Le ali della libertà

 

 

 

1939.

“Tenente, lei… crede nel destino?” L’ufficiale si voltò. “Sergente, va bene che lei è sempre stato un tipo... diciamo poetico, ma questo è davvero troppo. Se devo essere sincero io credo nel destino che ognuno si costruisce”. Poi guardò il Messerschmitt Bf.109 E-3 del ragazzo. “Vedo che ha scelto il suo stemma… perchè un fiore di ciliegio?”. Il sergente mormorò appena. “La ragazza del sogno… profumava… di ciliegio….”. “Credere nelle favole è bello… ma credo che ora faccia meglio a pensare a come finire questa guerra vivo.” Detto questo il tenente chiuse la cabina del suo caccia ed accese il motore. Ma quel giovane sergente, che aveva a malapena diciassette anni, aveva fatto molte volte quel sogno. Per la tredicesima volta quella giovane ragazza invocava il suo aiuto; ma quello che più lo incuriosì era quella voce, una voce talmente bella da non sembrare appartenere a quel mondo che stava per massacrarsi per molto tempo. Una voce che lo chiamava capitano.

2000.

“Sakura, attenta alle spalle”. La voce di Tomoyo era più agitata del solito quel giorno. Oggi è comparsa l’entità della carta “aviogetto”. Un F-15. Caccia da superiorità aerea. “Ha lanciato un altro missile!” Ne aveva quattro a disposizione, e questo era il terzo. Gli altri li avevo evitati per un soffio, in quanto erano a guida radar. “Devi portarti in coda all’avversario!” urlò Li Shao-Lang. Se mi fossi portata dietro di lui, il radar di bordo non avrebbe più potuto guidare il missile. Con una brusca virata, mi posizionai alle sua spalle; il calore emesso dai motori era insopportabile, in più questa manovra, che andava fatta di forza era per me molto faticosa. In quella posizione faceva troppo caldo, così manovrai per dirigermi verso un gruppo di edifici. Il caccia salì in quota e m’individuò di nuovo; si posizionò dietro di me mentre si preparava a lanciare l’ultimo missile, quando Li, con una magia, fece comparire un varco spazio-temporale nel cielo di Tomoeda. “Porta l’avversario nel varco!” urlò, ma io ero troppo stanca per ascoltarlo. Mentre ero inseguita, mi passò negli occhi tutta la mia vita… la scuola, gli amici… Li… poi un misterioso ragazzo con uniforme tedesca… Lo stesso ragazzo che da quando con la classe visitai il tempio Yasukuni, dedicato alle vittime della guerra, sognavo tutte le notti. Sentii Tomoyo e Li urlare qualcosa, ma non capii…

1945.

“Questi cavolo di americani” commentò Marco Righetto, mentre effettuava un altro passaggio sulla formazione di bombardieri statunitensi. Era un volontario italiano della Luftwaffe, la forza aerea della Germania nazista. Era uno dei circa trecento ai quali era stato concesso di pilotare il Messerschmitt Me.262 A1-a, il primo aereo da caccia a reazione ad essere divenuto operativo. Con una velocità di 900Km/h, unitamente ad un eccezionale maneggevolezza, lo Schwalbe (rondine, così veniva chiamato) è stato il miglior caccia della seconda guerra mondiale. Marco effettuò una virata portandosi in coda ad un Liberator diretto verso Monaco di Baviera. Gli si mise in coda e con una raffica di proiettili da 30mm gli spezzò le ali e l’americano precipitò. Subito dopo vide un apparecchio da caccia Mustang, e Marco disse mediante radio al pilota davanti a lui. “Lascialo a me, mi divertirò un poco con lui prima di farlo fuori”. Detto ciò si mise in volo rovesciato, portò il suo aereo pochi metri sopra al Mustang e mostrò il dito medio all’americano; “Salve!”. “Tu ti diverti così?” disse un suo compagno di volo. Poi Marco si riportò dietro di lui e fece fuoco, facendolo precipitare in una palla di fuoco. “Comandante, qui bianco sette. Due yankee abbattuti” disse alla radio. Il suo comandante però gli rispose “Occhio a ore sei”. Gli aerei bimotori come il Me.262 erano svantaggiati in manovrabilità rispetto ai caccia monorotori ad elica, ma essi avevano il vantaggio di essere circa 160Km/h più veloci. Ma un Mustang si buttò in picchiata contro Marco e sparò. Il tiro dell’americano era impreciso, ma si stava avvicinando ai suoi motori. Se li avesse colpiti, Marco sarebbe saltato in aria. Gli stava passando davanti agli occhi tutta la sua vita… la sua famiglia… il Duce… il suo comandante Galland ed i suoi amici piloti… “Ma cosa…” Vide che lo spazio attorno allo Schwalbe si stava come deformando. Il suo inseguitore cambiò rotta, come se non potesse più vederlo. Entrò in una specie di tunnel, e delle immagini vi scorrevano ai lati. Roma antica… un castello medioevale… la rivoluzione francese… la prima guerra mondiale… Mussolini e Hitler… Poi le immagini che si presentarono a Marco gli divennero sconosciute. La bomba atomica… Kennedy… lo sbarco sulla luna… città moderne… Sakura contro l’F-15… “Il mio sogno… Americani!!!” L’istinto del cacciatore disse a Marco di premere il pulsante di sparo dei suoi cannoni.

Anata to tomodachi ni naritai desu – Vorrei diventare tuo amico.

“Ma cos’è?” disse Tomoyo, mentre la sua videocamera inquadrò il Me.262 nell’attimo in cui uscì dal varco. I suoi colpi centrarono i motori dell’F.15, facendolo precipitare. Marco dall’abitacolo osservò la sua sessantaseiesima preda precipitare, ma la sua soddisfazione svanì quando il nemico si tramutò… in una carta! Poi notò la ragazzina svolazzare di fronte la lui e pensò di avere le allucinazioni; per questo appena trovò un’area libera decise di atterrare, pensando che doveva essere troppo stanco. Anche Sakura atterrò davanti ai suoi amici. “Avete visto quello strano aereo?” disse Tomoyo, credendolo oggetto di una sua fantasia causata dalla stanchezza. Precisiamo che l’idea di Sakura di “aereo” era rappresentato da velivoli per la maggior parte moderni, a parte il Mitsubishi Zero… Udendo però il rumore del jet atterrare poco lontano dalla zona del combattimento decisero di dare un’occhiata. Marco era inconsapevolmente atterrato nel campo dietro la casa di Sakura, e si stava slacciando le cinture. Non appena vide i ragazzi camminare verso il suo apparecchio, egli prese la sua pistola e scese dall’aereo. I pensieri del gruppetto, mentre si avvicinavano con la dovuta circospezione, erano molto diversi tra loro. Sakura voleva solo conoscere il suo salvatore, mentre Tomoyo pensava che si trattasse solo di un bel ragazzo. Li era dell’idea che si trattasse di un nazista fanatico, dato che sulla coda dell’aereo era dipinta la svastica. “Non un altro passo!! Identificatevi! Questò è un aereo segreto!” urlò il pilota mentre puntava la sua arma verso il terzetto. “Si calmi signor pilota… il mio nome è Sakura Kimomoto, e quelli sono i miei amici Li Shao-Lang e Tomoyo Daidouji” . “Molto lieti di conoscerla” conclusero i tre effettuando un profondo inchino. Poi Sakura disse “E io sono lieta d’avermi salvato dal mio avversario”. “Ah… gli alleati giapponesi” disse riponendo la pistola nella giubba. Poi iniziò a riordinare le idee. “Come giapponesi… ma dove siamo…” disse tra sé, crollando al suolo. Vedendo ciò i tre lo presero sulle spalle, richiamando anche l’attenzione di Touya e Yukito, che stavano tornando da scuola. “Ma che succede qui?” domandò il fratello di Sakura. “È troppo lunga da spiegare” disse Li. “Quel coso ha fatto un fracasso dell’altro mondo, fatelo sparire!” disse riferendosi al jet tedesco. I due non capirono che stava accadendo, ma decisero di spingere l’aereo nel box. Entrati in casa fecero sedere Marco su di un divano e gli offrirono un tè. Il pilota farfugliava qualcosa d’incomprensibile, ma poco a poco si calmò “Dove sono finito?” disse con un filo di voce. Sakura si sedette sul divano accanto a lui e disse “Sei a Tomoeda, in Giappone” Marco alzò gl’occhi e guardò la ragazza “Che occhi stupendi” non potè fare a meno di pensare. Era come calamitato dal suo sorriso angelico. “Il sogno… no… è impossibile…” Poi notò la differenza tra il suo orologio e quello di Sakura. “E soprattutto… quando siamo?” Gli sguardi dei ragazzi si fecero interrogativi, poi Li affermò: “Il tunnel spazio-temporale deve aver risucchiato questo pilota mentre era in missione”. Tomoyo annuì e disse la data odierna. Gli occhi di Marco si sgranarono. “Dio mio… comandante… padre… madre…” In quel momento entrarono in casa Touya e Yukito. “L’aereo è nel box. Ora ci dite che sta succedendo?” disse il primo, ed i due ragazzi furono messi al corrente della situazione. “Capisco…” disse Touya. “Va bene, mentre indaghiamo sulla tua situazione sarà meglio che ti cambi d’abito” affermò Yukito mentre osservava il giaccone d’aviatore del ragazzo. Fujitaka gli prestò degli abiti più consoni e preparò il pranzo. Terminato questo Marco ringraziò i ragazzi per il loro aiuto. “Non c’è di che” disse Sakura. “piuttosto, perché non ci dici come ti chiami?”. Marco rispose “Che sbadato, non mi sono sncora presentato. Sono l’Hauptmann (capitano) Marco Righetto, ventidue anni, pilota della Jagdverband 44 di stanza a Salisburgo in Austria”. I ragazzi si sorpresero della sua dichiarazione poi Marco tirò fuori una medaglia che gli era stata conferita personalmente da Hitler: la croce di ferro con fronde di quercia e spade. “Mio comandante…” sospirò, riferendosi all’amico Galland. “Sapete, me l’anno conferita in virtù nella mia sessantesima vittoria… ma ditemi… prima… cosa ho abbattuto?” Yukito rispose che si trattava di un aereo da caccia di costruzione americana che vola ad oltre 2500Km/h. A quel punto Marco alzò di colpo lo sguardo e disse: “Impossibile! Il mio Messerschmitt Me.262 è l’aereo più veloce del mondo!”. “Amico, guarda che dal tempo in cui è stato costruito il tuo caccia sono passati sessant’anni”, e dicendo questo Touya s’avvicinò al computer ed entrò in un sito d’aeronautica, nel quale erano inseriti tutti gli aerei del modo. Fece accomodare Marco accanto a sé e in pochi minuti gli mostrò l’evoluzione degli aerei dal 1945 ad oggi. I missili aria-aria egli li aveva già visti in pochi esemplari sul finire della guerra, mentre i radar allora venivano usati solo sugli aerei impiegati di notte. “Finché ho un cannone con cui sparare, la velocità non conta” fu il suo commento. Intanto al piano di sotto si discuteva su come aiutare lo sventurato pilota. “E se provassi a riaprire il tunnel spazio-temporale per riportarlo nel passato?” disse Yukito, ma Li raffreddò subito le sue speranze. “Impossibile” rispose il ragazzo. “Il tunnel si apre a caso in qualsiasi epoca. Ce lo vedi se un giorno Fujitaka trova il fossile di Marco… che risale al giurassico?”. In quel momento Marco e Touya scesero in salotto. “Allora… non potrò più rivedere i miei amici… e la mia famiglia…” le lacrime si formarono sui suoi occhi, quegli stessi occhi che avevano condannato tanti nemici a morire o alla meno peggio a ferirsi seriamente. Aveva combattuto la Battaglia d’Inghilterra, si era scontrato valorosamente in Normandia, poi i primi caccia a reazione… ma il “Non importa” che uscì dalle sue labbra seguì la visione mentale di tanti amici morti davanti ai suoi occhi. Sakura disse che era colpa sua se adesso Marco si trovava in quella situazione, e si offrì di ospitarlo. “Ti ringrazio” disse il pilota con un sorriso, facendo arrossire Sakura ed ingelosire Li. Da buon pilota qual’era Marco si fece condurre dov’era ricoverato il suo aereo e svolse la consueta manutenzione post-volo. Scaricò il carburante, disarmò i cannoncini e ripulì i delicati turboreattori. Vide degli attrezzi nel box, e si convertì in armiere costruendo le munizioni mancanti e riempiendole con la polvere da sparo dei petardi. Già in guerra effettuava quest’operazione, nel timore che i proiettili fornitegli dall’esercito s’inceppassero. I ragazzi si aggiravano incuriositi attorno all’aviogetto, facevano domande tecniche al pilota e soprattutto chiedevano lumi sulle sue prestazioni nei confronti dei caccia ad elica giapponesi del secondo conflitto mondiale. “Con tutto il rispetto per gli aerei giapponesi, ma mi è stato riferito che erano sì maneggevolissimi, ma che l’armamento era insufficiente contro i bombardieri e che la corazzatura difensiva era molto debole. Il mio jet è invece dotato di vetro blindato e di corazze da 25mm per difendere la vita del pilota”. I ragazzi accettarono la tesi del pilota che indubbiamente, pensavano, ne sapeva molto più di loro in materia. “So che quasi tutti i piloti hanno un simbolo personale dipinto sull’aereo. Come mai il tuo è un fiore di ciliegio?” disse Li Shao-Lang; Marco rispose “Di preciso non lo so… lo sognai…”. Sakura fu come attraversata da un pensiero. Che sia davvero lui il ragazzo del sogno… no… impossibile… Ma mentre Marco caricava le ultime munizioni il suo sguardo s’incupì e tornò in casa. Si sedette sul divano e fece la fatidica domanda. “La guerra… chi ha vinto?” Yukito rispose che l’hanno vinta gli alleati, dopo la morte di Hitler. “Non m’importa della Germania o dei nazisti… mi rattristo per coloro che persero la vita, soprattutto i civili che in caso di guerra ne pagano il prezzo peggiore. In licenza uscivi dall’universo militare per piombare nell’inferno dei civili. A Swinemunde vennero da noi militari alcune ragazzine di undici, tredici anni che ci pregavano di toglier loro la vita. Durante la fuga non solo erano state ferite, ma erano state anche violentate dai soldati russi. Venivano dalla Prussia orientale invasa dai sovietici, e ora facevano sosta in Pomerania. Dopo il trentesimo bombardamento di Essen ci fu ordinato di cercare i documenti dei cadaveri prima di portarli via: c’era anche una donna che aveva partorito durante il bombardamento, con il bambino ancora attaccato al cordone ombelicale, privo di ferite, ma morto”. Sakura e Tomoyo rabbrividirono al solo pensiero, e fortunatamente per loro Marco notò il loro turbamento. “Mi space… mi sono lasciato trascinare… perdonatemi” disse, mentre qualche lacrima scorreva sulla sua guancia. Si era fatta sera e Yukito e Li rientrarono a casa loro. Tomoyo decise di rimanere un altro po’ e preparò dei piatti tipici italiani, specialità in cui se la cava benissimo anche secondo Marco, che spazzolò in pochi minuti un piattone di spaghetti al pomodoro. “Ottimi. Da quando sono in Germania non mangiavo altro che crauti o schifezze del genere!” commentò. Più tardi, quando anche Tomoyo se n’è tornata alla propria casa, giunse il tempo di dormire. Marco alloggiava su di una brandina nella camera di Touya. Il ragazzo, non appena la luce si spense, non potè fare a meno di dire “Mi spiace per quello che ho detto prima… non volevo turbarvi…”. Touya si rivoltò nel letto e vide che Marco rimirava, alla luce lunare che entrava dalla finestra, la foto della famiglia del ragazzo. “Non importa… avrai sofferto tanto…” e s’addormentò. Marco lo seguì a ruota, in quanto già faceva un lavoro stressante, poi lo facevano dormire poco a causa dei frequenti allarmi.

Un mondo nuovo.

È passata una settimana. Fujitaka aveva insegnato a Marco le più comuni frasi in giapponese per permettergli di ambientarsi meglio nel caso non fosse più possibile rispedirlo nel passato. Inoltre si era consultato con un esponente del ministero dell’istruzione spacciandolo per un allievo che aveva perso la memoria. Gli era stato detto che il livello d’istruzione di Marco era al livello di una classe di elementari, e pertanto egli divenne un compagno di classe di Sakura. Il pomeriggio delle due settimane seguenti passò illustrando al ragazzo il funzionamento di cellulari, computer, televisori, auto moderne, lettori DVD, stereo e molto altro. Essendo già stato addestrato ad imparare il funzionamento delle cose velocemente, il suo apprendimento richiese pochi ripassi. Sempre considerando la possibilità ch’egli non possa più ritornare nel suo tempo si mette in regola con la burocrazia seguendo l’iter dei rifugiati di guerra. Prende così la patente ed una maggior confidenza con la lingua nipponica. “Marco-san, sei davvero carino con la divisa della scuola di Tomoeda” disse Sakura. “Eh… se lo dici tu…” rispose mormorando un imbarazzatissimo Marco, vedendosi riflesso nello specchio. “Tieni” disse Fujitaka, consegnando al ragazzo una bicicletta. “È la mia veccia bici, che non uso più per il fatto che lavoro troppo lontano da casa. Ma per recarsi a scuola va benissimo”. Trovare il plesso scolastico della cittadina non fu difficile, anche se i cartelli li interpretava a malapena. Entrando nell’edificio pensò dapprima per farsi passare per qualcuno in cerca del cuginetto o cose di questo genere, ma poi il pensiero della divisa gli fugò quel pensiero attirando lo sguardo di tutti. Fortunatamente le voci che da lì a poco sarebbero state messe in giro riguardo la sua amnesia lo avrebbero aiutato non poco. “Ragazzi, da oggi avrete un nuovo compagno. Ha vent’anni, ma per via del fatto che ha perduto la memoria starà da noi per qualche mese, poi passerà alla scuola media”. Detto ciò il professor Terada fece accomodare Marco in classe. Lo stupore, soprattutto presso i suoi conoscenti, fu molto alto. “Come ti trovi qui?” disse Tomoyo. “Mah, è un po’ strano che io, ventenne, mi trovo in classe con elementi molto più piccoli di me… è imbarazzante…” rispose il ragazzo, arrossendo. Sakura e i suoi amici mostrarono l’edificio scolastico a Marco, spiegandogli dov’era l’infermeria e cose di questo genere. Fortunatamente prima della guerra Marco è stato a stretto cont atto dell’ambasciata giapponese a Roma per il fatto che suo padre lavorava lì e questo lo aiutò molto nella comprensione della lingua. Capiva quasi tutti gli esercizi che gli proponevano ed aveva solo bisogno di apprendere bene la storia, la geografie e le scienze degli ultimi cinquant’anni. Secondo il programma, entro quattro mesi sarebbe passato alla scuola media e dopo altri due mesi al liceo. Una sera Sakura e Marco stavano guardando un documentario sulla seconda guerra mondiale alla TV. Al ragazzo interessavano gli sviluppi della guerra del Pacifico, dato che la guerra in Europa l’aveva toccata con mano. Quando comparve il video dell’atomica… “Dio mio… perché li hai abbandonati…” Il suo pensiero corse subito a Dresda. Questa città, il 13 febbraio 1945, subì un terrificante bombardamento secondo il metodo anglo-americano della “tempesta di fuoco”. La grande quantità di bombe incendiarie sganciate su un'area relativamente limitata e ricca di fabbricati addensati e infiammabili portarono alla formazione di una corrente ascensionale di aria calda di inaudita potenza e temperatura. L'aria surriscaldata, a temperature da 600 fino a mille gradi, saliva verso il cielo e l'aria fredda circostante si precipitava a colmare il vuoto lasciato a livello del suolo, surriscaldandosi a sua volta. Il fenomeno si esaurì in cinque ore, durante le quali si generarono venti diretti verso il centro dell'immane fornace con velocità fino a 300 km/ora. Chi veniva ghermito da questo vento non poteva opporre alcuna resistenza, ed era scaraventato al centro della zona incendiata, a temperature che volatilizzavano tutto. Dove il soffio rovente era solo di 300-400 gradi furono ritrovati poi cadaveri carbonizzati ridotti a circa un metro di lunghezza. Ma mano che ci si allontanava dall'inferno la temperatura scendeva sui cento gradi e il vento non era più in grado di trascinare. Ma il calore eccessivo bruciava le vie respiratorie, uccidendo per soffocamento chi non era già morto nei rifugi per la mancanza di ossigeno causata dagli incendi. Infine, ci furono coloro che furono colpiti direttamente dagli schizzi del fosforo delle bombe incendiarie: pattuglie di soldati e poliziotti non poterono far altro che abbattere questi infelici per limitarne le sofferenze. Lo spostamento d'aria causato dalla corrente ascensionale fu di tale violenza da far oscillare i bombardieri pesanti Lancaster ed Halifax che incrociavano a 5.000 metri di quota. Circa il 70% delle vittime di Dresda su un totale di 200000 vittime furono causate dalla tempesta di fuoco. Un orrore che sembrava giustificare il nome dato in codice al bombardamento che causò la prima tempesta di fuoco (ad Amburgo, il 28 luglio 1943): operazione Gomorra. Il destino di Dresda, Amburgo e dei suoi abitanti fu solo la punta di un iceberg che comprendeva Kassel, Friburgo, Wurzburg, Norimberga, Pforzheim, Hildeshieim, Rothemburg e tante altre.

Portami in alto, al di là delle nuvole.

Erano passati quasi due mesi dall’arrivo di Marco nel 2000, e la mattina del sei aprile egli decise di revisionare le turbine dei suoi motori, oggetti molto delicati. Ma per svolgere questo lavoro era necessario un aiutante, e siccome Sakura non doveva recarsi a scuola in quanto era domenica le chiese se poteva aiutarlo. “Certo, molto volentieri” rispose la ragazza. L’operazione tenne occupati i due ragazzi per circa tre ore, dovuti al fatto che i motori andavano completamente smontati per cercare eventuali tracce di rotture future. Quando tutto fu rimontato Sakura girava attorno all’aereo piena di stupore; “Proprio un magnifico apparecchio… è più bello persino del caccia Zero esposto al tempio Yasukuni, dedicato ai piloti suicidi…”. Marco le rivolse lo sguardo. “Perché, anche voi avete avuto dei piloti suicidi?” disse lui. Sakura, ricordando ch’egli non poteva conoscere gli esiti della guerra nel Pacifico, raccontò al giovane pilota la storia dei kamikaze. Al giovane scese una lacrima sulla guancia e Sakura lo notò. “Va tutto bene…” rispose il ragazzo. Poi cominciò a mormorare; “Elbe… il “Commando Spaciale” Elbe... Il suo nome vero era Rammverbands, unità suicida”. Marco si sedette su di una sedia e Sakura fece altrettanto. Poi proseguì il racconto. “Il sette aprile nel cielo di Magdeburgo, con la scorta del Jagdegeswader 7 di cui facevo parte e che impiegava i Me.262, 183 volontari si buttarono contro i bombardieri dell’ottava Air Force. 23 nemici furono abbattuti dai kamikaze, più altri 28 abbattuti dai cannoncini dei jet. Le nostre perdite totali furono di 133 aerei abbattuti e 77 piloti deceduti. Solo 50 aspiranti kamikaze tornarono alla base. Ero sconvolto. Erano ragazzi, appartenenti perlopiù alla Gioventù Hitleriana. I comandanti, fra cui Galland, criticarono aspramente tali missioni. Nella carlinga del mio jet piangevo disperatamente, mentre cercavo si salvare quei ragazzi abbattendo più bombardieri possibile. Cinque fu il mio totale quella volta. Mentre vedevo quei ragazzi, anche se volontari fanatici, schiantarsi utilizzando aerei radiati vecchi di cinque-dieci anni contro il nemico, non potei fare a meno di ripetermi che fosse stato meglio che la guerra non fosse mai iniziata”. Successivamente lanciò un’occhiata al suo jet, poi rivolse lo sguardo a Sakura che esaminava ogni minimo dettaglio del suddetto. “La sua designazione ufficiale è Schwabe, che significa rondine… Vuoi provarlo?”. La ragazza sgranò gli occhi; “Eeeeeh? Ma come puoi pensare che io…”. Marco sorrise e cercò di tranquillizzarla. “Soltanto un giretto a terra, per provare i motori” disse. Sakura deglutì, poi accettò. Marco si sedette nel posto di pilotaggio e fece accomodare Sakura sopra di lui; avviò i motori e lentamente l’aereo cominciò a rullare per il campo. Poi a Marco venne un’idea; abbassò i flap, diede tutto motore e iniziò la corsa di decollo. “Non avevi detto che sarebbe stato solo un giretto?” urlò Sakura. Marco con un sorriso disse “Se non si vola è come andare in giro in automobile”. Dopo pochi secondi l’aereo si staccò dal suolo, e Marco chiuse flap e carrello. Diminuì il regime dei motori per non sforzarli e, lentamente, Sakura si sforzò di vedere cosa c’era sotto l’aereo. “Aahhh… che bello” disse mostrando uno splendido sorriso. Tomoeda era circa mille metri sotto di lei. “Guarda! Che il mio fratellone insieme con il signor Yukito” disse lei. Marco cabrò passando sopra di loro a trenta metri di quota, poi inclinò l’ala in segno di saluto ed in quel momento, sfrecciando nel cielo, Sakura dimenticò per un attimo tutte le difficoltà della vita. “È questo” disse Marco. “Uh?” rispose la ragazza. “È questo sguardo sognante che contraddistingue una persona che vuole veramente volare”. Sakura rispose semplicemente con un sorriso, mentre l’aereo sfrecciava tra le nuvole. Poi, una volta raggiunti i diecimila metri, si stabilizzò. “Vuoi guidare tu?” disse Marco. “Meglio di no…” rispose Sakura. “Dài, è facilissimo. Prendi la barra e dirigila verso la direzione dove vuoi andare. La pedaliera la muoverò io…”. Dopo un attimo di titubanza, la ragazza ascoltò l’amico, prendendo i comandi del jet. “Com’è bello volare a quest’altitudine… si vedono le stelle persino in pieno giorno”. L’aereo era talmente docile che alla ragazza venne spontaneo domandare come fosse stato possibile realizzare un velivolo tanto pregevole nell’urgenza degli ultimi anni della guerra, e Marco rispose che i progettisti del Me.262, come di qualsiasi altro aereo, facevano questo lavoro con tanta passione che i loro progetti non potevano essere deludenti. “Ogni pilota sente un legame profondo con il suo aereo. Un sentimento profondo, ed il linguaggio per comunicare tra uomo e macchina è composto da rumori, odori, rapporto degli strumenti di volo. Ed in questo momento lui ti ha accettata come pilota”. In quel momento la radio captò un messaggio dell’aeroporto di Haneda. “Qui torre controllo Tokyo: identificatevi per favore”. Marco prese il microfono. “Qui è il miglior pilota del mondo, in viaggio di piacere. Se ci tenete a conoscermi meglio, chiedo autorizzazione a volo radente”. Dopo pochi secondi la risposta. “Negativo, autorizzazione non concessa”. Sakura s’accorse che l’aereo stava scendendo di quota puntando verso l’aeroporto. “Marco, non farlo”. “Mi spiace Sakura… farò la barba alla torre…”. Un attimo dopo, l’addetto alla torre di controllo che stava bevendo il caffè s’imbrattò la maglietta della bevanda per il fatto che è un po’ strano vedere un aereo della seconda guerra mondiale passare rombando a bassissima quota. Accelerando fino a 800Km/h, Tomoeda fu raggiunta in pochi minuti, dove Marco atterrò dietro alla casa dell’amica. Parcheggiò nel garage e spense i motori. I due scesero dall’aereo. “Grazie mille Marco-san. È stato bellissimo…” disse. Il ragazzo per tutta risposta sorrise, provocando la comparsa di rossore sul volto di lei. “Sono contenta che ti sia divertita”. Pochi giorni dopo giunse la notizia che la classe di Sakura si sarebbe dovuta recare all’aeroporto di Iwakuni, già base aerea degli Stati Uniti, ad assistere ad un air-show. La notizia attirò l’attenzione di Marco. All’appuntamento alla stazione ferroviaria di Tomoeda difatti il ragazzo non è presente. “Righetto viaggia con mezzi propri” disse Tomoyo. “Ha detto di partire pure senza di lui”. “Se è così…” disse il professor Terada. Una volta giunti alla base, i ragazzi assistettero a mostre fotografiche, racconti di piloti, ad acrobazie aeree, ed inoltre visitarono le officine dove venivano revisionati i velivoli ed un pilota face accomodare uno per uno i ragazzi nell’abitacolo del proprio F-16. Ad un cero punto sul palco comparve un signore che venne presentato come un ex-pilota di P-80, il primo caccia a reazione operativo nella forza aerea degli Stati Uniti. I primi P-80 comparvero sul finire della seconda guerra mondiale, ma non si scontrarono mai con i Me.262. “I rapporti dei nostri servizi segreti dicevano che il Me.262 aveva seri problemi di alimentazione nel volo rovesciato, e che non sopportava accelerazioni negative”. Sakura si accostò all’orecchio di Tomoyo per rivelare i particolare del volo con Marco sul Messerchmitt. Il vecchio pilota se ne accorse. “Vuole aggiungere qualcosa al riguardo, signorina?”. Sakura si girò verso il palco. “Sì signore… Sembra che i vostri rapporti sul Me.262 non fossero molto precisi. Giorni fa ho volato su di un Me.262…”. Tra il pubblico si udirono i soliti mormorii; “Che fantasia…”. Sakura non ci badò; “Ed io ho visto effettuare accelerazioni negative ed abbiamo resistito tre minuti in volo rovesciato senza accusare problemi”. Il vecchio pilota parve molto irritato. “E mi spiega come ha potuto volare sul Me.262 visto che non ne vola più uno da cinquant’anni?” disse con aria di sfida; e fu allora che Marco comparve con il suo caccia nel cielo, volando venti metri sopra il palco in volo rovesciato e mostrando il dito medio all’americano. “Salve!”. “Mi ci ha portato lui” disse Sakura. Dopo aver dimostrato che il Me.262 può eseguire tutte le manovre descritte nei manuali del volo acrobatico Marco atterrò. Sceso dall’aereo, si diresse verso gli stupiti presenti, vestito con la sua divisa di volo e la sua medaglia. Battè i tacchi e si mise sull’attenti. “Hauptmann Marco Righetto, della Jagdverband 44. Decorato con la croce di ferro con fronde di quercia e spade, oltre che vittorioso in sessantasei duelli aerei”. Quelli che erano a conoscenza della verità allibirono, ma i più continuarono a credere di avere davanti un mitomane. “Bene bene” disse il vecchio pilota americano. “Ti credi di essere chissà chi, ma ora vedremo”; detto ciò montò sul suo vecchio P-80 e, seguito da Marco, decollò. Ma gli esperti d’aeronautica sanno bene che il Me.262 è stato il miglior aereo del mondo fino al 1951, anno dell’introduzione del sovietico MiG 15, derivato anch’esso da un progetto tedesco (Foche Wulf TA.183). Con gli occhi al cielo, a Sakura e agli altri parve di assistere ad un balletto, con entrambi gli sfidanti che cercavano di portarsi in posizione di tiro. “Anche se i motori esterni possono risultare penalizzanti… Marco ce la sta mettendo tutta… è tutt’uno con il suo velivolo” disse Li Shao-Lang. Tomoyo e Sakura erano letteralmente incantate. Tra virate Schneider, tonneau, yo-yo e rolling scissor (manovre quest’ultime che riuscivano molto bene a Marco, e che dimostravano che il Me.262 risentiva solo di… cattive dicerie), il caccia tedesco a giudizio di tutti vinse la sfida. Nel corso della battaglia, alla radio della base giurano di aver sentito l’americano digrignare “Accidenti… questo qui è davvero bravo…”. E poche settimane più tardi Yukito, dopo aver eseguito dei calcoli complicatissimi, riesce a calcolare che per far tornare Marco da dove proveniva si doveva aprire un varco alla mezzanotte del 26 giugno; era la sua unica possibilità.

Vorrei che tu fossi qui.

All’apprendimento della notizia Marco quasi scoppiò a piangere dalla gioia. Finalmente avrebbe potuto riabbracciare tutti i suoi amici e parenti. Ringraziò tutti i suoi amici per l’impegno e la volontà nell’aiutare lui, fino a pochi mesi prima un emerito sconosciuto. Ma si sa che la generosità di quel gruppo di ragazzi e ragazze è impareggiabile. Per tutto il periodo del suo soggiorno nel futuro il ragazzo era tormentato dalla nostalgia. Un giorno Marco vide una foto della madre di Sakura; il signor Fujitaka gli aveva detto che era morta quando sua figlia era ancora una bambina. “Una famiglia… io non vedo la mia dal 1938… la manifestazione aerea per i mondiali di calcio. La sua famiglia era venuta a vedere l’Italia vincere il titolo. Un’altra visita non ebbe più luogo; nel 1940 Marco venne trasferito presso la Jagdegeswader 26 in Normandia; li conobbe Adolf Galland, poi più tardi, al tempo del D-Day, Josef “Pips” Priller. Due uomini che condividevano il pensiero di Marco. Priller, uno dei più grandi assi di tutti i tempi, adorava il suo Focke-Wulf Fw.190, ed aveva la fama di uno che non aveva peli sulla lingua. Poteva andare peggio, come a quel comandante di stato maggiore che sin sentì dare dell’idiota riguardo alla famigerata invasione alleata. “Come posso fermarli con solo due aerei a disposizione?”. Si era a Lilla, e tutti gl’altri Fw.190 erano stati trasferiti a Poix. Aveva ragione, nonostante la sua mente fosse più contorta di quella di Hideaki Anno, come commentò Touya. Priller era l’unico che poteva parlare a Goering guardandolo dritto negli occhi. Ma prima di tornare Marco aveva ancora un pensiero nella testa. Quel giorno… davanti all’F-15… Sakura stava davvero volando? O era stato solo un’allucinazione? Prima di tornare… “Posso chiedere… una cosa? Come mai quel giorno… il caccia americano… è diventato… una specie di carta? E soprattutto… tu… come facevi a volare?”. E Sakura gli spiegò la storia delle Clow Card, delle relative entità e della sua missione nel recuperarle tutte. “Tuttavia… ogni giorno che passa le entità diventano sempre più difficili da combattere… Se tu non fossi intervenuto… non so se ce l’avrei fatta”. Il ragazzo, incredulo, riordinò finalmente le idee. S’alzò dal divano e guardò Sakura. “Quando sono entrato nella Luftwaffe, l’aviazione tedesca, il mio istruttore di caccia mi disse: ci sono due tipi di veri piloti; i calcolatori, gente fredda e senza pietà, ed i ballerini, piloti che durante il combattimento eseguono le manovre con una tale grazia da sembrare danzatori. Ora dobbiamo solo scoprire che tipi siete voi…”. Prese Sakura per mano e la fece alzare. “Andiamo. Scopriamo che tipo di cacciatrice sei”. Si recarono dietro alla casa della ragazza ed il pilota decollò con il suo jet. Per un mese Sakura apprese i delicati segreti della caccia aerea, imparando le manovre d’attacco e d’evasione in combattimenti aerei simulati. Giunti al termine del corso Marco invitò tutti nel salotto della casa di Sakura. Pochi giorni prima aveva trovato una cosa molto interessante in un’asta on-line. Lei era vestita con l’alta uniforme della Luftwaffe preparata da Tomoyo. “Considerando i tuoi sforzi e conseguenti miglioramenti mostrati durante le lezioni, io Le consegno l’aquila, il simbolo dei piloti di caccia tedeschi. Congratulazioni!” La cerimonia sapeva un po’ di farsa, ma faceva il suo effetto. Come si è visto, Marco aveva imparato a navigare in internet. Belle scoperte, ma anche spiacevoli inconvenienti, come causò il ritrovamento di un numero telefonico. Sakura e Tomoyo erano in cucina a preparare una torta, per questo sentirono Marco che s’avvicinava al telefono. Il ragazzo alzò la cornetta e compose il numero. Telefonata per l’Italia. “Pronto, parlo con Alfredo Zizzoli?” disse il ragazzo. Dall’altro capo del filo una voce rispose affermativamente. “Salve, non so se si ricorda di me… sono Marco Righetto, suo compagno di scuola a Varese, prima della guerra…”. “Hum… Ma certo, Marco! Ma dove sei sparito… non hai più lasciato tracce dal 1945…” disse l’amico. Marco sorrise. “È una lunga storia… senti… ho perso i contatti con la mia famiglia… tu conoscevi la mia sorella minore… mi puoi dire come stanno?”. Silenzio. Per alcuni secondi, non si sentì volare una mosca. “Beh… non so come dirtelo…” rispose Alfredo. “Sono morti, vero?” disse Marco. “Il trenta aprile 1944 ci fu un bombardamento per radere al suolo la fabbrica aeronautica Macchi, ma alcune bombe caddero anche sulle abitazioni… mi spiace… non si è salvato nessuno” disse l’amico. “Ti ringrazio. Forse un giorno ci rivedremo… addio” disse Marco, riattaccando ed interrompendo la voce dell’amico che urlava dall’altro capo del filo. Lacrime. “Tutto bene?” disse Sakura, che per caso aveva udito parte della chiamata. “Sì, non ti preoccupare” disse Marco singhiozzando, e corse in camera sua. Ma la sua corsa s’interruppe quando d’un tratto da uno zainetto sbucò fuori Kerochan… “Vabbè che da quando sono qui le cose strane mi capita all’ordine del giorno, ma questa…” disse il ragazzo. “Hey! Bè ora non c’è tempo, ne riparleremo dopo… Sakura, è comparsa un’entità strafortissima a circa un chilometro da qui in direzione nordovest!” disse il mostriciattolo, e per questo Sakura schizzò fuori dalla casa, indossò il nuovo costume che Tomoyo gli aveva appena portato e decollò per andare a sconfiggere il nemico. Marco s’asciugò le ultime lacrime, prese la bicicletta e si recò sul luogo dello scontro. Giuntò lì, vide il nemico; era un essere che pareva metà falco e metà uomo… almeno, questo secondo la fantasia di Marco, egli non conosceva il vero nome dell’entità della clow card. Comunque sia, dopo che accorsero anche Li Shao-Lang e Li Mei-Ling, fu chiaro a tutti che era l’entità ad essere in vantaggio… “è abituata a cacciare… come lo ero io…” sussurrò Marco. Tomoyo fece un’ottima osservazione: “Ora che Sakura è stata addestrata da te, egli riesce facilmente a sfuggire agli attacchi del mostro in quanto riesce a volare più velocemente, ed il disimpegno è molto più facile…”. Ad un tratto il mostro attaccò Sakura con delle sfere d’energia che ponevano la ragazza in enorme difficoltà in quanto egli doveva preoccuparsi innanzitutto delle mosse di difesa, e non poteva passare all’offensiva. Occorreva un aiuto esterno. Li Shao-Lang stava per effettuare qualche altra magia, ma non s’era accorto che Marco era sparito da qualche minuto. La procedura d’avviamento la ricordava bene… tante volte l’aveva effettuata… “Con le manette aperte all’11% si azionano i motori Riedel per l’avviamento dei propulsori principali. Si aprono le valvole principali del carburante e s’inserisce il dispositivo d’accensione. Quando le turbine ruotano a 3000 giri al minuto, i motori d’avviamento si disconnettono e si spengono. Lentamente, si potano le manette al 100% ed i coni di regolazione del getto alla massima estensione. Si rilasciano i freni, si abbassano i flap a 30°, e si decolla. Poi si rimettono i flap in posizione normale, si ritira il carrello e si portano i motori all’80% per non lasciare scie di fumo”. Pochi minuti dopo Marco eseguì una picchiata a 950Km/h contro l’entità… stava per fare fuoco ma qualcosa lo bloccò. Sakura era molto vicina… e se avesse colpito anche lei? Come accadde a vari suoi compagni durante la guerra, egli non si sarebbe più dato pace… in combattimento venivano chiamati “danni collaterali” quando i colpi, oltre a colpire il nemico, vanno a segno anche su obiettivi amici… Ma qui non si è in guerra… qui… se avesse ucciso Sakura… sì, si sarebbe suicidato precipitando con tutto l’aereo. Lui non lo sapeva, ma l’entità della carta leggeva il suo stato d’animo e riteneva di poter stare tranquilla. Marco cabrò, riprese quota, poi quando giunse a 2500m eseguì di nuovo una picchiata e stesso problema. L’entità della carta sapeva che se fosse rimasta vicino a Sakura il suo amico non avrebbe osato fare fuoco. Ma d’un tratto accadde qualcosa che l’entità non poteva prevedere… “Capitano!!!! Mi aiuti!!!!” La mente di Marco fu attraversata da immagini. Un sogno in un lampo. Felicità. Voglia di una vita migliore. Un lungo, bellissimo sogno fatto di desideri e speranze. Ma quel sogno stava per essere interrotto dal nemico. E l’istinto del cacciatore rimasto sopito da incubi passati si risvegliò. Pochi secondi, come ogni membro della Luftwaffe che si rispetti. Cabrata, motori a pieno regime, rolling scissor e picchiata sul bersaglio. La raffica non durò più di tre secondi; un’urlo animalesco squarciò il cielo di Tomoeda. Una luce trasformò l’entità nella rispettiva clow card. “E con questo sono sessantasette!” Estrasse il carrello ed atterrò; frattanto Sakura, indebolita dallo scontro, eseguì la stessa manovra. Marco spense i motori, scese dall’aereo e corse verso la giovane. Li e Tomoyo erano ancora lontani. Il pilota abbracciò la ragazza. “Per tanto tempo… lungamente… ho atteso….” sussurrò lui, mentre lei piangeva di felicità.

Al limite del flusso dell’eternità.

L’ultima cena preparata da Fujitaka, Marco la mangiò di gusto. L’assaporò più di tutte le altre. Ringraziò per la cena e si diresse in camera sua, dove preparò i bagagli e lesse i suoi ultimi manga; apprezzava Sugar e Pita Ten. Fece in tempo persino a vedere una puntata di Excel Saga, divertendosi moltissimo. Poco prima della partenza, di diresse verso il campo dietro casa dove già lo attendevano i suoi amici. Posò le valige a terra. “Una volta si stava combattendo nella zona di Salisburgo in Austria, quando una sera verso le undici un coro di bambini viene a cantarci Gut grusse dich: è la scuola elementare locale guidata dalla maestra. Per noi combattenti vi è in questo gesto qualcosa di nuovo; immersi ciascuno nei nostri pensieri ascoltiamo, seduti nel più religioso silenzio, le vocette dei bambini: sentimmo la loro fiducia in noi, e decidemmo che avremmo fatto di tutto per fronteggiare il pericolo imminente e per salvare le loro case ed i loro affetti. Quando ebbero finito noi piloti uscimmo per ringraziarli e li invitammo a fare una visita ai nostri jet, che attirarono tanto la loro curiosità. Qualche giorno dopo vennero difatti a salutarci al campo, per questo decollai con il mio Schwalbe e feci qualche acrobazia; ma in quel momento un gruppo di cacciabombardieri americani rovinò questi attimi di felicità. Galland ed altri misero al sicuro gli aerei, mentre io mettevo al riparo i piccoli. Tutti restarono illesi, ma io rimasi molto addolorato che una così brutale realtà li abbia strappati così all’improvviso dal loro innocente romanticismo aeronautico”. Marco riaprì gli occhi e guardò noi ragazzi. “Per favore Tomoyo… cantami una canzone…” La ragazza rimase un po’ stupita. “Una canzone… che mi resti nel cuore e che mi rammenti ogni attimo l’esperienza vissuta in questi mesi… per favore”.

Yoru no uta (la canzone della notte)

Yoru no sora ni matataku

Tooi kin no hoshi

Yuube yume de miageta

Kotori to onaji iro

Nemurenu yoru ni

Hitori utau uta

Wataru kaze to issho ni

Omoi wo nosete tobu yo

Yoru no sora ni kagayaku

Tooi gin no tsuki

Yuube yume de saite 'ta

Nobara to onaji iro

Yasashii yoru ni

Hitori utau uta

Asu wa kimi to utaou

Yume no tsubasa ni notte

Yasashii yoru ni

Hitori utau uta

Asu wa kimi to utaou

Yume no tsubasa ni notte

Terminata la canzone, Marco staccò con cura la sua decorazione dal colletto e la diede a Sakura. “Conservala per me… io… non tornerò a riprenderla”. Sakura lo guardò. “Ma come… anche se invecchiato, tu potrai tornare qui a riprenderti questa medaglia… dopotutto ti appartiene”. Marco sospirò e gli scappò una lacrima. “No… io, dal profondo del mio cuore… sento che se tornerò nel 1945… io perderò la vita. È il mio destino… Ti affido anche il mio aereo, se non è di troppo… spero che tu diventerai una brava cacciatrice, mio piccolo fiore di ciliegio”. Era mezzanotte, e Li Shao Lang aprì il varco. Marco doveva soltanto attraversarlo e sarebbe tornato nel “suo” mondo. “Addio” gli dissero i ragazzi in coro, trattenendo a stento le lacrime mentre il pilota si dirigeva verso l’ingresso del varco. “Mi raccomando, trattate bene il mio aereo e vi prego, non dimenticatevi di me!” urlò. Gli rispose la voce di Tomoyo, singhiozzante: “No! Non ti dimenticheremo mai, puoi starne certo!”. Poi il pilota riprese il suo cammino verso il varco. “Quando tornerò indietro, mi ricorderò di quello che ho passato? Riflettendoci, tutto questo è stato sconvolgente, ma allo stesso tempo piacevole…”. I pensieri di Marco mente la luce lo inghiottiva si fecero confusi. “No… Non voglio…”. La luce svanì in un gran polverone, ed i ragazzi, per non addolorarsi oltre tornarono a casa. “È stato tutto troppo breve… avrei voluto dirgli…”; “Cos’hai detto Sakura?”. La ragazza si voltò verso Tomoyo. Non si era nemmeno accorta che stava mormorando. “No… niente. È tutto a posto” rispose. La sua amica annuì e si diressero verso casa. “Hey, dove state andando senza di me ?”. Tutti si girarono verso il polverone che si stava diradando, ed all’interno comparve un’ombra. “Marco!” urlarono Tomoyo e Sakura, mentre il viso ed il corpo del giovane uscirono dalla nuvola di terra. “Stupido, questa era la tua ultima possibilità per tornare nel tuo tempo!” disse Li Shao-Lang, mentre le due ragazze abbracciarono il pilota. “Come mai…” mormorò Sakura, piangendo di felicità. Marco chiuse gli occhi. “Quella telefonata… era con un signore italiano che possedeva l’elenco delle vittime del bombardamento su Varese nel 1944. La mia famiglia era morta sotto le bombe del 30 aprile. Non ho più un posto in cui tornare. Mi restate soltanto voi” riuscì a dire il ragazzo tra le lacrime. Sono passati 18 mesi, e Marco ha passato a pieni voti l’esame per diventare pilota da caccia delle forze aeree giapponesi di autodifesa. Viene ritenuto un ottimo elemento soprattutto nel combattimento manovrato; il suo Messerschmitt Me.262 A1-a ha finalmente trovato pace nel box della sua nuova casa, che egli ha costruito vicino a quella di Sakura. Ogni tanto però lo porta ancora in volo, sia per diletto che durante gli air-show. Il suo attuale velivolo è un Mitsubishi F.1, aereo da caccia bireattore con velocità di 1700Km/h. E quando gli fanno notare che gli aerei americani e sovietici toccano velocità quasi doppie, egli rispose nel solito modo; “Finché ho un cannone con cui sparare la velocità non conta”.

FINE.

 


 

Torna all'Indice capitoli
Torna all'indice Fanfiction