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Maurizio Colantuoni Sasà Giusto

MeltingPot /2

15 marzo 1998


Maurizio Colantuoni - Sasà Giusto
di Daniela Lancioni

Assolutizzare è una delle dinamiche del processo artistico contemporaneo. Rendere assoluta una visione, un temperamento, una forma, un concetto. Isolare una particella e dilatarla. Portarne l’organizzazione alle estreme conseguenze: una forma di esaltazione, un modo di ragionare, un metodo per concentrarsi, un sistema per far saltare le contraddizioni. Penso al quadrato bianco su bianco di Malevic ed alle strutture minimaliste ed a tutta l’arte che si chiama concettuale perché isola una idea e la rende il perno dell’opera. Accade allora che si parli del lavoro di un artista perché il corpus delle opere si lascia sintetizzare in una visione unitaria.

Se l’osservazione è fondata si può tentare di utilizzarla come chiave di interpretazione. Nel lavoro di Maurizio Colantuoni e di Sasà Giusto due diverse attitudini fungono da calamitante punto di fuga e sono, rispettivamente, osservare e fare. Intorno a queste due azioni ed a tutti i complessi significati che esse possono attirare sembrano giocarsi i destini delle loro opere.

Osservazione è il titolo di una installazione presentata da Colantuoni nella Galleria Nova di Torino nel 1990. Nove steli supportano ciascuno una lente/contenitore piena d’acqua attraversata da un raggio di luce. Sono oggetti che invitano all’osservazione, la visione che offrono è instabile: una immagine mobile e indeterminata. Nella opere intitolate Aspetti complementari del medesimo oggetto , esposte nella Galleria Lia Rumma di Napoli nel 1990 è rappresentata la possibilità che un oggetto modifichi le sue caratteristiche a seconda delle condizioni in cui viene osservato. In Libreria e in Quanti epocali alcune immagini sono viste attraverso lo strumento deformante della lente: le coste dei libri di una biblioteca, i volti di almeno cinque secoli di rappresentazione della figura umana, i disegni dell’artista. Messaggio complementare del 1991 è il rilievo in negativo di un Mercurio alato modellato dall’artista. A guardarla, la superficie non sembra scavata ma aggettante: "attraverso i mass media siamo abituati a vedere il mondo in positivo. Durante il mio viaggio a New York mi misi a cercare il complementare al negativo di ogni cosa" (M. Colantuoni, intervista di Vittoria Pirelli, maggio 1996, tesi Accademia di Belle Arti di Napoli). Alterare la percezione era anche il fondamento di una installazione nella Galleria Nova di Roma del 1990 dove convivevano due diverse logiche spaziali: la stanza disegnata dall’artista e la struttura architettonica che l’accoglieva.

Osservare: il tema ricorre in questi come in altri lavori di Colantuoni. È’ un invito alla osservazione, ma anche la messa in scena di una azione che l’artista compie in prima persona. Si direbbe per una sorta di necessità etica, ma anche per divertimento. L’intensità con cui siamo capaci di osservare misura la nostra coscienza, la nostra consapevolezza del mondo. Osservare per cogliere le possibilità che un elemento sia diverso da quello che percepiamo: una questione di leggi fisiche (Colantuoni di formazione scientifica, si rifà alla legge dell’indeterminatezza di Werner Heisenberg ed alla teoria dei quanti), ma anche di coscienza storica (Libreria: la cultura di un’epoca che si immagina deformata da uno sguardo che non le appartiene) e di etica civile (l’installazione romana dove è messa in scena la convivenza di punti di vista diversi). Dall’osservazione germina l’immaginazione: "l’essenza della creatività" per Colantuoni "è fare variazioni su un tema". Non accettare visioni unilaterali, quindi, ma dare corpo a quelle potenziali, nascoste, opposte.

Nel lavoro di Sasà Giusto governa l’attitudine del fare. Intitola una mostra del 1992 nella galleria Raucci e Santamaria "Il modo di unire il legno sì da formare un’opera che serve ai bisogni della vita". Espone oggetti in legno, tra i quali una spalliera per esercizi ginnici e, contemporaneamente, mette in scena non il processo con cui li ha realizzati, ma la sapienza necessaria per farlo e la qualità dei materiali indispensabile per una buona riuscita del lavoro. Alle pareti, infatti, appende, incorniciate, le tavole di un manuale per ebanisti, mentre nelle didascalie delle opere scrive il tipo di legno e la stagionatura: "ciliegio, anni cento + sette di stagionatura". Mettere in cornice significa assegnare la qualità di opera d’arte e Giusto ha incorniciato anche questa frase: "In genere, per l’artigiano in legno è cosa di capitale importanza oltre che la buona scelta del materiale, l’esatta e solida esecuzione del lavoro". L’artigiano non realizza se non opere necessarie e Giusto da Salvatore Ala a New York intitola una mostra "Life’s Necessities". Vi espone oggetti di comune utilizzo da lui fabbricati: un letto scarnificato delle parti morbide che è una struttura minimalista, un tavolo che sotto il piano di vetro mostra la crociera tipica dei telai. Nei lavori Porta credenza e Vetrina oggetti esposti alla Biennale di Gubbio nel 1996, estremizza la funzione d’uso dell’opera e dopo aver realizzato due impeccabili mobili di legno li riempie di piatti e tazze di porcellana e di utensili per la cucina. Scrive in quella occasione a Bruno Corà curatore della mostra "Ancora sono gli oggetti di vita quotidiana a destare il mio desiderio per una poetica che renda la vita di sempre, anche quella priva di eroismo o straordinarietà appetibile, gustosa, felicemente vivibile consapevoli che la delicatezza di comportamento e di emozioni proviene dal proprio passato, da ciò che di esso conserva la memoria".

Fare, trasformare la materia, dare corpo agli oggetti è un compito antico per l’uomo. Chi lo esercita gode la felicità recata dal dono prezioso dell’abilità manuale, la stessa che conobbero Michelangelo o l’ebanista Boulle. Si creano oggetti nell’euforica consapevolezza di migliorare il mondo. Evocando l’utopia dell’arte che disegna gli ambienti e fonda i luoghi. Per Sasà Giusto è bene rimanere nell’ambito dei bisogni. I bisogni della vita si intitola un suo ciclo di opere. Dallo zio ebanista quasi centenario ha imparato l’antico mestiere della lavorazione del legno ed attraverso la sua disciplina bisogna che si esprima (ma Giusto utilizza anche altri materiali: la pietra, il cemento). C’è bisogno, anche, che l’arte verifichi la sua appartenenza alla vita e visiti i luoghi della quotidianità. Ma le opere non si mimetizzano in essa: lo dimostrano l’aura data dall’ambiente bianco nell’installazione di Gubbio e l’assenza di un qualsiasi invito ad interagire con loro. Gli oggetti se esposti in una mostra non si devono né usare né toccare, solo ammirare.

Daniela Lancioni

                           

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