai fatto a questa povera ragazza?>>

Joe guardò Françoise con uno sguardo che la supplicava di scagionarlo. Lei non poté fare a meno di ridere: <<No, ragazzi. Stavolta non è colpa sua.>>, disse <<Sono solo un po’ pensierosa per fatti miei.>>

Joe sospirò: <<Ah…>>, poi fu come se un flash gli fosse passato per la testa <<Come sarebbe a dire stavolta?>>

Françoise andò a sedersi al suo posto, che era proprio accanto a lui: <<Joe, ti amo. Ma non posso negare che gran parte delle mie crisi personali degli ultimi anni siano in qualche modo implicate con te.>>, disse armeggiando con qualche comando, mentre gli altri ridevano di gusto e Joe la guardava sconsolato. Françoise sorrise, ma il suo sorriso si spense quando, per un attimo, incontrò lo sguardo perplesso che Jet teneva su di lei. Lei distolse immediatamente gli occhi, guardando i dati forniti dal computer <<Ecco, siamo arrivati.>>

L’ilarità si spense. Adesso era ora di lavorare. Il Dolphin si fermò a distanza di sicurezza. Tutti guardarono sullo schermo principale. Erano davanti a una base sottomarina, situata a qualche decina di chilometri dalle rive di New York.

<<Uhm… sembra piuttosto ben difesa.>>, considerò 004 lisciandosi il mento <<Non sarà facile entrare.>>

<<003, riesci a vedere di quali sistemi di difesa è dotata quella base?>>, chiese 009 fissando sempre lo schermo.

<<Già fatto.>>, disse lei <<Se ci avviciniamo di un altro centinaio di metri il loro sistema di allarme entrerà in funzione. Ci spareranno addosso con siluri ad alta precisione.>>

<<Uhm…>>, disse 009 riflettendo <<Forse 007 può fare qualcosa. Ci possiamo mettere in contatto radio con lui senza essere scoperti, 008?>>

<<Aspetta, sto lavorando sulla frequenza radio…>>, disse 008 lavorando su alcuni tasti <<Ecco fatto. Adesso per loro sarà impossibile intercettare le nostre conversazioni.>>

<<Ottimo lavoro, 008.>>, disse 009 avviando il contatto radio con 007 <<007… 007, mi senti?>>

Nessuna risposta.

<<Quell’idiota starà dormendo.>>, disse 004 spazientito.

<<O forse l’hanno scoperto.>>, aggiunse 006.

009 tamburellava nervosamente le dita sulla console: <<Uhm… Adesso ci penso io… ZEROZEROSETTEEEEEEEEEE!>>

<<Ehi, non c’è bisogno di urlare.>>, si sentì la voce di 007 <<Ti sento, ti sento.>>

<<Perché non rispondevi, allora?>>

<<Ehm… perché…>>

<<Stavi dormendo.>>, gli suggerì 004 sogghignando.

<<Ehm… beh, sì.>>

009 si prese la testa fra le mani, scuotendola, respirando profondamente nel tentativo di calmarsi: <<Riesci a disattivare quei sistemi di difesa?>>

<<Uhm… posso provarci.>>

<<E allora vai!>>, gli ordinò 009.

<<Subito.>>

La comunicazione si chiuse. 007 sospirò profondamente, seduto alla scrivania di Krueger: <<Uffa… stavo dormendo così bene.>>

Si alzò ed uscì dalla stanza, ritrovandosi in un lungo corridoio di luci al neon. Ormai conosceva bene la base e si diresse sicuro verso la sala controlli, che non era molto lontana da lì. Quando vi entrò dentro, tutti i suoi occupanti si alzarono in piedi, facendo il saluto militari.

<<Riposo.>>, disse 007/Krueger, con una voce scorbutica. Non era difficile imitare gli ufficiali dei Fantasmi Neri. Parlavano tutti allo stesso modo <<Novità?>>

<<Niente di importante, professor Krueger.>>, disse uno dei subalterni.

<<L’allarme non rileva niente?>>, chiese nuovamente 007/Krueger.

<<No, professore.>>, gli disse sempre lo stesso.

“Bene, è lui che controlla il sistema.”, pensò 007.

<<Ottimo.>>, disse 007/Krueger <<Ragazzo, per f… ehm, vammi a prendere una tazza di caffè!>>

<<Va bene, professore.>>

L’addetto al sistema di allarme si alzò e uscì dalla stanza. 007 si avvicinò alla console e la studiò, facendo attenzione che gli altri due che erano presenti in stanza non badassero a lui. Era decisamente la console che regolava il sistema di allarme. L’aveva studiata attentamente il giorno prima. I suoi compagni avrebbero fatto bene a ricredersi sul suo conto. Lui era efficientissimo. Cercò una levetta rossa, in alto, sulla sinistra. Eccola. Tramite quella leva poteva facilmente disattivare il sistema di allarme per il tempo sufficiente affinché il Dolphin entrasse nella base indisturbato. Era quella che serviva per far entrare i veicoli dei Fantasmi Neri. Apriva anche il portello di entrata sul davanti.

Guardò nuovamente che nessuno badasse a lui, e spinse la leva.

<<Il sistema di allarme è disattivato.>>, disse 003 all’interno del Dolphin.

<<Ottimo, andiamo.>>, disse 009 avviando nuovamente i motori.

Il Dolphin si mosse veloce.

<<C’è un’entrata, sul davanti, 009. E’ aperta.>>, disse 003.

<<L’ho vista. Ci entro subito.>>

Il Dolphin entrò nella fessura: <<Emersione.>>, avvisò 009 <<003, 006 vi lascio il comando del Dolphin. Gli altri si preparino a uscire.>>

<<Temevo che mi lasciassi a terra anche stavolta.>>, disse 002 alzandosi e avviandosi con gli altri verso l’uscita.

<<Se non ti muovi lo faccio davvero.>>, gli intimò 009.

Il Dolphin emerse dalla superficie d’acqua.

<<E quello cos’è?>>, chiese uno degli uomini di guardia <<Nessuno ci ha avv… AAAAAAAAH.>>   

La guardia fu presa in pieno da una folata di proiettili sparati da 004: <<Fuori uno.>> 004 cominciò a sparare sulle altre guardie, facendole fuori ad una ad una <<Campo libero, gente.>>

<<Ottimo lavoro, 004.>>, disse 009 <<Usciamo. Avranno già dato l’allarme. Facciamo quello che abbiamo deciso e torniamo subito qui.>>

I cyborgs si divisero in due gruppi. 002, 004 e 005 presero il corridoio che sulla destra. 008 e 009 quello sulla sinistra.

<<Maledizione, siamo attaccati professore!>>, urlò uno degli uomini nella sala controlli.

<<Ah, davvero?>>

<<Cosa? Ma…>>, le parole del subalterno si bloccarono in gola quando vide il professore, o colui che credeva essere il professore, con una pistola in mano.

<<Mi dispiace.>>, disse 007 sparando a entrambi. Quindi cominciò a sparare all’impazzata sui comandi della sala, mandandoli in tilt.

<<Che cosa…>>

007 sparò anche all’uomo di ritorno col suo caffè: <<Grazie per il caffè, amico.>>

009 alzò gli occhi verso le luci che cominciavano a fare le bizze, perché tutto il sistema era andato in tilt: <<Bene, 007 ha fatto il suo lavoro.>>

<<Siamo arrivati, 009.>>, disse 008 fermandosi davanti a una porta <<Questo è il laboratorio di Krueger.>>

<<Con tutti i suoi preziosissimi dati.>>, sogghignò 009 prendendo la sua pistola e cominciando ad aprire un’apertura con il laser <<Entriamo.>>

I due cyborgs entrarono nella stanza, illuminata ora dal sistema elettrico di emergenza.

<<Dove la mettiamo?>>, chiese 008 guardandosi intorno.

<<Uhm… che di ne dici di quel marchingegno?>>, disse 009 indicando una specie di capsula verticale.

008 annuì: <<Va bene.>>

009 restò a guardare, mentre 008 saliva fino alla capsula e vi attaccava la bomba.

<<Fatto.>>, disse 008 premendo un bottone sull’ordigno che fece accendere un led rosso.

<<Bene, andiamo.>>

I due uscirono dal laboratorio e tornarono sui loro passi, dirigendosi verso il Dolphin, facendo facilmente fuori tutti quelli che si paravano sulla loro strada.

<<Ehi, salve ragazzi.>>

007 si unì a loro, provenendo da un altro corridoio.

<<Ehi, 007.>>, lo salutò 009 continuando a correre <<Buon lavoro.>>

<<Sono stato bravo, eh?>>

<<Già, ma la prossima volta non ti addormentare.>>

<<Ecco, lo sapevo io che avevi qualcosa da ridire.>>, disse 007 alzando gli occhi al cielo <<Per un piccolo sonnellino.>>

<<Siamo arrivati.>>, disse 008.

Il Dolphin aveva già acceso i motori, pronto ad andare via. I tre si fiondarono dentro e il portone si richiuse dietro 009, che era entrato per ultimo.

<<Bene.>>, disse 002 già ai comandi del Dolphin <<Partenza.>>

Il Dolphin si reimmerse sott’acqua. Con un missile distrusse il portellone che si era richiuso e uscì nel mare aperto, allontanandosi velocemente.

<<Adesso, 008.>>, ordinò 009 quando furono a distanza di sicurezza.

<<Ok.>>

008 premette un pulsante sulla sua console.

I led rossi posti sopra i due ordigni piazzati dai cyborgs nella base dei Fantasmi Neri diventarono verdi. L’esplosione fu fortissima e causò uno spostamento d’acqua che fu avvertito chiaramente anche dal Dolphin, nonostante fosse già abbastanza lontano. Tanto che 009 e 007, che erano in piedi all’interno della sala di controllo, persero l’equilibrio e si ritrovarono per terra.

<<007, ti toglieresti dal mio stomaco? Pesi.>>

<<Ohi ohi.>>, si lamentò Bretagna alzandosi a fatica <<Ma non avrete esagerato con quelle cariche esplosive?>>

<<Non capisco…>>, disse 008 <<Non pensavo di averle fatte così potenti.>>

<<Non avete tenuto conto dell’esplosivo presente nella base.>>, suggerì Gilmore entrando.

<<Uhm… è vero.>>, ammise 008 <<Non ci avevo pensato.>>

<<Professore, ha lasciato Krueger da solo.>>, gli fece notare 009.

Gilmore annuì: <<In realtà l’ho lasciato andare.>>, disse <<Credo che la punizione che gli avrebbero riservato i Fantasmi Neri sarebbe stata più che adeguata. Evidentemente anche lui lo sapeva e… non ha fatto niente per fuggire da quella base benché sapesse che sarebbe saltata in aria.>>

009 annuì. Il professore aveva ragione.

Il Dolphin riemerse in superficie. Non appena l’operazione di emersione fu conclusa, Jet si alzò come un fulmine e prese Françoise per un braccio, costringendola ad alzarsi: <<Vieni con me.>>

<<Ma…>>

<<Ehi, Jet.>>, intervenne Joe stringendogli una spalla con una mano <<Che ti salta in mente?>>

Jet si voltò verso di lui con uno sguardo di ghiaccio: <<Non ti preoccupare, Joe. Niente che turbi la vostra armonia di coppia. Dobbiamo solo riprendere un discorso.>>

<<Jet…>>, lo supplicò Françoise <<ti ho già detto che era solo una mia stupida curiosità. Non è il caso di…>>

<<Lascia che sia io a decidere se è il caso o no!>>, urlò Jet <<Ti conosco troppo bene. Non mi avresti mai fatto una domanda del genere se fosse stata solo una tua curiosità! Non mi prendere per i fondelli!>>

<<Ma…>>, cercò di ribattere lei, sentendosi come un pugile alle corde.

<<Niente ma!>>, gridò Jet <<E’ stato tre anni fa. L’estate di tre anni fa. Adesso dimmi perché hai voluto saperlo.>>

Françoise rimase come se quelle parole fossero state una freccia che l’avesse colpita in pieno.

<<Allora?>>, disse Jet spazientito strattonandola per un braccio.

Lei fece una smorfia di dolore a quella mossa di Jet e questo fece saltare definitivamente i nervi a Joe, che lo prese per il bavero costringendolo a mollare la presa: <<Razza di cretino! Adesso stai esagerando!>>

<<Lasciami stare, Joe.>>, gli disse Jet stizzito <<Non sono fatti tuoi.>>

<<No, sono fatti miei eccome.>>, sibilò Joe lasciandolo andare con uno spintone <<Non ti permetto di trattarla così!>>

<<Joe ha ragione, Jet.>> si aggiunse Albert <<Hai esagerato.>>

<<Torna tutto…>>

<<Le donne non si toccano nemmeno con un fiore.>>, disse Bretagna <<Non lo sai, Jet?>>

<<Ho detto che è un questione fra me e lei!>>, urlò Jet. Poi fu come se un lampo gli attraversasse la mente. Rivolse lo sguardo a Françoise, che si stava ancora massaggiando il braccio e lo stava guardando sconvolta <<Cosa… cos’è che torna?>>

Lei distolse lo sguardo, serrando le labbra.

Jet, che era ancora mezzo sbilenco per lo spintone di Joe, si rimise in equilibrio e si riavvicinò a lei, incurante dello sguardo inceneritore di Joe che lo avvertiva di starsene ad almeno due metri di distanza da lei. Jet la prese per le spalle e la costrinse a guardarlo: <<Françoise, cos’è che torna? Dimmelo!>>

Joe aveva già preso Jet per una spalla pronto a mollargli un pugno non appena si fosse voltato…

<<Tu potresti essere il padre di Kerry, Jet.>>, disse lei improvvisamente, tutto d’un fiato <<Non ci hai pensato?>>

La faccia di Jet si pietrificò in un’espressione a metà tra l’incredulo e l’irreale. Il suo cervello rielaborò la parole di Françoise per un numero infinito di volte, fino a quando non le ebbe metabolizzate, fino a quando non fu sicuro, certo al 100% di cosa volessero dire.

<<No… non è possibile…>>, disse Jet senza abbandonare quella sua espressione. Ma il suo cervello si era già imbarcato a fare quei conti. Quando era successo, l’età di Kerry, il suo volto, l’atteggiamento di Iris, il risentimento inspiegabile di Nick nei suoi confronti… tutto quanto sembrava portare a lui. Solo e unicamente a lui.

<<Io…>>, Françoise guardava Jet che adesso aveva mollato la presa su di lei senza nemmeno accorgersene. Sentiva il dovere di spiegarle come le fosse venuta in mente quell’idea, gli indizi, tutto quanto. Soprattutto voleva dirgli che non era sicura di niente. Che era solo un’idea <<Jet, io non so se sia vero. Ho detto che “potresti essere”. Non sono sicura che tu sia.>>

Jet aveva appoggiato i palme delle mani su una console e adesso stava dando le spalle a tutti: <<Françoise, Bretagna, Joe.>>, la sua voce era bassa e calma <<Voi avete visto Kerry. Secondo voi mi assomiglia?>>

I tre chiamati in causa si guardarono l’uno con l’altro. Françoise aveva già notato la somiglianza tra Jet e la bambina. Era quello che l’aveva colpita, su quel pianerottolo, mentre Iris le parlava di quanto fosse fantastica sua figlia e di come fosse felice di aver deciso di tenerla.

<<Adesso che ci penso…>>, disse Joe abbassando gli occhi <<Sì, Jet. Ti assomiglia.>>

<<E’ vero.>>, aggiunse Bretagna <<Non ci avevo fatto caso prima.>>

Jet si limitò ad annuire, ma le sue mani si chiusero in due pugni stretti e una di loro sbatté violentemente sulla console: <<Perché?! Perché non mi ha detto niente?!>>, urlò.

Il pugno di Jet sulla console fece trasalire Françoise, che si sentiva in qualche modo in colpa per non avergli rivelato prima i suoi dubbi: <<Jet, lei non voleva che tu ti sentissi in qualche modo obbligato verso di lei.>>

<<Accidenti. Ma è mia figlia!>>, disse Jet sbattendo nuovamente il pugno <<E’ mia figlia… è mia figlia…>>

Ripetendo quelle parole, lentamente, Jet si inginocchiò davanti alla console, continuando a sbattere il pugno sempre più debolmente. Lentamente le parole lasciarono spazio a un pianto sommesso, che Jet aveva inutilmente cercato di tenere dentro di sé.

Gli altri si limitarono a guardarlo, senza voler in nessun modo interferire o intromettersi nel suo dolore personale. Far sentire silenziosamente il proprio appoggio era il modo migliore in cui potessero far capire a Jet che non era solo.

 

<<The space between the wicked lies we tell and that keep us safe from the pain.>>, da “The space between”, di Dave Matthews Band[19]

 

Epilogo

 

<<Ehi, Jet!>>

Jet si voltò verso la voce che lo aveva chiamato: <<Ehi, ciao Stan.>>

Il ragazzo sorrise: <<Sono appena tornato da scuola.>>, disse mostrando una borsa che portava a tracolla.

Jet sorrise: <<Bene. Sono contento che tu abbia capito.>>, disse alzando gli occhi verso la finestra della casa di Stan.

<<Presto ce ne andremo da qui.>>, disse Stan <<Non avremmo voluto usare quei soldi… ma… possono permetterci di cambiare vita. Soprattutto Kerry… è un bene che non debba crescere in questo quartiere.>>

Jet trasalì nel sentire il nome della bambina: <<Già… però… Stan, non dimenticare mai da dove sei venuto.>>

Stan sorrise scuotendo la testa: <<Certo che no.>>

Iris apparve sul portone di casa: <<Jet, cosa ci fai qui?>>

Da dietro di lei, Kerry gli passò accanto correndo felice verso Jet, saltellando come un grillo dalla gioia: <<E’ venuto Jet… fammi volare, fammi volare.>>

<<Ehi, ciao piccolina.>>, disse Jet quando Kerry gli si avvinghiò a una gamba. Poi si rivolse ad Iris <<Posso rubarti un po’ di tempo.>>

Iris lo guardò perplessa: <<Beh… sì, certo.>>, disse annuendo <<Stan, porta Kerry a casa.>>

<<Vorrei che venisse anche lei, se non hai nulla in contrario.>>, disse Jet sorridendo <<Ho fatto una promessa a questo angioletto e la devo mantenere.>>

Iris strinse le labbra, nervosamente. Non c’era nessun motivo valido per cui dovesse dire di no: <<Va bene.>>, disse sforzandosi di sorridere.

<<Bene.>>, disse Jet portandosi Kerry sulle spalle <<Andiamo.>>

<<Dove?>>, chiese Iris perplessa.

<<Dove nessuno potrà disturbarci.>>, rispose Jet sorridendo.

Iris trasalì.

<<Non preoccuparti. Me ne starò buono.>>, la rassicurò lui.

Stan li stava guardando senza capire bene. Jet si voltò verso di lui: <<Beh, Stan. Stammi bene. Non so se ci rivedremo più.>>

Stan annuì: <<Arrivederci, Jet.>>

Jet fece un cenno ad Iris, e lei scese finalmente le scale, seguendolo. Camminarono lungo la stessa strada fatta tre anni prima, silenziosamente, almeno per un bel pezzo di strada.

<<Quand’è il compleanno di Kerry?>>, chiese Jet improvvisamente.

<<Cosa?>>, chiese Iris facendo finta di non aver capito.

<<23 mazzo.>>, rispose Kerry per lei <<Io nata 23 mazzo.>>

<<Il 23 marzo, eh?>>, disse Jet <<Se me lo ricordo ti manderò un regalo, piccola. Eccoci, siamo arrivati.>>

Jet posò delicatamente Kerry a terra. Iris si stava guardando intorno: <<Perché mi hai portato qui.>>

Jet sorrise: <<Stai bene a vedere.>>, poi si rivolse a Kerry, tenendola in braccio <<Piccola tienti bene stretta a me e non mollare mai la presa.>>

Iris stava chiedendogli cosa stesse per fare, ma le parole le si bloccarono in gola quando vide Jet alzarsi da terra e decollare lentamente verso il cielo.

<<Non è possibile.>>, disse Iris senza nemmeno accorgersene.

Jet stava volando sopra la sua testa e Kerry sembrava felice come non lo era mai stata, ma non mollava la presa, come le aveva detto Jet. Li vide salire ancora e ancora, volare sopra la sua testa, e poi scendere per atterrare definitivamente a terra.

<<Mamma, ho volato ho volato.>>

<<Prima torniamo a casa, poi ti spiego.>>, disse Jet.

Iris annuì, perplessa. O meglio, ancora incredula.

Rifecero la strada al contrario. In silenzio. Solo Kerry lo rompeva canticchiando: <<Kerry vola vola.>> e mimando il volo con le braccia allargate.

Finalmente arrivarono al portone. Iris si rivolse dolcemente alla figlioletta: <<Kerry, tesoro, vai a casa. La mamma arriva subito.>>

Kerry annuì: <<Pozzo salutare Jet?>>

Iris le sorrise come solo una madre sa fare: <<Certo.>>

La piccola non se lo fece dire due volte corse verso Jet e alzò le braccia come a dirgli “prendimi in braccio”.

Jet la prese e la portò su e lasciò che lo baciasse sulla guancia e l’abbracciasse forte: <<Grazzie che hai fatto volare.>>, gli disse la bambina nel suo personalissimo inglese.

<<Prego.>>, rispose Jet sorridendo e dandole un bacetto sulla guancia. Quindi la rimise a terra <<Adesso vai a casa.>>

Kerry annuì e corse verso il portone, scomparendovi dentro. Entrambi gli adulti restarono a guardare il portone richiudersi, rimanendo in silenzio per qualche istante.

Iris si voltò verso di lui: <<Jet…>>

<<E’ mia figlia, vero?>>

Lei era rimasta con la bocca semiaperta, la domanda bloccata sulla lingua. Le sue labbra lentamente si richiusero e la sua testa si mosse in un cenno di assenso: <<Mi dispiace… non avevo il coraggio di dirtelo. Non volevo che tu…>>

<<Non importa.>>, disse Jet zittendola con un gesto della mano <<Ti capisco. Volevo solo sapere questo. Esserne sicuro. Credo che Nick sia molto più adatto di me per farle da padre. Non potrei immaginarne uno migliore.>>, poi strinse le labbra e abbassò gli occhi <<Ora tocca a me dare spiegazioni. La spiegazione è questa: io sono un cyborg, adesso. Non sono più un essere umano. Di umano mi è rimasto solo i sentimenti, le emozioni, i ricordi. Jet Link è come morto e continua a vivere in questo corpo cibernetico. E’ per questo che riesco a volare. Volevo che lo sapessi.>>

Iris era troppo sorpresa per dire qualunque cosa. Restò in silenzio, distogliendo gli occhi e ripetendo mentalmente le parole di Jet, nella sua testa, metabolizzandole. Quando rialzò gli occhi per dire qualcosa si ritrovò sola in mezzo alla strada. Jet era scomparso, senza che lei se ne fosse accorta. Jet era sparito un’altra volta e questa volta aveva tutta l'aria di essere veramente un addio. Qualcosa comparve in fondo allo stomaco. Una strana emozione, un misto di rimpianto e rimorso e un qualcos'altro che non sapeva ben definire.

<<Iris.>>

La ragazza si voltò. Nick la stava guardando dal portone, con le mani in tasca. Si avvicinò a lei e le porse un fazzoletto, con cui asciugarsi le lacrime.

<<Credo che non lo rivedrò mai più.>>, disse Iris prendendo il fazzoletto e asciugandosi gli occhi.

Nick annuì: <<Credo proprio di no... avrei voluto ringraziarlo.>>, disse guardando il posto dive Jet si trovava fino a pochi istanti fa <<Adesso ho capito perché voleva a tutti i costi che non accettassi quella proposta. Temeva che facessi la stessa fine.>>

<<Tu hai sentito tutto, Nick?>>, chiese Iris.

Lui annuì: <<Sì, ho sentito tutto.>>, disse <<Immagino che anche gli altri suoi due... no, tre amici fossero dei cyborgs.>>

<<Cambia qualcosa?>>, chiese lei con la voce incerta.

Nick la guardò un attimo, rimanendo in silenzio: <<Cambia molte cose. Cambia che adesso... Jet appartiene a un mondo che non è più in questo quartiere, che è attorniato da persone che non siamo noi. Magari ha trovato dei veri amici... chissà. Come non sono riuscito ad essere io... Spero che Kerry abbia la sua stessa lealtà e generosità.>>

Il ricevitore satellitare squillò nella sua tasca, vibrando. Jet si chiese se avesse veramente voglia di rispondere, o se non fosse meglio rimanere nella sua solitudine. Se avesse lasciato squillare per un po’, chiunque fosse dall’altra parte avrebbe capito. Ma poi lo prese e lo aprì: <<Ehi, ciao Joe.>>, disse al compagno apparso sul piccolo lcd dell’apparecchio.

<<Jet, ehi, amico. Ci sei?>>

<<Sì, Joe. Non ti preoccupare. Non intendo suicidarmi.>>, rispose Jet guardando la baia di New York immersa nella notte <<Ti ricevo forte e chiaro.>>

<<Uhm, peccato... un'occasione persa.>>, scherzò Joe. Poi il suo volto tornò immediatamente serio <<E' tutto il giorno che sei sparito dalla circolazione. Com’è andata?>>

Jet sospirò: <<Come doveva andare.>>

Joe strinse le labbra, annuendo e comprendendo perfettamente cosa volesse dire Jet: <<Lo sai che puoi contare su di noi, vero?>>

Jet annuì: <<Certo che lo so. Posso contare su di voi come non ho mai potuto contare su nessuno. Anzi… per favore… di’ a Françoise che mi dispiace per come l’ho trattata.>>, disse. Poi raccolse un profondo respiro <<Sai una cosa? Io credevo di non aver mai fatto niente di buono da ragazzo. Vedevo la mia vita da essere umano e pensavo di averla solo sprecata. E questo aumentava il rimpianto. Pensavo di non averla saputa valorizzare.>>

<<E invece?>>

<<Invece…>>, Jet sorrise <<Kerry… Kerry è qualcosa di buono che è uscito da me.>>

Joe sorrise malinconico: <<Veramente non vuoi più rivederla?>>

Jet ci pensò su qualche istante, cercando un motivo valido che lo facesse tornare sui suoi passi. Un pro che superasse tutti i contro. Ma poi scosse la testa: <<No, Joe. Per noi cyborgs certi legami devono essere tranciati di netto. Anche tu hai deciso di non rivedere più tuo padre, no?[20] Mi basta sapere che sta bene. Iris è una madre fantastica.>>

Joe restò silenzioso per qualche secondo: <<Come vuoi, Jet. Da un lato ti capisco... proprio perché sono passato attraverso un'esperienza simile. Però sono stato un bambino che non ha conosciuto suo padre fino poco tempo fa e so cosa vuol dire.>>

Jet strinse le labbra. A quello non aveva pensato: <<Joe, però Kerry ha attorno persone che la amano. Starà benissimo, lo so.>>

<<Anche questo è vero.>>, ammise Joe.

<<Sai una cosa, Joe?>>, disse Jet sorridendo.

<<Dimmi.>>

<<Mi piacerebbe che ci fosse una telecamera che si allontanasse da me e che mi riprendesse. Che immortalasse questo momento. Come in un film di Hollywood.>>, disse Jet con una punta di ilarità nella voce.

<<Perché, scusa?>>, chiese Joe perplesso.

<<Accidenti! Credo che ogni newyorchese dovrebbe vedere il mondo da qui una volta nella sua vita.>>, esclamò Jet alzandosi in piedi e girando su se stesso per vedere tutto il panorama, tutta la sua New York e le sue mille luci.

Joe era sempre più curioso: <<Dov’è che ti trovi?>>

Jet sorrise: <<Sulla torcia, amico. Sono sulla Torcia della Statua della Libertà.>>

 

<<And you can’t fight the tears that ain't coming, or the moments of truth in your lies. When everything feels like the movies, yeah, you bleed just to know you’re alive. I don’t want the world to see me, ‘cause I don’t think that they’d understand. When everything’s made to be broken, I just want you to know who I am.>>, da “Iris”, Goo Goo Dolls[21]

 

F I N E

 
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[1] Trad: <<Mamma non sa dove sia finito l’amore. Lei dice che è la nostra giovane età che continua a farci sentire forti. Vedo il suo piccolo volto che si è trasformato in ghiaccio. E quando sorride, mostra tutte le rughe del sacrificio.>>

[2] Tipico taxi newyorchese.

[3] Vedi episodio #16 della Seconda Serie Televisiva

[4] New York Knickerbockers, conosciuti anche più semplicemente con l’abbreviazione Knicks: è una delle squadre della NBA, il campionato professionistico americano di pallacanestro. Nelle partite in casa, giocano al Madison Square Garden. Naturalmente anche i Celtics, citata poco dopo, sono una squadra NBA.

[5] Per chi non conosce il basket: le partite NBA (ora anche le nostre) si suddividono in quattro quarti da 12’ l’uno (da noi sono 10); ogni azione d’attacco può durare al massimo 24” (il che vuol dire che nella situazione descritta qui sopra resta minimo un azione di gioco); alla scadenza dei 24” la palla passa in mano all’altra squadra, che ha diritto a cominciare l’azione d’attacco (in parole povere: nel basket non puoi fare catenaccio all’infinito ^^); i tiri liberi sono, in genere, dati in seguito a fallo su tiro (ma non solo); ogni tiro libero realizzato vale 1 punto.

[6] Trad: <<Non sono pronta per questo, anche se pensavo che lo sarei stata. Non riesco a vedere il futuro, nonostante pensassi di riuscirci.>>

[7] Vedi Risvegli

[8] Trad.: <<Lo so che il mondo è in grado di metterti in ginocchio. Ma quando hai bisogno di piangere, vieni a piangere da me. Tieni duro, fino a quando non ti sentirai un po’ più forte.>>

[9] Tra New York e il Giappone ci sono 14 ore di differenza. Naturalmente, il secondo è più avanti.

[10] In giapponese non ci sono genere maschile e femminile come li intendiamo noi. Gli aggettivi non hanno genere.

[11] Vedi Rivelazioni

[12] Trad: <<So che è tardi, so che sei stanco. So che i tuoi piani non mi includono. Siamo ancora qui, entrambi soli, cercando un riparo da tutto ciò che vediamo. Perché ci dovremmo preoccupare? Non importerà a nessuno. Abbiamo stanotte. Chi ha bisogno di domani?>>

[13] Trad.: <<Dimmi, in un mondo senza pietà, pensi che stia chiedendo troppo? Voglio solo qualcosa a cui aggrapparmi e un po’ di contatto umano.>>

[14] Arivedi Risvegli

[15] Trad.: <<Riesco a vedere il mondo sotto una luce diversa. Ora è facile dire dove ho sbagliato, cosa ho fatto bene.>>

[16] Trad.: <<Dietro la porta c’è pace, ne sono sicuro. E io lo so che non ci saranno più lacrime in paradiso.>>

[17] Iris pensa che Françoise, visto il nome, provenga da una città del Québec, la regione francofona del Canada.

[18] Trad.: <<La vita non è tutto.>>

[19] Trad.: <<Lo spazio tra le nude bugie che raccontiamo e che ci mantengono al sicuro dal dolore.>>

[20]Arivedi Rivelazioni

[21] Trad.: <<E non riesci a combattere le lacrime che non arrivano, o i momenti di verità nelle tue menzogne. Quando tutto sembra come nei film, sì, tu sanguini solo per sapere di essere vivo. Non voglio che il mondo mi veda, perché non credo che possa capire. Quando tutto è fatto per essere spezzato, io voglio solo che tu sappia chi sono.>>