Urbanizzazione: il principio
di competitività
Alcune città si evolvono
più
rapidamente, e altre più lentamente. Alcune crescono e si
sviluppano,
altre decadono, e in generale l’esperienza storica ci mostra una
notevole
disomogeneità nei vari casi e situazioni. Per spiegare queste
differenze,
le scienze economiche usano il principio di Competitività,
ovvero
che quanto più un centro urbano è competitivo rispetto
agli
altri per i prodotti o servizi offerti, tanto più esso si
evolverà
rispetto agli altri. Corrispondentemente, tanto meno esso è
competitivo,
tanto più tenderà a stagnare o a decadere.
L’idea del principio di
competitività
si è concretata in alcune teorie legate alla disciplina del
commercio,
e in particolare di quello internazionale basato sulle esportazioni.
Perché
la città è luogo di scambio: “esporta” beni e servizi
verso
l’esterno, per scambiare con tutto quanto le è utile ed essa non
produce direttamente. Dunque quanto più un centro urbano
esporta,
tanto più è attivo e fiorente, con tendenze alla crescita
e allo sviluppo. Si tratta di una teoria piuttosto importante nel campo
della programmazione urbanistica, perché è stata
indispensabile
sia a studiare le tendenze spontanee, sia a indirizzare coerentemente
l’investimento
di risorse per lo sviluppo (dell’occupazione, delle infrastrutture
ecc.),
la localizzazione o trasferimento di impianti.
Storicamente questa teoria si
afferma
negli Stati Uniti d’America nel corso degli ani ’30 del 1900,
sviluppata
all’interno della Federal Housing Administration, che la utilizza per
programmare
gli investimenti nel campo della residenza nei centri passibili di
maggior
sviluppo demografico a causa della crescita di occupazione industriale
prevista o indotta. Alla base della formulazione, stanno i dati di:
OT = occupazione totale,
articolata
fra
OB = occupazione base,
ovvero relativa
ad attività o servizi da “esportazione” (come una raffineria o
una
acciaieria, che non possono certo produrre beni a circolazione solo
locale,
per la città), e
OL = occupazione locale,
ovvero
relativa ad attività o servizi che prevalentemente si rivolgono
al mercato cittadino (una produzione o rivendita alimentare, un
servizio
come un parrucchiere ecc.), e infine
PT = popolazione totale
A questi si aggiungono due
parametri:
a = PT/OT, dove “a” sta
a indicare
il rapporto fra popolazione totale e occupazione totale: Tasso di
Attività
b = OL/P, dove “b” è
il
rapporto fra occupazione locale e popolazione.
Ricapitolando, abbiamo OT =
OB + OL,
che si può scrivere anche OT = OB + b.P, oppure P/a
=
OB + b.P
Quindi P = a (OB +
b.P) = a.OB +
a.b.P = P - P.a.b = a.OB = P (1 - a.b)
In conclusione: P = OB.a/1
– a.b,
il che mostra evidentemente come la popolazione di una città
dipenda
dal numero di occupati base OB, ovvero da quanti si occupano di
fornire beni e servizi che la città esporta.
Se il tasso di attività
(popolazione
su occupazione totale) è a = 2, ovvero se per ogni
occupato
abbiamo due abitanti, e se b = 0,25, si può calcolare:
P = 2/1 – 2.0,25 = 2/ 1 –
0,5 =
2/ 0,5 = 4
Ovvero per ogni occupato in
produzioni
o servizi locali si hanno quattro abitanti.
All’interno di un medesimo
sistema omogeneo
di tipo socioeconomico (nazionale, regionale) questi valori di
occupazione
totale e occupazione di base hanno rapporti relativamente stabili, e
quindi
ciò può costituire come già detto una utile base
per
programmare investimenti pubblici in vari campi (edilizia, impianti,
infrastrutture
ecc.), come fatto ad esempio in passato in Italia da parte delle
imprese
a partecipazione statale del gruppo IRI (Istituto per la Ricostruzione
Industriale), attivo dagli anni Trenta per superare la crisi
determinata
dalla recessione internazionale.
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