dr. med. Cosimo Savoia

Home Su studio curriculum collegamenti

  LA SOGLIA ANAEROBICA prima

La soglia anaerobica è un criterio importante per l’allenamento sportivo, per le capacità di resistenza e durata.  Qui di seguito viene riportato un intervento del dott. Ulli Hartmann, dell’Istituto superiore tedesco di sport, Istituto per l’allenamento e la teoria del movimento (Colonia), pubblicato sulla rivista della Scuola dello Sport del Coni. Una interessante indicazione sui criteri di valutazione della capacità di prestazione, una rassegna generale delle concezioni di soglia e degli approcci per determinarla; uno studio sul controllo dell’allenamento e sui limiti della regolazione dell’allenamento negli sport di resistenza . Nell’articolo vengono trattati i criteri di valutazione della capacità di prestazione, ed esposte alcune riflessioni concettuali. Nonché quali sono i parametri per la determinazione delle varie "soglie". Già, perché comunemente si parla di "soglia", ma, nella realtà gli ambiti che questo termine abbraccia, sono molteplici. In questo articolo viene fatto particolare riferimento alle soglie di uso più frequente dal punto di vista della fisiologia dello sport ed ai fattori che le influenzano (protocollo dei test, inizio e durata degli step, stato di alimentazione, ecc.). 

1. Introduzione

Sia nello sport di competizione che, in parte, in quello di tempo libero è difficile che si possa fare a meno di usare il parametro lattato (LA) nel quadro della valutazione funzionale di routine, come anche di utilizzarlo per il controllo dell'allenamento. Da questo punto di vista un'importanza notevole spetta alla determinazione di criteri metabolici, i quali generalmente concernono la determinazione della soglia anaerobica. Scopo di questo articolo è quello di chiarire un po' il "mistero" della soglia anaerobica e di valutare, semplificandole, le interpretazioni, ad essa collegate.

2. I criteri di valutazione della capacità di prestazione.

Secondo Heck (1994) i criteri essenziali per valutare la prestazione con un test a carichi a crescenti all'ergometro sono:

Il massimo carico raggiunto
Il massimo consumo di ossigeno raggiunto (VO2max)
Il polso d'ossigeno (massimo polso di O2)
La Physical Working Capacity 170 (PWC170)
L'interpretazione delle "soglie"

Come si può già capire da queste espressioni, i primi tre criteri presuppongono che i soggetti sottoposti ad un test ad esaurimento raggiungano un carico massimale, mentre gli ultimi due criteri vengono determinati durante la fase sub massimale dei test. È evidente che nella determinazione dei parametri massimali intervengono non solo fattori oggettivi, ma anche fattori soggettivi; ciò rende problematica la loro scelta e la loro valutazione.

2.1. La zona del carico massimale

Un criterio importante per determinare la massima capacità di prestazione è rappresentato dal carico massimo raggiunto in un test. Così, sia per i test su ergometro a nastro che su cicloergometro, come anche per altre procedure ergometriche, esistono indicazioni specifiche che debbono essere considerate volta per volta, a seconda dei singoli sport. Le corrispondenti tabelle si possono trovare nella voluminosa letteratura sull’argomento. Come già detto, è opportuno ricordare che la capacità di raggiungere un carico massimale dipende in misura notevole sia dalla velocità di incremento del carico (fattore oggettivo) sia anche dalla motivazione dei soggetto.
Un ulteriore criterio della massima capacità di prestazione è rappresentato dal V02max. Ovvero, dal massimo consumo di ossigeno. E’ fuori discussione che anche esso dipende dal tipo di sport, dal carico specifico dello sport considerato, dal sesso ed anche dal peso corporeo. Voluminosa è la letteratura sull’argomento relativa alle procedure di misurazione e di determinazione. È necessario però fare una distinzione tra il VO2max assoluto reale e quello specifico realizzato nello sport considerato (ad esempio il VO2max che può essere raggiunto in gara). Il VO2max rilevato (VO2 di picco) in una gara di canottaggio della durata di 6 min è abbastanza inferiore al VO2 che può essere raggiunto in un test ergometrico che comporta un rapido incremento dei carico stesso e che inizi da un carico relativamente elevato.
Il massimo polso di O2 è una misura della massima quantità di O2 trasportata per ogni pulsazione e dipende essenzialmente dalla gittata sistolica e dalla differenza arterovenosa d’ossigeno (AVDO2) nel muscolo. Secondo le concezioni attuali, il massimo polso di O2 rappresenta una misura della resistenza, molto meno valida del VO2max. Considerato che attualmente a questo parametro, in valutazione funzionale, non viene attribuita un’importanza decisiva, se ne tralascerà una analisi più dettagliata.
In un test ad esaurimento, oltre ai criteri relativi alla massima capacità di prestazione già citati, vi sono altri parametri che possono fornire un ulteriore, importante, supporto per la valutazione dell’atleta.

A questo proposito, i criteri più importanti sono:

la massima frequenza cardiaca (Fc/max)
l’equivalente respiratorio massimo (ER)
il quoziente respiratorio massimo (OR)
i massimi valori della concentrazione ematica di lattato post-carico
il raggiungimento di un plateau ("levelling off ") del VO2

2. 2. La zona dei carico submassimale

In medicina dello sport per l’interpretazione delle risposte fisiologiche ad un carico submassimale ci si serve essenzialmente di due (parametri): la determinazione della Physical Working Capacity 170 (PWC 170) e la determinazione dei valori di soglia (generalmente intesa).

2. 2. 1. La Physical Working Capacity 170 (PWC170)

Per PWC170 s’intende la potenza meccanica corrispondente ad una frequenza cardiaca di 170 battiti – min(-1). Nei soggetti non allenati il suo valore dipende essenzialmente dall’età, dal sesso e dal peso corporeo. Nel confronto tra soggetti allenati e non allenati la PWC170 varia nel senso che nei soggetti allenati viene raggiunta con una prestazione molto più elevata rispetto ai soggetti non allenati.Un problema che si incontra nella sua determinazione è rappresentato dalla FC dei soggetto considerato. Infatti, i soggetti che hanno una FC massima elevata, presentano alla PWC170 una capacità di prestazione probabilmente sottostimata; al contrario quelli che hanno una FC massima relativamente bassa mostrano una capacità prestativa soprastimata. Nell’attività sportiva dei tempo libero, nello sport per tutti e nello sport amatoriale la determinazione della PWC170 può assumere una certa importanza perché si tratta di un metodo non invasivo. Nello sport di prestazione invece la determinazione della PWC170 è troppo generica.

2.2.2. Riflessioni concettuali e parametri per le determinazioni delle soglie

Secondo Heck (1994), per soglia di un dato parametro fisiologico s’intende un’intensità funzionale corrispondente a un carico, durante il quale il relativo parametro si trova ancora in uno stato stazionario (steadystate). Dal punto di vista della valutazione funzionale, oltre che alla FC, al VO2, al VCO2, alla ventilazione (VE), una particolare importanza come indice di soglia spetta soprattutto all’acido lattico (LA). Semplificando, la capacità di prestazione fisica, in un lavoro dinamico ciclico od in prestazioni sportive che durano più minuti, si può suddividere in due zone:

1) la zona della resistenza nella quale il fabbisogno di energia viene esclusivamente coperto dal metabolismo aerobica (zona aerobica);

2) la zona della resistenza nella quale il fabbisogno di energia per la contrazione muscolare può essere coperto solo facendo ricorso ad una formazione supplementare di acido lattico (zona anaerobica- lattacida).

L’incremento del LA nel muscolo e nel sangue che ne risulta (accumulo di LA) determina una acidosi da lavoro (funzionale), che rappresenta un fattore essenziale nel limitare la prestazione e determina lo stato di fatica o esaurimento. Se si misura la capacità di prestazione massimale in un esercizio continuo della durata di alcuni minuti, eseguito ad una intensità pari al massimo consumo di ossigeno (VO2max=100%), nei soggetti non allenati alla resistenza solamente il carico corrispondente a circa il 70% del loro V02max viene realizzato senza incremento di lattato. Superata tale percentuale il soggetto è costretto ad accumulare lattato. Invece, nel caso di atleti alienati alla resistenza, ad esempio un maratoneta, si può arrivare ad utilizzare fino al 95% dei V02max senza accumulare lattato. Tra la zona aerobica e quella anaerobicolattacida esiste una zona nella quale l'aumento dei LA senza un suo smaltimento indica l'inizio della formazione del lattato netto. Tale zona, ponendo alla base del ragionamento la concezione di soglia, viene generalmente definita zona di transizione o soglia aerobica - anaerobica.

2. 2. 2. 1. La soglia a 4 mmoli di lattato

Al fine di rendere utilizzabile la cinetica dei lattato per il controllo e la programmazione dell'allenamento Mader et al. (1976) hanno così definito la soglia del lattato: la zona di passaggio tra la prestazione del metabolismo energetico muscolare coperta da quello puramente aerobico a quella nella quale interviene parzialmente anche il metabolismo anaerobico-lattacido. Questa zona caratterizza la capacità di prestazione di resistenza, se con essa si intende la massima capacità di prestazione, che sul piano energetico è coperta per via puramente aerobica. La soglia aerobico - anaerobica, come avviene in tutti i processi biologici, non viene superata repentinamente, ma con gradualità. Quale criterio per il rilevamento della soglia aerobico - anaerobica nelle prove ergospirometriche può essere scelto l'incremento dei lattato nel sangue periferico a 4 mmol -1 -1, ad esempio durante un test incrementale. A tal proposito è importante ricordare che Mader et al. (1976) nella descrizione della loro metodica hanno fatto riferimento ad alcune condizioni essenziali, che purtroppo ancora oggi, probabilmente per ignoranza dei rapporti fisiologici, sono motivo di controversie. Ad esempio la durata dei carico di lavoro non dovrebbe essere inferiore a 4 min, meglio se è tra i 5 e i 10 min, altrimenti, come è accaduto, si può incorrere in equivoci sulla utilizzabilità e la validità dei concetto di soglia aerobica - anaerobica. Ad esempio, utilizzando una metodologia dei test basata su criteri tradizionali, con carichi di lavoro di durata relativamente breve (2 o 3 min), un ricercatore critico si sarebbe dovuto accorgere che, nel caso di un esperimento diretto a validare i risultati di una ricerca (ad esempio, carichi di lunga durata in laboratorio o in campo), questi non sarebbero stati confrontabili. Invece molti altri ricercatori hanno cercato di mettere a punto numerose altre metodologie di soglia. Riassumendo, si può affermare che Mader et al., stabilendo la cosiddetta "soglia fissa a 4 mmol -1-1, hanno ricercato un criterio che permetta la quantificazione di quella prestazione che sia tollerabile per un periodo di tempo più lungo. In una pubblicazione successiva Mader et al. (Mader et al. 1985) definirono questo comportamento come la quantità di lattato massimo che può essere sostenuto allo stato stazionario (MaxLass).

2. 2. 2. 2. Massimo lattato allo stato stazionario

Si può ritenere certo che la determinazione della curva della concentrazione lattatemica durante prove ergometriche al nastro trasportatore, con carichi gradualmente crescenti o con carichi adeguati, nella quale si tenga conto dei criteri metodologici di base (durata degli step e delle pause, stato nutrizionale, ecc.), nei carichi di resistenza offre la possibilità di determinare in modo sufficientemente preciso il limite della capacità di prestazione di resistenza per mezzo del criterio dei Maxlass. Ciò è in relazione con lo svolgimento metodico dei test nella zona dei rapido incremento dei tasso di LA, per cui il superamento delle 4 mmol - 1-1 di LA può essere assunto come valore di riferimento per la prestazione alla soglia anaerobica. Si consideri che in un carico di lunga durata e di intensità costante nel settore del tasso di lattato a 4 mmol - 1-1, rilevato con un test a carichi crescenti nel quale gli step bbiano una durata di almeno 5 min, in media si arriva ugualmente ancora ad un MaxLass compreso tra 3,0 e 5 mmol - 1-1. In pratica ci si può attendere una stabilizzazione dei MaxLass dopo circa 8-12 min. Con l'instaurarsi di un MaxLass alla concentrazione di 4,0±1,0 mmol . 1-1, il carico può essere portato fino alfl'esaurimento delle riserve di glicogeno (da circa una a massimo due ore), sempre che nel proseguo della prova non compaia una ulteriore salita del LA costringendo ad una sua interruzione anticipata. Se l'intensità dei carico viene aumentata si determina la formazione e l'accumulo di lattato netto, con relativo aumento della acidosi, che è indicato dall'ulteriore, più o meno rapido, incremento del LA, dopo i primi 8-12 minuti. Quando la concentrazione ematica del lattato supera le 8 - 12 mmol - 1-1, generalmente iI soggetto non può portare a termine un lavoro a carico costante per una durata superiore ai 15 minuti, come è provato anche da dati rilevati in occasione di gare. Va aggiunto che, per la verità, ricerche condotte su un carico specifico, hanno mostrato valori di Maxlass anche superiori alle 4 mmol - 1-1; ciò è parzialmente dovuto alla specificità dello sport considerato. La determinazione della soglia anaerobica per mezzo dei rilevamento della curva lattato - prestazione (L/P), in un test a carichi crescenti all'ergometro, evita il rischio di un carico "vita maxima" in pazienti o soggetti la cui capacità di prestazione ha limitazioni di tipo patologico. Considerato che la L/P di regola è ben riproducibile, essa rappresenta una misura ggettiva di una prestazione che non richiede l'intervento del metabolismo anaerobico e per tale motivo può essere impiegata come misura per la capacità di resistenza aerobica. Sia nello sport di prestazione che in quello amatoriale e di tempo libero conoscere quale sia la prestazione alla "soglia anaerobica", a seconda della capacità di prestazione individuale, del periodo della stagione e del regime di allenamento di quel momento, permette un regolazione individuale e specifica dell'intensità da applicare nell'allenamento della resistenza.

3. Rassegna dei concetti di soglia e degli approcci per determinarla

Negli ultimi trentacinque anni sono stati impiegati diversi concetti di soglia, ma la loro trattazione completa è impossibile per ragioni di spazio. Una rassegna completa delle "zone di transizione" o delle "definizioni di soglia" è stata realizzata da Heck in una ampia ricerca dei lavori presenti in letteratura (Heck 1990).

3. 1. Approcci interpretativi ed esplicativi delle soglie di uso più frequente dal punto di vista della fisiologia dello sport

3. 1.1 Punto del grado ottimale di efficacia della respirazione (PoW)i, secondo Hollmann (1959).

Effettuando numerosi test per la determinazione dei limite della capacità di prestazione di lunga durata, Hollmann aveva definito il concetto di limite condizionato dall'O2 nella prestazione di durata. Tali test erano basati sul metodo tradizionale del carico prolungato. In seguito, per semplificare la metodologia di indagine, Hollmann cercò di determinare il limite della prestazione di durata proponendo il concetto di punto dei grado ottimale di efficacia della respirazione (PoW). Tale concetto si basava sull'osservazione, che se i parametri VO2 e VE, rilevati in un test incrementale, venivano correlati tra loro in un sistema di assi cartesiani, si otteneva in una certa fase dei test una salita non proporzionata della VE rispetto alla quantità di ossigeno consumata. Misurando contemporaneamente il lattato, fu osservato che l'inizio della salita della curva della VE coincideva con l'inizio dell'aumento dei tasso ematico di lattato e con la diminuzione, inversamente proporzionale, del valore del pH. Questa determinazione del PoW è stata il precursore di tutte le ulteriori determinazioni delle cosiddette soglie ventilatorie.

3.1.2 La soglia ventilatoria, secondo Wasserman et al. (1964).

Wasserman et al (1964), servendosi dei parametri ergospirometrici VO2, VE, VCO2 e QR, hanno definito la cosiddetta "soglia anaerobica". Questa venne considerata coincidente a:

il passaggio dall'aumento lineare a quello non lineare della VE;
il passaggio dall'aumento lineare a quello non lineare dei l'eliminazione di VCO2;
l'aumento del OR;
l'aumento della concentrazione di O2 senza la corrispondente diminuzione del PCO2

Wasserman et al. considerarono dunque, come criterio essenziale per la definizione della soglia anaerobica, l'aumento non proporzionato del VE rispetto al consumo di O2

3. 1.3. Soglia aerobica, soglia anaerobica e transizione aerobica - anaerobica, secondo Kindermann et al, (1978).

Kindermann et al. (1978), per una migliore applicazione dei concetto di soglia nel campo dell'allenamento e per ragioni didattiche ne hanno ridefinito il concetto, proposto da Mader, identificando la zona delle 2 mmol - 1-1 come soglia aerobica, la zona delle 4 mmol - 1-1 come soglia anaerobica e la zona tra 2 mmol - 1-1 e 4 mmol - 1-1, come soglia aerobica- anaerobica.

3. l. 4. Soglia anaerobica individuale, secondo Keul et al. (1979).

Keul et al. (1979) si accorsero che il comportamento della salita della curva lattato -prestazione (L/P) era diverso, a seconda dello stato di allenamento. Supponendo che il valore di riferimento della prestazione a 4 mmol - 1-1 in media determinasse correttamente la soglia, con il rilevamento di 60 L/P di atleti mediamente allenati fu determinato l'angolo della tangente al punto delle 4 mmol - 1-1. Il relativo valore medio dell'angolo risultò essere pari a 51 gradi 34'. Il concetto di tale valore, definito: "inclinazione critica della L/P" fu considerato come soglia anaerobica individuale. In contrasto con il concetto "fisso" di soglia a 4 mmol - 1-1 di Mader, il valore di soglia di Keul non si trova a valori uguali di LA, ma ad inclinazione uguale della tangente della concentrazione di LA. Attraverso ricerche condotte nel nuoto, Simon e coll., hanno definito un concetto simile di soglia che però si differenzia da quello di Keul perché determinato con una procedura diversa.

3.1.5. Soglia anocrobica individuale, secondo Stegmann et al. (1981)

Stegmann e Kindermann (1981) hanno definito "soglia anaerobica individuale " il momento in cui il tasso massimo di eliminazione e quello di diffusione del LA si trovano in stato di equilibrio. Per determinare tale punto, per almeno 10 min ad intervalli di 2 min, è stata rilevata, la concentrazione di lattato ematico dopo la fine di un test a carichi crescenti ad esaurimento. Nel recupero, il punto della curva L/P nel quale si rileva una concentrazione ematica di lattato pari a quella rilevata nel momento dell' interruzione dei carico, viene utilizzata come punto di partenza di una tangente alla curva LP. Il punto dove la tangente tocca la curva L/P viene considerato come soglia individuale. Per quanto concerne la descrizione dettagliata del modello e sulla metodologia di calcolo si rinvia al lavoro originale di Stegmann et al. (Stegmann et al. 1981). Però va precisato, criticamente, che finora a numerosi ricercatori non è stato possibile eseguire una corrispondente deduzione matematica e che la rappresentazione, pura mente grafica, presentata dagli autori non sempre è riuscita a trovare riscontro nella pratica.

3. 1. 6. Soglia Anaerobica Individuale (SAI), secondo Bunc et al. (1982).

Bunc et al. (1982) descrivono il loro modello come il carico con il quale maggiore è l'inclinazione della funzione LA- carico. In questo modello la relazione tra LA e carico è descritta da una funzione esponenziale, nella quale, da un lato deve essere raggiunto il punto dei carico più basso e dall'altro una concentrazione di lattato almeno di 15 mmol - 1-1. Sulla funzione esponenziale vengono tracciate due tangenti e quindi la bisecante attraverso il punto di intersezione delle tangenti; quest'ultima retta indica sulla curva L/P la Soglia Anaerobica Individuale (SAI).

3. 1. 7. Determinazione della soglia anaerobica per mezzo della frequenza cardiaca, secondo Conconi et al. (1982).

Conconi et al. (1982), per mezzo di un metodo non invasivo, hanno proposto di determinare la "soglia anaerobica" attraverso la relazione tra la velocità e la frequenza cardiaca (FC) la velocità di soglia anaerobica si identifica in coincidenza dei punto in cui la FC si scosta dalla linearità in un test a carichi crescenti, (FC di deflessione). Come considerazione critica su tutti i metodi sopra descritti va notato che le numerose ricerche comparative hanno mostrato che i valori dei MaxLass, rilevati attraverso le diverse metodologie di "soglia anaerobica individuale" (SAI) delle altre concezioni di soglia, non erano più precisi o più concreti, nei loro enunciati, delle determinazioni della soglia ottenuta con un valore di LA fisso di 4 mmol - 1-1 . Si è riusciti a provare che tutti i concetti di soglie sono legati a determinate condizioni - quadro temporali. Se non se ne tiene conto non si possono comprendere i criteri di interpretazione che sono alla base delle diverse definizioni di soglia. Per concludere va detto che recentemente è stata avanzata la proposta di evitare o di abolire tutte le definizioni di soglia o di rinunciare alle interpretazioni, in parte molto rigide, ad essa collegate, invece che continuare una sterile discussione sulla validità dell'una o dell'altra concezione.

3. 2. Fattori che influenzano le differenti concezioni di soglia (protocollo dei test, inizio e dura ta di ciascun carico, stato nutrizionale, ecc.)

La determinazione della "soglia anaerobica", in quanto misura delle capacità di prestazione negli sport di lunga durata attraverso test ergometrici è legata ad alcune condizioni. Affinché il tasso ematico di LA ai livelli inferiori di carico sia rappresentativo della concentrazione di LA nella muscolatura impegnata, ogni carico deve essere sufficiente mente lungo (almeno 5 min ed oltre). E’ pure necessario che il carico per ogni step dei test aumenti di un valore determinato; nel caso di test effettuati al cicioergometro, per esempio, non dovrebbe aumentare più di 30-40 Watt, mentre nei test al nastro trasportatore l'incremento di velocità non dovrebbe superare 0,5 mts. . Per quanto riguarda la durata di ciascun carico, come mostra anche recentemente una raccolta degli attuali protocolli di test di laboratorio per la valutazione funzionale, vengono ignorate le condizioni di base della metodologia dei test, già formulate da Mader et al. e confermate da Heck. Più breve è la durata dei carico, più la diffusione del LA dal muscolo ai liquidi corporei incide sulla concentrazione dei LA stesso. Con cari chi di breve durata, specialmente se di elevata intensità, non vi è tempo sufficiente per un aumento della concentrazione di lattato corrispondente al carico stesso e per tanto la capacità di prestazione nella gara di lunga durata verrà sovrastimata. Infatti, la simulazione matematica ha dimostrato chiaramente che nella pausa di circa 30 s, necessaria per effettuare il prelievo tra un carico e l'altro, si ha una parziale ricostituzione dei depositi di adenosintrifosfato e creatinfosfato (ATP/Pcr). Conseguentemente nei primi 30 s dei successivo livello di un carico della durata di 3 min, si ha di nuovo un ricorso al pool di ATP e CPr, il che non corrisponde assolutamente alla realtà. E indubbio che un test a carichi crescenti con step di breve durata è più economico delle altre procedure dal punto di vista del dispendio di tempo. Tuttavia, anche nel caso che ciò fosse vero, resta da valutare se un dispendio di tempo per i test leggermente più elevato, come quando si utilizzano carichi più lunghi, non sia da preferire a fronte di risultati che come conseguenza sono meno precisi. Se si considera che i test servono solo a formare modelli, quantomeno si dovrebbe cercare di strutturarli in modo più aderente possibile alla realtà. In questi ultimi anni le esperienze realizzate nel settore del controllo dell'allenamento hanno dimostrato che è possibile trasferire abbastanza precisamente nella pratica la FC misurata in test con step di maggiore durata. Un altro fattore che incide nella valutazione della curva L/P e che, essendo in parte sottovalutato, porta ad interpretazioni errate è lo stato dei depositi muscolari di glicogeno. In realtà una "peggiore" od una "migliore" capacità di prestazione può essere interpretata come il risultato di determinate misure dietetiche (alimentazione ricca o povera di carboidrati). Tuttavia questo tipo di influenza negativa può essere quasi escluso se si mantiene una dieta normale, e si evitano carichi di allenamento intensivi e di intensità pari a quella di gara nel giorno o nei due giorni precedenti il test di valutazione funzionale. Inoltre, va notato, criticamente, che le percentuali dei metabolismo energetico sollecitate nei carichi specifici di gara dei vari sport non sono ben conosciute. Per cui le affermazioni sui miglioramenti che si vogliono ottenere durante il processo di allenamento dal punto di vista dell'aspetto energetico della prestazione sono relativamente imprecise o confuse. La carenza o addirittura l'inesistenza di conoscenze sugli aspetti reali dell'energetica muscolare in gara ha portato a notevoli semplificazioni nella valutazione funzionale negli sport di resistenza. Ne consegue che carichi crescenti, con durate relativamente brevi di ciascun carico, rappresentano la procedura standard. Attraverso essa servendosi di più carichi consecutivi, dovrebbe essere esaminato, quanto più possibile, l'intero spettro della prestazione di un atleta. Nel quadro di questi carichi submassimali viene determinata la "soglia anaerobica", che poi spesso viene equiparata alla capacità di prestazione di resistenza o alla "capacità aerobica". Parallelamente alla valutazione della soglia, analizzando il rapporto tra prestazione massimale e relativa risposta metabolica massi male, misurata in un test 1/P quando viene portato all'esaurimento, ci si propone di ottenere informazioni sulla componente anaerobica - lattacida dei metabolismo energetico o sulla cosiddetta "capacità anaerobica". Nella stessa pratica dell'allenamento si tenta di rilevare il limite della prestazione massimale attraverso il criterio della massi ma acidosi tollerabile da accumulo di LA. Il criterio di base di tale metodologia è che attraverso una sintesi, quasi additiva, si ottiene una valutazione sufficientemente esatta della capacità di prestazione metabolica. Alcune pubblicazioni recenti dimostrano che asserzioni di questo tipo sono relativamente insufficienti o confuse. Negli sport di resistenza della durata di 10 min ed oltre è stata provata una correlazione elevata tra la capacità di prestazione sub massimale e quella massimale. Tuttavia, in questi stessi sport, in base al risultato della determinazione della soglia, a causa dell'elevata variabilità (ulteriormente rafforzata dalle diverse metodologie dei test), non si possono trarre conclusioni sufficientemente esatte sul risultato dei test massimale. Una interpretazione più approfondita, scientificamente fondata dei risultati dei test, richiede quindi l'impiego di uno studio supplementare dei dati rilevati nell'esperimento in un modello di simulazione messo a punto appositamente. Per esso, è però necessaria una metodica di analisi abbastanza più complessa della sola determinazione della prestazione a 4 mmol - 1-1.

4. Soglie e controllo dell'allenamento

Mader et all. (1976) sono stati i primi che hanno fatto rilevare che l'intensità dei carico in allenamento si sarebbe potuta controllare attraverso il rilievo della concentrazione ematica di LA in tal modo si sarebbe potuto svolgere un allenamento estensivo di resistenza al disotto della soglia, uno intensivo nella zona della soglia ed uno estremamente intensivo, in parte al di sopra della soglia. Tuttavia tali proposte non hanno portato ai risultati desiderati. Infatti, le indicazioni per l'allenamento ricavate dalla valutazione funzionale svolta in laboratorio esclusivamente dal dato relativo alla soglia, erano tollerate solo da atleti con una capacità di prestazione di resistenza scarsa o piuttosto cattiva. Casi, ad esempio, per i maratoneti od altri corridori di lunghe distanze, le intensità consigliate erano notevolmente troppo elevate oppure non furono eseguite verifiche sul campo, o quando ciò avvenne, i risultati furono considerati sbagliati perché non si adattavano allo "schema di laboratorio"; per finire agli atleti veniva anche attribuita una certa mancanza di motivazione. Queste osservazioni, invece di stimolare un ripensa mento critico su questo "allenamento abbi nato alla soglia" (Heck et al. 1994), hanno determinato lo sviluppo di altre metodologie di determinazione della soglia, la soglia anaerobica individuale (cfr. sopra). le informazioni sperimentali concernenti la valutazione funzionale nei diversi sport, specie quelli di resistenza, sono ormai numero se. In esse l'importanza della determinazione dei lattato ematico è indiscussa, specie per le specialità di corsa dell’atletica leggera, per la canoa, per il ciclismo, per il canottaggio, per il nuoto, per il triathlon ed altri sport di resistenza; essa viene quindi eseguita di routine. Se si analizza la letteratura scientifica sulla metodologia dell'allenamento risulta evidente che a determinate intensità di lavoro vengono ascritte caratteristiche qualitative, decisive per lo sviluppo della prestazione. In questo modo vengono forniti numerosi consigli di carattere generale per quanto riguarda le intensità da scegliere negli sport di resistenza. Fohrenbach (1987) ha quantificato i metodi di allenamento nelle discipline di corsa dell'atletica leggera, classificando le intensità metaboliche alle quali si allenavano atleti/atlete, praticanti corse di mezzofondo e fondo, a seconda dei momento della stagione agonistica. Cosi, nelle atlete degli 800 m di corsa, le unità più intensive di carico (> alle 4 mmol - 1-1 di LA) rappresentavano dal 20 al 35% dell'allenamento globale, mentre il restante 65-80% dell'allenamento di corsa veniva svolto ad intensità che non produce vano più di 4 mmol - 1-1 di LA. Per le atlete praticanti i 3000 m le corrispondenti percentuali andavano, rispettivamente, da circa O% fino al 15% e dall'80% finoal 100%. Parimenti si è visto che la concentrazione ematica del lattato, nell'allenamento di maratonete, si manteneva: "essenzialmente al di sotto di un intensità di lattato anche inferiore ad 1 mmol - 1-1 - corrispondente all'80% - 86% della velocità di corsa dei test a 2 mmol - Anche Vassiliadis et al. hanno classificato i metodi di allenamento dei mezzofondisti dell'atletica leggera e hanno dimostrato che circa l'85% di tutti i carichi di allenamento vengono svolti ad intensità corrispondenti a concentrazioni di lattato che vanno dal valore di riposo fino a quella di 2,5 mmol - 1-1. Circa il 10% dell’allenamento viene realizzato tra 2,5 e 4 o 6,0 mmol - 1-1 ed il restante 5% di tutti i carichi, incluse tutte le gare, si distribuisce in intensità superiori alle 4 o 6 mmol - 1-1. Secondo Neumann et al. si può ipotizzare che l'allenamento di atleti di alto ed altissimo livello praticanti triathlon venga svolto ad una intensità metabolica al di sotto delle 2 mmol - 1-1 di LA. Ipotesi simili sull'efficacia di un allenamento della resistenza esistono nel canottaggio; così ad acluni carichi viene attribuito "un effetto stabilizzante per la capacità aerobica" solo se "provocano una formazione di lattato tra 2, 5-3,0 mmol - 1-1." Si suppone anche che carichi che si trovano in questa zona formino la maggiore percentuale dell'allenamento di canottaggio e permettono di remare in alle namento per circa 2,0 - 2,5 ore per sessione. Altri dati in letteratura indicano che: "una stabiiizzazione della capacità aerobica... " compare "...con lavori che producono 2,5 - 3,5 mmol - 1-1 di lattato, e che si dovrebbe ipotizzare che i carichi più efficaci siano nelle zone da 3,5 a 6 mmol - 1-1 o che un allena mento della resistenza sia efficace solo se eseguito nella zona delle 4 mmol - 1-1". Anche la classificazione dei mezzi di allenamento, messa a punto nella ex - RDT e basata sulle esigenze metaboliche del canottaggio, suggerisce che solo un allenamento svolto ad un'intensità che determina una concentrazione ematica di lattato di 3 - 4 mmoli - 1-1 può risultare efficace per sviluppa re la resistenza di base. Al contrario carichi di lavoro di intensità corrispondente alla soglia aerobica (circa 2 mmol - 1-1 di LA) ed inferiori "hanno un' azione sempre minore sullo sviluppo della capacità aerobica". In realtà, i dati relativi alla scelta della intensità di allenamento della letteratura sul canottaggio, sono in contraddizione con numerosi risultati di ricerche svolte sul campo. Così è stato dimostrato che possono essere considerati corretti ed importanti, per uno sviluppo positivo e stabilizzante della prestazione, carichi di grande volume in barca corrispondenti ad intensità di circa 1,5 mmol - 1-1 di LA, per quanto riguarda l'allenamento estensivo di durata, con una perc entuale fino al 75% dell'allenamento globale o dei 90% di quello in acqua. Non esistono ragioni fisiologiche o prove pratiche a favore di un allenamento che, con la giustificazione di un migliore effetto allenante, venga eseguito, prevalentemente, nella zona delle 3 - 4 mmol - 1-1 di LA o ad intensità ancora più elevate. In base alle nostre ricerche ed a lavori di carattere, sia pratico che teorico, di altri Autori sembra che una grande parte dei dati della letteratura non corrisponda alla realtà. Con ciò non si sostiene l'opinione che alla zona d'intensità tra 2 e 6 mmol - 1-1 LA non vada attribuita un'importanza essenziale. Però, va rilevato che, nella pratica, le percentuali di allenamento svolte in queste zone d'intensità si trovano largamente al disotto dei dati e delle raccomandazioni della letteratura. Alla base di questa situazione che, basandosi sulla letteratura, ha portato a evidenti idee errate sull'intensità dei carichi di allenamento, si trova il problema generale, che sono completamente inesistenti od dei tutto insufficienti dati oggettivi di allenamento orientati sulle reali sollecitazioni metaboliche dei rispettivi sport (di resistenza). Le prescrizioni di intensità, fornite dalla letteratura medico sportiva o della scienza dell'allenamento, certamente forniscono dati concreti; tuttavia non esiste una verifica teorica e pratica sul campo. Alla stessa conclusione sono giunti anche Heck et al. che ritengono che in numerosi sport debbano ancora essere condotte ricerche di base per studiare quali siano i volumi e le intensità, riferite al lattato, che producono realmente effetti allenanti ottimali.

5. Limiti della regolazione dell'allenamento nel campo degli sport di resistenza

Come mostrato precedentemente l'utilizzo della misura della concentrazione del LA come parametro utile per la regolazione dell'allenamento in parte fa credere che un allenamento, per essere efficace, debba essere sempre collegato con il raggiungimento di una determinata intensità di lattato o con il mantenimento di determinati valori di LA. Tuttavia, in molti sport, si è visto che gran parte dell'allenamento viene effettuata in una zona d'intensità che non produce un accumulo di LA. In alcune nostre ricerche, svolte sui canottieri in allenamento, abbiamo constatato che, lavorando su lunghe distanze, corrispondenti al 50-60% di un VO2 max di 6 lt. min-1, il lattato non andava oltre le 1,5 - 2,mmol - 1-1. Alle stesse conclusioni sono anche pervenute ricerche svolte nel mezzofondo e fondo dell'atletica leggera. Se, conformemente ai dati della letteratura, si utilizzassero intensità di carico leggermente più elevate, e contemporaneamente si conservassero i volumi di allenamento stabiliti, il fabbisogno calorico per l'allenamento o il corrispondente consumo di glicogeno non sarebbero conciliabili con i tempi di rigenerazione disponibili. Perciò le indicazioni che, in parte, vengono formulate, nel l'allenamento degli sport di mezzofondo e fondo (tempo di gara superiore ai tre minuti), affinché ci si orienti verso carichi di maggiore intensità mantenendo un volume globale dei carico uguale o simile sono discuti bili dal punto di vista energetico - calorico. Calcoli di simulazione effettuati da Mader, che riguardano le corse di mezzofondo e fondo dell'atletica leggera, provano che, a seconda dello stato di allenamento, il consumo di 02 ancora sostenibile nell'allenamento della resistenza può collocarsi a circa il 50% - 60% dei VO2max o ad una percentuale corrispondente ad un consumo dei carboidrati di non oltre il 30 - 40%. Per concludere si può affermare che non si può speculare su determinati stimoli od adattamenti prodotti dall'allenamento sol tanto attraverso la considerazione o l'ottenimento di determinati valori di LA in allenamento. Occorre tenere conto delle particolarità dei metabolismo degli atleti. Fornire carichi di allenamento che si orientino esclusivamente sul LA senza tenere conto dei reali ed elevati carichi dei sistema ossidativo non è molto corretto.

6. Riepilogo

Seguendo Heck e concordando con lui si può affermare:

1) la soglia a 4 mmol/I fu stabilita da Mader et al. solo per un test al nastro trasportatore con un definito protocollo. Con l'aumento della velocità di incremento dei carico variano il valore dei lattato della soglia di Mader o il valore della tangente della soglia di Keul.

2) Nel test incrementale abitualmente eseguito al cicloergometro (50 Watt/3 min) in media il carico a 3 mmol - 1-1 di LA corri sponde al MaxIass.

3) La comparazione dei valori di soglia è, possibile solo nel caso di protocolli di test confrontabili.

4) La determinazione delle curve lattato/prestazione in laboratorio ed in campo in condizioni adatte è un criterio sensibile per la valutazione della resistenza generale aerobica, se si tiene conto delle condizioni dei metabolismo della prestazione e soprattutto, del lavoro svolto in precedenza e dello stato di nutrizione dei soggetto.

5) Indicazioni per l'allenamento, ricavate da test con incremento del carico relativamente veloce, ad esempio 0,5 m/s ogni 3 min per la corsa, dovrebbero essere quindi fornite solo per intensità corrispondenti a lavori sotto massimali.

6) Con obiettivi di allenamento identici, il lattato rilevato nel carico d'allenamento dipende dal livello di resistenza esistente. A parità di carico, maggiore è la capacità di prestazione di resistenza, minore è il lattato che viene prodotto. 7. Più elevata è la capacità di prestazione di resistenza, più ristretta è la fascia della zona di allenamento riferita al lattato per il miglioramento della resistenza. 8. Negli sport nei quali è difficile o persino impossibile dare indicazioni basate sulla velocità (carico esterno) a causa della variabilità delle condizioni dei carico, il controllo dell'allenamento può avvenire solo attraverso una determinazione dei carico riferita al lattato prodotto (ad esempio, nei giochi sportivi).

L'articolo è la rielaborazione della lettura magistrale presentata dall'autore al 50 Congresso nazionale di medicina dello sport che si è tenuto a Firenze dal 2 al 4 aprile 1998. Traduzione dall'originale tedesco di Mario Gulinelli.

Indirizzo dell'autore: prof Ulli Hortmann, A .9 Deutsche Sporthochschule, Carl-Diem Weg 6, 50933 Colonia

  LA SOGLIA ANAEROBICA seconda parte

VAI ALLA PRIMA PARTE 

DEFINIZIONE DI SOGLIA I TEST DI MISURAZIONE CARICHI INCREMENTALI
POTENZA STAZIONARIA IL LATTATO LATTACIDEMIA
SMALTIMENTO DEL LATTATO LA SOGLIA AEROBICA CONSIDERAZIONI

In ogni programma d’allenamento che riguarda sport di resistenza si fa sempre riferimento al valore di soglia anaerobica, dalla quale si ricavano i vari ritmi di lavoro. Essi sono parametri che consentono di migliorare nel tempo, il valore di soglia, in pratica di riuscire a mantenere velocità elevate in bici come nella corsa a piedi. Oltre questo, una corretta analisi della soglia è necessaria per monitorare di tempo in tempo l’evoluzione e la condizione di forma dell’atleta Dagli anni ottanta in poi questo parametro di valutazione è divenuto importante per capire le possibilità di ciascuna atleta. Anche se in questi ultimi anni nuove evidenze scientifiche hanno messo in discussione alcune metodiche per la sua determinazione. Esse non possono essere considerate come metro di valutazione valido per tutti gli atleti. Ma devono tenere conto delle caratteristiche metaboliche individuali, che sono innanzi tutto genetiche, poi atletiche, cioè legate al numero d’anni di pratica in un determinato sport.

Il significato di soglia anaerobica

L’esatta determinazione della soglia anaerobica è un parametro fondamentale negli sport di resistenza di lunga durata in quanto la capacità di prestazione non è strettamente correlata con il massimo consumo d’ossigeno (VO2max), cioè con la potenza aerobica, ma piuttosto con la più alta percentuale di esso che si è in grado di utilizzare senza intaccare significativamente i meccanismi di ricarica di tipo lattacido. L’intensità del lavoro riferita alla frequenza cardiaca, alla potenza meccanica, alla velocità corrispondenti alla suddetta percentuale del VO2 max, è definita soglia anaerobica. Quando nel caso della competizione o dell’allenamento si supera questo range di lavoro, s’innesca uno squilibrio tra la produzione e la metabolizazzione dell’acido lattico, comportando un accumulo nei muscoli impegnanti nel lavoro che costringe l’atleta alla diminuzione del carico.

I test per la sua determinazione

Esistono vari test per la determinazione della soglia anaerobica. Quello più noto, ma meno affidabile dal punto di vista scientifico è proposto dal prof. Conconi e da suoi collaboratori. Un metodo basato sulla correlazione fra frequenza cardiaca e intensità dello sforzo (la cui relazione era stata scoperta molto tempo prima di Conconi stesso: ad esempio, da Astrand e Rodhal già nel 1970, mentre il test in questione nasce alla fine del ‘76). Un metodo diffuso e popolare, per la facilità applicativa, più che per la sua validità tecnica: non necessità d’operatori qualificati, anzi può essere svolto anche da soli, come auto test, non è invasivo ed è di breve durata. Inoltre ha costi ridottissimi per quanto riguarda le attrezzature necessarie per poterlo effettuare. Il vero limite di questo test è l’interpretazione dei dati ottenuti e la possibilità di stimare esattamente la frequenza cardiaca di soglia. Senza una grandissima esperienza è difficile trarre dati significativi da questo test. Il protocollo esecutivo di questo test è abbastanza noto. Basti dire che può essere fatto eseguire su cicloergometro, teadmill simulatori, oppure o su campo (strada, pista). Si esegue incrementando il carico linearmente (velocità o potenza) ogni 20/30 secondi, in modo che la frequenza cardiaca non subisca balzi superiori a 10 battiti il minuto. Si rilevano i dati del carico e della frequenza cardiaca al termine d’ogni intervallo (almeno dieci), per consentire l’elaborazione di un grafico dove questi dati sono messi a raffronto nelle due assi (x e y). Terminata la costruzione di questo grafico, si noterà che i punti si disporranno lungo una retta con un andamento lineare fino ad un certo carico. Oltre quel punto si osserverà una curvatura della linea verso il basso. Il punto di passaggio tra la prima linea – quella retta - e la seconda, quella che curva o flette è definita come velocità o potenza di "deflessione" ovvero di soglia anaerobica. Questo test negli anni ha subito revisioni e modifiche. Una delle difficoltà di interpretazione è data, nella realizzazione più comune, quella da campo, dal variare delle condizioni ambientali (vento, temperatura, umidità, pressione barometrica, vestiario….); questo finisce per pregiudicare alcuni parametri di riferimento che si sono avuti nei test precedenti, rendendo difficile stimare le differenze di rendimento dell’atleta. Ma fioriscono sempre più i dubbi, da parte di molti fisiologi, sulla validità scientifica del test nello stabilire la soglia anaerobica. Il cosiddetto punto di deflessione - coincidente con il punto di perdita di correlazione lineare tra la frequenza cardiaca ed intensità del carico di lavoro – rappresenta davvero il punto di innesco della soglia anaerobica? Velocità e potenza corrispondono esattamente a quel punto? Nella realtà, la brevità degli "step", dei passaggi fra un "gradino" di intensità e quello superiore previsto dal test, difficilmente rappresenta realmente la velocità o la potenza di soglia riferita alla frequenza cardiaca in quel punto. Non c’è il tempo perché tali valori si stabilizzino, perché gli intervalli di carico sono troppo brevi, e non danno modo di raggiungere l’equilibrio metabolico tra produzione e rimozione dell’acido lattico dai muscoli impegnati. Per questo i valori risultanti dal test sono sovrastimati, e portano, se applicati alla lettera ad un programma d’allenamento a carichi di lavoro eccessivi.

La misurazione della lattacidemia

Un altro test molto usato è quello che prevede la misura del lattato rilevato periodicamente durante la sua esecuzione. Il perfezionarsi ed il diffondersi delle tecniche di prelievo e d’apparecchiature d’analisi, hanno ridotto il margine degli errori da parte dell’operatore, ed hanno favorito il diffondersi di questo tipo di valutazione. A riguardo ci sono numerose metodiche applicative, tecnicamente si parla di test piramidali o rettangolari la forma geometrica esprime il protocollo esecutivo con il quale è aumentata o regolata l’intensità del lavoro.

 La differenza tra lattato ed acido lattico

Si fa riferimento al lattato (che un sale o estere dell’acido lattico, prodotto dai muscoli in quantità progressive in funzione dell’intensità dello sforzo. La quantità del lattato è espressa in millimoli per litro di sangue: mmol/l) e non all’acido lattico vero e proprio, perché quest’ultimo è difficile da misurare in quanto si trova in ambiente acquoso nell’interno della fibra muscolare ed è dissociato in due ioni (due molecole con diversa carica elettrica) lo ione lattato con carica negativa e lo ione idrogeno con carica positiva.

Il test a carichi incrementali

Ad esempio il test piramidale, (il più utilizzato), nel quale il soggetto inizia a pedalare o a correre a bassa intensità. Ad intervalli regolari dai tre ai cinque minuti ciascuno, è aumentato il carico, in considerazione della precedente lettura del lattato, oppure in maniera costante e prestabilita. L’atleta dopo un certo numero di step, non meno di cinque, raggiungerà un carico massimale, superando ovviamente la soglia anaerobica. Durante il test al termine d’ogni intervallo di carico, si effettua un piccolo prelievo di sangue (una goccia) dal lobo dell’orecchio o dal polpastrello del dito, (sangue capillare), e lo si analizza, con strumenti adeguati. Il campione è sufficiente per verificare il dosaggio del lattato, che è stabilito per mezzo di diverse metodiche. Le due più diffuse sono quella photoenzimatica e quell’elettroenzimatica con piccole differenze a seconda del tipo di strumento usato. Come detto, la quantità del lattato è espressa in millimoli per litro di sangue (mmol/l).

Riportando i valori rilevati dal test, mmol/l, velocità o potenza e frequenza cardiaca, su un grafico si ottiene la curva della lattacidemia, che è d’estrema importanza per valutare l’evolversi del grado d’allenamento dell’atleta. Un test, dunque, che va oltre la semplice analisi della soglia anaerobica e che offre ciò che il "Conconi" non può offrire: la capacità di "prevedere" in qualche misura la prestazione, riferita sia alla potenza sia alla frequenza cardiaca. Lo spostamento verso destra di questa curva è la base essenziale per la valutazione di laboratorio che abbia dei riscontri pratici. Se il miglioramento della prestazione avviene lentamente lo spostamento sarà nella parte inferiore della curva, se più evidente si noterà nella parte media della curva uno spostamento verso destra. La parte superiore della curva lattato fornisce delle indicazioni sullo sviluppo della capacità di prestazione anaerobica.

Questo test viene dal solito impiegato per ricercare il massimo consumo d’ossigeno (VO2 max), che identifica la massima quantità d’ossigeno che un soggetto può bruciare per produrre energia, parametro che rappresenta la "cilindrata" del motore muscolare. Inoltre fornisce indicazioni sui livelli di "carico" che permettono di costruire la curva lattato/potenza, e la curva frequenza cardiaca/potenza. L’andamento del consumo d’ossigeno e della lattacidemia durante il test a carichi crescenti sono parametri importanti per la ricerca e il mantenimento dello stato della forma atletica e così specifici che tale test deve essere considerato non solo attuale, ma ancora oggi insostituibile nella valutazione dell’atleta.

Il test a potenza stazionaria

Il test rettangolare ha un protocollo diverso da quello piramidale, la potenza che il soggetto deve applicare, e cioè quella che è impostata sul simulatore (o la velocità), rimane sempre costante. La durata del test ha tempi abbastanza prolungati (almeno 30 minuti), e le variazioni eventuali (possibili) sono legate alla resistenza del soggetto. Ad intervalli di tempo (3-5 min.) si effettuano i prelievi di sangue per stabilire la lattacidemia. Con questo test generalmente si "centra" il valore effettivo dell’accumulo o della metabolizzazione del lattato, della potenza e della frequenza cardiaca alle quali l’atleta è in grado di effettuare una prestazione di lunga durata senza avere un sensibile calo dovuto all’accumulo d’acido lattico. Tale test ottimizza i risultati ottenuti con quello piramidale. Una tale metodologia di valutazione anche se è l’unica a garantire la soglia anaerobica reale, pecca di praticità, perché, di fatto, richiede una serie di tentativi prima di definire con esattezza il corretto valore di soglia.

Le considerazioni

Alla luce di quello fino ad ora detto risulta evidente che il monitoraggio del lattato è l’unico sistema in grado di dare delle informazioni fondamentali per la stesura e la razionalizzazione di un programma d’allenamento, che sia effettivamente studiato in base alle caratteristiche metaboliche e funzionali del ciclista o dell’atleta. Uno dei problemi importanmti che si presenta all’allenatore è in primo luogo stabilire la quantità del lattato espresso in mmoli/l relativo ad un dato carico (riferito alla frequenza cardiaca e alla potenza) che rappresenta il valore reale della soglia anerobica. Mader nel 1976 propose, sulla base d’alcune osservazioni empiriche, di considerare il valore delle 4 mmoli/l come punto della curva lattacidemica corrispondente al passaggio attraverso la soglia anaerobica, ma la generalizzazione di tale parametro non può essere un riferimento valido per tutti. Questo parametro, infatti, varia da atleta ad atleta. La grossa difficoltà da superare è rappresentata dal come identificare il momento in cui si raggiunge l’equilibrio fra la concentrazione di lattato muscolare e quello ematico, in quanto nella singola fibra che produce l’acido lattico si avranno valori di lattato più elevati di quelli che si possono trovare nel sangue. Quanto è maggiore questa concentrazione tanto maggiore è il tempo necessario per arrivare ad un equilibrio tra lattato muscolare con quello ematico. La concentrazione del lattato nel sangue non cresce parallelamente a quello del muscolo, ma aumenta all’incirca con il quadrato dell’intensità del carico, mentre nei muscoli sale all’incirca con il cubo. C’è da considerare, poi, l’elevato turnover metabolico cioè che mentre il lattato viaggia dai muscoli al sangue, una parte viene "consumato", metabolizzato. Perciò prima che si raggiunga l’equilibrio, e che il lattato sia distribuito nei vari compartimenti "idrici" del corpo, una larga frazione di esso è stata già metabolizzata. Dunque, nel sangue arriva solo una parte, per vari motivi. Poi c’è la variabilità del volume di diluizione del lattato che vedremo appresso.

Lo smaltimento del lattato

Il tempo di smaltimento del lattato nel sangue durante l’esercizio risente del grado d’allenamento: più si è allenati più rapido sarà il tempo di smaltimento o, come si dice tecnicamente di semipagamento. Non si deve credere che la metabolizzazione del lattato corrisponda sempre un reale vantaggio per l’atleta. Il lattato non è solo una sostanza nemica, ma la sua molecola contiene energia che può essere recuperata e sfruttata da vari organi e tessuti. Esso, infatti, può essere utilizzato come combustibile metabolico oppure come fonte per produrre glucosio o glicogeno. Principalmente attraverso due processi di trasformazione: il primo, la trasformazione in piruvato che si introduce nei mitocondri e viene bruciato come carburante nel ciclo di Krebs; il secondo prima in piruvato e poi in glicogeno.

Naturalmente esiste un altro aspetto da considerare, quando il ritmo di produzione del piruvato nell’esercizio intenso supera la capacità dei mitocondri di smaltire i substrati, il lattato è accumulato nel muscolo, alterandone il pH ( grado d’acidità). Ecco che a questo punto entra in ballo la possibilità delle fibre muscolari di tamponare una certa quantità degli ioni H prodotti dalla fibra stessa. Tanto più è elevata questa capacità, maggiore sarà questo effetto tampone, più si potrà continuare a lavorare anche avendo un alto grado di concentrazione di lattato nei muscoli. E, di fatto ci sono atleti che riescono a produrre sforzi molto intensi anche per lunghi periodi: hanno una elevata capacità tampone. Ma cosa vuol dire capacità tampone? Nei liquidi corporei sono presenti sistemi di sostanze chimiche detti tamponi. Queste sostanze reagiscono con gli acidi per mantenere un appropriato equilibrio acido-base. Il sistema tampone più comune esistente nel corpo è costituito da acido carbonico e bicarbonati ed influenzato dal contenuto d’alcune proteine ( aminoacidi e/o peptidi) e dei fosfati nelle fibre muscolari.

La soglia aerobica ed anaerobica

Nella valutazione funzionale è fatta una differenza tra soglia aerobica e soglia anaerobica. Tra queste due valori si trova una zona di passaggio aerobica-anaerobica, una zona molto complessa di regolazione dell’organismo, e dove si hanno in genere - con un allenamento mirato – i miglioramenti più evidenti e sensibili della prestazione, rispetto a quelli assoluti. La soglia aerobica ( secondo Mader) è caratterizzata da un valore della concentrazione di lattato pari a 2 mmol/l, invece per quella anaerobica le 4 mmol/l (ma abbiamo già visto come sia possibile avere valori molto "soggettiviti"). I valori della zona di passaggio sono compresi tra le 2,5 e le 3,5 mmol/l. La soglia individuale è influenzata dagli enzimi del metabolismo aerobico, con il cambiamento della loro attività, indotto dall’allenamento, si modifica anche il livello della soglia del metabolismo aerobico-anaerobico a livello cellulare. Oltre questo, nei test all’ergometro, soprattutto a livelli sub massimali di carico, la formazione del lattato è influenzata dalla disponibilità di substrati (glicogeno, acidi grassi). Una cosa di cui tener conto nella valutazione nel valutare la misurazione. Quindi, è necessario da parte dell’atleta far precedere il test da almeno un giorno di recupero nel quale dovrà aumentare la quota di carboidrati nella sua alimentazione, per ottenere il massimo della sua riproducibilità. Come ho detto questi valori possono essere considerati solo come unità di misura, in altre parole come se ci pesassimo sempre sulla stessa bilancia e indipendentemente dell’esattezza della stessa, avremmo dei valori su cui fare riferimento. Lo stesso accade con il valore delle 3,4 o 5 mmol/l dovrebbero essere considerati come valori non di soglia, ma sui quali analizzare gli eventuali miglioramenti o peggioramenti prestativi venendo correlati con la potenza meccanica o dalla velocità espressa dall’atleta a quei valori.

La soglia anaerobica reale

Quanto alla individuazione della soglia anaerobica reale va detto subito che i test non forniscono all’allenatore garanzie totali per poter applicare un metodo rispetto ad un altro. Il metodo più idoneo a nostro avviso è quello del test di durata a potenza stazionaria, ma è di difficile esecuzione; gli atleti si prestano mal volentieri ad eseguirlo. Personalmente agli atleti di élite faccio eseguire il test di durata su strada, che risulta essere meglio tollerato fisicamente e soprattutto psicologicamente, applicando ad esso protocolli più brevi, sia in pianura sia in salita, che garantiscono l’equilibrio. Per eseguirlo è necessario un misuratore di potenza montato sulla propria bicicletta ( Power meter), è possibile eseguirlo anche con il semplice monitoraggio della frequenza cardiaca, ma ho riscontrato che questo metodo non offre le medesime garanzie di precisione. In quanto la soglia reale ha dei riscontri mutevoli, non solo da un giorno all’altro ma anche nel corso di una seduta d’allenamento, quindi questo parametro di riferimento va interpretato e applicato con una certa flessibilità. La potenza invece può essere influenzata principalmente dalla temperatura e in secondo luogo dall’umidità e dalla pressione barometrica, ma non tanto da modificare in modo sostanziale i riscontri valutativi.