PRIMA
O POI DEVE SUCCEDERE
PROLOGO
Gli sguardi dei due fratelli s'incontrarono, e per un
momento erano ancora sul campo da calcio, a giocare nella nazionale,
ad unirsi in un'esibizione che avrebbe portato in vantaggio la squadra.
Ma fu solo per qualche secondo, infatti, James distolse lo sguardo
Non sopportava vedere suo fratello in quelle condizioni,: sdraiato
su un letto d'ospedale, con tubi che entravano nel naso e nella bocca,
non aveva più capelli
ed era dimagrito.
Un mugolio, Jason lo stava chiamando, il numero 10 strinse i pugni
non
poteva nemmeno parlare per colpa di quei tubi!
Si giro a forza, e mostrando un falso sorriso, cercando di trattenere
le lacrime, era sempre suo fratello, il numero 9
una leggenda.
Non mentirmi James, non sforzarti nel sorridere, e nel raccontare
della squadra. Ti prego piangi, non nasconderti dietro all'ironia,
ti scongiuro sfogati, urla, odiami, ma non farmi sentire uno stupido,
una palla al piede
Voglio che tutto ciò che provi esca
dal tuo cuore, non sono uno sciocco lo so cosa provi, ti prego non
farmi sentire solo! Anche se mi sei accanto, indossi una maschera,
e io non voglio essere causa della tua malinconia, della tua rovina.
Una donna sui quarant'anni entrò nella stanza, indossava una
semplice camicia a quadri e un paio di jeans, i lunghi capelli neri
erano legati una coda di cavallo. Gli occhi infossati sottolineati
da borse enormi, come se da tempo non dormisse. Si avvicinò
al ragazzo seduto su una sedia, e lo baciò sulla fronte, "Non
credi che sia ora di tornare a casa?" come sempre lo voleva mandare
via; "Sì mamma" bisbigliò, dando l'ultima
occhiata al fratello.
L'aria fredda lo colpì al viso, indossò
una sciarpa color blu oceano, almeno si sarebbe coperto metà
volto. Non aveva nessuna voglia di tornare a casa, la trovava terribilmente
noiosa senza l'allegria di Jason.
A testa china si avviò senza una mèta precisa; i piedi
affondavano nella neve e i ricordi di un tempo si facevano l'argo nella
sua mente.
Rise, anche se gemelli erano davvero diversi
già Jason aveva
sempre bisogno lui, di qualcuno che gli desse fiducia; e all'improvviso
si trovarono in una squadra, gli unici che potevano portarla alla vittoria
era una forza vederli giocare, le loro strabilianti acrobazie
che bloccavano l'avversario li portarono alla nazionale.
Si diede dello stupido, era inutile ricordare tempi passati, i fratelli
Derrick non avrebbero più potuto emozionare i tifosi con la loro
magia.
La testa affondata nel cuscino, mentre le mani si stringevano
nelle coperte. Cos'era quella sensazione? Che Jason stesse male?
Si guardò attorno, poco distante c'era il letto di suo fratello,
proprio vicino alla finestra. Si sdraiò su di esso e guardò
le stelle che Jason amava
molto più del calcio.
Alzò lo sguardo sul soffitto, dove vi era attaccato il poster
di un musicista, sospirò, ma perché suo fratello era così
diverso? L'unica cosa che li univa era il calcio, ma ora
già
ora cosa rimaneva di cui parlare?
Un rumore metallico svegliò la donna, che spaventata guardò
il suo bambino, "Jason, Jason!" urlò cercando di scuoterlo,
ma inutilmente.
Un medico la costrinse a uscire, mentre lui e altre persone si sarebbero
occupate di Jason
"Si fidi, andrà tutto bene"
le sussurrò un'infermiera.
***
La grande villa era silenziosa, tutti dormivano tranne
Julian, stava seduto sulla scrivania, osservava una fotografia che ritraeva
Amy, l'aveva scattata dopo la prima partita contro la Nankatsu, si ricordava
ancora ogni particolare.
Amy, stava aspettando l'autobus, si sentiva in colpa, la mano che copriva
ancora la guancia dove c'era ancora il segno della sua.
Suo padre si era accostato, "Vuoi un passaggio?", Amy lo guardò,
poi guardò verso di lui, "No, grazie".
Allora, era rimasto stupito, cos'era quel sentimento che aveva letto
nei suoi occhi? Rabbia? Delusione? Tristezza? Cosa? Avrebbe voluto scendere
e parlare ma suo padre aveva già incominciato ad avviarsi, prese
allora la macchina fotografica e le scattò una foto, per capire.
Sorrise, che stupido che era stato! Non era nemmeno riuscito a chiederle
delle spiegazioni, ed ora era troppo tardi. Dopo otto anni aveva rivisto
lo stesso sguardo, e sentiva che questa volta l'aveva persa.
"Amy, posso accompagnarti a casa?" "No", fu la risposta
gelida della ragazza, "Ah! Ci vediamo 'sta sera agli allenamenti!"
Amy si era fermata, e lo aveva guardato negli occhi "Lasciami in
pace! Io non servo agli allenamenti" poi si era messa a correre.
Nello stesso momento una ragazza disegnava su un foglio
il viso di un giocatore, dai lineamenti dolci e dagli occhi freddi.
Aveva esagerato a parlargli in quel modo, ma ultimamente non lo sopportava,
la sua presenza la irritava e quel suo sguardo
oddio quello sguardo
lo usava solo per guardare il pallone e il campo da calcio. Eppure lo
amava, lo aveva sempre amato
o era solo bisogno d'affetto, solo
e nient'altro un sostituto di Holly?
Mordicchiò la matita, certo che era una situazione assurda! Lei,
la dolcissima Amy in preda ad una crisi di nervosismo. Rise, chissà
forse era pazza!
Prese in mano una lettera arrivatale quella mattina, forse poteva accettare
partire
per un anno, andare in Italia, il suo sogno; certo doveva lasciare la
sua famiglia, la squadra di pallavolo, la musica e
scaraventò
la busta contro il muro doveva smetterla di pensare a lui, riusciva
solo a farla impazzire!
***
Gli occhi scuri di Ed, scrutavano nel buio, la ferita
che si era appena procurato.
Ora stava maglio!
Sospirò, ci aveva provato, ma inutilmente
per lui era come
l'acqua per un assettato.
Sgusciò dal bagno per ritrovarsi nella sua stanza, a tastoni
raggiunse il letto posto vicino al bagno, si sdraiò su di esso,
si sentiva bene, finalmente in pace con se stesso
ma qualcosa che
scendeva dai suoi meravigliosi occhi rovinava quell'atmosfera di beatitudine.
Sfiorò con l'indice della mano destra una guancia
lacrime,
erano lacrime
Peccato che il sonno lo stava sopraffacendo, avrebbe voluto vedersi
mentre piangeva.
***
Ma perché suo padre non capiva? Perché lo
obbligava ad essere un portiere?
Lui, che aveva sempre desiderato correre, non ce la faceva più
a stare tra due pali, e l'unica che lo capiva era Sonja, sua sorella.
Una ragazza come lei non esisteva, dolce e forte, l'aveva invogliato
lei a correre di notte, mentre tutti dormivano, così, nessuno
avrebbe mai sospettato di nulla.
Ed ora era lì, su quelle strade buie illuminate a tratti da lampioni,
era lì e sentiva il terreno scivolare sotto i suoi piedi e il
vento colpirgli il viso. Un turbine di sentimenti lo invase, sì,
era quello che voleva provare, cose che non avrebbe mai sentito stando
fermo in una porta da calcio
Sorrise, Sonja lo sapeva, e lo incitava, lo obbligava ad ribellarsi
al padre, ma ora
non poteva, avrebbe trovato il momento giusto
mancava
poco, se lo sentiva
presto avrebbe affrontato la partita più
impegnativa della sua vita!
CONTINUA....
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