Renato Rozzi - Corso di Urbanistica

 

 
 
 
 

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Urbanizzazione: il principio di competitività

Alcune città si evolvono più rapidamente, e altre più lentamente. Alcune crescono e si sviluppano, altre decadono, e in generale l’esperienza storica ci mostra una notevole disomogeneità nei vari casi e situazioni. Per spiegare queste differenze, le scienze economiche usano il principio di Competitività, ovvero che quanto più un centro urbano è competitivo rispetto agli altri per i prodotti o servizi offerti, tanto più esso si evolverà rispetto agli altri. Corrispondentemente, tanto meno esso è competitivo, tanto più tenderà a stagnare o a decadere.
L’idea del principio di competitività si è concretata in alcune teorie legate alla disciplina del commercio, e in particolare di quello internazionale basato sulle esportazioni. Perché la città è luogo di scambio: “esporta” beni e servizi verso l’esterno, per scambiare con tutto quanto le è utile ed essa non produce direttamente. Dunque quanto più un centro urbano esporta, tanto più è attivo e fiorente, con tendenze alla crescita e allo sviluppo. Si tratta di una teoria piuttosto importante nel campo della programmazione urbanistica, perché è stata indispensabile sia a studiare le tendenze spontanee, sia a indirizzare coerentemente l’investimento di risorse per lo sviluppo (dell’occupazione, delle infrastrutture ecc.), la localizzazione o trasferimento di impianti.
Storicamente questa teoria si afferma negli Stati Uniti d’America nel corso degli ani ’30 del 1900, sviluppata all’interno della Federal Housing Administration, che la utilizza per programmare gli investimenti nel campo della residenza nei centri passibili di maggior sviluppo demografico a causa della crescita di occupazione industriale prevista o indotta. Alla base della formulazione, stanno i dati di:

OT = occupazione totale, articolata fra
OB = occupazione base, ovvero relativa ad attività o servizi da “esportazione” (come una raffineria o una acciaieria, che non possono certo produrre beni a circolazione solo locale, per la città), e
OL = occupazione locale, ovvero relativa ad attività o servizi che prevalentemente si rivolgono al mercato cittadino (una produzione o rivendita alimentare, un servizio come un parrucchiere ecc.), e infine
PT = popolazione totale

A questi si aggiungono due parametri:

a = PT/OT, dove “a” sta a indicare il rapporto fra popolazione totale e occupazione totale: Tasso di Attività
b = OL/P, dove “b” è il rapporto fra occupazione locale e popolazione.

Ricapitolando, abbiamo OT = OB + OL, che si può scrivere anche OT = OB + b.P, oppure P/a = OB + b.P

Quindi P = a (OB + b.P) = a.OB + a.b.P = P - P.a.b = a.OB = P (1 - a.b)

In conclusione: P = OB.a/1 – a.b, il che mostra evidentemente come la popolazione di una città dipenda dal numero di occupati base OB, ovvero da quanti si occupano di fornire beni e servizi che la città esporta.

Se il tasso di attività (popolazione su occupazione totale) è a = 2, ovvero se per ogni occupato abbiamo due abitanti, e se b = 0,25, si può calcolare:
P = 2/1 – 2.0,25 = 2/ 1 – 0,5 = 2/ 0,5 = 4
Ovvero per ogni occupato in produzioni o servizi locali si hanno quattro abitanti.

All’interno di un medesimo sistema omogeneo di tipo socioeconomico (nazionale, regionale) questi valori di occupazione totale e occupazione di base hanno rapporti relativamente stabili, e quindi ciò può costituire come già detto una utile base per programmare investimenti pubblici in vari campi (edilizia, impianti, infrastrutture ecc.), come fatto ad esempio in passato in Italia da parte delle imprese a partecipazione statale del gruppo IRI (Istituto per la Ricostruzione Industriale), attivo dagli anni Trenta per superare la crisi determinata dalla recessione internazionale.

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