POMPEIORAMA

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25 ottobre 1990

MeltingPot /1

21 dicembre 1997


Ricerca di complicità e necessità dell'altro
di Daniela Lancioni

"Ricerca di complicità e necessità dell’altro sono due dei moventi emersi dal colloquio che Mario Franco, Eugenio Giliberti e Nino "Longobardi hanno imbastito per tradurre in parole la loro iniziativa. Dal colloquio è derivato un testo che non credo miri ad assegnare un significato unico ed inequivocabile ai loro intenti. Lo dimostra il fatto che hanno scelto di comunicare attraverso la forma del dialogo. Forse rispondendo "meno al bisogno di capire che al bisogno di intrattenersi con qualcuno in modo largamente comunicativo e umanamente soddisfacente". La citazione è da Carla Lonzi, che nel 1969, anno in cui Carlo Alfano dà avvio all’Archivio delle nominazioni, pubblicava il suo celebre Autoritratto, il libro nato dalla raccolta e dal montaggio di discorsi fatti con alcuni artisti. Nella premessa, la critica d’arte allora trentottenne, che da lì a poco si sarebbe dedicata esclusivamente al femminismo, scriveva "L’opera d’arte è stata da me sentita, ad un certo punto, come una possibilità di incontro, come un invito a partecipare rivolto dagli artisti direttamente a ciascuno di noi" (C. Lonzi, Autoritratto, Bari, De Donato, 1969, p. 5). Carlo Alfano non compare tra i dialoganti di Autoritratto, ma l’osservazione di Carla Lonzi è perfettamente rispondente al suo modo di operare. "Ogni mio lavoro" ha dichiarato Alfano in una intervista pubblicata nel 1976 "è un dialogo con l‘"altro"" (Interview mit C. Alfano di H. Stöcker nel catalogo Carlo Alfano, Galerie Art in Progress, München, 1976, p. 60). E nell’Archivio delle nominazioni, in maniera più evidente che in altre opere, è messa in scena la dialettica dell’incontro.

Nel considerare l’iniziativa di Mario Franco, Eugenio Giliberti e Nino Longobardi è seducente seguire le tracce di una affinità tra la loro azione e la prassi creativa di Carlo Alfano. I tre artisti napoletani hanno chiesto al Comune della loro città la gestione della Casina Pompeiana, uno spazio adibito a mostre temporanee, situato all’intero della Villa Comunale, per tenere una serie di eventi espositivi che prevedono la partecipazione di altri artisti. Nel progetto inviato lo scorso ottobre a Renato Nicolini, allora Assessore all’Identità, hanno definito l’iniziativa "una mostra in espansione" e ne hanno steso un programma di massima da mettere a punto progressivamente, avvalendosi di partecipazioni e contributi diversi. Questo invito, rivolto soprattutto ad altri artisti e storici dell’arte, ma estendibile ad ogni cittadino, è stato preceduto da un altro appello: dedicare l’apertura della rassegna a Carlo Alfano. L’artista napoletano di maggior rilievo della sua generazione, nato nel 1932 e prematuramente scomparso nel 1990, al quale la sua città non ha ancora dedicato una grande mostra antologica, "come sarebbe parso a tutti che accadesse, che una città civile sapesse fare" è detto nel progetto citato, ora deliberato dalla Giunta Comunale. Gli ideatori dell’iniziativa hanno invitato a collaborare Flavia Alfano, figlia di Carlo, che ha proposto di lavorare intorno ad un fatto concreto: il restauro dell’Archivio delle nominazioni. Si è offerta, quindi, di esporre l’opera, una delle due parti che la componono come già fece Carlo Alfano in alcune occasioni, insieme ad una selezione di disegni e di documenti inerenti al lavoro, conservati presso il suo archivio.

Stabilito questo, i tre artisti non si sono ritirati dalla scena, si sono assunti, invece, la responsabilità dell’iniziativa, con il carico di significati che la loro presenza comporta. Perché Franco, Giliberti e Longobardi rinunciano ad esporre le proprie opere per ricordare il lavoro di un altro artista scomparso? Che cosa significa questa comunità di tre artisti, tanto diversi tra loro per storia e sensibilità, che agiscono in nome di un quarto ridotto al silenzio? Sono portata a giudicare la scelta sul piano di quelle esistenziali. Hanno voluto sperimentare la possibilità di non concentrare la comunicazione esclusivamente sull’espressione del sé, si sono guardati intorno ed hanno cercato l’altro. Per usare un termine ricorrente nel lavoro di Carlo Alfano si sono posti sulla "soglia". Soglia come metafora della volontà di conoscenza. Non la scelta di una posizione laterale, ma il protendersi in avanti, la percezione del confine, l’intuizione del mistero che ha generato la separazione dei corpi, il tempo, la vita. Tradotto in termini di esperienza quotidiana significherebbe che l’artista si rifiuta di dare valore esclusivo al parametro dell’unicità, riconosce la presenza dell’altro, non esclude la possibilità di collaborazione. Longobardi nel dialogo parla di "complicità", Giliberti dice di avvertire ora, diversamente da prima, che "la forza del suo lavoro non è messa in discussione dalla visibilità del lavoro di altri artisti", Franco usa la parola "comunità". Queste affermazioni sottintendono il desiderio di un rapporto paritario, di un interlocutore adeguato, la ricerca di un faccia a faccia, con gli altri artisti, con le istituzioni, con il pubblico. Attitudine diversa dalla gamma di relazioni teorizzate negli anni Sessanta. Dai gruppi di artisti per i quali ogni individuo poteva innescare un processo creativo a Sol LeWitt che riconoscendo il momento della creazione artistica nell’intuizione, dichiarava l’esecuzione dell’opera una faccenda meccanica demandabile a chiunque. Il progetto per la Casina Pompeiana, nel suo insieme, punta sul principio della partecipazione. Si configura, inoltre, lasciando a vista la struttura complessa che lo sostiene. Tra i distinguo percepibili il più evidente è quello tra la messa a punto di questo evento e le opere d’arte dei tre ideatori: i film di Franco, i recenti oggetti in cera di Giliberti, i dipinti di Longobardi. Non si assiste alla teatralizzazione del lavoro collettivo, come è accaduto spesso in anni passati e come più di recente si verifica ad esempio a Roma, nel lavoro di Cesare Pietroiusti, né, con l’organizzazione di questa serie di mostre, si è inteso teorizzare la possibilità che l’arte possa offrire un "servizio". Direzione, quest’ultima, rappresentata a Napoli da Ninì Sgambati e intrapresa in molte opere presenti nell’ultima edizione di Sulpture Projects a Münster: l’orinatoio con vista sulla cascata, di Franz West, per citare chi da anni opera sul confine tra arte ed oggetto d’uso, o il servizio di traghetto sul lago, di Tadashi Kawamata. La presenza di Carlo Alfano e quella prevista di altri artisti non sono strumentali ad una messa a punto linguistica. La volontà di ridefinire il corpo dell’arte entra necessariamente in gioco, ma ad essere posta in primo piano è la presenza dell’altro. Non potrebbe capitare a Franco, Giliberti e Longobardi, quanto è accaduto a Piero Manzoni, quando Franco Angeli rifiutatosi di salire su un piedistallo per essere firmato da lui e trasformato in opera d’arte, si limitò, per prudenza, a regalare all’amico una sua scarpa.

L’iniziativa di Franco, Giliberti e Longobardi va distinta da quelle nate in nome dell’idea diffusasi poco dopo la seconda metà del secolo in corso, che l’arte debba uscire dallo specifico del suo linguaggio per comparire, nomade ed imprevedibile, in altri territori, tutti, indistintamente, ad essa accessibili. Va detto, però, che da quella visione, portatrice di una libertà utopica, ma reale nel campo dell’arte, questa idea napoletana deriva, come tutte le altre espressioni dalle quali abbiamo cercato di differenziarla. Non ho trovato altro modo per introdurla che riferirmi alla categoria dell’esistenziale, quella che, nel migliore dei casi, è modellata sulle intuizioni, i ragionamenti, le emozioni, dell’arte. Quindi, sebbene abbia distinto le opere d’arte di Franco, Giliberti e Longobardi, dal loro progetto per la Casina Pompeiana, devo riconoscere che da quelle i tre artisti non possono prescindere. Longobardi nel colloquio dice di immaginare lo spazio che accoglierà il lavoro di Alfano come una grande scultura, Giliberti di quello stesso spazio ha realizzato un modellino in scala che ha il sapore di un’opera. Insieme hanno progettato i tavoli di metallo e le strutture per poggiare i televisori. Un altro movente ha determinato l’iniziativa della Casina Pompeiana: la necessità dell’azione politica, dell’intervento dell’artista nel vivo delle questioni sociali. Gli ideatori hanno avvertito il dovere, una questione morale dice Longobardi, di celebrare Carlo Alfano e il loro progetto combatte l’incapacità di dedicare all’artista scomparso una grande mostra antologica. Per questo il titolo doveva essere Carlo Afano è morto il 25 ottobre 1990, un atto di accusa per aver permesso che in quella data fosse dichiarata morta anche la sua opera. A questo titolo, emozionale per noi, troppo doloroso per Flavia Alfano, si è poi rinunciato. Il compito che si pongono gli artisti e sul quale hanno discusso a lungo sopratutto Franco e Giliberti, è nella tradizione dell’intelettuale organico: "il modo di essere del nuovo intellettuale" scriveva Antonio Gramsci "non può più consistere nell’eloquenza, motrice esteriore e momentanea degli affetti e delle passioni, ma nel mescolarsi attivamente alla vita pratica, come costruttore, organizzatore, "persuasore permanente"" (A. Gramsci, Gli intellettuali e l’organizzazione della cultura, Torino Giulio Einaudi Editore, 1949, 1949, p. 7). Dalle ultime elezioni politiche, gli intellettuali, che, inutile tentare di dimostrare il contrario, hanno avuto in Italia dal Dopoguerra in poi maggiori affinità con gli ideali della sinistra, si pongono diversamente nei confronti delle istituzioni. Mario Franco nel colloquio ricorda i tempi dei circuiti alterativi, Giliberti crede che le condizioni poste dall’attuale assetto politico possano ora rendere possibile una forma di collaborazione tra artisti ed istituzioni. A queste chiedono di impossessarsi della loro idea e di trasformare la Casina Pompeiana in uno luogo di incontro e di sperimentazione dedicato agli artisti.

Al richiamo di Mario Franco, Eugenio Giliberti e Nino Longobardi, per ora hanno risposto Renato Nicolini, firmando l’ultima delibera del suo assessorato napoletano, Flavia Alfano mettendo generosamente a disposizione le opere del padre e la sua competenza, Graziella Lonardi offrendo all’iniziativa l’organizzazione dei gloriosi Incontri Internazionali d’Arte, Peppe Irace le pagine dello stoico MeltingPot, Angela Tecce interloquendo sulle questioni da loro poste, tutti coloro che hanno collaborato alla realizzazione dell’evento, Franco Di Schiavi, il fotografo Gianpiero Esposito, Antonio Ruffo ed io. Chiamata in causa ho cercato di vedere chiaro, capire e sentire senza fretta. Pormi e porre loro delle domande. La mia presenza è la trascrizione del loro lavoro in questo testo."

Daniela Lancioni dicembre 1997

                           

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