Fiori di ciliegio nella tempesta.

 

 

 

Ricongiungimento.
“Kinomoto, fai coppia con me oggi?” disse una voce alle mie spalle. “No, oggi ho una rotte con il comandante” risposi. M’alzai dal tavolino da bar e mi recai alla finestra; Era una tipica mattinata primaverile, ed i ciliegi del campo sono in fiore. Il vento ne porta ovunque i petali, colorando quasi tutto del loro color rosa; ogni volta che vedevo un simile spettacolo, il mio cuore si riempiva di gioia; ma forse un po’ meno felici di me erano i meccanici… “Sakura-chan!”. Non ebbi bisogno di voltarmi, per riconoscere la mia amica Tomoyo. “Sakura-chan, hai visto che bella giornata?”. Nonostante fossero passati cinque anni da quando abbiamo lasciato il Giappone, la splendida voce della mia amica non era cambiata; di tanto in tanto lei si mette ancora a cantare per tirare su il morale ai nostri colleghi. Anche da altri campi vengono spesso a sentir cantare la nostra “ugola d’oro”… Poi tornai a fissare lo sguardo verso i ciliegi in fiore… “Sì Tomoyo, è proprio una bella giornata…”. Con quella di oggi pomeriggio avrei compiuto la mia cinquecentottantesima missione. Certo, sempre che fossi tornata viva, perché pilotare lo Schwalbe non era per niente facile. Nonostante fosse la cosa più veloce che esistesse al mondo, esso aveva comunque dei difetti, alcuni dei quali anche pericolosi. Il turboreattore Junkers 004 B Jumo, pur essendo una macchina straordinaria era ancora un motore non pienamente affidabile, ma la cosa peggiore era che con i motori tradizionale si poteva aprire o chiudere improvvisamente la manetta del gas senza inconvenienti; invece, un’analoga manovra con questi propulsori poteva causare fiammate o avarie meccaniche. Nel momento dell’atterraggio addirittura, quando il pilota doveva chiudere le manette per rallentare, su questi aerei la manovra doveva riuscire la prima volta, perché ogni tentativo di ripeterla poteva risolversi nella perdita di controllo per probabile asimmetria della potenza, avaria dei reattori, fuoco in volo, o semplicemente con una ripresa così lenta che in ogni caso l’aviogetto avrebbe sbattuto violentemente sulla pista. Nonostante ciò io sono felice di essere stata scelta per pilotare uno di questi velivoli. Lo vidi per la prima volta nell’agosto del 1944; durante una missione di caccia libera io e Tomoyo c’eravamo imbattuti in cinque Spitfire. Nel carosello che seguì tre inglesi furono abbattuti, ma il quarto riuscì a piazzarsi proprio nella mia coda e ora mi stava sparando… vidi buchi grandi come noci comparire nelle ali del mio Focke Wulf Fw.190 A-8, quando dal nulla comparve un caccia bimotore ed abbatté il mio avversario. Un bimotore, ma senza eliche. Era un Messerschmitt Me.262 Schwalbe (rondine), primo caccia operativo con propulsione mediante turboreattori. Con una velocità di 900Km/h, unitamente ad un eccezionale maneggevolezza, è stato il miglior caccia della seconda guerra mondiale. Da quel giorno ho sempre desiderato pilotarne uno, ma dato che si trattava di un velivolo molto costoso da realizzare, generalmente veniva affidato a piloti appartenenti ad unità sceltissime. Poi un giorno il mio comandante, il Major Gerhard Schöpfel… “Signorina, vogliamo partire?” disse una voce alle mie spalle. Si trattava del mio attuale comandante, il Generaloberst Adolf Galland. Galland ed io ci conoscevamo da parecchio tempo; infatti è stato il mio primo comandante ai tempi della battaglia d’Inghilterra, quando facevo parte della Jagdegeswader 26. La rotte era infatti una formazione di due velivoli. Mentre scendemmo le scale che dalla palazzina che ci ospitava conduceva al piazzale, udii il caratteristico fischio dei turbomotori; era qualcosa di diverso da rombo degli aerei con motori tradizionali… era più… magico. Il mio apparecchio era contrassegnato dal nove bianco, con disegnato sulla coda un fiore di ciliegio. Mentre ci alzavamo in volo, non potei fare a meno di pensare alle circostanze che avevano portato me e Tomoyo in Germania… “Voi vi recherete dai nostri alleati tedeschi per fornire loro informazioni riguardanti la nostra superiore tecnologia, e tornerete quando avrete appreso le informazioni che vi daranno sui loro segreti militari”. Era l’aprile 1940, ed eravamo state appena dichiarate non idonee a diventare piloti di caccia della Marina Imperiale; perciò fummo scelte per tale missione. Dopo un viaggio in nave durato due mesi, con due caccia Zero smontati nella stiva, approdammo nel porto di Brest. Eravamo aviatrici da soli cinque mesi, ma nonostante avessimo esposto gli sviluppi della nostra tecnologia agli scienziati tedeschi, i grandi capi della Luftwaffe decisero di provare in azione due piloti alleati alla prima opportunità per metterli alla prova. E l’occasione arrivò quando scoppiò la battaglia d’Inghilterra. Fummo integrate nella Jagdegeswader 26 dotata di caccia Messerschmitt Bf.109 E-3, comandata dall’Oberstleutnant Galland, il quale migliorò di molto le nostre tecniche di combattimento con allenamenti mirati prima d’inviarci in azione. Dopo alcuni mesi vidi una vecchia foto che ritraeva il primo aviogetto del mondo, denominato Heinkel He.178, e guardandolo mi resi conto che la nostra tecnologia era tutto tranne che superiore. Il seme per il supercaccia a reazione, operativo nel 1944, era stato gettato; ufficialmente i giapponesi fecero volare un aereo a reazione soltanto il nove agosto 1945. Praticamente a guerra finita, il Nakajima Kikka volò una sola volta. Paragonato con lo Zero, l’He.178 era un vero razzo; era solo un prototipo, ma volava già a 700Km/h contro i 550 degli ultimi caccia nipponici. Nonostante le prestazioni però il consumo e l’affidabilità erano inferiori ai motori tradizionali, perciò per il momento la preferenza venne data ai caccia con motori a pistoni, e tra questi ci furono vere leggende come il Messerschmitt Bf.109 od il Focke Wulf Fw.190, velivoli molto maneggevoli, veloci e ben armati. Nonostante gli ordini dei miei superiori, Galland ed il suo successore Josef Priller fecero pressioni affinché noi restassimo nell’aviazione tedesca; così non facemmo più ritorno in Giappone. I miei pensieri vennero interrotti dal crepitio della cuffia. “Nove bianco, c’è un Mosquito da ricognizione fotografica a circa 1500m sotto di noi; attaccalo tu, io ti seguo per darti la copertura”. Misi l’aereo in leggero rollio e guardai dabbasso. Il bimotore inglese non sembrava essersi accorto della nostra presenza in quanto viaggiavamo sopra un sottile banco di nubi. Eseguendo l’ordine del mio superiore, portai le manette all’ottanta percento e picchiai verso il mio obiettivo. Giunti a soli centodieci metri di distanza separai la prima raffica di circa un secondo e centrai il motore sinistro del velivolo nemico. Il comandante Galland, che mi seguiva, colpì il posto di pilotaggio ed i piani di coda, cosicché il velivolo precipitò in vite. Mentre viravamo per tornare alla base, il mio comandante mi fece i complimenti per la cooperazione, mentre io glieli feci per la vittoria. Dopo altri cinque minuti di volo intercettammo un altro bersaglio; “Comandante, un B-17 ad ore undici. Dev’essere rimasto separato dalla sua formazione mentre navigavano verso un obiettivo”. Mi portai in coda al bombardiere, mentre i proiettili della sua mitragliatrice di coda cominciarono a sibilarmi attorno. Spiai nel mirino, poi dissi alla radio “Ho il bersaglio”. La risposta del comandante giunse subito dopo: “Lo spazzi via!”. Appena udii le sue parole premetti il pulsante di sparo; dopo aver centrato entrambi i motori di destra, il timone, le ali e la postazione del mitragliere dorsale la Fortezza Volante precipitò. Dopo esserci nuovamente fatti i complimenti ci dirigemmo verso la base, e mentre eravamo in vista della pista notammo gli Fw.190 della squadriglia di copertura decollare per permettere ai caccia a reazione di prendere terra senza problemi. Infatti il momento favorevole per abbattere un jet è sorprenderlo al decollo od all’atterraggio, per questo inglesi ed americani mandavano in volo dei caccia ad alta quota sopra le nostre basi. Volavano talmente alti che la contraerea non riusciva a beccarli, e quando essi vedevano un gettocaccia decollare si gettavano in picchiata per mitragliarlo quando esso era ancora lento; se infatti un jet superava i 400Km/h era finita per qualsiasi altro aereo. Dopo essere atterrati alla base ed essermi concessa qualche minuto di riposo, mi dedicai alla manutenzione post-volo del mio apparecchio. Era una mia abitudine “rubare” il lavoro ai meccanici; è una cosa che faccio dal mio primo volo, come un portafortuna. Prima di tutto l’aereo viene rifornito di carburante e munizioni. Poi vengono effettuate tutte le registrazioni agli alettoni ed ai delicati ipersostentatori tipo Handley-Page. Si controllava il funzionamento degli apparati elettronici di bordo e di quelli meccanici, come il comando che dalla cabina permette di regolare il cono d’uscita dei reattori. La batteria viene messa sotto carica ed il velivolo ripulito per bene da moscerini o altro. Così il velivolo era pronto per un eventuale decollo su allarme, che i piloti tedeschi chiamano alarmstart. Dopo circa un’ora di lavoro il comandante mi chiamò nel suo ufficio. Mi lavai faccia e viso, mi misi la divisa ufficiale di Hauptmann der Luftwaffe (capitano dell’aeronautica tedesca), ripulii la mia Ritterkreuz (croce di cavaliere) e mi recai nell’ufficio. Anche il comandante si era tolto l’uniforme di volo. Al suo collo aveva la sua croce di cavaliere in oro con fronde di quercia, spade e brillanti. La più alta onorificenza tedesca. Lui aveva ricoperto la carica di capo della caccia germanica, ma si era dimesso dalla carica sbattendo la porta in faccia ad Hitler quando egli ordinò di produrre il Me.262 in versione cacciabombardiere anziché come intercettore puro. La Jagdverband 44 era nata per dimostrare il contrario, e vi stava riuscendo. “Questo pomeriggio, alle ore 17, arriverà in questa base un nuovo pilota. Si dovrà unire con gli altri cacciatori della Papageienstaffel; tra poco partirò per la sede centrale della Luftwaffe, potresti accoglierlo tu alla base in mia vece?”. Risposi affermativamente, anche se temevo di dare una cattiva impressione al nuovo collega, facendogli credere di essere capitato sul campo sbagliato… Io e Tomoyo siamo le uniche ragazze che pilotino degli aerei da caccia... La Papageienstaffel (squadriglia di pappagalli, in allusione ai colori vivaci con cui erano dipinti questi velivoli per evitare di abbatterli accidentalmente) volava con i Focke-Wulf Fw.190 D-9 e servivano da protezione durante i decolli e gli atterraggi dei gettocaccia. Dopo aver salutato il mio comandante mi recai al bar della base. “Sakura-chan!” disse Tomoyo, venendomi incontro. “Complimenti per la tua vittoria di oggi. Con questa ne hai ottenute sessantasei, vero?” “Sì Tomoyo, è esatto. E a te com’è andata?”. Oggi Tomoyo faceva parte di una schwarm (formazione di quattro velivoli) con Krupinski, Schnell e Grüberg. “Ci siamo imbattuti in una formazione di duecento B-24 in rotta verso Norimberga. Dopo che abbiamo chiesto assistenza li abbiamo attaccati insieme ai Bf.109 G-6/BR21 di una formazione dell’ovest. Ne abbiamo abbattuti cinquantasei in totale, ed io ne ho fatti precipitare due”. Così ora era arrivata ad un totale di cinquantaquattro. Poi mi soffermai a parlare con altri piloti di cose d’ogni genere, quando, arrivate le cinque, l’altoparlante annunciò l’atterraggio di un Fw.190 Dora, come venivano chiamati i velivoli della serie D di questo modello, proveniente dall’unità addestrativa Erganzungsjagdegeswader 1 di base a Muhldorf. Quest’unità mi fece tornare in mente quando io e Tomoyo facemmo parte, nel gennaio del 1945, dell’ Erganzungsjagdegeswader 2. Quest’unità fu riorganizzata da Galland nel tardo 1944 appositamente per l’addestramento dei piloti di jet. Quel tempo trascorse relativamente bene anche se scossi da qualche incidente di percorso (leggi: motori a reazione). Il pilota posò le ruote sulla pista mentre io mi stavo sistemando un po’ i capelli specchiandomi in un pezzo di vetro. Dopo pochi minuti l’aereo si posizionò nell’aerea a lui assegnata di fronte agli hangar; il pilota ne spense il motore ed aprì il tettuccio. Mi misi sull’attenti e mi presentai. “Benvenuto signore! In qualità di membro della Jagdverband 44 le do il…”. Fui interrotta dal nuovo venuto. “Sakura?” alzai gl’occhi e riconobbi l’ultima persona al mondo che mi sarei aspettato di vedere qui in questo momento. “Li!! Sei proprio tu?” gli risposi, mentre il mio cuore quasi scoppiava dall’emozione. Una volta sceso dal velivolo Li Shaoran si tolse il caschetto di pelle, gli occhiali e si slacciò un po’ il pesante giubbotto d’aviatore. “Caspita Sakura, sono passati cinque anni ma dal tuo aspetto direi che ci siamo lasciati solo ieri… non è che questi tedeschi hanno inventato anche la formula dell’eterna giovinezza?” disse scherzosamente. Lo abbracciai, mentre anche Tomoyo venne a salutarlo. “Shaoran, come stai?”. “Bene Tomoyo, ti ringrazio. Vedo che anche per te il tempo sembra essersi fermato”. La mia amica sorrise, ma rispose: “Tu invece… sembri invecchiato di dieci anni… Ma ora vieni con noi a dissetarti al bar, così ci racconti quello che hai passato negli scontri sul Pacifico!” Entrammo nel locale ed ordinammo qualcosa da bere. Li si sedette ad un tavolino e noi lo imitammo; “Sono invecchiato perché ho combattuto duramente… voi invece, facendo le segretarie o qualche lavoro simile…” Mi offesi e Tomoyo abbiamo combattuto in teatri bellici che lui si sogna… Inghilterra, Normandia, Ardenne, solo per citarne alcuni. Stavo per dirgli quello che si meritava, e lo stesso stava per fare la mia amica, ma venimmo preceduti dal Leutnant Neuman. “Stai scherzando, vero? Queste due sono da inizio conflitto il terrore dei piloti nemici… Entrambe hanno abbattuto più avversari di me, che ne ho eliminati trentaquattro. In quel momento negli occhi stupefatti di Li vidi qualcosa di sinistro. Tuttavia finì la sua bibita; “Potete farmi vedere il mio alloggio? Vorrei sistemare le mie cose e riposarmi un po’ prima che inizi il mio incarico”. “Certamente, vieni con me…” dissi, e lo condussi in una delle stanze ch’erano a nostra disposizione. “Grazie ragazze, siete state molto gentili. Ci vediamo più tardi”. Così ci congedammo, ma non dimenticai il suo sguardo al termine della conversazione con Neuman. Quando ritornammo al bar incontrammo il Major Hohagen, l’ufficiale tecnico. “Allora vi conoscete… Voglio dire, voi ed il nuovo pilota del Wurger Staffel…”. Wurger (macellaio) è il soprannome del Fw.190, e la Wurger Staffel è l’altro nome della Papageienstaffel. “Sì, è un nostro vecchio amico. Ha frequentato la nostra stessa scuola, ed ha svolto con noi il corso di piloti da caccia in Giappone”. Hohagen annui, poi Tomoyo gli rivolse la domanda che casualmente stavo per fare precedentemente a Li se Neuman non ci avesse interrotto. “Lei sa perché è stato mandato qui?”. Hohagen si grattò la testa e bevve un altro sorso di birra. “Fa parte di un gruppo di falliti che la marina giapponese ha inviato qui per un addestramento avanzato. Lui in particolare, dopo l’attacco giapponese di Pearl Harbour ha abbattuto solo sedici bombardieri durante le incursioni su Tokyo… non so altro, mi spiace”. Lo ringraziammo ed uscimmo all’aperto; “Sakura-chan, credo che… bè, Shaoran è sempre stato un tipo caldo e credo che il fatto che ora noi, due piloti che hanno fallito l’esame giapponese al contrario di lui, siano diventate cacciatrici migliori… bè, , credo che gli dia semplicemente sui nervi…”. Ci recammo a vedere meglio il caccia del Flieger Shaoran. Come da tradizione della Papageinstaffel, le superfici inferiori erano dipinte di colori vivaci e recavano sulla carlinga una frase scelta dal pilota. Nel caso di Li, righe rosse e bianche ornavano il velivolo così come la scritta “Il mio sangue per l’Imperatore”. Quando la lessi, rabbrividii. Li non era tipo da dire o scrivere certe cose. Il capo del Wurger Staffel era il Leutnant Karl Heinz Sachsenberg, Ritterkreuz, ex-asso del fronte orientale. Galland diceva spesso che lui si sentiva più tranquillo quando sapeva che c’era Sachsenberg in volo.

Cambiamenti.
Il mattino dopo i decolli erano stati posticipati a causa del forte vento. Verso mezzogiorno pranzammo, ed al nostro tavolo sedette anche Shaoran. Nel bel mezzo del pranzo Li disse una frase che ci scioccò. “Ho chiesto inutilmente a Galland di farvi smettere immediatamente di volare…”. La mia forchetta cadde nel piatto, mentre Tomoyo si limitò a rimanere basita. “Come… come hai potuto fare una cosa simile???”. Li rimase calmo, quasi se ne fregasse di quello che gli dicevo. “Voi siete donne, non dovete fare questo… vi avranno anche obbligato, ma…”. Tomoyo prese la parola. “Ti sbagli, non ci ha obbligato nessuno. Ci hanno dato la possibilità di diventare piloti di caccia e ci hanno accettato, al contrario di quello che successe in Giappone…”. Il volto di Li si fece severo. “Farò tutto quanto è in mio potere per non farvi volare, come ho fatto a Tomoeda…”. Cosa… No… Dio, fa che non successe quello che penso… “Mi accordai con Yukito per farvi bocciare all’esame finale per piloti da caccia…”. Senza neanche accorgemene, m’alzai e, davanti a tutti i miei commilitoni urlai “Così è merito tuo! Sei un bastardo, non voglio più vederti!!!”. Detto ciò corsi fuori dalla sala da pranzo inseguita da Tomoyo, mentre da dietro Shaoran gridava “Non devi volare, hai capito?”.

Sfortunatamente per lui Galland, anch’egli a tavola, udì tutta la conversazione. Dopo aver bevuto il caffè fece ritorno nel suo ufficio e compose un numero di telefono. “Pronto, Goering… Sono io. So che negli ultimi tempi ci sono state delle divergenze tra noi, ma ho bisogno di un ultimo favore… dovresti spedirmi qui Baumgartner, spero che non ci siano problemi… Va bene, allora aspetterò, ma non troppo, qui la situazione sta degenerando a livello sociale… Ah, va bene. Grazie e buona giornata… Heil Hitler!”. Galland posò la cornetta e fissò una foto appesa al muro. Mark Baumgartner, “il cantante”. Colui che rendeva possibile l’impossibile. “Amico mio, t’aspetta l’impresa più dura della tua vita…”

Il giorno dopo pioveva. “Che schifo di tempo” commentai osservando la pioggia che cadeva copiosa dal cielo. Fortunatamente la maggior parte del mio tempo la passavo sopra le nuvole, anche se odiava partire con la pioggia. Le ruote perdono aderenza, i motori s’ingolfano e non si vede una mazza. Ripetevo spesso ai miei superiori che mi esprimevo meglio quando il tempo era sereno. Questo tempo era simile a quello che c’era quando a me e Tomoyo comunicarono che saremmo dovete passare al pilotaggio dei jet. Il 1944 stava per finire (era ottobre) e stava per finire anche la Luftwaffe. Avevamo appena ricevuto il nuovo aereo, l’allora recente caccia Focke-Wulf Fw.190 D-9, velocissimo velivolo armato con due cannoni da 20mm e due mitragliatrici da 13mm. Nonostante 53 vittorie confermate, ero convinta che sarebbe stato il mio ultimo aereo. La Germania era in ginocchio, mancavano velivoli, materiali e carburante. Ma lo sapevo che sarebbe finita così, fin da quando avevo deciso di accettare la missione in Europa. Iniziai a combattere nell’agosto del 1940, ai comandi di un Bf.109 E-3 mentre infuriava la battaglia d’Inghilterra. Poi via via con velivoli sempre più performanti, come il Fw.190 A-3 di Dieppe o l’A-8 nei cieli della Normandia. Infine, l’Oberst Priller mi consegnò il foglietto “C’è un cambio di programma, Hauptmann Kinomoto. È stato comandato il tuo trasferimento alla Erganzungsjagdegeswader 2 insieme a Daidouji ”. La mia mente fu attraversata come da un fulmine. Il EJG.2 era un’unità addestrativa con in dotazione i fantastici bireattori Messerschmitt Me.262, l’aereo più veloce del mondo! Per un’appassionata d’aerei come me si trattava della realizzazione di un sogno; il corso d’addestramento fu molto interessante, e ci portarono diverse volte alla Junkers per vedere com’era fatto e come funzionava un turbogetto. Imparammo ad amministrarne il difficile funzionamento, a combattere evitando di toccare troppo le manette, a sparare quando voli a duecento chilometri all’ora più veloci del tuo avversario… Poi, il passaggio alla Jagdegeswader 7, la prima unità equipaggiata con i bireattori. Qui sia io che Tomoyo diventammo abili cacciatrici, tanto che in marzo arrivò la notizia del nostro trasferimento alla squadriglia degli assi, la Jagdverband 44. Tornando ai tempi attuali, non potei fare a meno di pensare a Shaoran; se è vero che la guerra può cambiare la psicologia d’una persona, cosa mai gli era capitato?. Poi ripensai a quello che mi disse il comandante in più riprese… Con le sconfitte del Giappone, sia la marina che l’esercito si trovarono con pochi piloti di valore; costretti a fare i kamikaze contro le flotte nemiche, i più diventarono schizofrenici, ma altri continuarono a credere ciecamente nella vittoria. Li era uno di questi. Nella sua ultima lettera che mi spedì dall’oriente c’erano frasi che non appartenevano al Li che conobbi a Tomoeda quando avevo dieci anni.

Se andrò sul mare, il mio corpo tornerà sospinto dalle onde.
Se il dovere mi porterà sui monti, un tappeto d’erba sarà la mia copertura funebre.
Per la salvezza dell’imperatore, non morirò in pace nella mia casa.

Poi, d’un tratto, capii. Se ora Shaoran era qui, vuol dire che qualcosa era andato storto. Avrebbe dovuto schiantarsi su di una nave americana, ed invece ora era nella Luftwaffe. Non è che… No… Li era ed è rimasto un testone. Se era deciso a suicidarsi, niente e nessuno avrebbe potuto fargli cambiare idea. Tranne un ordine diretto che gl’imponeva di recarsi in Europa. Durante la cena Shaoran si sedette ad un altro tavolo. Quando avemmo finito c’incamminammo verso l’hangar per andare a prendere un po’ d’aria; Li ci raggiunse. “ Sappiate che io non mi fido di chi è costretto a far combattere le ragazze… La Germania è alle corde perché non hanno combattuto con onore, ed hanno preferito ritirarsi quando erano con l’acqua alla gola”. Io abbassai lo sguardo. “Noi non combattiamo da quando questo paese è stato invaso… Combattiamo quasi dall’inizio dell’offensiva contro l’occidente nell’estate del 1940…”. Li ci guardò con sguardo truce. “Io… dei tedeschi non posso fidarmi… sono solo vigliacchi…”. Non mi resi nemmeno conto dello schiaffone che tirai a Li; poi urlai “Hai mai creduto ad una persona dal profondo del tuo cuore? Credere sinceramente in una persona, può talvolta richiedere un coraggio più grande di quello necessario per affrontare una battaglia. Riesci a comprendere il significato di questo coraggio?”. Li era a terra dolorante quando io e la mia amica ce ne andammo. “Sakura-chan…” disse Tomoyo. “Hai fatto bene” concluse la mia amica con un sorriso. Sorrisi anch’io ed insieme ci recammo al bar; quella sera Tomoyo aveva deciso di far vedere al resto della squadriglia le foto del nostro album dei ricordi. “Ah, questo era davvero Shaoran?” disse l’Oberfeldwebel Leo Schumacher. “Si, quando aveva dieci anni” rispose Tomoyo. A sentire quel nome il mio cuore si riempì di rabbia, e la mia amica se ne accorse. “Ah, qui siamo col capitano Yukito, ex compagno di classe del fratello di Sakura… Quando siamo arrivate in Germania lui aveva il comando dello squadrone a difesa di Tomoeda”. Yukito… vorrei che tu fossi qui al posto di questo Shaoran… Tu si ch’eri gentile, oltre che bello. “Qui siamo con Priller tre giorni prima dello sbarco alleato… Qui con Galland e Goering, nei giorni della battaglia d’Inghilterra… Qui con il nostro primo Me.262, alla Erganzungsjagdegeswader 2…”. Le foto che mostrava la mia amica scatenarono una miriade di “Ti ricordi…” tra i nostri commilitoni. Era tutta gente ch’era in servizio dall’inizio della guerra, chi sul fronte occidentale, chi su quello orientale, in Africa od in Italia. Ora non c’erano distinzioni tra veterani e novellini, tutti erano felici di essere ancora vivi per raccontare le loro memorie; purtroppo a quel tempo grandi assi come Nowotny ed Oesau erano prematuramente scomparsi… E nulla potrà riparare queste terribili perdite.

L’uccello del paradiso.
“Ti sarà affidato un nuovo compagno. Non so chi sia, ma Goering mi ha assicurato che è molto esperto; Sarà importante, per la tua formazione da cacciatrice, volare insieme a lui”. Quando il comandante terminò quello che aveva da dire, lo salutai. Stavo per uscire dall’ufficio, quando Galland mi fermò. “Non hai dimenticato qualcosa, Kinomoto? Arriva stasera alle cinque e mezzo, e tu lo accoglierai. Ora puoi andare…”. Sorrisi, poi uscii dirigendomi al bar. Lì incontrai Tomoyo che parlava con degli addetti alla contraerea sul fatto di come fosse difficile sparare attraverso il tempo cattivo, guidati solo dal radar. Ordinai da bere, poi uscii sul campo. Aveva smesso di piovere, e la vista dei ciliegi in fiore faceva da contraltare al cattivo comportamento di Shaoran, nonostante egli sia migliorato, almeno apparentemente, nel metodo di caccia. Feci una passeggiata per il campo, poi mi sedetti ai suoi margini ad osservare la vita comune: Chi giocava a scacchi, chi faceva manutenzione agli aerei, chi passeggiava… E vennero le 17:30. All’incirca a in quel momento, l’altoparlante annunciò l’arrivo di un caccia Messerschmitt Me.262 A1-a proveniente dalla Jagdegeswader 7. Questa era la nostra vecchia unità prima di passare alla Jagdverband 44. Pochi minuti dopo uno Schwalbe comparve nel cielo; eseguì l’approccio con precisione e le ruote del velivolo toccarono terra con dolcezza. M’alzai dal luogo dove stavo riposando e mi diressi verso il caccia che stava parcheggiando sulla sua piazzola. Utilizzando il riflesso di una finestra mi pettinai i capelli e mi diedi una ripulita frettolosa all’uniforme. Giunto a destinazione, i motori si fermarono ed il tettuccio s’aprì. Il pilota, un ragazzo castano sui vent’anni, uscì e si mise in piedi sull’ala; si tolse gl’occhiali, il caschetto e aprì la divisa di volo. Quando scese a terra e mi fu davanti, mi misi sull’attenti e mi presentai. “Benvenuto Herr Oberst! In qualità di membro della Jagdverband 44 le do il benvenuto alla base di Munich-Riem. Sono l’Hauptmann Sakura Kinomoto, in attesa di ordini e molto lieta di conoscerla!”. Sul colletto del mio futuro compagno c’era la croce di cavaliere con fronde di quercia e spade. “Riposo Hauptmann” mi disse. “Grazie per il benvenuto. Sono l’Oberst Mark Baumgartner, ex comandante della Jagdegeswader 7, ora assegnato alla Jagdverband 44 in qualità di Gruppenkommandeur della prima gruppe (reparto). Ho visto tante cose nella mia pur giovane vita, ma questa è la prima volta che vedo una donna pilotare un aereo da guerra in combattimento…”. Stava per proseguire, ma fu interrotto da Galland che nel frattempo era sopraggiunto. “Mark! Che piacere rivederti! Sei cresciuto molto!”. I due erano evidentemente vecchi amici. “Ne è passato di tempo dal mitico periodo della Jagdegeswader 26, in Francia! Vedo che hai fatto carriera” disse il nuovo venuto. “Eh già…” rispose Galland, che poi rivolse lo sguardo verso di me. “ Vedo che hai già conosciuto il nostro angelo. Sarà lei il tuo compagno nelle rotte” disse il comandante. Al contrario di quello che solitamente facevano i miei precedenti compagni, cioè squadrarmi da capo a piedi, diffidare della mia abilità o chissà cos’altro, Mark disse semplicemente “Va bene, agli ordini!”. Questo fatto probabilmente non era dovuto ad un’eventuale cortesia da parte del nuovo arrivato, ma più probabilmente per il fatto che la Jagdverband 44 era nota come lo squadrone degli assi; vi veniva infatti ammesso solo un ristretto numero di piloti (circa una quarantina) che dimostrassero di avere le doti per far parte di questa squadra scelta. E Mark le doti le aveva di sicuro. Ad informarmi fu, dopo aver accompagnato il ragazzo nel suo alloggio, il Major Barkhorn, mentre eravamo seduti al tavolino del bar. “Sakura, sei una ragazza fortunata. Il compagno che ti hanno assegnato è piuttosto famoso nell’ambiente; ha infatti abbattuto ben 211 aerei nemici” disse il mio superiore. Questo mitigò in parte la delusione che le mie insistenze per avere Tomoyo come compagna non fossero state accolte. La mia amica volava infatti con l’Oberstleutnant Bar, un altro ottimo elemento, che ha abbattuto sinora duecentosedici aerei nemici. Mentre il mio sguardo veniva catturato nuovamente dagli alberi di ciliegi del campo di volo, i miei occhi notarono il velivolo di Mark. Anche lui aveva come simbolo un piccolo fiore di ciliegio dipinto all’altezza del posto di pilotaggio. Guardando più in basso, notai la turbina sinistra completamente smontata. Mi ricordai che questi delicati motori andavano sostituiti o quantomeno pesantemente revisionati ogni quaranta ore di volo, ma notai che il motore lo stava revisionando il pilota stesso! “Che buffo, Sakura-chan. Quel ragazzo, oltre ad avere il tuo stesso simbolo, ha anche la tua stessa abitudine” disse Tomoyo sopraggiungendo. Oltre che a ridere sotto i baffi, qualcuno dei presenti disse che “dovete essere fatti proprio per volare insieme!” Il mio pensiero sul fatto che un buon comandante debba innanzitutto conoscere bene i propri subordinati fu confermato da Galland nell’assegnazione di Mark alla rotte con me. Giunse la sera, perciò cenammo; poi, verso le venti facemmo un brindisi al Fuhrer, augurandogli una buona salute. Dopodichè, guardai fuori dalla finestra; c’era ancora un leggero chiarore, e questo mi permise di distinguere Mark sdraiato sull’ala del suo jet. Uscii, non faceva neanche troppo freddo… “Salve signore…” dissi. L’Oberst Baumgartner si voltò, e quando mi riconobbe rispose “Dammi pure del tu… fuori servizio io me ne frego dei ranghi…”. Questa dichiarazione mi sorprese, e mi ricordò Yukito Tsukishiro; lui era capitano al momento della nostra partenza per l’Europa, e dai suoi subordinati pretendeva che gli dessero del tu… Assomigliava a Yukito anche nel modo di sorridere… Yukito… sorrideva sempre, da quando l’ho conosciuto non l’ho mai visto fare la faccia seria. Ma lui adesso era morto… a Midway… Lo scrisse Shaoran in una delle sue lettere. “Io… che strano… non sembra la prima volta che t’incontro….”. Oh, no… cosa ho detto… “Cioè, è strano, non ci siamo mai visti…”. Mark sorrise, si alzò e scese dall’ala. “Forse ci siamo incontrati… prima di nascere…”. Questa frase mi lasciò di stucco… Era la prima volta che incontravo un pilota così… poetico; poi quando Mark disse che andava a dormire io lo seguii verso gli alloggi. La sveglia suonò alle 7:30; il comandante Galland aveva appena consegnato l’elenco per le coppie di oggi, 26 aprile 1945. Si va in missione per bloccare dei bombardieri provenienti dall’Italia; l’intercettazione nei pressi d’Innsbruck. Ma solo uno dei numerosi combattimenti catturò l’attenzione dei piloti tedeschi; un Mustang in picchiata mirò verso l’apparecchio di Galland e fece centro; dei colpi sconquassarono la turbina destra, poi frantumarono il cruscotto ferendo inoltre il pilota alla gamba. Nonostante il dolore, grazie alla sua innata abilità Galland riesce a compiere un atterraggio di fortuna in un campo di grano, mentre poco lontano esplodono delle bombe precipitate dalla stiva di uno dei bombardieri colpiti dai jet. Galland non è grave, ma non potendo pilotare il comando della Jagdverband 44 viene affidato all’Oberstleutnant Heinz Bar. Questi era un pilota capace, ma non aveva il carisma di Galland o di Priller, ora nel ruolo d’ispettore della caccia che precedentemente era stato ricoperto proprio da Galland. Quel Galland che quando pilotava i Messerschmitt Bf.109 pretese di avere a bordo accendisigari elettrico e posacenere! Tutto filò liscio per i successivi tre giorni; il ventinove aprile compimmo un trasferimento all’aeroporto di Salisburgo, ma durante il volo sforzai leggermente i motori e questi ne soffrirono. Una volta atterrati, Mark s’offrì di darmi una mano a sostituire le turbine. Presi l’attrezzo per aprire i portelli dei motori, ma una voce alle mie spalle disse di fermarmi; era Li. “Forse sarebbe meglio far controllare il motore da un meccanico esperto… Lei è solo un pilota… Mark si girò verso di lui. “So quello che faccio, tu pensa a riportare il tuo velivolo in condizioni di volo” disse. Poi iniziò a smontare il turboreattore, pronunciando frasi del tipo “Dobbiamo sostituire anche tutti gl’ugelli d’iniezione carburante… e gl’elettrodi d’accensione… Se si rovinano sono dolori…”. “Cosa?” urlò Li; “Non mi dica che lei è anche un motorista adesso” disse con tono sarcastico. Mark gli rispose pan per focaccia. “Motore Junkers 004 B-4 Jumo; compressore assiale ad otto fasi, sei camere di combustione, sessantuno pale alla turbina monostadio; polverizzazione del combustibile tramite giranti azionate dal flusso stesso dell’aria, con elettrodi di accensione immediatamente davanti ad esse… Sì, sono anche motorista, peraltro con attestato di merito della stessa casa produttrice…” disse il pilota tedesco. Li aveva nuovamente quello sguardo… lo sguardo di chi è geloso… tornerei ad amarlo, se lui fosse solo un po’ meno invidioso di chi è gentile con me. Gli verrà un attacco di bile… io e Tomoyo siamo benvolute da tutti quelli con cui abbiamo lavorato! Dopo qualche ora di lavoro io ero visibilmente stanca; avevo anche fame, perciò Mark mi disse di recarmi pure a cenare in quanto lui avrebbe cenato quand’ebbe revisionato anche i suoi motori. Mi sedetti al tavolo in compagnia di Tomoyo e di Shaoran. Lui era ancora arrabbiato con Mark per via della gentilezza che mi dimostrava, ma nonostante quello che ha passato in guerra non ha perduto il suo fenomenale appetito. Giunti al caffè Li sbottò ancora; “quel bellimbusto… è un Oberst, ma io ti amo ancora e non può intromettersi… dovresti dire qualcosa a quel rompiballe…”. Mi offesi perché nonostante tutto il mio compagno era gentile e simpatico, oltre che bravo. “Si chiama Mark” gli dissi a voce bassa. “Da qualche tempo è entrato a far parte della nostra squadriglia… è quel che si dice un asso… è pluridecorato…”. Li interruppe con una sonora risata il mio discorso, attirandosi lo sguardo truce di tutti i presenti. “Anch’io sono un asso! Ho abbattuto ben sedici nemici, sul teatro del Pacifico!” disse Li. “Lui… oltre duecento… e c’è qualcuno che ha superato le trecento vittorie” gli dissi con una punta d’orgoglio, probabilmente d’origine tedesca. Li mostrò ancora quegli occhi terribile, ma fortunatamente venne in mio soccorso l’Oberstleutnant Bar, che ha preso il comando della squadriglia dopo il ferimento di Galland; quest’ultimo è però rimasto alla base per dare una mano, anche se non può volare. “Qui in Germania, con venti aerei abbattuti non sei nessuno…”. Tutti scoppiarono a ridere, persino io e Tomoyo, e Li per tutta risposta se ne andò dritto nel suo alloggio rosso come un peperone. “Spero che un giorno Shaoran torni ad essere il ragazzo di sempre… quello di cui mi sono innamorata…” dissi alla mia amica. “Non ti preoccupare, se è come penso, quel giorno non sarà molto lontano…” disse Tomoyo; alla mia richiesta d’informazioni, la mia amica rispose soltanto “Abbi solo fiducia nei tuoi amici…”.

Mentre Sakura si recò verso il dormitorio, Tomoyo uscì e s’incamminò verso l’aereo di Mark. “Scusi se la disturbo…” disse la ragazza. Mark alzò la testa e la guardò. “Ah… Tu sei l’amica di Sakura… se non sbaglio, ti chiami Tomoyo”. Lei sorrise leggermente. “No, non sbaglia. Lei sta cercando di sapere qualcosa…” Mark s’alzò e si sedette nei pressi del turboreattore sinistro. “Sì… sai dirmi chi è questo Li Shaoran?”. Tomoyo salì sull’ala e si sedette accanto al ragazzo. “È il ragazzo di Sakura” disse lei, mentre un fremito corse sul corpo di lui. “O meglio, era… poco tempo fa, accortasi che a lui non piaceva la strada che noi abbiamo intrapreso, Sakura gli ha detto che non voleva più essere la sua fidanzata… Dalle ultime lettere che abbiamo ricevuto, sembra che sia entrato come collaudatore alla Nakajima, una delle più importanti fabbriche d’aerei del Giappone, in qualità di collaudatore…” Mark alzò lo sguardo verso le stelle, mentre un vento leggero fece volare ovunque i petali di ciliegio degli alberi ai margini del campo volo. “Sakura-chan sarà contenta del fatto che anche questo aeroporto è circondato dai suoi alberi preferiti…”.

Quella sera stessa Bar, nel suo ufficio, versò del cognac a Galland. “Forse non è stata una buona idea far venire qui Shaoran… sarebbe stato meglio spedirlo direttamente al fronte per migliorare il suo stile di cacciatore…”. Galland bevve il liquore e rispose: “Ci è stato ordinato a noi d’insegnarli a combattere e dobbiamo farlo… mi secca solo ch’egli abbia attaccato briga con Baumgartner… è uno dei nostri piloti migliori, se s’ingelosisce perché è lui il compagno di Kinomoto si distrarrà e non imparerà un bel niente…”. Bar bevve anche lui. “Le voci che girano dicono che c’è l’abbia con Baumgartner proprio per questo fatto… Shaoran è stato il vecchio ragazzo di Kinomoto, ma sembra che Baumgartner l’abbia conquistata e questo a Li non piace…”. Galland si vece versare un altro bicchiere. “Due galli in un pollaio… che due palle…”. Bar ripose la bottiglia nell’armadietto. “Sarà opportuno tenere Shaoran lontano dall’aeroporto quando quei due decollano. Baumgartner non fallirà… Dopotutto, non è solo un’ottimo pilota… è qualcosa di più…”.

Ore otto, del due maggio. Partenza per le missioni di caccia libera. Con la Papageienstaffel in volo, ci dirigemmo verso nord-ovest; all’altezza di Norimberga incontrammo degli aerei nemici. “Mark, nemico individuato. Sono a ore dieci, e sono in due” disse la ragazza alla radio, e Mark scrutò il cielo nella direzione indicata dalla ragazza. “Forse un Mosquito da ricognizione scortato da uno Spitfire. Tu quale scegli?”. Pensai che fosse meglio attaccare per primo il caccia di scorta, così, dopo averlo comunicato al mio compagno, mi portai in posizione di testa. Mentre inseguivamo lo Spitfire, Mark scrutava il cielo intorno a noi per evitare che qualche altro caccia non invitato venisse a disturbarci, ma comunicò che a parte il Mosquito che se la filava il cielo era sgombro. I miei colpi staccarono la semiala destra del caccia inglese che precipitò, e successivamente portammo i motori quasi al massimo per inseguire il ricognitore. Costui ora volava rasoterra, e noi in questa situazione eravamo svantaggiati in quanto i nostri motori consumavano parecchio carburante. Quando Mark abbatté il bimotore nemico con pochi colpi ben assestati direttamente sulla cabina di pilotaggio, cercammo un posto dove atterrare per poter rifornire i nostri jet. Questi aerei erano alimentati a gasolio, per cui, una volta atterrati sulla pista di Rothemburg, chiedemmo all’ufficiale delle SS locali di procurarcene un po’. Egli rispose gentilmente che per raccogliere il carburante necessario ci sarebbe voluta qualche ora, ma che alla fine ce l’avrebbe fatta. Quel carburante ci serviva, per cui alla base comunicai la situazione ed i due abbattimenti. “Vuoi venire a fare una passeggiata con me?” disse Mark, ed io, non avendo altro da fare, lo seguii. “Io sono cresciuto qui; ora questo posto è in rovina, ma t’assicuro che prima della guerra era una città bellissima. Le case in legno, i giardini… tutto era incantevole”. La cittadina era stata rasa al suolo alla fine di Marzo, ed i genitori di Mark erano morti nella tempesta di fuoco che si era scatenata. Il mio compagno mi condusse però fuori città, dove c’era un bosco di ciliegi. Era meraviglioso. Passeggiammo per un’ora buona nel boschetto, ascoltando la melodia degli uccellini e correndo tra gl’alberi quando un colpo di vento mandò dappertutto i petali di tali alberi. Tornammo agli aerei, che nel frattempo erano stati riforniti. Salutammo l’ufficiale delle SS e tornammo alla base. “Sakura!! Sakura!!” Li, non appena parcheggiai il mio aereo, corse verso di me tutto trafelato. “Che gioia rivederti!” mi disse con gl’occhi pieni di felicità. M’invitò a venire al bar della base per parlare di quello ch’era successo, ed io accettai, ricordandomi che una volta terminata la conversazione avrei dovuto revisionare il mio aereo. “Dopo che avete avvisato che il carburante stava terminando, abbiamo perso la conversazione; ho temuto che tu fossi stata abbattuta. Ora mi è stata comunicata la notizia che quando tornerò in Giappone porterò con me un Messerschmitt Me.262 per permettere ai nostri tecnici di studiarlo. Si spera che questo nuovo caccia, unitamente ad altri prototipi a getto che stanno nascendo in Giappone, si possa ancora vincere la guerra”. Il volto di Li era pieno di orgoglio verso il paese che l’ha ospitato; tuttavia la verità era un’altra… “Li… l’Asse… non vincerà mai la guerra…”. Il ragazzo squadrò severamente l’amica. Era vietato parlare di disfattismo, ma nel maggio 1945 la situazione era più che evidente. Il 30 aprile colui che chiamavo “l’omino coi baffi”, da altri conosciuto anche come il Fuhrer o semplicemente Hitler, si era suicidato con un colpo di pistola alla testa. Noi delle squadriglie di caccia a reazione continuiamo a combattere la nostra guerra; per sopravvivere. “Ma possibile che non te ne sia reso conto! L’Italia è finita da un pezzo, la Germania è agli sgoccioli ed il Giappone è con l’acqua alla gola! I nostri alleati ci hanno abbandonato, schierandosi con il nemico! Peggio di così non può andare!” gli urlai. Li si scusò con me; non ne aveva motivo, ma forse riteneva che gl’anni in Europa mi avessero cambiata. Lui era un ufficiale giapponese, ligio al dovere, che non poteva ammettere la sconfitta del suo stato… Io invece ero diventata un po’ come gl’europei… un po’ più realista… Ma da questa conversazione m’accorsi che qualcosa in Li stava cambiando. Non s’era mai scusato di qualcosa, tantomeno se la colpa non era sua…

Tomoyo e Galland erano al banco, e dopo aver udito le scuse di Shaoran, la ragazza commentò “Bravo, Mark”. “Allora… lo hai intuito…” disse Galland. “Questo… non è il vostro posto.. tra breve la guerra finirà e voi non volerete mai più. Voi… siete per me come figlie.. ed un padre deve anche saper trovare il ragazzo giusto per esse… Io non posso intromettermi tra loro, ci voleva un rivale in amore, e che nel contempo possa terminare l’addestramento di Sakura…” Tomoyo sorrise, e disse: “Quando la guerra finirà, Li e Sakura torneranno insieme e Mark potrà andarsene felice, ed anche lei…” Galland sorrise. “Mark… tornerà in cielo. Lui non è un semplice pilota, lui… è un angelo”.

L’amore di un angelo.
Il pomeriggio del quattro maggio soltanto pochi piloti furono incaricati di qualche missione. La mattina Tomoyo ne aveva presi altri due, mentre io ho abbattuto un B-24; Mark centrò tre Mustang vicino a Vienna, e per questo il pomeriggio gli fu lasciato libero. Stavo seduta all’ombra di un ciliegio, annotando le mie ultime missioni sul diario di volo, quando Mark s’avvicinò. “Prendilo… gli ho raccolti io…” si riferiva a dei fiori ch’egli aveva intenzione di mettere sui tavolini del bar della base. Me ne porse uno ed io, sorridendo, accettai e ringraziai. “Il sorriso ti dona” disse Mark prima d’allontanarsi. “Allora è proprio vero quel che si dice… cominciate ad innamorarvi l’uno dell’altro…” disse Tomoyo, arrivandomi alle spalle. Li arrivò tutto di corsa, con la faccia severa di chi aveva visto tutto. Non disse niente e se ne andò seguito da Tomoyo. “Adesso hai un rivale” disse lei, e lui terminò con uno “Stai zitta!”. Era evidentemente geloso, e tutti alla base se ne sono accorti. M’alzai e mi recai al bar; qui Mark stava terminando di sistemare i fiori che aveva raccolto. Quand’ebbe finito, ci sedemmo a bere qualcosa. “Mark, posso perché i nostri compagni ti chiamano “Il cantante”… non è un soprannome comune…”. Mark sorrise, bevve un bicchiere e disse “ Forse perché il cielo è l’unico luogo dove sono consapevole di quello che sto facendo…”. Poi, scusandosi, Mark disse che aveva dimenticato qualcosa in camera sua e per questo mi disse se potevo aspettare un attimo. Gli risposi che dovevo controllare il mio aereo e per questo m’avrebbe trovato nell’hangar.

Mentre Mark percorreva il corridoio degli alloggi, incontrò Shaoran. “Qual è il tuo scopo? Si vede lontano un miglio che non sei un pilota normale, ma allora perché sei venuto qui?”. Mark sorrise e si mise proprio davanti a Li; “Io ho il mio sogno... e tu hai i tuoi. Ti prego di non portarmi rancore… Io voglio proteggere una persona a me cara; Per questa persona volo, per questa persona combatto, e di questa persona voglio esaudire i desideri. È questo il mio sogno…”. Li lo guardò negl’occhi. “Vedo allora che vogliamo la stessa cosa…”. Mark sorrise nuovamente. “Devi ritrovare te stesso. Sakura ci tiene tanto a rivedere quello Shaoran che incontrò prima della guerra… L’amico leale, colui che in battaglia la difende… io sono solo Mark, e per quanto voglia bene a Sakura, non la costringerò a vivere tutta la sta vita con me se non vuole… così come non la costringerò a smettere di volare, se è quello che vuole…” detto questo Mark si ritirò nel suo alloggio. O meglio stava per farlo, quando suonò l’allarme.

Entrammo di corsa nella sala riunioni del quartier generale, dove Bar e Galland avevano disposto su di un tavolo la cartina dell’Europa centrale. “Una grossa formazione di Liberator, scortata da parecchi caccia, è stata segnalata intorno ad Augusta” disse il secondo. “Il compito affidatoci è quello di eliminarne il più possibile. Voleremo a gruppi di quattro velivoli, e siccome il Generaloberst Galland non può ancora volare, il comando lo prenderò io. Nella mia schwarm ci saranno Baumgartner e Kinomoto; inoltre ho deciso che parte della Papageienstaffel prenderà parte alla battaglia in quanto ci sono rimasti pochi aerei utilizzabili. Shaoran volerà con noi” terminò Bar rivolgendoci lo sguardo. Infatti la squadriglia di difesa della base solitamente aveva l’ordine di non allontanarsi da essa. Subito ci recammo nel parcheggio velivoli per prepararci a questa nuova missione; cominciarono ad udirsi dappertutto i sibili dei turbomotori, che con i loro getti mandavano ovunque i petali dei fiori di ciliegio. Per primi s’alzarono in volo Bar e Li, e noi li andammo dietro. Complessivamente decollarono altri sedici aerei. “A ore tredici, circa duecento metri più in basso; direzione 253 rispetto a noi”. La voce di Mark s’udì chiara nelle cuffie; subito dopo Bar diramò l’ordine d’attacco. Per primi attaccarono i velivoli armati con razzi aria-aria che seminarono il panico tra i bombardieri, mentre alla nostra schwarm è stato affidato il compito di liberarci dei caccia mi scorta. Un Mustang venne verso di noi, e si sentirono le parole del comandante via radio. “Kinomoto, è tutto tuo. Baumgartner, proteggila”. Subito virai per inseguire il mio avversario, con Mark che si mise dietro di me. Li mi credeva ancora inferiore a lui, come confermò il suo messaggio via radio: “Comandante, ci sono cento piloti più qualificati per affiancare Sakura… Lui perché?”. Bar rispose duramente alle parole del compagno di volo. “Perché quando gli gira, è uno dei migliori al mondo. Stà zitto e guarda!”. Mi dispiace che Li la pensi così, ma al contrario mi dà fiducia il pensiero che il mio comandante e tutti gl’altri piloti tedeschi pensino il contrario. Io nel frattempo con una virata più stretta del mio avversario mi portai a distanza di tiro; feci fuoco ed il mio avversario precipitò. Nella cuffie udii i complimenti di tutti coloro che assistettero alla scena, tra i quali Mark e lo stesso Bar. Ma non udii la voce di Li. Ci ritrovammo davanti un altro caccia nemico e secondo gli accordi pre-volo fu Mark ad attaccarlo. Nonostante egli fosse un grande pilota, l’americano con abili mosse non gli permise di portarsi in posizione favorevole per fare fuoco. Dopo due minuti di attacchi convenzionali andati a vuoto, si sentì nelle cuffie le risatine di Li. Mark probabilmente le udì, perché di colpo mutò il suo stile di combattimento; nel contempo, nelle radio di tutta la squadriglia, s’udirono le note di una canzone…

Far in the light, I can see it
In every scene of the night
A tiny feather of love…

(Tsubasa, dall’album Future Sondscape I, di Tsubasa Chronicle)

“Chi è che canta?” dissi; mi rispose Bar. “È Mark. Una vecchia abitudine, è segno che comincia a darci dentro…”. Sorrisi, poi dissi: “Sono in molti a farlo?”. “Lui, Priller e Galland sono gl’ultimi ancora vivi…” rispose il comandante. “Tsè… se non riesce a combattere…” Le parole di Li furono fermate dal seccatissimo Galland, in collegamento radio. “Chiudi il becco e cerca d’imparare!”. Mi tornò in mente il Li testone dei primi tempi che ci conoscevamo, poi è migliorato, dando spesso prova di grande altruismo. Ma questa sua mancanza di fiducia in Mark è seccante in quanto egli non ha al contempo fiducia nella Luftwaffe… e fiducia in me, che qui ho imparato a combattere meglio che in Giappone. E la prova sono i miei abbattimenti. Tonneau, rolling scissor e yo-yo erano veramente il pane per Mark, che in pochi minuti si combattimento in modalità “stealth” riuscì ad abbattere il suo avversario. Anche Bar riuscì ad abbattere un Mustang, ed alla fina della missione furono quarantatre gl’avversari eliminati, contro nessuna perdita. Una volta tornati alla base io e Mark stavamo revisionando i nostri apparecchi, quando arrivò Tomoyo. “Sakura-chan! Complimenti, anche stavolta ti sei fatta onore… e complimenti anche a te Mark… hai una bella intonazione…”. Mark la ringraziò sia per il complimento sia per i suoi due abbattimenti, un bombardiere ed il suo caccia di scorta, poi mi rivolsi verso di lui. “Dove l’hai imparato? Voglio dire, a combattere… in questa maniera…”. Lui sorrise e poi mi rispose con orgoglio, come se stesse parlando di un’elite: “Il primo fu Priller, poi lo imitammo sia io, che Galland. Sul nostro esempio iniziarono a farlo anche Oesau, Nowotny, e molti altri assi che oggi sono purtroppo caduti… Cantare in combattimento ti aiuta a vincere, in quanto, distendendo i nervi il tuo comportamento non è più prevedibile per l’avversario”. Non era follia, era la speranza di gente che un giorno sperava di volare liberi nel cielo, senza ordini, senza combattere… Era sera quando terminammo di revisionare i nostri jet. Dopo mangiato, notai Mark che come sua abitudine riposava sdraiato sull’ala del suo Me.262. Mi apprestai ad andar a fargli compagnia, ma notai Li Shaoran andare verso di lui. Mi nascosi dietro a dei fusti di carburante, ed udii l’inizio di un battibecco. “Non ti permetterò di rifarlo!” disse Li, e Mark, per tutta risposta lo squadrò severamente. “Che cosa?” disse il tedesco. “Che vigliacco! Accettare di mandare avanti una ragazza per combattere al proprio posto! Sei un animale!”. Mark per poco non gli tirò un pugno, ma si contenne. Ironico, disse a Li: “Mi sarei preoccupato di più se fossi stato tu quello davanti… novellino!”. Li tirò un pugno a Mark, ma questi lo scansò e con uno sgambetto face cadere il cinese al suolo. “Ha! Se non hai i riflessi più che pronti, non sopravviverai… Mi hanno detto che voli dal 1941… È già un miracolo che tu sia sopravvissuto fino ad ora…”. Li era furente, e digrignò: “Non ti permetterò più di volare con Sakura! Mi lagnerò con i tuoi capi! Sakurà è la mia ragazza, e deve stare sempre con me!”. Poi cercò di tirare un altro pugno a Mark ma questi con uno spintone lo fece ricadere al suolo. “Non m’interessa che sia la tua ragazza. Lei è la mia compagna di volo, ed ora tocca a me proteggerla. È molto brava e non permetterò che sia abbattuta; io questo lo posso garantire, ma tu… no, nemmeno i più bravi piloti del mondo vorrebbero volare con un rompipalle come te… secondo me è per questo che hai abbattuto così pochi velivoli… perché non sai stare in gruppo!”. Li s’alzò furibondo e fece per colpire nuovamente Mark che nel frattempo si era rimesso a trafficare con il suo aereo, quando Bar arrivò di corsa con tutta la squadriglia al seguito attirati dalle urla del cinese. “Che diavolo succede qui?” disse il comandante con voce ferma; per tutta risposta, Mark s’alzò dal motore che stava controllando, si rivolse verso il comandante e disse candidamente “Da quello che ho capito il signor Shaoran non condivide le nostre tattiche di caccia; come risultato, l’ho invitato a fare rapporto direttamente all’Oberst Priller, capo della caccia tedesca, per suggerirgli migliori strategie da adottare nel corso dei duelli aerei…”. Le risatine di tutti fecero da eco alle dichiarazioni sarcastiche del pilota, cosicché Li, rosso come un peperone, rientrò nel suo alloggio. “In Giappone le donne non sono considerate se non come geishe o mogli… forse è questo che fa arrabbiare Li… alla scuola di caccia noi due eravamo inferiori rispetto a lui… per questo ci hanno mandato in Europa a far pubblicità alla tecnologia giapponese…” disse Tomoyo. Mark s’avvicinò a noi, e con un sorriso disse: “Non importa quello che eravate. Quello che interessa a tutti i piloti che combattono questa guerra è quello che adesso siete… Non piloti dal sangue freddo, ligi alle regole fino all’eccesso, ma piloti di jet…”. Galland prese la parola. “Essere piloti di questi strepitosi caccia significa essere sopra a tutti i piloti normali… essi richiedono abilità fuori dal comune… Abilità che richiedono di saper sognare… La Jagdverband 44 è questo… il club dei migliori piloti del mondo, a cui va solo detto dove andare, poi come combattono è per ognuno un interpretazione strettamente personale…”. Mark prese la mia mano. “Vedi Sakura-chan… volare per noi significa soprattutto divertirsi. Dobbiamo uccidere per difendere la nostra patria, ma questo è soltanto un seccante intermezzo. Per i piloti come Li la parte più bella è il combattimento, ma per noi è bello anche il volo verso l’obiettivo ed il ritorno alla base… Questa è l’ultima lezione… se riuscirai ad apprendere anche questo, sarai una vera pilota… Devi capire anche che qui noi ti vogliamo bene, perché tu, con il tuo sorriso, sei il simbolo della speranza e questo ci sprona ad andare avanti… Sakura… come si dice in giapponese “ti voglio bene?”. Il cuore cominciò a battermi forte, e i nostri colleghi iniziarono ad urlare “Bacio, bacio…”. “Veramente.. questa è un’espressione che i giapponesi non usano spesso…”. Mark mi sorrise. “Non importa, insegnamela, tanto la userò solo per te…”. Presi fiato; i miei sentimenti erano in disordine… “Aishiteru yo...”. Mark ripetè le mie parole, mentre intorno a noi i nostri compagni continuavano nel loro coro. Poi tutti i piloti entrarono nel bar ad ubriacarsi, ed io restai sola con Tomoyo e Mark. Quest’ultimo mi prese la mano e disse: “C’è chi sogna di dominare il mondo. Chi dedica tutta la vita alla creazione di un nuovo tipo di motore. E se c'è un sogno a cui sacrificare tutti se stessi... c'è n’è anche uno che, simile ad una tempesta, spazza via migliaia di altri sogni. Non c'entra la classe, ne lo status... neppure l'età . Per quanto siano irrealizzabili, la gente ama i sogni. Il sogno ci dà  forza e ci tormenta, ci fa vivere e ci uccide. E anche se ci abbandona, le sue ceneri rimangono sempre in fondo al cuore... fino alla morte. Se si nasce uomini, si dovrebbe desiderare una simile vita. Una vita di martire... spesa per un Dio di nome sogno. Si nasce per caso, senza volerlo. Molti finiscono per trascorrere un'esistenza priva di significato... ma io non potrei sopportare un esistenza simile. Per questo io voglio stare con te…” detto questo Mark mi baciò sulla guancia e si recò al bar. “Hai visto… lui ti vuole bene…”. Io mi sedetti su di una cassa e mi misi le mani nei capelli. “Ma… e Li?”. Purtroppo Li è cambiato… “Lui ti considera un oggetto, e ora pensa solo a alla gelosia… Se lui non cambierà… Io credo che per ora tu sia entrata nel destino di Mark, ed è per questo che tu gli devi andare incontro…”. Passarono due giorni; sette maggio. Il cielo è sereno, ed il sole splende. Sono le sette del mattino, ed i meccanici iniziano a tirare fuori i jet dagli hangar. L’umore è molto alto, nonostante il terzo reich sia definitivamente spacciato. Galland fischiettava seduto su di una panchina, e Mark aggiornava il numero sulla coda che riportava le vittorie ottenute sino a quel giorno. I tecnici tedeschi, con l’aiuto di un Li ancora nervoso dai fatti della sera precedente, stavano mettendo a punto i motori del suo Fw.190 D. Bar e Galland giocavano a carte, mentre altri stavano ancora facendo colazione. Mi recai in bagno dove mi lavai i denti, poi mi misi la mia divisa di volo. Il briefing pre-volo si svolse alle sette e mezzo. “Dovrete recarvi verso Venezia per intercettare dei B-26. Partenza tra venti minuti”. Il mio aviogetto brillava tanto era lucido e ben curato, al pari di quello di Mark. Al momento stabilito sedici Me.262 s’alzarono in volo e misero il muso verso sud; superammo le Alpi e dopo circa tre quarti d’ora di volo vedemmo sotto di noi la splendida Venezia. Ma dei nemici nessuna traccia. Proseguendo ad ovest verso Padova però l’incontrammo. Trenta bombardieri ed una decina di caccia di scorta. La schwarm di testa, composta da Mark, io, Tomoyo e Li si doveva occupare dei caccia di scorta. Due Mustang vennero verso di noi, e Mark disse a Li ed a Tomoyo di attaccarli. Il ragazzo si mise in testa con la mia amica ed il suo jet che gli proteggevano le spalle; il caccia americano sfuggì però all’intercettazione da parte di Li, ma non a quella di Tomoyo che, centrandolo, gli staccò l’ala sinistra. Mentre decine di bombardieri precipitavano a destra e a sinistra, notammo ad ore undici due puntini avvicinarsi molto velocemente. Quando giunsero a portata visiva, li riconoscemmo: erano caccia Lockheed YP-80 Shooting Star, dei velivoli a reazione inviati in Italia per distruggere i Me.262. Galland aveva letto dei rapporti riguardanti questo velivolo e la sua introduzione in Italia ai primi di aprile. Subito tutti i reparti della Luftwaffe furono avvertiti di stare attenti, in quanto questo caccia aveva prestazioni soltanto leggermente inferiori allo Schwalbe. Erano stati inviati in Europa solo due prototipi armati, destinati ad intercettare dei ricognitori a getto Arado Ar.234 che risultavano imprendibili per i caccia ad elica. Nessun pilota tedesco li aveva mai visti, ed ora sono qui! Mark ed io l’inseguimmo stando attenti ad eventuali brutte sorprese da parte dei nostri nuovi avversari, mentre Tomoyo e Li ci proteggevano da lontano. I due si divisero e così facemmo anche noi, ma mentre l’avversario di Mark ingaggiò subito un combattimento tra loro, il mio tentò di filarsela. Bar mi ordinò d’inseguirlo e di abbatterlo a tutti i costi, mentre i Tomoyo e Li stavano distraendo dei Mustang arrivati dalla forza principale dopo che tutti i bombardieri erano stati abbattuti. Tomoyo li abbatté entrambi senza particolari problemi, dopo che Li aveva quasi terminato le munizioni nel tentativo di colpire l’avversario più arretrato. Poco dopo sentimmo delle grida di gioia nella radio, che scatenarono la rabbia silente di Li: “L’ho fatto a pezzi!” urlò Mark. Aveva vinto il duello con l’americano, mentre io non ero stata particolarmente fortunata. M’ero scelta un ottimo pilota, e questi stava continuamente evitando i miei colpi… d’improvviso passò all’attacco, e con una brusca cabrata riuscì a portarsi dietro di me. Diedi piena potenza e, picchiando ad oltre 970Km/h riuscii almeno a distanziarlo. Virai per ricondurlo verso il grosso dei miei compagni, ma se questo poteva favorirmi, aveva come punto debole il fatto che i miei compagni ci avrebbero messo diverso tempo a raggiungermi. Guadagnai quota, ed ecco di nuovo l’americano; ma per rispetto verso i miei colleghi, verso Mark, non mi diedi per vinta.

Todokete kono koe wo
Tsutaete ima sugu ni
isoide koko ni kite
kanjite mada minu chikara
shinjite hoshii no
yume no tsudzuki ga hora
utatte'ru ashita e no merodi…

Carry my voice to him
Tell him right away
Hurry, come here
Feel the unseen power
I want you to believe in it.
The continuation of the dream is look!
singing a melody to tomorrow…

(Ashita e no merodi, dal secondo film di Card Captor Sakura)

Si udì Bar nella cuffia… “Madre di Dio…”. “Ci siamo gente!” urlò Mark della gioia. M’accorsi che stavo quasi… ballando; il mio avversario non poteva prevedere le mie mosse, e pertanto cercò nuovamente di scappare. Ma con un rolling scissor mi portai i posizione di tiro. Bersaglio acquisito. La raffica fu breve, mezzo secondo al massimo; l’aereo americano precipitò in un mare di rottami.

Don’t take my blue paradise.
Una volta ritornati alla base, a me ed a Mark furono tributati grandi onori. La notizia dell’abbattimento di due jet americani rimbalzò da una parte all’altra del Terzo Reich in meno di un’ora; fu conferita a Mark l’onorificenza la più alta della Germania, la croce di cavaliere in oro con fronde di quercia, spade e brillanti, mentre io fui promossa Major e nominata ufficialmente Experte (pilota maestro dei combattimenti aerei). Mi venne anche concessa l’onorificenza delle spade per la croce di cavaliere con fronde di quercia. Li venne da me tutto contento; “Ti devo delle scuse, Sakura… io… ti avevo mal giudicato... puoi perdonarmi?”. Li era finalmente tornato quello che conobbi anni fa; “Va bene… ti perdono…”. Li sorrise e mi ringraziò, mentre per festeggiare le nostre vittorie iniziò una bevuta generale. Ormai la guerra era perduta, ma nessuno sembrava darci troppo peso. Andai a dormire, con non poche preoccupazioni sul mio futuro e su quello dei miei compagni di volo. La mattina dopo fummo informati che la Germania s’era arresa senza condizioni, ed a Salisburgo stavano iniziato ad entrare le punte avanzate dell’armata Devers. Alle ore otto, Galland ci mise in riga. “Camerati” disse singhiozzando. “Dopo aver perduto tanti compagni… dopo che tanto sangue è stato sparso nel nostro Paese e su tutti i fronti… il destino non ci ha permesso di vincere la guerra… gli eroismi dei nostri soldati… lo sforzo inumano della popolazione civile… non sono stati sufficienti”. Si asciugò le lacrime e terminò. “Sappiate che io sono stato orgoglioso di combattere al vostro fianco” passò nei ranghi, strinse la mano ad ognuno di noi e quando le truppe americane entrarono nel campo… “In libertà!”. Molti dei nostri compagni stavano dando fuoco ai loro jet per non farli catturare intatti dal nemico, mentre nel cielo volavano dei caccia avversari: non pensavano a mitragliarci, essi speravano un giorno di pilotare anch’essi questi aerei a reazione che oggi ed in passato tanto hanno temuto. Tomoyo era passata a ritirare tutte le nostre decorazioni per evitare che cadessero in mani nemiche, in quanto bottino di guerra molto ambito; le mise in un sacchetto e le seppellì sotto un albero. Li stava facendo anch’essi a pezzi il suo caccia; anche s’era ad elica, voleva che fosse rimasto solo suo. Rimanemmo soltanto io e Mark. “Bè, sembra che ci stiamo per salutare… tra poco verranno a farci prigionieri…” disse lui, con il suo solito sorriso; “Io… di debbo ringraziare per aver riportato Li sulla corretta strada…”. Il vento stava portando in giro moltissimi petali di ciliegio, e Mark li guardava incantato; “Me l’ha chiesto Galland… abbiamo saputo che Li… si era rifiutato di fare il Kamikaze ed era venuto qui con l’intenzione di starti accanto. S’era introdotto nella Luftwaffe con una lettera d’ordini talmente mal falsificata che non avrebbe ingannato neppure un bambino. Priller ci chiamò, e la curiosità nel controllare che non fosse una spia ci spinse ad accogliere la sua richiesta…”. Lo guardai, poi sorrisi, mentre arrivava anche Li. “Allora… ti devo ringraziare due volte?”. “Lascia stare” disse lui. “Il primo premio per me è che voi due stiate insieme”. Nel frattempo tutti i nostri jet stavano ardendo a bordo pista. Ci riunimmo in circolo tutti quanti, dal comandante fino all’ultimo dei meccanici. “Sapete… forse non sarei ugualmente contenta se ci fossimo conosciuti in circostanze diverse… forse… non saremmo stati così uniti come ora…” dissi. “Già…” proseguì Bar. “La guerra toglie delle vite, ma fa anche nascere amicizie indissolubili…”. Qualcuno però disse: “Si, ma la guerra… l’abbiamo persa…”. Mark sorrise, e si portò in mezzo al gruppo; mentre guardò me, Tomoyo e Li, pronunciò una frase che mi riempì di tristezza; “No… Oggi nessuno vincerà la guerra. Nessuno mai capirà qual'è la verità giusta da seguire. Perché non esiste una verità giusta. Anche se esisteva... ormai è andata perduta, visti i terribili effetti dei bombardamenti alleati sulle nostre amate città. E poi nessuno l'accetterebbe, ormai. I nostri caduti hanno perduto la loro guerra, così come i caduti avversari non l’hanno vinta… Forse l’unica verità è che ognuno di noi aveva agito nel modo che aveva ritenuto più giusto, basando le proprie scelte sulla verità che avevano deciso di accettare. Io non so perché voi abbiate combattuto, ma so perché l’ho fatto io: all’inizio l’ho fatto per portare speranza e pace in un mondo che si stava massacrando… Se avessi abbattuto molti aerei nemici, essi non avrebbero potuto uccidere i nostri civili…Ma il mio periodo nella Jagdverband 44 è stato spinto da una motivazione più profonda… sono venuto tra voi per far ricongiungere i cuori di due ragazzi che si sono smarriti… Ed ora che ce l’ho fatta, posso anche morire in pace…”. Quando Mark disse queste parole, alzai lo sguardo. Mark, mentre sorrideva, sembrava splendere di luce propria tanto emanava tranquillità e serenità… ebbi la devastante sensazione che non lo avrei rivisto mai più, e mi misi a piangere. Lui mi fissò, con quei suoi occhi che scaldavano l’anima, ma che al contempo forse avevano il potere di leggerla. I nostri compagni aviatori iniziarono a salutare Mark, ringraziandolo per tutto quello che aveva fatto per loro; Galland e Bar gli strinsero la mano, poi il primo si rivolse a Tomoyo: “Hai visto? Te l’avevo detto ch’era un angelo…”. La mia amica ed io sgranammo gl’occhi quando Mark iniziò a camminare verso il suo aereo; salì a bordo ed accese i motori. “Mark, che vuoi fare? Quelli lassù stanno aspettando solo che uno di noi decolli per poterlo fare a pezzi” dissi tra la lacrime, salendo nel contempo sull’ala. Il ragazzo si stava allacciando le cinture di sicurezza, e notando le mie lacrime le asciugò con un fazzoletto; poi prese la radio.

I wish forever her great happiness
Every night in your dream I see you, I feel you
Tears stood in her eyes Please don't cry
Forever still for you, still for your love…

(Detective Conan, 7th ending song)

Lo splendido velivolo prese a correre sulla pista; giunto a 210Km/h, il pilota ne sollevò leggermente il muso e ritrasse il carrello. A 400 orari iniziò la salita nel cielo blu. I piloti americani iniziarono la picchiata sull’apparecchio tedesco; giunti a tiro iniziarono a fare fuoco con tutte le armi a loro disposizione, ma stavolta, con loro grande stupore, i proiettili sembrarono attraversare il Messerschmitt. Non una scintilla, non un buco. Con una scia fumosa, il veloce aviogetto scomparve oltre le nuvole. Tutti noi lo guardavamo con gli occhi pieni di lacrime, ma eravamo comunque felici, perché sappiamo che un giorno, quando ne avremo bisogno, lui tornerà tra noi a risolvere i nostri problemi, atterrando con il suo Me.262 sulla strada davanti a casa nostra.

FINE.


 

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