POMPEIORAMA

archivio

Home Page

Stephan Huber - Raffaella Nappo

MeltingPot /3

15 maggio 1998


Stephan Huber
Molteplicità e dogma
I
ntervista di Jochen Kronjaeger pubblicata nel catalogo della mostra "BAUPLATZ"alla Kunsthalle di Mannheim (1994) edizione Kunstverlag Gotha

 

K: Nel corso degli ultimi anni lei si è concentrato, nel suo lavoro, sull’utilizzo di materiali semplici e quindi si è allontanato da quelli che usava ancora 10 anni fa. In proposito, mi viene in mente l’espressione "feticismo di materiali", della quale si è servito per descriversi, quando utilizzava colori splendidi e materiali costosi.

H: E’ cambiato molto e nello stesso tempo non è cambiato niente. Da un lato sono molto incostante. Questa continuità stringente mi annoia. Poi c’è l’ampiezza dei miei interessi. E a fianco a quest’ampiezza c’è l’ordine del tempo.

Voglio dire che in un certo tempo, m’interessa una certa cosa più delle altre.

Questa è molteplicità: perché devo limitare la mia espressione? Cerco di assumere sempre di più, il che non semplifica, anzi rende tutto più complesso. Allora, questa è una strada che va nella direzione opposta a quella di tanti artisti, che – adesso direi con un po’ di cattiveria – si limitano per paura. Da questa confusione, da questo mescolare – oppure come ha detto Enzensberger –"das Kuddelmuddel" (guazzabuglio) – traggo la mia forza. Un esempio è Carlo Emilio Gadda uno dei miei autori preferiti – molto complicato, molto intellettuale - in genere c’è nei suoi romanzi o frammenti, un troppo ampio, si può dire che nei suoi romanzi c’è l’estratto del mondo. E’ lì per me il compimento. Cioè nel difficile, nella confusione (creativa).

K: Ma anche questo è un concetto. Contro il caos. Ultimamente si parla spesso sulla teoria del caos: tutte le riflessioni sul cosmo, fino al microcosmo, alla nostra vita immediata, e lei vi si oppone, evidentemente, perché prima ha nominato il "Kuddelmuddel" di Enzensberger, dal quale vuole uscire in un certo modo. Cioè dal molteplice disperso ridurre all’uno, tirar fuori il condensato.

H: Non so da dove e se voglio uscire. Esistono solo soluzioni singole.

K: Ma almeno per il momento?

H: Uscire non attraverso un nuovo paradigma. La mia forma trova sempre una uscita dal caos. Nelle mie opere non esiste caos nella forma. Voglio una forma completamente chiara, non una qualsiasi approssimazione. La casualità dell’accumulo di diversi oggetti non è certo il mio punto. Il mio ambito, le mie preferenze, i miei contenuti sono legati alla soggettività. Lavorare nell’arte senza il vuoto, senza dogma, senza scisma è una prova. Utilizzare la libertà che ci lascia l’arte invece di limitare quello che forse è l’ultimo campo di libertà. Mi domando perché tanti artisti non riescano a vivere questa libertà. Perché cercano subito di limitare questa libertà con ideologie e dogma. L’utopia della libertà potrebbe trasportare l’uomo ancora avanti. Non intendo nel senso politico ma nel senso dell’impegno nel proprio métier.

K: Questo significa – come si può dire esagerando – che lei torna alla origine, all’istinto?

H: No, ma è di aiuto nel lavoro, nello sviluppo, nella formulazione di una nuova opera. Aspettare non ha importanza. Aspettare finché ti bacia la musa. Quando comincio un nuovo lavoro, questo è molto intuitivo…cerco di dimenticare tutto, di mettere a parte il sapere e di fidarmi dell’istinto, dell’intuito. Nella nostra testa ci sono sempre il sapere e l’esperienza, e se l’istinto non funziona più, l’istruzione culturale prende il sopravvento. Alla fine, tutto quello che ho nella testa prende forma attraverso l’intuito. Suona all’antica, ma è così.

K: Non è un conflitto continuo? Da un lato lei è un uomo molto intellettuale – razionale, e queste qualità tendono sempre ad analizzare tutto. Dall’altro un uomo molto intuitivo ed emozionale (…). Ma è veramente possibile controllare talmente i primi due elementi, in modo che non disturbino durante l’atto di creatività?

H: Non voglio eliminare conflitti in modo che un solo aspetto vinca. Il dialettico, il non congruente, il disparato mi sono vicini. La cultura non nasce dalla discrepanza, dal conflitto? Il dogma è immobilità. Si vede chiaramente in questo momento, il dogma sopra il contesto e la simulazione dello scisma del "politically correct"- questo è limitazione. E’ pensiero rivolto alla sicurezza. Un discorso d’appendice viene adattato deliberatamente all’arte. Infatti, se vedo chi ha citato Baudrillard nei suoi cataloghi e qual è l’arte preferita di Baudrillard – c’è da scappare via! Questi sono enormi fraintendimenti.

K: Lei si è interrogato, più che altro ha constatato, circa il dogma; certo esiste l’arte dogmatica e purtroppo è anche dominante.

H: L’arte non è politica. Non è neanche surrogato della politica. L’attuale direzione moderna del p.c. – del "politically correct" – è ottusa. E’ l’ultima invenzione della casta politica, per dirlo chiaro e tondo – di delegare adesso la morale o la cattiva coscienza, che nella politica non si possono cambiare in positivo, all’ambito culturale e di far fare, dalle persone che lavorano in questo settore, il lavoro schifoso – è un’idea perversa! Per l’artista questo significa un programma di debolezza, di affermazione e di assunzione di forme consumate.

                           

torna su