La lunga strada verso casa

Prima parte

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The way to love anything is to realize that it may be lost.
Gilbert K. Chesterton

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Sunnydale

Novembre 2002

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Cimitero di Restfield

Dawn si chinò sulla tomba ordinata e pulita. Si era impegnata a fondo perché restasse così. Voleva che la gente passando la notasse...notasse con quanta cura era stata mantenuta nel tempo...capisse a prima vista che in quel luogo riposava qualcuno che era stato molto amato, qualcuno che aveva lasciato persone che ancora continuavano ad amarlo.

Ricacciando in gola un singhiozzo percorse con le dita la superficie di marmo bianco, tracciando i caratteri dorati che formavano il nome della defunta.

-So che dove sei ora i nostri problemi ti devono sembrare lontani e stupidi...so che...che stai riposando in pace, da qualche parte, lontano da tutto questo dolore...e non sei obbligata a rispondermi...davvero...-

Persa definitivamente la battaglia con il pianto che le saliva agli occhi, Dawn lasciò che le lacrime salate le inondassero il volto.

-Solo che non so a chi altro rivolgermi...io...ho bisogno che mi aiuti in questa cosa...non voglio più essere abbandonata-

Mentre abbracciava la lapide fredda e dura, Dawn si sentì all'improvviso più sola che mai. In un recesso nascosto della sua mente aveva sperato che sua sorella venisse a cercarla, magari a confortarla. Forse per questo si era diretta verso l'unico luogo che ancora la legava a lei e al mondo in cui era costretta a vivere. Ma sapeva bene che nessuno sarebbe venuto a cercarla.

L'unica persona su cui aveva davvero potuto contare giaceva ai suoi piedi, tre metri sotto terra.

-Non piangere Dawnie. Ti rovinerai gli occhi-

Dawn rialzò la testa di scatto in direzione di chi le aveva parlato con una voce così dolce e nota.

E allora la vide. Vestita di bianco, i capelli castani sciolti sulle spalle che le incorniciavano il volto morbido, in una cascata di riccioli.

La vide chinarsi su di lei e sfiorarle il viso rigato di lacrime, senza arrivare a toccarlo.

-Vorrei tanto poterti abbracciare di nuovo, Dawnie. Non sai quanto-

Dawn scosse la testa incredula, perché mai avrebbe creduto che le sue richieste avrebbero davvero trovato ascolto.

-Sei tornata davvero-

Quella voce bassa e dolce come il miele continuò a parlarle avvolgendola di calore.

-Ti avevo promesso che ci sarei stata sempre per te, non ricordi?-

Dawn assentì debolmente senza trovare le parole per rispondere.

-Ora che sono riuscita a raggiungerti non ti lascerò mai più, Dawnie, te lo prometto-

Dawn lasciò che i singhiozzi che aveva inutilmente cercato di trattenere si sfogassero pienamente.

La donna la guardò compassionevole prima di sedersi accanto a lei sull'erba.

-Metteremo le cose a posto, Dawnie, vedrai-

I singhiozzi di Dawn si trasformarono in sorriso leggero sotto lo sguardo dell'altra.

-Ora smetti di piangere e torna a casa. C'è una sorpresa che ti aspetta-

Dawn assentì debolmente prima di alzarsi in piedi, scotendo via la neve dal cappotto e preparandosi a rientrare.

-Io ti aiuterò a ottenere quello che desideri, Dawnie, solo...i nostri incontri dovranno rimanere un segreto tra noi due, almeno per il momento. Sei d'accordo tesoro?-

Dawn si asciugò le lacrime con decisione prima di guardare la donna dritto negli occhi castani.

-Sì, mamma-

Il demone che aveva rubato il volto di Joyce Summers sorrise compiaciuto alla ragazzina.

-Brava la mia bambina-

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Stanza 117, Ospedale di Sunnydale

-E' ora di andare, per te-

La voce di Joyce si librò nell'aria rarefatta, come una libellula leggera. Quante volte aveva desiderato di riascoltarla...le sorrise con tutta la dolcezza di cui era capace.

-E' stato bello rivederti-

La donna sorrise a sua volta congiungendo le mani in grembo.

Spike lasciò che il suo sguardo vagasse intorno alla panchina bianca su cui erano seduti. Centinaia e centinaia di gigli candidi si distendevano di fronte a loro, scintillanti come una distesa di neve fresca baciata dal sole del primo mattino. Lasciò che quello spettacolo gli riempisse gli occhi e il cuore per un istante.

-Allora questa è la fine-

Joyce scosse la testa dolcemente prima di rispondere.

-No, William, puoi credermi. Questo è solo il principio-

Spike tornò a guardare la donna che lo aveva accolto ed accettato nella sua casa come neppure la sua stessa madre aveva saputo fare. E sentì all'improvviso il desiderio di piangere.

La vide alzarsi e invitarlo  a seguirla. Spike si alzò, non senza una breve esitazione. Non era stato lì che pochi istanti eppure già sentiva nostalgia di quel luogo. O forse era di Joyce che non aveva mai smesso di sentire nostalgia.

La seguì attraverso i fiori dai lunghi steli delicati come vetro soffiato, lasciando che i petali bianchi passassero attraverso le dita delle sue mani aperte. Di colpo la radura si interrompeva su un precipizio dal fondo scuro e denso. Il subitaneo cambiamento di luce e colore gli ferì gli occhi come una stilettata.

Sentì lo sguardo caldo di Joyce su di sé prima ancora di vederlo. Guardò quegli occhi castani e caldi come una sinfonia d'autunno prima di tentare di nuovo di guardare sul fondo del precipizio e capire.

Con un sorriso si rivolse alla donna che lo accompagnava.

-Immagino di non avere scelta, vero?-

La vide scuotere il capo di nuovo, mentre ricambiava il suo sorriso.

Spike scrollò le spalle con ostentata noncuranza.

-Del resto il nero è sempre stato il mio colore preferito, perché cambiare proprio ora, ti pare?-

Fece un altro passo sul limitare del dirupo prima di continuare.

-Allora addio Joyce e...grazie di tutto-

Proprio mentre stava per saltare la voce della donna lo trattenne.

-Ci rivedremo prima di quanto pensi e allora dovrai fare una scelta-

Spike si girò a guardarla sorpreso e stava per chiederle spiegazioni quando Joyce lo spinse leggermente all'indietro facendolo scivolare oltre l'orlo del baratro.

E all'improvviso tutto si fece nero intorno mentre si sentiva precipitare sempre più velocemente.

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1630 Revello Drive

-E' strano, vero?-

Buffy sorrise debolmente, tornando a guardare la sua immagine riflessa nella tazza di tè profumato.

-Strano...sì-

Willow si morse il labbro inferiore, indecisa sul da farsi. Forse avrebbe semplicemente dovuto alzarsi e andarsene. Quello non era più il suo posto. Forse era questo che Buffy stava cercando di dirle con i suoi prolungati silenzi...che non era più la benvenuta...che non si sarebbe dovuta trovare li...che non sarebbe dovuta tornare affatto. La voce di Buffy si infiltrò nel corso dei suoi pensieri, inaspettata.

-Ma sono contenta che tu abbia deciso di tornare-

Willow rialzò la testa di scatto, felicemente sorpresa.

-Non ero...sicura che ti avrebbe fatto piacere...dopo quello che ho fatto...-

Buffy scosse la testa stancamente.

-Vuoi dire dopo quello che *abbiamo* fatto-

Tornò a guardare Willow negli occhi, come per assicurarsi che la stesse ascoltando e capendo.

-Non sei l'unica a essere uscita di testa l'anno scorso-

-Ma sono l'unica che è stata a un passo dal distruggerci tutti-

-Distruggerci?-

Buffy scrollò le spalle sorbendo un sorso del liquido ormai freddo.

-Credimi Willow, ognuno di noi ha distrutto qualcosa l'anno scorso. Un rapporto...una persona...se stesso...abbiamo tutti distrutto qualcosa. Tu hai solo scelto un metodo di distruzione più spettacolare del nostro-

Willow non poté trattenere una risata leggera e stranamente amara.

-Già, la mie solite manie di grandezza...-

Scosse la testa con rassegnazione.

-Devi odiarle le mie manie di grandezza...se non avessi voluto giocare a fare Dio saresti ancora felice...nel posto che meriti...-

Buffy la guardò a lungo prima di rispondere.

-Ma forse lo sono...non felice...non ancora almeno...ma...forse sono nel posto che merito, su questa terra, accanto alle persone che mi amano. Forse merito di vivere...merito di avere una seconda occasione per essere felice...per provare ad amare questa vita...e me stessa-

Willow sgranò gli occhi colpita.

-Ma certo che...non volevo dire che non meriti di vivere...è solo che credevo...quando quel demone ci ha fatto cantare hai detto che eri in pace nel luogo dove ti trovavi...hai detto che eri in Paradiso...-

Buffy assentì distrattamente, rivolgendo lo sguardo fuori dalla finestra della cucina, oltre le tende ricamate da Joyce.

-In pace. Sì. Lo ero credo...ma non sono poi così sicura che quello fosse il Paradiso...se lo fosse stato mia madre avrebbe dovuto essere li con me...non credi?-

Willow abbassò gli occhi sul tavolo, senza rispondere, lasciando che il silenzio riempisse lentamente la stanza. E cosa avrebbe potuto dire, del resto? Certo lei non poteva sapere come fosse il Paradiso. Forse non lo avrebbe saputo mai. Ma se un posto simile esisteva, certo Joyce e Tara si sarebbero dovute trovare la.

-Sai, non l'ho fatto per salvare il mondo-

Willow rialzò gli occhi su Buffy che continuava a guardare fuori dalla finestra, come ipnotizzata da qualcosa di imprecisato, nell'oscurità.

-Quando sono saltata da quella torre, non l'ho fatto per salvare il mondo-

Buffy distolse lo sguardo dal panorama notturno, tornando a fissarlo sul volto attonito di Willow, di fronte a lei.

-L'ho fatto perché ero stanca di salvarlo ogni volta-

La neve continuava a cadere silenziosa fuori dalla finestra, ma in quella piccola cucina il tempo sembrava essersi fermato.

-L'ho fatto perché ero stanca di dover salvare ogni volta un mondo in cui mi riconoscevo sempre meno. Un mondo che per la sua salvezza mi aveva chiesto di sacrificare il mio amore, i miei amici, la mia famiglia...tutto quello che ero stata e anche quello che sarei potuta essere-

Willow aprì la bocca per parlare, ma si accorse di non avere niente da dire. Niente che le sembrasse avere un minimo di senso in quel momento. E così lasciò che Buffy continuasse a parlare. Per entrambe.

-Avevo rinunciato a credere di poter vincere le mie battaglia, Will. Avevo rinunciato a credere che ci potesse essere un lieto fine per me-

Il silenzio le avvolse di nuovo per qualche istante, coprendo le loro emozioni, come la pesante coltre di neve copriva la città che le circondava.

Willow riascoltò le parole di Buffy nella mente. E qualcosa la colpì. La fissò dritto negli occhi prima di parlare a sua volta.

-Hai parlato al passato...significa che non la pensi più così?-

Buffy scrollò le spalle sorridendo, come se la cosa fosse talmente ovvia da non richiedere ulteriori spiegazioni.

Ma Willow di spiegazioni ne voleva. E molte.

-Come...cosa ti ha fatto cambiare idea?-

Lo sguardo di Buffy tornò serio e Willow lesse una profondità in quegli occhi verdi che non ricordava di aver mai visto e si chiese quanto realmente sapesse di quello che Buffy aveva affrontato dopo la sua *provvidenziale* resurrezione.

-Dopo che sono tornata...è stato come se...-

Le parole sembravano emergere con difficoltà dalle sue labbra, ma Buffy si impose di continuare ugualmente.

-Hai mai giocato a mosca cieca, Will?-

Vide l'amica assentire, sorpresa.

-Sai all'inizio del gioco, quando ti bendano gli occhi e ti fanno girare su te stessa? All'inizio giri lentamente...e senti ancora le voci dei tuoi compagni di gioco intorno...e nonostante tu abbia gli occhi chiusi sai ancora dove sei...hai ancora dei punti di riferimento...ma più continui a girare e più lo spazio intorno a te perde di consistenza e le voci che senti perdono di importanza...e se giri abbastanza a lungo è come se sparissi...come se ci fossi solo tu al mondo e l'unica cosa essenziale fosse continuare a girare, sempre più in fretta...e così giri e giri...anche se ti viene la nausea e senti che stai per cadere...ma non ti importa perché fino a che continui a girare sai che il gioco non può cominciare...il potere è tutto nelle tue mani, in quel momento...nessuno è più importante di te...nessuno...perché fino a che non smetti di girare nessuno può muoversi...solo tu ti stai muovendo...e il mondo è fermo a guardarti...-

Willow si morse un labbro per impedirsi di replicare. Perché quello era il momento di ascoltare. Di ascoltare Buffy, finalmente, come non l'aveva mai ascoltata durante l'anno precedente. Si chiese quante volte la sua migliore amica avesse desiderato o tentato di confessarle le sue angosce, prima di rinunciare a sperare che qualcuno volesse ascoltarla.

-Era così che mi sentivo l'anno scorso. Giravo su me stessa, sempre più velocemente...continuavo a girare e girare perché sapevo che se mi fossi fermata mi sarei dovuta guardare...e avrei dovuto guardarvi...guardare tutti voi...e vedere che niente era più uguale a prima...se mi fossi fermata anche solo per un attimo il gioco sarebbe ricominciato e io avrei di nuovo dovuto scegliere e lottare...-

Buffy socchiuse gli occhi, come se il solo ripercorrere l'anno precedente le stesse togliendo ogni forza.

-Credevo di poter andare avanti così...fino alla fine...ma lui mi ha fermata...mi ha fermata-

Willow serrò le mani in grembo, continuando a fissare Buffy, senza bisogno di chiedere spiegazioni, senza bisogno di chiedere chi fosse il lui di cui parlava.

-E l'ho odiato per questo...Dio, quanto l'ho odiato. L'ho odiato perché mi ha costretto a riaprire gli occhi...a guardarmi di nuovo allo specchio...a vedere quello che stavo diventando...quello che tutti stavamo diventando...mi ha costretto ad affrontare il fatto che tutto era cambiato...inevitabilmente...che la Buffy che era stata sepolta in quel cimitero non esisteva più...che lei sì era morta, lanciandosi da quella torre-

Buffy socchiuse gli occhi, trattenendo le lacrime che le bruciavano tra le ciglia.

-Ma io ero viva. Non ero più la stessa, forse. Ma ero viva. E lui me lo ha fatto sentire e capire in mille modi diversi. Mille volte. E io...io...-

Lo squillo del telefono le fece sobbalzare entrambe. Buffy si voltò a guardare l'apparecchio mordendosi un labbro. Doveva rispondere. Questo lo sapeva. Solo che non era sicura di avere la forza di farlo.

Willow si alzò con calma, sfiorandole una spalla con una carezza rassicurante prima di dirigersi verso il telefono e sollevare la cornetta.

-Casa Summers. Ah...è l'ospedale. Ci sono notizie?-

Buffy osservò immobile il volto di Willow cambiare sotto il flusso di emozioni contrastanti.

-Sì noi siamo...i parenti più prossimi...cioè i congiunti...insomma, può dire a me direttamente...-

Buffy si alzò dalla sedia. La testa le girava, tanto che fu costretta ad appoggiarsi al piano della cucina per non cadere. 

-Può ripetere scusi?-

Serrando le labbra, Buffy lasciò il suo punto d'appoggio e si avvicinò di qualche passo.

-Ne è sicura?-

Buffy sentì i passi di Dawn salire lentamente le scale dell'ingresso e la porta a vetri aprirsi e richiudersi con un tonfo secco. Anche lei avrebbe ascoltato. Forse anche lei avrebbe pregato, sperato che le parole che sentiva non significassero quello che non poteva fare a meno di pensare. Provò un assurdo senso di sollievo. Almeno questa volta non avrebbe dovuto darle lei la notizia. Non avrebbe dovuto comportarsi da adulta responsabile quando aveva solo voglia di rannicchiarsi nel suo letto di bambina e chiudere fuori il resto del mondo.

-Naturalmente...saremo lì appena possibile-

Dawn emerse dalla soglia della cucina senza staccare gli occhi dalla sagoma di Willow che continuava a dialogare con qualcuno di imprecisato all'altro capo del telefono. 

-Grazie ancora per averci avvertiti subito-

Willow riagganciò la cornetta con un sospiro e Buffy non poté fare a meno di chiedersi che tipo di sospiro si trattasse. Ne aveva sentiti tanti in vita sua. Quelli di disapprovazione di suo padre. Quelli rassegnati di sua madre. Quelli addolorati del signor Giles quando doveva metterla di fronte a scelte inevitabili. Quelli di sollievo dei suoi amici, ogni volta che rinunciava a qualcosa per salvarli.

-Willow...-

La voce di Dawn ruppe lo strano silenzio che era calato nella stanza. Willow respirò a fondo prima di voltarsi a guardare le due sorelle che aspettavano solo una sua frase, sperando che fosse quella che desideravano ascoltare. E per la prima volta dopo tanto tempo ringraziò un Dio in cui non credeva più perché poteva dire loro quello che volevano sentirsi dire.

-Spike è vivo-

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Sotterranei della New Sunnydale High

Era stato facile. Fin troppo.
Credeva sarebbe stato necessario un grosso sforzo di volontà per affrontare quella prova e invece...
Invece quando aveva stretto tra le mani la lama sacra tutto quello che era seguito era stato frutto di un puro istinto.
E questo lo spaventava.
Lo spaventava il fatto di aver deciso istintivamente di salvare l'assassino di sua madre.
Robin Wood esaminò il taglio che si era inferto sul braccio. Il sangue continuava a colare lentamente dalla ferita. Il sangue che poteva curare qualunque ferita, tranne quelle inflitte al suo portatore. Il sangue con cui aveva salvato il suo peggior nemico.
Il volto di Spike volteggiò davanti ai suoi occhi, ma non era il volto di un demone sanguinario, era il volto dell'unica creatura che, anche se solo per un breve momento, aveva saputo dargli conforto e infondergli coraggio, cancellando le sue paure più profonde.

"Il piccolo pettirosso

un dì volò nel bosco

non sapeva il poverino

che viveva lì un gattino

in riva a un fosso si posò

e il micin se lo mangiò"

Nikki Wood si aggirò per la stanza continuando a cantilenare la filastrocca infantile prima di fermarsi a pochi passi da suo figlio.

-Le filastrocche per bambini sembrano sempre spaventose quando le riascolti da adulto. Questa te la cantavo spesso, te la ricordi figliolo?-

Robin continuò a fasciarsi il polso reciso senza mostrare la minima impressione. Il taglio che si era fatto era più profondo del previsto.

-Non sono tuo figlio-

-Così mi ferisci Robin. Ma del resto cosa potevo aspettarmi da un traditore come te? Avevi l'occasione di vendicarmi una volta per tutte e l'hai gettata al vento...l'onore, il coraggio di fare scelte difficili, hai calpestato tutto quello che ti avevo insegnato!-

Robin tagliò le bende e ne gettò i resti sul tavolo.

-Vattene-

L'ombra di Nikki Wood si ritirò risentita sul fondo della stanza.

-Ti sembra il modo di rivolgerti a tua madre?-

Robin guardò il demone negli occhi, con una tranquillità che non provava da tempo.

-Tu non sei mia madre. Pensavi davvero che avrei creduto anche solo per un secondo alla tua scadente recita? Non è possibile confondere una pantera con un gattino spelacchiato, anche se sono entrambi neri-

Il demone si avvicinò minaccioso.

-Come osi ribellarti a me, uomo stupido e inutile!-

Robin sorrise.

-Cosa si prova?-

Il demone lo osservò con fare interrogativo.

-Cosa si prova a dover dipendere da un gruppo di uomini stupidi e inutili per poter intervenire sulla realtà che ti circonda? Cosa si prova a essere completamente impotenti?-

La sagoma di Nikki Wood si deformò lentamente mentre una risata gutturale invadeva la stanza.

-Credi di aver fatto la differenza decidendo di salvare l'Eletto? La strada è ancora lunga, povero il mio piccolo e ingenuo pettirosso, e passa attraverso il bosco più nero che tu abbia mai immaginato. Sei così sicuro che non ti smarrirai tra i rovi? Credi che questa sia la fine della tua bella favola, ma ti sbagli, questo è solo il principio della mia sanguinosa leggenda-

E con quelle parole il demone scomparve nell'aria.

Robin Wood si girò a guardare il proprio volto nello specchio cercando di ricordare che colore avesse l'innocenza che aveva un tempo brillato nei suoi occhi, prima che tutto il sangue versato li rendesse torbidi e scuri.

Oltre le proprie spalle, sul tavolo di mogano al centro della sala poteva vedere la spada sacra, ancora sporca del suo stesso sangue.

Abbandonata su quella superficie scura, macchiata e opaca, sembrava davvero una cosa morta e inutile.

Ma Robin Wood sapeva, meglio di chiunque altro, quanto spesso le apparenze fossero ingannevoli.

Con rinnovata decisione finì di rivestirsi, avvolse la lama scura in un panno e la richiuse in una custodia di pelle intarsiata.

Era ora di risvegliare la Bella Addormentata.

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Stanza 117, Sunnydale Hospital

-Mi hai fatto davvero preoccupare questa volta-

Spike si lasciò andare contro i cuscini sfiorandosi le pesanti fasciature che nascondevano le ferite riportate nell'ultimo scontro.

-Credevo fossi abituata a vedermi...a pezzi-

Bethany scosse la testa, prima di sedersi sul letto accanto a lui.

-E continuo a preferirti tutto intero, sai?-

Spike si morse un labbro con intenzione lanciando alla ragazza uno sguardo sfrontato.

-Dici così perché non hai ancora visto il mio pezzo forte, tesoro-

Bethany sorrise prima di prendergli il volto tra le mani e avvicinarsi pericolosamente alle sue labbra. Spike trattenne il respiro per un istante, chiedendosi se non si fosse spinto troppo oltre questa volta con lei e se in fondo gli sarebbe dispiaciuto poi così tanto averlo fatto. Sentì il respiro della ragazza sfiorargli la pelle e si ritrovò perso in quegli occhi verdi come una foresta piena di sole, occhi che gliene ricordavano altri e che pure gli apparivano ora così diversi.

-Io non sono Buffy. Non tentarmi perché io non ho la sua capacità di resistere alle tentazioni e soprattutto...non ne ho la minima voglia-

Bethany si avvicinò ancora fino a depositare un bacio neanche troppo casto sul collo di lui, prima di allontanarsi definitivamente.

Spike deglutì faticosamente cercando una replica adeguata che potesse consentirgli in qualche modo di alleggerire la situazione, situazione che per altro sembrava difficile soltanto per lui a giudicare dall'espressione tranquilla e rilassata con cui Bethany lo stava guardando.

-Allora come sta il nostro paziente inglese?-

La voce dell'infermiera lo tolse dall'imbarazzo del momento. Bethany si alzò dal letto sciogliendo definitivamente la strana atmosfera che si era creata tra di loro. 

-Benissimo adesso che so che sarò curato da uno splendore come te-

L'infermiera scosse la testa sorridendo e si rivolse a Bethany con sguardo di intesa.

-Direi che si è ripreso anche troppo bene-

Bethany assentì con decisione.

-Oh sì, stavo giusto osservando che il suo vigore fisico non ha minimamente risentito della degenza in ospedale-

L'infermiera squadrò Spike con occhio clinico fino a soffermarsi su un punto preciso delle lenzuola che lo coprivano. Poi si rivolse a Bethany e le fece l'occhiolino ridendo.

-Lei è una ragazza fortunata!-

Spike si tirò le coperte fino al collo ostentando sdegno e imbarazzo.

-Ehi! Un po' di decenza! Siamo in un ospedale!-

Poi si unì alla risata delle due donne sentendosi felicemente normale. Ma quell'illusione durò il tempo di un istante perché di colpo qualcosa nell'aria cambiò.

All'inizio fu solo una sensazione leggera, come un pizzicore alla base del collo. Poi la sensazione si fece più forte, diffondendosi lungo tutta la spina dorsale come una scossa elettrica. Spike smise di ridere e socchiuse gli occhi, in ascolto. Ed era come ascoltare il silenzio prima di una tempesta, come osservare il cielo plumbeo e immobile prima dello scatenarsi degli elementi. Era impossibile dire cosa si stesse ascoltando o guardando con precisione, ma si percepiva d'istinto che si trattava di qualcosa di straordinario.

Bethany doveva essersi accorta del suo cambiamento di umore perché smise di ridere a sua volta e lo interpellò con una punta di preoccupazione nella voce.

-Che succede?-

Spike scosse la testa riaprendo gli occhi e fissandoli su un punto indefinito di fronte a sé, le labbra sfiorate da un mezzo sorriso.

-Niente. Sta arrivando-

Bethany lo guardò senza capire, conscia soltanto che sembrava all'improvviso cambiato, come se qualcosa di diverso si fosse acceso dentro di lui e riverberasse ora attraverso i riflessi azzurri dei suoi occhi.

-Cosa sta arrivando?-

Spike si appoggiò contro i cuscini incrociando le braccia sul petto, apparentemente dimentico della ferita che ancora lo lacerava.

-E' di fronte all'ascensore...no ha cambiato idea, prende le scale di servizio-

Spike si lasciò sfuggire una risata leggera.

-La pazienza non è mai stata il suo forte. Ecco, è al primo piano-

Bethany si avvicinò di nuovo al letto di Spike guardandolo perplessa.

-Spike ma che stai dicendo?-

Spike scosse la testa di nuovo come se avesse rinunciato a spiegare la cosa anche a se stesso.

-Corre attraverso il reparto, si arrabbia con qualcuno, forse un'infermiera...ancora dieci passi-

L'infermiera si avvicinò scrutandolo in volto e sfiorandogli la fronte prima di scrollare le spalle e rivolgersi a Bethany.

-Sembra tutto a posto...-

Spike chiuse gli occhi come se quello che lo circondava avesse perso di colpo di importanza.

-Ancora cinque passi-

Poi li riaprì rivolgendoli alla porta chiusa della stanza.

-Quattro, tre, due, uno...-

Bethany seguì il suo sguardo e così la vide insieme a lui. La porta che si spalancava e la figura come evocata dalle sue parole che si stagliava in controluce sulla soglia. Ma non vide il suo volto mentre pronunciava quel nome e forse era meglio così, perché già solo il tono con cui lo aveva pronunciato le faceva tanto male da togliere il fiato.

-Buffy-

Buffy strinse la maniglia della porta che ancora tratteneva tra le dita, ansimante.

E' vivo.

Si lasciò cullare dal suono di quelle due semplici parole per qualche istante, mentre lo guardava guardarla da quel letto d'ospedale. Era pallido. Ancora. Eppure il suo incarnato rivelava il pulsare della vita che ora scorreva prepotente nel suo corpo. I capelli scarmigliati da un sonno che doveva essere stato popolato da sogni agitati lo facevano sembrare un ragazzo, ma i suoi occhi di un blu cobalto ombreggiato dalle lunghe ciglia scure tradivano l'anima di un uomo che molto aveva visto e vissuto. L'anima. Di un uomo. Buffy rilasciò un respiro che non si era accorta di aver trattenuto fino a quel momento. Forse aveva smesso di respirare quando lo aveva rivisto per la prima volta dopo tanto tempo, sotto il portico di casa, e aveva capito che qualcosa in lui era cambiato per sempre. O forse aveva smesso quando lo aveva ritrovato esanime e coperto di sangue in quello stesso letto d'ospedale e aveva scoperto cosa esattamente era cambiato in lui. Ma no. Aveva smesso di respirare solo un attimo dopo aver varcato quella soglia, solo pochi istanti prima, nel momento esatto in cui aveva davvero realizzato quanto era cambiato. Quanto erano cambiati entrambi, in così poco tempo.

-Buffy...-

Solo sentendo di nuovo il proprio nome appena sfiorato dalle sue labbra, Buffy si accorse che non aveva ancora pronunciato una sola parola. Da quanto tempo se ne stava lì immobile, sulla soglia? Da quanto tempo lo fissava in silenzio? Lo vide stringere le lenzuola tra le dita senza smettere di guardarla, come se si stesse inconsciamente preparando a qualcosa. Ma cosa? Cosa si aspettava da lei? Che lo abbracciasse piangendo e ringraziando Dio di averlo salvato? Oppure che lo maledicesse per l'ennesimo casino in cui l'aveva trascinata? E la verità era che lei non aveva niente da offrirgli. Non aveva pronte parole di conforto o di accusa. Non gli aveva neanche comprato dei fiori. Ma del resto non aveva idea di quali fiori gli piacessero e poi non era neanche sicura che si usasse regalare fiori in occasioni come quelle. E poi i fiori erano cose da donne e comunque non avrebbe saputo cosa scrivere sul bigliettino. Forse avrebbe dovuto portargli dei cioccolatini, ricordava vagamente che qualcuno li aveva portati a sua madre quando era stata ricoverata. La cioccolata gli piaceva. Questo almeno lo ricordava. Ma alla fine non aveva portato niente. Non ci aveva neanche pensato mentre si precipitava all'ospedale lasciando indietro gli altri. L'unica cosa a cui pensava era che doveva vederlo, accertarsi che fosse davvero salvo, che non si fossero sbagliati, che non l'avessero illusa.

Lo vide scostare le lenzuola e scendere dal letto.

Portava i pantaloni di una tuta e nient'altro. Non sembrava della sua taglia. L'elastico era scivolato appena sotto la linea della vita e si era adagiato sui suoi fianchi sottili lasciando intravedere la muscolatura definita del ventre. Forse l'aveva rimediata da qualcuno dell'ospedale. La tuta. Magari quell'infermiera di mezza età che non gli staccava gli occhi di dosso. Doveva avere almeno sessant'anni e poi era grassa. E va bene non tanto grassa. In effetti era in forma per una della sua età. Età che non doveva superare i quarant'anni. E com'è che adesso le infermiere portavano delle gonne così corte? Cos'era una sfilata di moda o un reparto ospedaliero?

Lui non sembrava minimamente colpito dalle nuove politiche di abbigliamento dell'ospedale di Sunnydale. Lui la stava guardando come se nella stanza non ci fosse nessun altro oltre a loro e nei suoi occhi traspariva quel misto di sorpresa e sicurezza che Buffy conosceva così bene. Come se non avesse mai dubitato neanche per un attimo che lei sarebbe arrivata da lui e al tempo stesso ne fosse rimasto immancabilmente sorpreso. Oh sì. Buffy conosceva bene quello sguardo. Era lo stesso che le aveva rivolto innumerevoli volte, l'anno precedente. Ogni volta che l'aveva vista comparire sulla porta della sua cripta in una silenziosa affermazione di possesso. Solo che ora Buffy non era più tanto sicura di chi avesse posseduto chi. Forse nessuno aveva mai posseduto nessuno e convincersi del contrario era stato il loro più grande sbaglio.

Ma adesso non era importante. Niente era importante, a parte il fatto che lui era di fronte a lei e la guardava come se non si fossero mai persi di vista. Niente contava, a parte il fatto che ora poteva dirgli tutto quello che non gli aveva ancora detto e ripetergli tutto quello che già gli aveva detto quando lui non poteva sentirla. E allora forse tutto sarebbe stato diverso, dentro e fuori di loro.

E poi lo vide sorridere di un sorriso diverso. Vide l'altra che gli correva incontro e gli si gettava letteralmente tra le braccia strappandogli un gemito di dolore e gioia. E Buffy seppe di aver perso una nuova occasione con lui. Un'occasione che sua sorella non si era lasciata sfuggire.

-Dawn se continui a stringerlo così finirai per mandarlo all'obitorio-

Pessima battuta, Buffy. Dio quanto odiava gli ospedali, riuscivano a far venire fuori il peggio di lei. Dawn comunque non sembrava neanche averla sentita, occupata com'era ad abbracciare Spike, a continuare a toccarlo come se non riuscisse a credere che fosse davvero sano e salvo, a ridere tra le lacrime come se si fosse appena svegliata da un incubo.

-Lo sapevo che avrebbe mantenuto la promessa...lo sapevo che la sorpresa dovevi essere tu!-

Spike accarezzò i capelli ramati di Dawn cercando di dare un senso alle sue parole.

-Quale promessa, Briciola?-

Dawn nascose il volto nell'incavo del suo collo scotendo la testa.

-Non importa, non importa. Importa solo che tu sia vivo...non so cosa avrei fatto se avessi perso anche te!-

Spike rialzò gli occhi sulla ragazza che era rimasta immobile sulla soglia della stanza, superata da tutti gli altri che ora lo circondavano.

-Mi perderai solo se sarai tu a volerlo-

Buffy sentì il proprio cuore perdere un battito e avrebbe voluto rispondere qualcosa, qualcosa di intelligente o almeno sorridergli, ma lui stava già guardando altrove, rispondendo alle domande e alle attenzioni degli altri. 

E intanto un'altra occasione era andata perduta.

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Sede del Concilio Demoniaco

-Si è svegliato?-

-Sì, sensei-

-E la spada sacra?-

Hiro ebbe una leggera esitazione prima di replicare.

-E' ancora nelle mani dell'uomo in nero, sensei-

L'anziano assentì silenziosamente prima di sorbire un nuovo sorso di tè caldo.

-E così il nostro pettirosso di bosco ha compiuto la scelta che avevamo previsto. Anche se si usa un buon travestimento la nostra reale natura emerge sempre, alla fine dei conti. E' strano come per quanto sparsi e disordinati siano i pezzi di un rompicapo, essi tendano sempre a ricongiungersi nell'ordine prestabilito-

La constatazione non sembrava richiedere risposta né ulteriori commenti, perciò Hiro rimase chiuso in un rispettoso silenzio.

Il vecchio maestro ripose la tazza di tè verde sul basso tavolino di legno e si alzò. Qualcuno sarebbe presto venuto per ascoltare una delle sue favole.

Hiro osservò suo nonno rimanere in piedi davanti al paravento aperto, apparentemente immerso nella contemplazione del giardino di inverno.

-Credi che accetterà?-

Il vecchio maestro rimase talmente immobile che quando parlò la sua voce colse il nipote di sorpresa.

-Non potrà fare altrimenti-

Hiro osservò le spalle di suo nonno, cercando di cogliere in lui l'indizio di una qualche emozione, ma l'uomo sembrava perfettamente sereno di fronte agli eventi intricati che si dipanavano lenti di fronte a lui, come se niente di quello che sarebbe accaduto potesse sorprenderlo.

-Credi sia stato il caso a fare intrecciare di nuovo le loro strade?-

Il vecchio si volse allora ad osservare il ragazzo con un sorriso enigmatico.

-Ricorda Hiro, il caso è solo una maschera che il destino indossa quando non vuole farsi riconoscere-

 

+ + +

Stanza 117, Ospedale di Sunnydale

Odiava gli ospedali. Li aveva sempre odiati. E poi perché diavolo doveva rimanere ancora lì? Si era ripreso perfettamente dopotutto, una guarigione miracolosa avevano detto i medici.

Sì, miracolosa.

Spike si sfiorò le bende che ancora gli fasciavano il petto. Aveva come l'impressione che quella guarigione avesse più a che fare con i demoni che con gli dei.

Scostò le coperte e fece per alzarsi in piedi. O almeno tentò di farlo. La testa gli girava a una tale velocità che non riusciva neanche a pensare coerentemente. Dannato corpo umano.

-Credi che sia finita?-

Impiegò qualche secondo prima di riconoscere la voce che lo interpellava e poi tutto gli tornò alla mente. L'Oni che aveva cercato inutilmente di scacciare, la spada che lo aveva tradito, il figlio di una delle sue vittime che era tornato a presentargli il conto.

-Wood-

L'uomo di colore oltrepassò la soglia, avvicinandosi al letto.

-Spike. O forse dovrei dire William?-

Spike gli sorrise con sarcasmo.

-Non so, tu chi preferiresti uccidere dei due?-

L'uomo socchiuse gli occhi neri come carboni per un attimo, prima di rispondere con tono tranquillo.

-Se volevi morire hai perso la tua occasione quando mi hai fatto il nome di Teddy per la prima volta-

Spike si passò una mano fra i capelli con un sospiro frustrato. Si sentiva addosso lo sguardo calmo e profondo di quell'uomo che aveva visto bambino. E provò un fastidioso disagio. E non era da lui sentirsi a disagio...di fronte a nessuno. E lo odiò perché riusciva a fargli provare sensazioni che aveva creduto morte e sepolte.

-Cosa c'è di così difficile? Impugni il paletto, punti al cuore e sferri un colpo! Adesso puoi ottenere lo stesso effetto anche con una spada, un pugnale o un bel pezzo di vetro affilato, non è fantastico? Ma sono i capelli vero? Nikki lo diceva sempre che la distraevano. Cos'è devo fare domanda in carta bollata per avere un po' di meritato riposo? Dio! Tre cacciatrici...tre, un bambino cresciuto a pane e desiderio di vendetta e non riesco a farmi uccidere! Dov'è che sbaglio si può sapere?!-

Robin Wood non riuscì a trattenere un sorriso che nascose immediatamente dando le spalle al demone.

-Sì, forse sono proprio i capelli-

Spike si lasciò andare contro la testiera del letto.

-Insomma cosa vuoi da me?-

L'uomo continuò a fissare un punto indefinito sulla parete opposta.

-Perché hai questo desiderio di morte?-

Spike esplose in una risata convulsa.

-E tu saresti stato cresciuto da un osservatore? Ti prego! Hai almeno la minima idea di cosa sia un vampiro? Noi viviamo nella morte, siamo nati nella morte...tutto quello che siamo, tutto quello che vogliamo è la morte. La morte e la distruzione...-

-Tu non sei più un vampiro, Spike-

Il demone si passò una mano sul volto, con stanchezza.

-E allora com'è che ancora mi sento come se lo fossi? E poi a ben guardare non sono poi cambiato così tanto. Sono ancora un demone, devo ancora bere sangue umano per sopravvivere e sono ancora un assassino. Solo che adesso sono pagato per uccidere, dalle stesse creature che sono anche le mie vittime. Un bel vantaggio non trovi?-

Robin osservò gli occhi del demone passare dall'azzurro al cobalto fino a diventare quasi neri.

-Questo cinismo non è da te, Spike-

Il demone si alzò di scatto stringendo il collo dell'uomo con una morsa di acciaio, gli occhi accesi di rabbia.

-Tu non sai niente di me-

Robin Wood guardò il demone che si ergeva sopra di lui, gli occhi scintillanti nella panombra. Non l'aveva sentito alzarsi. Non era neanche riuscito a scorgere l'inizio del movimento fluido con cui si era avventato su di lui. E di nuovo il suo cervello fu colpito dalla consapevolezza che se l'intenzione di quella creatura letale fosse stata quella di ucciderlo non avrebbe avuto via di scampo. Sarebbe morto prima ancora di rendersene conto.

Senza distogliere lo sguardo lasciò che le parole uscissero lente e calme dalle sue labbra.

-Invece so più di quanto pensi, Spike. Ti osservo da più tempo di quello che credi. E c'è una cosa che non riesco a spiegarmi. Se davvero quando eri ancora un vampiro tutto quello che conoscevi, tutto quello che volevi, erano morte e distruzione allora perché non li hai uccisi?-

Spike lasciò andare la presa lasciandosi ricadere sul letto. Respirava a fatica. Diamine, era rimasto in piedi per pochi secondi e si sentiva come se avesse corso la maratona di New York. La voce dell'uomo continuò a insinuarsi tra i suoi pensieri, fastidiosamente.

-Li hai avuti a portata di mano migliaia di volte. Sei entrato nelle loro case. Hai conquistato la loro fiducia. Perché non ne hai approfittato?-

Spike scrollò le spalle con noncuranza.

-Che vuoi che ti dica? Il governo americano mi ha fottuto alla grande-

Robin scosse la testa accondiscendente.

-Già...il chip. Ho letto il rapporto del Consiglio in proposito. Una circostanza piuttosto inaspettata in effetti. Doveva davvero procurarti un dolore insopportabile per costringerti ad andare contro la tua stessa natura-

-Neanche puoi immaginare quanto male facesse-

Wood assentì lentamente lasciando che il silenzio li circondasse prima di tornare a parlare.

-Ma vedi Spike, ci sono tanti modi per uccidere le persone. Modi indiretti. Modi che non avrebbero consentito al chip di attivarsi...senza contare che per una di quelle persone il chip non si attivava più da tempo-

Spike si alzò di nuovo lottando disperatamente per rimanere in piedi e non cedere al senso di nausea che gli attanagliava lo stomaco.

-Dove diavolo vuoi arrivare?-

L'uomo incrociò le braccia sul petto con decisione.

-Voglio arrivare a Teddy-

Spike rise sinceramente divertito.

-Te l'ho già detto una volta, Wood. Teddy non è mai esistito. Era solo una maschera che mi sono divertito ad indossare per un po'. Niente più di questo, credevo che ormai fossi abbastanza grande da capirlo-

Robin Wood scosse la testa, tornando improvvisamente serio.

-Io credo invece che sia Spike a non essere mai esistito, non è così William?-

Il demone guardò l'umano con rabbia appena contenuta prima di distendere le labbra in un sorriso.

-Credere di aver salvato quell'idiota di William o quell'angioletto di Teddy invece di quell'assassino di Spike ti fa sentire meglio? Credi pure a quello che vuoi, in fondo questo è ancora un Paese libero, per il momento-

Wood lo squadrò con aria interessata.

-Cosa ti fa pensare che io ti abbia salvato?-

Spike si sedette di nuovo sul letto intrecciando le mani sotto il mento.

-Due giorni fà agonizzavo tra la vita e la morte, anzi diciamo pure che mi sono fatto un simpatico viaggetto nell'Aldilà, poi di colpo mi sveglio in forma come prima...bè più o meno. Comunque nessuno sa spiegarsi come sia potuto sopravvivere alle ferite che avevo riportato. Ferite mortali. E all'inizio neanch'io me lo spiegavo. Stavo quasi per credere all'ipotesi della guarigione miracolosa, che per altro qui è una delle più accreditate, quando mi capita di fare una chiacchierata con Lucy, l'inserviente del turno di notte e sai cosa mi racconta? Che l'altra notte un uomo è venuto a trovarmi dopo l'orario di visita, un uomo di colore sui trent'anni, avrebbe dovuto dirgli di andarsene, ma era vestito come uno importante e allora non si sa mai e poi lei non si impiccia degli affari altrui e in fondo i gusti sono gusti...sai in realtà credo che Lucy si sia fatta un'idea sbagliata su di noi, dovrei dirle come stanno realmente le cose...solo che non sono sicuro di come stiano realmente...-

Il demone fissò l'uomo dritto negli occhi con intenzione.

-So che non sei venuto per uccidermi, altrimenti non saremmo qui a chiacchierare amabilmente come due vecchi compagni d'avventura adesso, e so che neanche un giorno dopo la tua visita mi sono sorprendentemente ripreso ora se c'è una cosa in cui non ho mai creduto sono le coincidenze perciò adesso so anche chi mi ha provvidenzialmente se non miracolosamente salvato, quello che ancora non so è *come*...-

Robin Wood si appoggiò contro la parete bianca dietro di sé.

-Diciamo che conosco una cura *miracolosa* contro le ferite mortali-

Spike reclinò la testa su un lato, osservando meglio l'uomo che gli stava di fronte. Nonostante la situazione sembrava perfettamente a proprio agio, abbigliato come se da un momento all'altro avessero potuto chiamarlo per un'incontro di lavoro ai piani alti. Scarpe di pelle lucida, pantaloni gessati, cravatta scura su una camicia immacolata fresca di lavanderia, non c'era da stupirsi che la povera Lucy ne fosse rimasta intimidita...solo una cosa stonava in quell'insieme. Una delle maniche della camicia era arrotolata fino al gomito e lasciava scoperta una fasciatura piuttosto vistosa stretta sul polso.

-Mi hai dato il tuo sangue-

Neanche si era accorto di aver pronunciato quelle parole, il pensiero appena formulato gli era uscito spontaneo dalle labbra.

Robin scrollò le spalle con noncuranza.

-Il sangue è il mio dono. Una specie di elisir di lunga vita, se preferisci. Chi lo beve guarisce da qualunque ferita e da qualunque malattia, utile no?-

Spike rialzò la testa di scatto.

-E tua madre allora...-

Robin sorrise amaramente.

-Ho scoperto a mie spese che non posso usare il mio dono sui miei consanguinei. Il mio sangue ha il potere di ridare la vita a chiunque, tranne alle persone che l'hanno data a me-

Spike scosse la testa incredulo.

-Questo è...-

Le parole gli morirono sulle labbra, ma Robin completò la frase per lui.

-Ingiusto, iniquo, irragionevole, immorale, arbitrario, incomprensibile?-

L'uomo si avvicinò di qualche passo fino a trovarsi esattamente di fronte al demone.

-Già. E' quello che ho sempre pensato anch'io. Per questo fino ad ora mi ero sempre rifiutato di usare il mio *prezioso* dono. Non potevo sopportare l'idea di concedere a qualcuno una seconda possibilità quando a mia madre non ne era stata concessa alcuna-

Spike serrò le labbra attonito, incapace di replicare. Era come se una volta evocata dalle loro parole, la presenza di Nikki Wood avesse invaso la stanza, sommergendoli.

-E perché avresti deciso di concederla proprio a me la seconda possibilità che non hai concesso a nessun altro?-

-Perché, per quanto mi costi ammetterlo, è quello che mia madre avrebbe voluto-

Spike distolse lo sguardo, incapace di credere alla verità di quelle parole.

-Come fai a saperlo?-

Robin Wood scrollò le spalle con sufficienza.

-Era mia madre...-

Spike scosse la testa sorridendo.

-Non significa niente. Condividere un legame di sangue con qualcuno non significa necessariamente condividere i suoi sogni o le sue angosce, né tanto meno conoscere i suoi pensieri più profondi-

Robin fissò il demone negli occhi, senza esitazione.

-Forse non so tutto quello che passava nella testa di mia madre, ma so quello in cui credeva. Lei credeva nella sua missione, credeva di poter rendere il mondo un posto migliore, un posto dove suo figlio potesse crescere sicuro e felice. Un posto dove altri figli potessero nascere e crescere senza paura. E' morta per questo. Io penso che la sua fosse solo un'illusione, ma voglio provare a illudermi anch'io, per una volta nella mia vita-

Spike voltò le spalle all'uomo osservando con intenzione la parete di un bianco asettico.

-Ancora non capisco cosa c'entro io in tutto questo...-

Robin incrociò le braccia spazientito.

-Ma stai scherzando? Tu sei l'Eletto, il portatore della spada sacra in grado di ristabilire l'equilibrio tra i mondi. Salvarti significa anche salvare il mondo che conosco e che mia madre amava-

Spike si alzò di nuovo dirigendosi verso la porta della stanza, incurante delle vertigini che gli annebbiavano la vista.

L'uomo gli si parò di fronte, le braccia conserte. Certo era più grosso di lui, su questo non c'erano dubbi.

-Cosa pensi di fare?-

-Perché mi fai domande di cui sai già la risposta?-

Robin non mosse un muscolo, limitandosi a rispondere con voce tranquilla e sicura.

-Non posso lasciarti tornare da loro. E' troppo pericoloso-

Spike scosse la testa sorridendo accondiscendente, come se si trovasse a dover ragionare con un bambino che non voleva capire.

-E' esattamente per questo che devo tornare da loro. E' troppo pericoloso-

-Ora come ora non sei in grado di proteggerli, lo sai meglio di me-

-Vuoi scommettere?-

L'uomo rise apertamente.

-Andiamo, perfino un testardo come te dovrebbe arrivare a capirlo. Non sai usare la spada sacra, sei pressoché privo di forze e dopo il tuo ultimo fallimento il Consiglio degli Osservatori ti sta alle calcagna, per non parlare del Concilio dei demoni anziani che ha tutta l'intenzione di sottoporti alla prova di iniziazione...-

Spike alzò gli occhi azzurri sull'uomo con aria di sfida.

-Dì pure che ci provino-

Robin serrò la mascella trattenendosi a stento dal prendere quel demone testardo per il collo e scuoterlo fino a fargli entrare un po' di buon senso in quella zucca vuota. Respirò a fondo. Doveva stare calmo. Almeno uno di loro doveva ragionare se volevano salvarsi.

-In questo momento non sei in condizione di combattere...-

-Cambia musica Wood, questa l'ho già sentita-

Spike fece per aprire la porta, ma l'uomo lo trattenne con decisione.

-Quanti Oni hai ucciso da quando hai ricevuto la spada?-

Spike non si voltò a guardarlo, ma si fermò sulla soglia. Robin Wood scosse la testa sorridendo.

-Mi avvicino alla verità se dico che non ne hai ancora ucciso nessuno di tua iniziativa?-

Spike continuò ostinatamente a ignorarlo, ma Robin non si lasciò minimamente scoraggiare.

-Pensi davvero di poter fuggire?-

Spike rifilò un'occhiata in tralice all'uomo, sorridendo.

-Questo è un ospedale, non un carcere di massima sicurezza e anche se lo fosse non avrei problemi a uscirne-

L'uomo scosse la testa incrociando le braccia sul petto.

-Non intendo fuggire da qui, Spike, ma da quello che sei...-

-Io non fuggo da me stesso, Wood. Io combatto quello che sono o quello che gli altri vogliono farmi diventare. Perché non posso accettare l'idea di essere nato per uccidere degli innocenti con la scusa di riequilibrare la bilancia-

-Tu sei nato per distruggere gli Oni...-

-Già, distruggere gli Oni uccidendo nel contempo gli esseri umani che li ospitano. No grazie, passo la palla per questo giro-

Robin osservò per qualche istante il demone che aveva ormai aperto la porta e superato la soglia.

-Non devi comportarti per forza così-

Spike scrollò le spalle con malcelata insofferenza.

-Date le premesse non vedo come altro potrei comportarmi-

Robin scosse la testa di nuovo.

-Intendo con gli Oni. Non devi per forza uccidere il loro portatore per distruggerli-

Spike si bloccò all'istante tornando a guardare l'uomo con malcelato sospetto.

-E in quale altro modo potrei distruggerli?-

Robin Wood tirò un sospiro di sollievo. Se non altro era riuscito a catturare la sua attenzione.

-Usando la spada sacra-

Spike scosse la testa ridendo rassegnato.

-Quell'affare non funziona, sei stato tu il primo a dirlo. Probabilmente è solo un pezzo di ferro vecchio di cui il Consiglio voleva sbarazzarsi-

Robin scosse la testa a sua volta rispondendo con voce ferma.

-Ho controllato. La spada è autentica, come la leggenda che la avvolge. Però hai ragione su una cosa, al momento non funziona correttamente-

Spike si voltò a guardare l'uomo, le braccia conserte sul petto.

-E così torniamo al punto di partenza-

Robin sorrise enigmatico nella sua direzione.

-Non proprio. Il fatto che la spada non funzioni adesso non significa che non funzionerà mai, inoltre credo che il problema dipenda più da te che dalla spada-

Spike scrutò l'uomo con crescente irritazione.

-Ah, adesso sarebbe colpa mia se quel ferro vecchio non funziona come si deve?-

Robin scrollò le spalle con noncuranza.

-Naturalmente -

-Natural...-

Spike squadrò l'uomo indeciso tra lo stupore e l'irritazione.

-Non sei cambiato per niente-

Robin rispose con uno sguardo perplesso e Spike si sentì in dovere di continuare.

-Hai sempre avuto una fiducia incrollabile in te stesso-

Poi si lasciò andare contro lo stipite della porta.

-Forse per questo la gente è spinta a fidarsi di te a prima vista-

Robin scrollò le spalle con sufficienza.

-Non puoi chiedere agli altri di fidarsi di te se tu per primo non confidi in te stesso-

Spike distolse lo sguardo infastidito.

-Già, immagino che sia così. Allora sentiamo, dov'è che sto sbagliando?-

-Non ne ho la minima idea-

Spike rise di gusto prima di raggiungere il letto e infilarsi di nuovo sotto le coperte.

-Grazie della visita, amico. La prossima volta porta dei cioccolatini-

Robin non sembrò cogliere quell'esplicito invito a lasciare la stanza perché continuò il suo discorso come se non fosse mai stato interrotto.

-Quello che so è che lo spirito della spada non è morto, ma è imprigionato da qualche parte...come addormentato...e sta aspettando che lo spirito dell'Eletto si risvegli per potersi ricongiungere con lui-

-In altre parole vorresti dire che quella che dovrebbe essere la *mia* spada non mi ha ancora accettato e per questo continua a dormire beatamente lasciando che demoni e uomini si distruggano a vicenda?-

Robin assentì scrutando il volto contratto del demone che se ne stava disteso, apparentemente noncurante, tra le lenzuola sterili.

-In altre parole se tutta quella gente è morta è solo perché non ho ancora avuto il coraggio di accettare quello che sono?-

Spike guardò dritto negli occhi neri dell'uomo leggendovi le stesse aspettative che aveva visto in quelli di tutti gli altri. E all'improvviso una rabbia sorda si impadronì del suo corpo rafforzando il senso di frustrazione che già provava.

-Non è colpa mia se gli esseri umani sono deboli, se non sanno resistere al fascino del male che è dentro di loro! Pretendete che da solo mi prenda sulle spalle il peso del mondo che risolva un conflitto che risale alla notte dei tempi con il solo aiuto di una spada vecchia e arrugginita che neanche mi riconosce come suo padrone! Vi aspettate che io vi protegga e che renda il vostro mondo un luogo migliore, ma io non sono un salvatore né tanto meno un eroe, cosa credete che possa fare in queste condizioni? Cosa dovrei fare?-

Spike voltò le spalle all'uomo, appoggiandosi alla parete bianca e fredda, ansimando. Non capite che vi illudete? Non capite che anch'io soffro come voi? Non chiedetemi di fare miracoli! Non chiedetemi nulla!

Sentì l'uomo indietreggiare in silenzio fino alla porta della stanza, le sue scarpe di cuoio sfioravano il pavimento lucido e asettico con ritmo deciso e regolare. 

Devo prepararmi. D'ora in poi tutti verranno da me a chiedermi un miracolo. Nessuno mi tratterà più come un semplice essere umano.

Poi lo sentì esitare, o forse semplicemente aveva deciso di fermarsi.

-Sei furbo, Spike. Sei sempre tu che fai le domande, ma non le poni mai a te stesso, nonostante tutte le risposte siano già dentro di te-

-Che...vuoi dire?-

-Tu hai deciso in partenza di non essere l'Eletto, non hai mai realmente preso in considerazione questa possibilità, hai semplicemente deciso di accontentare chi ti stava intorno interpretando un ruolo...e sei un bravo attore, questo te lo concedo, ma la cosa finisce lì. Fino ad oggi hai solo finto di essere l'Eletto non hai mai provato ad esserlo davvero-

Spike chiuse le mani a pugno, senza staccarsi dalla parete, senza riuscire a replicare, senza riuscire a smettere di ascoltare.

-Quando mia madre è morta non mi è rimasto niente, riuscivo solo a pensare che chiunque guidasse dall'alto la mia vita mi aveva rubato tutto quello che dovevo avere per essere felice e che poi aveva voluto essere generoso con tutti gli altri. Per tutta la vita ho continuato a pensare che in qualche modo dovevo essere risarcito, pensavo che prendendo la vita di chi mi aveva tolto mia madre mi sarei sentito meglio...pensavo che non fosse rimasto nient'altro che l'odio dentro di me e di quello mi nutrivo, ogni giorno, per andare avanti. Ma quando ho guardato nel tuo cuore ho riconosciuto qualcosa in cui un tempo avevo creduto anch'io...-

Robin serrò i pugni lungo i fianchi, imponendosi di continuare.

-La speranza di poter cambiare. Per la prima volta dopo tanto tempo ho intravisto la possibilità di cambiare il mio destino. Per questo ho deciso di salvarti e in cambio ti chiedo di sforzarti di credere di essere stato Juhdiel in passato e di poter tornare ad esserlo in futuro-

Spike si voltò a guardare l'uomo, fermo sulla porta, e per la prima volta nei suoi occhi intorbiditi dalla vita riconobbe lo sguardo limpido del bambino che aveva conosciuto e che era stato, anche se per pochi giorni, la sua famiglia.

-Questo mondo sta aspettando disperatamente il tuo risveglio-

Lo vide estrarre qualcosa da una tasca e poi avvicinarsi per porgerglielo.

-Il medaglione di Emily...lo hai conservato per tutto questo tempo-

Robin scrollò le spalle con ostentata noncuranza.

-Chi me lo ha regalato mi ha detto che con questo al collo niente avrebbe più potuto spaventarmi, anzi mi ha assicurato che avrei potuto affrontare qualunque prova la vita mi avesse messo di fronte-

Spike assentì distrattamente, stringendo il medaglione fra le dita.

-Quale prova hai in mente di preciso?-

-Sparire-

-Come?-

Robin replicò con pazienza.

-Conosco qualcuno che può aiutarti a risvegliare lo spirito della spada e in seguito insegnarti ad usarla, ma la sua è una posizione difficile, non possiamo coinvolgerlo apertamente in questa cosa. L'unica soluzione è contattarlo in segreto e senza lasciare tracce dietro di noi, per questo è essenziale sparire da Sunnydale per un po'. Troveremo un luogo sicuro dove incontrarci, un luogo dove il Consiglio non possa raggiungerti-

Spike lo fissò come se fosse improvvisamente impazzito.

-La Bocca dell'Inferno non è mai stata così attiva, demoni e uomini sono sul punto di dichiararsi guerra hai appena detto che sono l'unica speranza rimasta per evitare tutto questo ora vorresti che sparissi dalla circolazione?-

-Più o meno-

Spike rise di gusto prima di raggiungere il letto e infilarsi sotto le coperte.

-E io che credevo di essere il più pazzo nei dintorni-

-Restando qui non risolverai niente-

-E cosa risolverò partendo?-

-Salverai la pelle, tanto per cominciare-

Spike scostò le coperte con rabbia tornando ad alzarsi.

-E chi salverà la pelle degli altri...di quelli che sono chiamato a proteggere? Che ne sarà di tutti quelli che contano su di me?-

Robin aprì uno degli armadi estraendone una sacca e cominciando a raccogliere i pochi oggetti che Spike aveva sparso per la stanza.

-Alcune vite devono essere sacrificate se si vuole vincere la guerra-

Spike scosse la testa risoluto.

-Questo non posso accettarlo-

Robin chiuse la cerniera della borsa e si guardò intorno in cerca di qualcosa che poteva aver dimenticato. Spike si avvicinò spazientito.

-Mi stai ascoltando? Ti sto dicendo che non posso partire così, come se niente fosse, e poi la Cacciatrice e gli altri non si rassegneranno mai al fatto che me ne sia andato senza dare spiegazioni!-

Robin guardò negli occhi il demone fino a che non fu certo di avere tutta la sua attenzione.

-L'hanno già fatto, mi sembra. Hanno già accettato una volta che tu te ne sia andato, senza dare spiegazioni, lo faranno di nuovo-

Spike distolse lo sguardo infastidito.

-Ci deve essere un altro modo...un modo che non mi faccia sembrare un vigliacco!-

-Non hai altra scelta e lo sai-

-No. Ti sbagli. C'è sempre un'altra scelta, solo che a volte la gente non ha il coraggio di farla-

Robin rivolse un'occhiata tranquilla al demone, senza scomporsi minimamente di fronte alla sua irruenza.

-Hai ragione. Puoi scegliere la strada più semplice, tornare da loro adesso e morire nel tentativo di proteggerli la prossima volta che sarete attaccati da un Oni. E credimi, Spike, nelle condizioni in cui sei ora, non ho alcun dubbio che soccomberai. Certo, sarai morto da eroe, ma sarà stata una morte inutile, perché altri Oni arriveranno, alcuni forse si impadroniranno dei tuoi stessi amici, solo che tu non sarai più al loro fianco per ritardare l'inevitabile fine delle loro esistenze. Oppure puoi scegliere la strada più scomoda, quella che forse non ti porterà onore e gloria ma che potrebbe salvare i tuoi cosiddetti amici. Certo dovresti calpestare il tuo stupido orgoglio e accettare il fatto che ora come ora sei solo un peso per loro, ammettere che non sei pronto per combattere i demoni che stanno infestando questa città, figuriamoci il Consiglio degli Osservatori e accettare l'aiuto che ti viene offerto, una volta tanto. Credevo non fossi il tipo che si accontenta delle strade più facili, ma forse mi sbagliavo, forse il coraggio di fare le scelte più scomode l'hai perso strada facendo-

Spike fissò l'uomo che gli stava di fronte, in silenzio. Sapeva di trovarsi a un bivio, come centinaia di altre volte nella sua vita e sapeva che almeno su una cosa Robin non sbagliava.

Aveva sempre avuto il vizio di scegliere le strade più tortuose.

+ + +

1630 Revello Drive

-Io non capisco-

Xander si lasciò ricadere sul divano del salotto. Willow sospirò stancamente.

-Te l'ho già spiegato almeno una decina di volte, Xan...-

L'uomo si rialzò con decisione cominciando a misurare la stanza a grandi passi.

-Bè io continuo a non capire! Era ferito...mortalmente ferito...diavolo, Will, si era appena svegliato da un coma irreversibile! Uno in quelle condizioni non si alza a passeggiare nel cuore della notte come se niente fosse! Deve essere successo qualcosa che non sappiamo...forse se interrogassimo le infermiere...-

-L'ho già fatto, Xander. E più di una volta a dire il vero-

La voce solitamente pacata di Giles sembrava percorsa da un nervosismo appena contenuto.

-Nessuno sembra averlo visto lasciare la stanza o l'ospedale, ma non c'è alcun dubbio sul fatto che Spike non si trovi più all'interno dell'edificio-

-Sì ma come? Come ha fatto ad andarsene senza che nessuno lo vedesse? La gente non scompare così...magari è come in quel film con Jean Hackman e Hugh Grant dove i medici di un pronto soccorso fanno sparire i pazienti che non hanno famiglia per sperimentare su di loro delle terapie ad alto rischio...magari sono proprio quelli dell'ospedale che l'hanno preso...dovremmo perquisire meglio l'edificio...chiamare l'FBI!-

-Xander, io non credo che...-

-E se avesse semplicemente deciso di andarsene?-

La voce di Anya, improvvisamente apparsa nel fondo della stanza, si intromise tra quelle dei due uomini. La donna incrociò le braccia sul petto appoggiandosi allo stipite della porta.

-Voglio dire...magari si è svegliato e ha deciso che dopotutto non gli andava di rischiare di nuovo il collo per della gente che conosce a malapena...-

Lo sguardo di Anya vagò nella stanza posandosi a turno su ognuno dei suoi occupanti.

-E per altra gente che forse rimpiange di conoscere fin troppo bene-

Giles avanzò di un passo, una replica al vetriolo pronta sulle labbra sottili, ma fu la voce di Buffy a scontrarsi con le parole di Anya.

-E' escluso-

Tutti gli altri si voltarono verso di lei, sorpresi dalla sicurezza con cui parlava. Giles si sentì in dovere di replicare.

-Buffy, per quanto anch'io sia riluttante ad accogliere questa ipotesi non possiamo scartarla a priori...-

-E invece possiamo-

Dawn si portò accanto a sua sorella, al centro della stanza.

-Spike non sarebbe mai fuggito così nel bel mezzo di una situazione d'emergenza...non ci avrebbe mai abbandonato così!-

-A me sembra che l'abbia già fatto e neanche troppo tempo fà-

Il tono di Anya si era fatto duro e arido. Dawn serrò i pugni lungo i fianchi.

-Quella è stata una cosa diversa...non è stata una fuga...-

-Ah no? Beh se non lo è stata le somigliava davvero molto! Continuate pure a fingere che tutto vada bene, continuate pure a trascinare le vostre vite *normali* un giorno dopo l'altro, come se niente fosse cambiato...siete così patetici che quasi mi fate pena...-

La risata di Anya risuonò nervosa, accompagnandola fuori dalla stanza.

Uno strano silenzio si sparse nell'aria. Willow si morse il labbro inferiore indecisa. Lo odiava il silenzio. Soprattutto quando era un silenzio pieno di tensione e recriminazioni, come quello.

-Allora...che facciamo?-

Dio, si poteva dire una frase più idiota in un momento meno opportuno?

Vide Buffy rialzare la testa con una strana luce nello sguardo.

-Andiamo a cercare Spike-

-Sì ma...da dove cominciamo? Voglio dire non abbiamo alcun indizio e dubito che qualcuno suonerà alla porta portandocene uno...-

Il campanello dell'ingresso si sovrappose alla voce delle due ragazze. Giles tossicchiò nervosamente e si avviò ad aprire con un sorriso tirato.

-Bethany...credevo fossi a casa a riposare, non dovresti andartene in giro da sola nel cuore della notte. Se mi avessi avvertito sarei venuto a prenderti...-

-Vi porto notizie di Spike-

+ + +

Xander si avvicinò lentamente ad Anya che se ne stava immobile, lo sguardo lontano, oltre il vetro della finestra.

-E' normale sai, avere paura-

Anya scrollò le spalle con sufficienza.

-Beh io non sono affatto normale, se già non te ne fossi accorto, e di certo non ho paura-

-Ah no?-

L'uomo si avvicinò alla donna fermandosi al suo fianco e seguendo il suo sguardo, lontano nella notte.

-Beh io ne ho invece. E molta-

Anya lo guardò in tralice, senza dargli la soddisfazione di una replica acida.

-Intorno a noi la gente continua a morire e il mondo va avanti come se niente fosse. Certo immagino che per un demone immortale la mortalità umana sia una questione irrilevante, al massimo la materia per qualche barzelletta da scambiarsi di fronte a un caffè...o a qualche intruglio verde fatto con occhi di salamandra e robe simili...-

-Occhi di lucertola-

Xander si voltò a guardare il demone che ancora indossava il volto della donna che aveva amato e sorrise. Anya scrollò le spalle con ostentata indifferenza.

-Gli occhi di salamandra non si usano per i cocktail...sono troppo amari-

Xander tornò a guardare il paesaggio invernale che si stendeva bianco oltre la finestra, in uno spazio che la neve faceva apparire quasi infinito.

-Uno pensa sempre di avere tutto il tempo che vuole davanti a sé...si sente invulnerabile. Naturalmente sa che la gente nel mondo muore ogni giorno...ogni ora...in tv non fanno che dare statistiche o mostrare immagini di carneficine...eppure è difficile sentirsi toccato davvero dal pensiero della morte. Ci diciamo spesso che tutti dobbiamo morire, ma quando lo diciamo immaginiamo che la nostra, di morte, avverrà in un futuro lontano e oscuro. Non ci viene mai in mente la nostra ultima ora sia in qualche modo legata al giorno che abbiamo già cominciato a vivere o che la nostra morte potrebbe arrivare questo stesso pomeriggio...questo pomeriggio che ci sembra così certo e che abbiamo già programmato in anticipo...-

-Se volevi farmi capire quanto la vita umana fosse miserabile...bé sei arrivato tardi, l'avevo già capito molto tempo fà-

Xander socchiuse gli occhi appoggiandosi al davanzale della finestra.

-Io non voglio farti capire niente Anya...sono l'ultima persona al mondo che può insegnare qualcosa a qualcuno...volevo solo dire che è umano avere paura...e che non c'è motivo di vergognarsene-

-Bé io non sono umana quindi...-

-E' vero. Ma questo non ti impedisce di amare...o odiare. Se c'è una cosa che ho imparato, in tutti questi anni, è che uomini e demoni sono più simili di quanto loro stessi non vogliano ammettere. E se è così...ho pensato che forse anche i demoni hanno paura, qualche volta, proprio come noi umani. Forse anche loro, qualche volta, hanno bisogno di essere rassicurati...di sentirsi protetti...-

Anya si torse le mani nervosamente, senza rispondere. Xander si allontanò dalla finestra, con un sospiro.

-Ma forse mi sono sbagliato...non sarebbe la prima volta del resto-

E così dicendo fece qualche passo verso la porta di ingresso.

-E se fosse così?-

La voce di Anya lo bloccò, disegnaldogli un involontario sorriso sulle labbra.

-Voglio dire...non sto dicendo che hai ragione...ma...mettiamo il caso che anche i demoni abbiano paura...qualche volta...e che vogliano sentirsi...rassicurati...tu come...-

Xander si voltò di nuovo verso Anya stupendosi di trovare un velo di imbarazzo sul suo volto.

-Insomma...voi umani come fate? Voglio dire...è passato del tempo e io non...come si fa a convivere con il pensiero che la morte può toccarti in ogni momento della tua vita? Che può toccare le persone che ti sono accanto...come si fa a scacciare terrore che ti attanaglia lo stomaco e ti toglie il fiato? Come si fa a smettere di avere paura?-

Xander sorrise, avvicinandosi al demone.

-Si ama-

Anya sollevò la testa di scatto incrociando lo sguardo dell'uomo che in un tempo lontano era stato a un passo dal farle desiderare di vivere come un'umana per il resto dei suoi giorni. E vi ritrovò quello che ricordava. Quello che l'aveva fatta innamorare la prima volta. Si sentì invadere da un calore che non sentiva da troppo tempo e fu come se il ghiaccio che le aveva imprigionato il cuore in tutti quei mesi si sciogliesse all'improvviso, lasciandola indifesa di fronte a quello sguardo dolce e accogliente.

-Sì bé...è stata una chiacchierata interessante...davvero...ma sento D'Hoffrin che mi chiama e sai com'è suscettibile e quanto odia aspettare, quindi...-

-Non ti sto chiedendo di perdonarmi...o di dimenticare quello che ti ho fatto. So di averti ferito orribilmente e di non poter fare niente per tornare indietro...ti sto solo offrendo...un po' di umano conforto...immagino che tu non ne abbia bisogno, dato che sei un demone potente e immortale, ma...mi farebbe piacere dartelo lo stesso-

Anya guardò l'uomo con sospettosa ironia.

-E come penseresti di darmelo questo...conforto?-

Xander scosse la testa sorridendo al pensiero di quanto Anya, pur cambiando radicalmente la propria natura, non fosse cambiata affatto.

-Io so che un abbraccio va sempre molto bene in questi casi-

Per un attimo Anya sembrò delusa, poi scrollò le spalle e si avvicinò di un altro passo all'uomo che le stava di fronte.

-Bè allora...coraggio...non che io ne abbia bisogno, ma...giusto in memoria dei vecchi tempi...-

Xander la attirò a sé con dolcezza nascondendo il volto nell'incavo del suo collo. Anya si irrigidì per un istante tra le sue braccia e per un istante Xander pensò che lo avrebbe respinto, magari regalandogli qualche battuta acida prima di sparire in una nuvola di fumo e risate. Poi la sentì rilassarsi e ricambiare l'abbraccio, un pianto leggero nascosto nel petto.

-Sei proprio uno stupido umano, Xander Harris-

+ + +

-Non ci credo-

Dawn scosse la testa alzandosi con decisione dal divano, ma gli altri non sembrarono minimamente colpiti dalla sua affermazione perentoria.

Xander era nell'altra stanza, al seguito di Anya. Giles se ne stava appoggiato allo stipite della porta, le braccia incrociate sul petto e lo sguardo assorto. Bethany, ora avvolta in una pesante coperta di lana, era rannicchiata su una poltrona. Willow fissava insistentemente Buffy, dall'altra parte della stanza. E Buffy...

Buffy continuava a rileggere incessantemente le poche righe che Spike aveva lasciato dietro di sé, prima di andarsene.

Che se ne fosse andato nessuno riusciva più a metterlo in dubbio. Così come nessuno riusciva a mettere in dubbio che quella che Buffy stringeva tra le mani fosse una lettera di addio.

Poche righe scarne per mandare al diavolo Sunnyhell e i suoi allegri abitanti.

In post scriptum una citazione dei Ramones.

Era proprio da lui.

E allo stesso tempo non lo era.

Perché Dawn aveva ragione. Non era da lui andarsene nel bel mezzo della festa.

Eppure...

-Forse voi riuscite a stare con le mani in mano mentre Spike è in chissà quale pericolo, ma io no! Se non torna è perché qualcuno lo sta trattenendo contro la sua volontà e noi dobbiamo salvarlo!-

Buffy si passò una mano sulla fronte cercando di schiarirsi le idee. Sapeva che tutti si aspettavano che fosse lei a prendere una decisione riguardo lo "spinoso" argomento del giorno, così come sapeva di dover imprimere una direzione precisa al caos che si era scatenato a Sunnydale.

-Dawn, calmati...-

La ragazza pestò i piedi a terra con stizza, come una bambina a cui fosse stata rubata la bambola.

-No! E' inutile che cerchi di calmarmi, io non mi calmo, non c'è niente per cui stare calmi e...-

Buffy fissò sua sorella con sguardo ammonitrice, ma come sempre sortì l'effetto contrario a quello che voleva ottenere.

-E non guardarmi in quel modo! Non hai nessun diritto di guardarmi in quel modo!-

Buffy respirò profondamente. E poi si alzò raggiungendo sua sorella e mettendosi a gridare a sua volta. Bè la pazienza non era mai stata il suo forte non c'era motivo di cominciare ad essere pazienti proprio adesso...

-Sei tu che devi smettere di guardarmi come se fossi la tua peggiore nemica o come se volessi rovinarti la vita a tutti costi! Si può sapere cosa cavolo pretendi da me? Io cerco di fare del mio meglio, cosa credi?-

Dawn guardò la sorella con disprezzo prima di sibilare rabbiosa la sua risposta.

-Bè non so se te ne sei resa conto, Buffy, ma il tuo meglio non è abbastanza-

Il rumore della porta sbattuta con violenza segnalò inequivocabilmente che Dawn riteneva il discorso chiuso.

Willow si avvicinò incerta a Buffy, senza smettere di guardare la soglia oltre la quale era sparita Dawn.

-E' solo spaventata e arrabbiata...sai anche tu quanto è legata a Spike...forse si sente tradita e...non credo che pensi davvero quelle cose-

Buffy rise scuotendo la testa.

-Ma certo che le pensa. Forse le ha sempre pensate-

Giles si avvicinò a sua volta, aggiustandosi gli occhiali sul naso.

-Forse dovresti seguirla e parlarle, Buffy...prima che le cose tra voi degenerino-

Buffy scrollò le spalle con fatica.

-Non se ne è accorto, signor Giles? Le cose sono già degenerate. E da parecchio-

+ + +

Cimitero di Restfield

-E' meglio così tesoro-

Dawn scosse la testa con violenza.

-Come può essere meglio così? Lui se ne è andato...mi ha lasciata sola di nuovo!-

Joyce Summers sorrise con dolcezza prima di sedersi accanto all'ombra di quella che sembrava solo una ragazzina innocente.

Eppure quanto potere, quali abissi si celavano dentro quel corpo minuto.

Il demone sorrise attraverso le labbra di Joyce prima di parlare di nuovo.

-Non ha lasciato te, Dawnie. Ha lasciato la Cacciatrice. Non si è allontanato da te, ma da lei. E credimi più staranno lontani meglio sarà per tutti noi-

Dawn singhiozzò debolmente nascondendosi il viso tra le mani sottili.

-Ma io non voglio che lui si allontani! Perché Buffy deve allontanare tutti da me? Perché continua a torturarmi così?-

Joyce si avvicinò alla ragazza senza sfiorarla.

-Buffy invidia la tua forza, Dawnie. Vuole renderti debole. Ma presto non potrà più toccarti. E quando Spike tornerà, non tornerà da lei, ma da te-

Dawn sollevò il capo fissando l'immagine di sua madre con occhi di ghiaccio.

-E mentre aspetto che si degni di tornare cosa dovrei fare? Tessere una tela di giorno per poi guastarla ogni notte?-

Joyce sorrise in tralice prima di rispondere.

-Ti dirò che ho idee un po' più creative per passare il nostro tempo. E poi la fedele Penelope è un eroina sopravvalutata, non credi?-

Dawn assentì distrattamente.

-In effetti ho sempre preferito la maga Circe-

+ + +

1630 Revello Drive

Non appena sentì la porta aprirsi non poté fare a meno di precipitarsi all'ingresso. Scrutò nei suoi occhi azzurri qualche istante in cerca di un qualunque segno di pentimento. Naturalmente non ne trovò alcuno.

-Scusa se sono andata via in quel modo. Non ce l'avevo con te-

Buffy assentì poco convinta. Aveva il sospetto che Dawn fosse stata programmata per avercela con lei, fin dall'inizio.

-D'accordo-

Dawn assentì distrattamente prima di avviarsi su per le scale.

-Non possiamo obbligarlo a restare con noi, questo lo capisci vero?-

La ragazzina scrollò le spalle senza voltarsi.

-Stai tranquilla Buffy. Non ho intenzione di obbligare nessuno a prendersi cura di me-

-Dawn sai benissimo che non è questo che intendevo dire-

Dawn si voltò a guardare sua sorella dalla cima delle scale, la testa leggermente reclinata su un lato.

-Presto troverà qualcuno che sarà in grado di amarlo come merita, qualcuno disposto a combattere pur di averlo al proprio fianco. Qualcuno migliore di te, Buffy-

Il volto della ragazzina si aprì in un sorriso sincero.

-Chissà perché ho la sensazione che non sarà una ricerca poi così difficile-

E con un ultimo saluto, sparì oltre la porta della sua camera.

Buffy socchiuse gli occhi cercando di cancellare dalle orecchie il suono freddo delle parole di sua sorella.

Doveva avere pazienza.

Era ancora poco più di una bambina.

Una bambina che aveva perso l'ennesimo punto di riferimento, proprio quando credeva di averlo ritrovato.

Non doveva lasciarsi ferire dalle sue parole. Era evidente che fossero dettate dalla rabbia e dalla frustrazione. Le stesse che aveva provato lei, leggendo quella dannata lettera.

Non sono il tipo adatto a salvare il mondo, gli eroi li lascio fare a voi.

Nonostante tutto, mi mancherete, siete stati come una famiglia per me.

Addio,

Spike.

p.s. Everybody I don't know what to say I wish I could take the pain away

Ma non lo erano veramente, pensò Buffy. La sua famiglia. Avevano fatto parte della vita di Spike per poco tempo, troppo poco per convincerlo a fermarsi e a lottare per loro.

Non poteva impedire a Spike di fare quella scelta, ma non poteva nemmeno impedire al proprio cuore di spezzarsi.

Ancora una volta.

+ + +

Sede del Consiglio degli Osservatori

-Questa è l'unica strada che possiamo percorrere al momento, signore-

Quentin Travers assentì lisciandosi la barba grigia e curata.

-D'accordo. Procedete-

Il ragazzino dai fastidiosi occhi azzurri si intromise come d'abitudine.

-Mi sento in dovere di segnalarle che questa potrebbe essere una perdita di tempo e di energia, signore. Dalle carte che ho avuto modo di studiare risulta evidente che il microcircuito integrato progettato dai militari è stato concepito per funzionare per un tempo indefinito e non per arrestarsi alla morte della cavia in cui è stato impiantato-

Il capo degli Osservatori si rivolse al suo ultimo acquisto con un sospiro annoiato.

-Potresti tradurre il tutto in un linguaggio comprensibile anche a chi non ha passato i suoi anni migliori sui manuali di ingenieria elettronica?-

Il ragazzo corrugò la fronte in un'espressione pensierosa.

-Il punto è che anche se riceviamo un segnale di ritorno dal chip, non è detto che Spike sia ancora vivo e dunque che riceva a sua volta il segnale che noi gli invieremo. Anzi, anche se Spike fosse ridotto in un mucchietto di cenere il chip continuerebbe comunque a funzionare correttamente...sempre che i circuiti non fossero stati danneggiati nell'eventuale incendio che avrebbe ridotto Spike in un mucchietto di cenere...-

-Bè in questo caso certo avremmo impiegato inutilmente le nostre risorse, ma poniamo invece il caso che Spike fosse ancora vivo e vegeto con il chip funzionante nel cervello...quali sarebbero i risultati del nostro piccolo esperimento?-

Quentin Travers osservò il ragazzino torcersi le mani al di sopra della tastiera del computer.

-Ecco...questa è un'altra delle cose che volevo segnalarle, signore...senza la possibilità di osservare il soggetto del nostro esperimento nel momento in cui inviamo lo stimolo elettrico, di fatto non possiamo sapere esattamente quali saranno le sue reazioni e di conseguenza neppure calibrare lo stimolo stesso...-

Il capo del Consiglio degli Osservatori lo interruppe spazientito.

-In inglese per favore...-

Il ragazzino si passò una mano tra i capelli biondo cenere, sorridendo imbarazzato.

-Certo...ecco...non abbiamo modo di sapere come Spike reagirà al dolore provocato dall'attivazione del chip, né possiamo stabilire a priori il voltaggio ideale da somministrargli...in altre parole, signore, potremmo anche friggergli involontariamente il cervello al primo tentativo-

Quentin Travers sorrise freddamente al ragazzino.

-Diciamo pure che sono gli incauti del mestiere-

-Ma signore...-

-Andrew, ti prego! Non mi dirai che cominci a nutrire degli scrupoli! E per un traditore del Consiglio per giunta...proprio tu che hai avuto il sangue freddo di uccidere il tuo migliore amico pur di entrare a far parte della nostra organizzazione...-

Gli occhi di Andrew si fecero di ghiaccio, così come la sua voce.

-Le ricordo, signore, che lei mi aveva puntato una pistola alla tempia-

Il sorriso di Travers si trasformò in una risata divertita.

-Già, quello fu un esperimento brillante. La prova di come lo spirito di sopravvivenza insito in ogni essere umano prevalga sempre sui legami interpersonali che questi ha stretto con altri della sua stessa specie-

Andrew serrò i pugni lungo i fianchi stringendoli fino a che non sentì le unghie conficcarsi nei palmi.

Travers gli diede una pacca condiscendente sulla spalla.

-Ma non è il caso di rivangare il passato, figliolo, ti ho già perdonato quella tua breve esitazione. Del resto sono certo che se gli fosse stata data questa possibilità, Jonathan si sarebbe comportato esattamente come te. E ora coraggio, vediamo quanto dolore riuscirà a sopportare il nostro *prescelto* prima che il suo istinto di sopravvivenza scatti e lo faccia ritornare da noi-

Andrew intrecciò lo sguardo con quello del capo degli Osservatori prima di procedere.

-E se il prescelto dovesse comunque decidere di non tornare?-

Quentin Travers si accese la pipa aspirando una profonda boccata di tabacco.

-Ricordi cosa stabilisce il comma 3 dell'articolo 1 del regolamento del Consiglio?-

Gli occhi del ragazzo si scurirono sotto l'esame attento dell'Osservatore.

-Qualunque membro scelga di abbandonare il Consiglio senza avere ottenuto la previa autorizzazione del Capo degli Osservatori rinuncerà automaticamente ad ogni diritto precedentemente acquisito, così come alla protezione fino a quel momento accordatagli-

-Bravo Andrew, vedo che hai studiato attentamente il regolamento. Sai anche cosa implica questo articolo?-

Andrew tornò a guardare il monitor cominciando a inserire i parametri necessari ad avviare l'esperimento.

-La vita di chi lascia il Consiglio diventa ininfluente per i membri del Consiglio stesso-

Quentin Travers aspirò un'altra boccata di fumo prima di precisare.

-Diciamo che chi lascia il Consiglio sa di farlo a proprio rischio e pericolo. E ora vedi di dare inizio all'esperimento, ragazzino, non ho tempo da perdere-

+ + +

Dintorni del cimitero di Restfield

-Non abbiamo tempo da perdere-

Spike saltò giù dalla berlina nera con noncuranza.

-E io non ne sto perdendo, infatti-

Robin Wood scese a sua volta dall'auto, spazientito.

-Scusa ma fermarsi al cimitero della città a salutare i tuoi amichetti morti mi sembra decisamente una perdita di tempo, ti ho già spiegato che il rito può essere officiato soltanto una volta al mese, nel nostro caso esattamente tra meno di nove ore!-

Spike alzò le braccia in un gesto pacificatorio.

-Calmati Wood, conosco il posto dove dobbiamo arrivare è a sole tre ore da qui perciò ho esattamente sei ore per salutare i miei amichetti morti, diavolo potrei visitare tutte le tombe del cimitero di Restfield, offrire un giro di birre a tutti i demoni della città e ancora saremmo in anticipo sulla tua tabella di marcia...a proposito non è che sei stato nell'esercito, vero? No perché questa tua fissazione con gli orari e le scadenze mi ricorda un ...diavolo!-

Robin Wood osservò il demone con un certo scetticismo.

-Ah, perché ce n'è più di uno di diavoli? Ho sempre pensato che l'unico fosse quello descritto da Dante nel suo Inferno, ma immagino che la mia visione fosse riduttiva anche considerando il fatto che la mia fonte era umana e...-

-Dannazione no!-

Robin incrociò le braccia sul petto leggermente seccato.

-D'accordo ho capito, non c'è bisogno di agitarsi così solo perché ho fatto male il conto delle presenze sataniche su questa terra e...ma che diavolo ti succede?-

Spike si era accasciato a terra, la testa stretta con forza tra le mani.

-Il chip...si è attivato-

Robin fu immediatamente al suo fianco.

-Non è possibile...-

Spike soffocò un urlo prima di rispondere.

-Vieni a dirlo al mio cervello...-

Robin si guardò intorno impotente cercando una soluzione, ma l'urlo di Spike lo costrinse a concentrarsi di nuovo sul demone che cominciava a contorcersi sull'asfalto della strada.

-Cosa...come possiamo disattivarlo?-

Spike replicò con fatica, cercando di scendere a patti con il dolore lancinante che gli offuscava la mente.

-Credimi, se lo avessi scoperto le cose non starebbero così adesso...-

Respirare regolarmente sembrava costargli un'enorme fatica e Robin non si stupì di vedere che il naso cominciava a sanguinargli copiosamente.

Contro ogni previsione Spike si mise a ridere, come se fosse sinceramente divertito da tutta la situazione.

-Sei impazzito?-

Il demone si asciugò il sangue con il dorso di una mano prima di rispondere.

-E così quel bastardo non stava barando...-

Robin Wood si rialzò da terra osservando con circospezione il demone fare lo stesso, anche se più lentamente.

-Di chi stai parlando?-

Spike scosse la testa mentre il sorriso gli moriva sulle labbra.

-Travers. Ha trovato un modo per controllare il chip. Mi aveva minacciato di attivarlo se avessi tentato di sottrarmi al controllo del Consiglio...-

-Perché diavolo non me lo hai detto prima?-

Spike scrollò le spalle con noncuranza.

-Credevo fosse una delle sue spacconate, sai delirio di onnipotenza e roba simile...dovresti vedere con che macchina va in giro...-

-Non mi interessa sapere con che dannata macchina se ne va in giro Quentin Travers! Quello che vorrei capire è quanta autonomia di azione abbiamo prima che gli Osservatori ti facciano esplodere il cervello!-

Quasi in risposta a quell'interrogativo Spike si lasciò andare contro il muro di cinta che delimitava il cimitero con un urlo soffocato, stringendosi la testa come se volesse conficcarsi le unghie nel cranio e strappare via il chip a mani nude.

Robin Wood lo osservò con un sospiro rassegnato.

-A quanto pare non molta...-

+ + +

Fine prima parte

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