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per domande o chiarimenti
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Urbanizzazione: il principio
di Agglomerazione
e quello di Gerarchia
Sinora si è trattato il
fenomeno
dell’urbanizzazione solo in generale, guardando alla concentrazione
demografica
in alcuni punti, e solo incidentalmente alle ragioni precise per cui
queste
concentrazioni sono più o meno grandi, più o meno attive,
più o meno relazionate l’una all’altra in sistemi urbani sul
territorio.
A questo punto occorre porsi tre domande fondamentali sul fenomeno
urbano:
1)
perché attività
e popolazione si concentrano dando vita alle città,
anziché
distribuirsi in modo omogeneo sul territorio?
2) perché le
città
(anche all'interno di un territorio omogeneo sotto il profilo dei
caratteri
naturali) non hanno tutte la stessa attività e la stessa
popolazione
e non sono disposte alla stessa distanza l'una dall'altra?
3) perché le
dinamiche delle
attività e della popolazione delle città (anche
all'interno
dello stesso contesto economico e territoriale) sono differenti l'una
dall'altra?
L'esistenza delle cosiddette
Economie di agglomerazione
è la risposta che esse danno alla prima domanda. Economie che
derivano
da:
·
indivisibilità
· economie di scala
Per indivisibilità
si intende
che, al di sotto di una certa dimensione, molti elementi urbani - un
impianto
produttivo, un servizio (es.: un ospedale), un'attrezzatura (es.: un
aeroporto)
- perdono la loro utilità. Facciamo l’esempio di un ponte,
essenziale
a scavalcare efficientemente un corso d’acqua e utile per le varie
funzioni
urbane di scambio, commercio, rapporti col contado ecc. Quale
dimensione
minima avrà questo ponte (ovvero quanto meno sforzo
costerà
realizzarlo)? Poniamo che questa dimensione minima sia una larghezza di
circa due metri, indispensabile per farci passare ad esempio un carro
che
trasporta le merci da e verso la città, oltre al traffico
pedonale.
Con questa larghezza, il ponte di dimensione minima può far
attraversare
il corso d’acqua a un flusso di circa 3000 persone l’ora, o 600 carri.
Si comprende quindi, come questa struttura minima – indivisibile se non
si vogliono perdere le sue caratteristiche di utilità – possa
servire
sia un piccolo villaggio che una città di molte migliaia di
abitanti,
e possa risultare irrealizzabile da parte di un piccolo villaggio.
Economia di scala è
il minor
costo unitario di un prodotto all’aumentare della quantità
prodotta.
Facciamo l’esempio di una città che voglia dotarsi di una cinta
di mura, come Milano nel XVI secolo. La città ha in quest’epoca
200.000 abitanti, distribuiti su una superficie di 800 ettari di forma
più o meno circolare, e con un raggio approssimativo di 1600
metri.
Le mura da realizzarsi dovranno svilupparsi dunque su una lunghezza di
10 chilometri, il che diviso equamente fra i 200.000 abitanti significa
che ogni milanese avrà a suo carico 5 centimetri di
fortificazioni.
Se calcoliamo invece la quantità di superficie urbana protetta
da
queste mura, vediamo che per ogni metro lineare ci sono 800 metri
quadrati.
Ora proviamo a fare lo stesso conto per la città di Como, che
più
o meno contemporaneamente ha 11.000 abitanti, su una superficie di
forma
rettangolare con il lato maggiore di 830 metri e quello minore di 530,
il che dà uno sviluppo potenziale di mura di 2720 metri. Ogni
cittadino
comasco, fatti i debiti conti, deve contribuire alla realizzazione di
25
metri della cintura muraria, o detto in altri termini ogni metro
lineare
di mura protegge 160 metri quadri di superficie urbana. È facile
il confronto con Milano, e la conseguente conclusione: conviene
recintare
una superficie maggiore, e quind racchiudere una città
più
grande, perché il costo distribuito sul numero dei possibili
abitanti
è minore.
Il fatto che, per seguire alla
lettera
questo principio, nella storia tutta la civiltà non si sia
concentrata
in una sola, immensa città, trova una spiegazione nell'insorgere
di diseconomie crescenti in misura più che
proporzionale
alla dimensione urbana (traffico, inquinamento, criminalità,
rapporti
sociali, ecc.). Le Economie di Agglomerazione trovano articolazione in
tre tipologie:
· economie interne
all’impresa
· economie esterne
all’impresa
(economie di localizzazione)
· economie di urbanizzazione
Quelle interne all’impresa
sono piuttosto
semplici, e ben note ad esempio nel caso delle grandi fabbriche
automobilistiche:
il costo unitario del prodotto diminuisce all’aumentare della
produzione.
Le economie di localizzazione si
realizzano quanto più c’è vicinanza, prossimità di
imprese, ad aumentare le relazioni e gli scambi reciproci, a
condividere
servizi, a mettere in comune vari elementi utili alla produzione, come
avviene ad esempio in molte zone italiane specializzate in un certo
settore,
dove le imprese condividono l’immagine del territorio come distretto
qualificato,
il bacino di manodopera specializzata ecc.
Le economie di urbanizzazione,
infine, sono legate al tipo di insediamento che si qualifica come
“urbano”,
ovvero dotato di infrastrutture, di “capitale fisso sociale”, fornito
dall’ente
pubblico o comunque di tipo collettivo ed accessibile a tutti. Sono
infrastrutture
di questo genere una metropolitana, che consente di andare e venire
facilmente
ed economicamente da e tra le imprese, e anche di spostarsi per altri
fini
che comunque realizzano nell’insieme “economie”. Sono strutture di
questo
genere anche le Università, tipicamente e storicamente urbane,
che
forniscono la formazione superiore indispensabile ad un processo di
sviluppo
altamente qualificato. Nel quadro delle economie di urbanizzazione, si
inseriscono anche attività altamente specializzate, o di nicchia
(produzioni, commerci, servizi), che sarebbero impensabili in un
ambiente
meno denso e ricco in termini di domanda e potenziale mercato.
La seconda domanda che rimane
aperta, è:
come mai ci sono città di dimensioni tanto diverse tra loro? E
perché
queste città sono disposte sul territorio secondo un certo
schema,
con le grandi sempre ad una notevole distanza l’una dall’altra, e via
via
le più piccole a riempire gli interstizi, in modo più o
meno
regolare? Una spiegazione la può dare il Principio di Gerarchia.
Il sistema di gerarchie urbane e
territoriali
più diffuso è quello proposto dal geografo tedesco Walter
Christaller nel 1933, e verificato dallo stesso autore su un gruppo di
città della Germania meridionale, denominato “Teoria delle
Località
Centrali”. I principi su cui si basa questa teoria sono:
· Portata
· Soglia
La Portata sta a
rappresentare la distanza
massima a cui può essere venduto un determinato bene. La Soglia
rappresenta la distanza (e quindi l'area, e quindi la popolazione)
corrispondente
alla quantità minima di un bene prodotto in modo efficiente. In
pratica, ciascun bene occupa una certa posizione “gerarchica”, secondo
la dimensione della propria soglia. Dal punto di vista delle
città,
ogni centro è un luogo di produzione di beni e servizi, i quali
beni e servizi hanno un raggio massimo entro cui un abitante del
territorio
sarà invogliato a percorrere quella distanza, per ottenerli.
Oltre
quella distanza, nasceranno altri luoghi di produzione di quel bene o
servizio,
ovvero altre città. In base a questo ragionamento, il territorio
viene suddiviso in aree di forma esagonale (il cerchio rappresenta
perfettamente
l’idea di raggio d’azione, ma un insieme di cerchi non copre tutto lo
spazio
territoriale). Agli esagoni più grandi, che rappresentano le
aree
di influenza dei centri produttori di beni e servizi più rari,
si
aggiungono esagoni via via più piccoli, quanto più
piccolo
è il raggio di influenza dei beni e servizi prodotti in quel
luogo.
Organizzazione delle aree di
mercato
secondo Christaller
a) principio di mercato
b)
principio di trasporto c) principio amministrativo
A completare il quadro,
introducendo cioè
elementi più vicini alla complessità reale, Christaller
inserisce
altri due criteri: il principio di Trasporto, e quello di Amministrazione.
Il Trasporto prevede che, esistendo una rete di trasporti che collega
soprattutto
i
centri principali uno con l’altro (come in effetti avviene nella
realtà),
i centri di rango inferiore si vengano a collocare in una posizione
baricentrica
fra i due immediatamente superiori, lungo la linea di trasporti. Il
principio
Amministrativo prevede che tutta l’area di mercato dei centri di rango
inferiore ricada entro l’amministrazione di quello superiore.
Naturalmente, i principi e le
categorie
di Christaller non forniscono un quadro esaustivo sul come e il
perché
dello sviluppo delle città: molti altri elementi concorrono, o
addirittura
sostituiscono, questi, nella nascita dei centri. La teoria delle
località
centrali è però importante come modello, perché
con
perfezionamenti e approfondimenti, come quello ad esempio di August
Löesch
alla fine degli anni Trenta, è stata usata nella seconda
metà
del Novecento per rilevanti interventi pubblici di riordino e
riequilibrio
dei sistemi urbani, in Europa e altrove.
Gerarchia di centri in
Germania meridionale
secondo Christaller
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