Renato Rozzi - Corso di Urbanistica

 

 
 
 
 

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Urbanizzazione: il principio di Agglomerazione e quello di Gerarchia

Sinora si è trattato il fenomeno dell’urbanizzazione solo in generale, guardando alla concentrazione demografica in alcuni punti, e solo incidentalmente alle ragioni precise per cui queste concentrazioni sono più o meno grandi, più o meno attive, più o meno relazionate l’una all’altra in sistemi urbani sul territorio. A questo punto occorre porsi tre domande fondamentali sul fenomeno urbano:

1) perché attività e popolazione si concentrano dando vita alle città, anziché distribuirsi in modo omogeneo sul territorio?
2) perché le città (anche all'interno di un territorio omogeneo sotto il profilo dei caratteri naturali) non hanno tutte la stessa attività e la stessa popolazione e non sono disposte alla stessa distanza l'una dall'altra?
3) perché le dinamiche delle attività e della popolazione delle città (anche all'interno dello stesso contesto economico e territoriale) sono differenti l'una dall'altra?
L'esistenza delle cosiddette Economie di agglomerazione è la risposta che esse danno alla prima domanda. Economie che derivano da:
· indivisibilità
· economie di scala
Per indivisibilità si intende che, al di sotto di una certa dimensione, molti elementi urbani - un impianto produttivo, un servizio (es.: un ospedale), un'attrezzatura (es.: un aeroporto) - perdono la loro utilità. Facciamo l’esempio di un ponte, essenziale a scavalcare efficientemente un corso d’acqua e utile per le varie funzioni urbane di scambio, commercio, rapporti col contado ecc. Quale dimensione minima avrà questo ponte (ovvero quanto meno sforzo costerà realizzarlo)? Poniamo che questa dimensione minima sia una larghezza di circa due metri, indispensabile per farci passare ad esempio un carro che trasporta le merci da e verso la città, oltre al traffico pedonale. Con questa larghezza, il ponte di dimensione minima può far attraversare il corso d’acqua a un flusso di circa 3000 persone l’ora, o 600 carri. Si comprende quindi, come questa struttura minima – indivisibile se non si vogliono perdere le sue caratteristiche di utilità – possa servire sia un piccolo villaggio che una città di molte migliaia di abitanti, e possa risultare irrealizzabile da parte di un piccolo villaggio.
Economia di scala è il minor costo unitario di un prodotto all’aumentare della quantità prodotta. Facciamo l’esempio di una città che voglia dotarsi di una cinta di mura, come Milano nel XVI secolo. La città ha in quest’epoca 200.000 abitanti, distribuiti su una superficie di 800 ettari di forma più o meno circolare, e con un raggio approssimativo di 1600 metri. Le mura da realizzarsi dovranno svilupparsi dunque su una lunghezza di 10 chilometri, il che diviso equamente fra i 200.000 abitanti significa che ogni milanese avrà a suo carico 5 centimetri di fortificazioni. Se calcoliamo invece la quantità di superficie urbana protetta da queste mura, vediamo che per ogni metro lineare ci sono 800 metri quadrati. Ora proviamo a fare lo stesso conto per la città di Como, che più o meno contemporaneamente ha 11.000 abitanti, su una superficie di forma rettangolare con il lato maggiore di 830 metri e quello minore di 530, il che dà uno sviluppo potenziale di mura di 2720 metri. Ogni cittadino comasco, fatti i debiti conti, deve contribuire alla realizzazione di 25 metri della cintura muraria, o detto in altri termini ogni metro lineare di mura protegge 160 metri quadri di superficie urbana. È facile il confronto con Milano, e la conseguente conclusione: conviene recintare una superficie maggiore, e quind racchiudere una città più grande, perché il costo distribuito sul numero dei possibili abitanti è minore.

Il fatto che, per seguire alla lettera questo principio, nella storia tutta la civiltà non si sia concentrata in una sola, immensa città, trova una spiegazione nell'insorgere di diseconomie crescenti in misura più che proporzionale alla dimensione urbana (traffico, inquinamento, criminalità, rapporti sociali, ecc.). Le Economie di Agglomerazione trovano articolazione in tre tipologie:

· economie interne all’impresa
· economie esterne all’impresa (economie di localizzazione)
· economie di urbanizzazione
Quelle interne all’impresa sono piuttosto semplici, e ben note ad esempio nel caso delle grandi fabbriche automobilistiche: il costo unitario del prodotto diminuisce all’aumentare della produzione.
Le economie di localizzazione si realizzano quanto più c’è vicinanza, prossimità di imprese, ad aumentare le relazioni e gli scambi reciproci, a condividere servizi, a mettere in comune vari elementi utili alla produzione, come avviene ad esempio in molte zone italiane specializzate in un certo settore, dove le imprese condividono l’immagine del territorio come distretto qualificato, il bacino di manodopera specializzata ecc.
Le economie di urbanizzazione, infine, sono legate al tipo di insediamento che si qualifica come “urbano”, ovvero dotato di infrastrutture, di “capitale fisso sociale”, fornito dall’ente pubblico o comunque di tipo collettivo ed accessibile a tutti. Sono infrastrutture di questo genere una metropolitana, che consente di andare e venire facilmente ed economicamente da e tra le imprese, e anche di spostarsi per altri fini che comunque realizzano nell’insieme “economie”. Sono strutture di questo genere anche le Università, tipicamente e storicamente urbane, che forniscono la formazione superiore indispensabile ad un processo di sviluppo altamente qualificato. Nel quadro delle economie di urbanizzazione, si inseriscono anche attività altamente specializzate, o di nicchia (produzioni, commerci, servizi), che sarebbero impensabili in un ambiente meno denso e ricco in termini di domanda e potenziale mercato.

La seconda domanda che rimane aperta, è: come mai ci sono città di dimensioni tanto diverse tra loro? E perché queste città sono disposte sul territorio secondo un certo schema, con le grandi sempre ad una notevole distanza l’una dall’altra, e via via le più piccole a riempire gli interstizi, in modo più o meno regolare? Una spiegazione la può dare il Principio di Gerarchia.
Il sistema di gerarchie urbane e territoriali più diffuso è quello proposto dal geografo tedesco Walter Christaller nel 1933, e verificato dallo stesso autore su un gruppo di città della Germania meridionale, denominato “Teoria delle Località Centrali”. I principi su cui si basa questa teoria sono:

· Portata
· Soglia
La Portata sta a rappresentare la distanza massima a cui può essere venduto un determinato bene. La Soglia rappresenta la distanza (e quindi l'area, e quindi la popolazione) corrispondente alla quantità minima di un bene prodotto in modo efficiente. In pratica, ciascun bene occupa una certa posizione “gerarchica”, secondo la dimensione della propria soglia. Dal punto di vista delle città, ogni centro è un luogo di produzione di beni e servizi, i quali beni e servizi hanno un raggio massimo entro cui un abitante del territorio sarà invogliato a percorrere quella distanza, per ottenerli. Oltre quella distanza, nasceranno altri luoghi di produzione di quel bene o servizio, ovvero altre città. In base a questo ragionamento, il territorio viene suddiviso in aree di forma esagonale (il cerchio rappresenta perfettamente l’idea di raggio d’azione, ma un insieme di cerchi non copre tutto lo spazio territoriale). Agli esagoni più grandi, che rappresentano le aree di influenza dei centri produttori di beni e servizi più rari, si aggiungono esagoni via via più piccoli, quanto più piccolo è il raggio di influenza dei beni e servizi prodotti in quel luogo.

Organizzazione delle aree di mercato secondo Christaller

a) principio di mercato b) principio di trasporto c) principio amministrativo

A completare il quadro, introducendo cioè elementi più vicini alla complessità reale, Christaller inserisce altri due criteri: il principio di Trasporto, e quello di Amministrazione. Il Trasporto prevede che, esistendo una rete di trasporti che collega soprattutto i centri principali uno con l’altro (come in effetti avviene nella realtà), i centri di rango inferiore si vengano a collocare in una posizione baricentrica fra i due immediatamente superiori, lungo la linea di trasporti. Il principio Amministrativo prevede che tutta l’area di mercato dei centri di rango inferiore ricada entro l’amministrazione di quello superiore.
Naturalmente, i principi e le categorie di Christaller non forniscono un quadro esaustivo sul come e il perché dello sviluppo delle città: molti altri elementi concorrono, o addirittura sostituiscono, questi, nella nascita dei centri. La teoria delle località centrali è però importante come modello, perché con perfezionamenti e approfondimenti, come quello ad esempio di August Löesch alla fine degli anni Trenta, è stata usata nella seconda metà del Novecento per rilevanti interventi pubblici di riordino e riequilibrio dei sistemi urbani, in Europa e altrove.

Gerarchia di centri in Germania meridionale secondo Christaller