Renato Rozzi - Corso di Urbanistica

 

 
 
 
 

Homepage

Pagina successiva

Indice  

 

per domande o chiarimenti
SCRIVI
















































 

 
 
  

Il sistema di pianificazione urbanistica

Un piano è "un programma che determina i mezzi, i compiti e i tempi per conseguire alla scadenza un tdeterminato risultato".
Oltre a quelli urbanistici, esistono molti tipi di piano: industriale, economico, sanitario, di vendita, commerciale, autostradale, militare, di marketing, ecc.
Ciò che contraddistingue i piani urbanistici è che il risultato che essi intendono conseguire è costituito dalla migliore organizzazione dell’insediamento umano all’interno di un territorio, in funzione degli obbiettivi della collettività, organizzazione intesa come localizzazione delle diverse attività e come trasformazioni fisiche (suolo, edifici, manufatti, vegetazione, acque) adeguate allo svolgimento delle attività e delle loro relazioni.
Per realizzare questi obbiettivi, il piano utilizza essenzialmente due strumenti:
 
- la regolazione nell’uso del territorio, ovvero stabilisce quali attività possono essere svolte, e dove

-  la regolazione delle trasformazioni fisiche, ovvero stabilisce quanto e come l’ambiente possa venir trasformato per lo svolgimento delle attività e delle loro comunicazioni.

Questi strumenti, sono comuni a  ogni piano urbanistico, qualunque sia la sua dimensione territoriale, o lo scopo preciso che si prefigge.

Un piano, di qualsiasi tipo, è l’espressione di un potere. I piani urbanistici sono espressione del potere pubblico e più precisamente dello Stato e degli Enti territoriali (Regioni, Provincie, Comuni) che esercitano tale potere in base alle leggi che lo istituiscono e lo regolano.

Il piano urbanistico, ha natura giuridica di
Atto Amministrativo che trae la propria efficacia e potere dalle Leggi, In altre parole si tratta di una facoltà della Pubblica Amministrazione, che opera per finalità di carattere collettivo. Anche quando un piano urbanistico scaturisce da una iniziativa privata, come ad esempio nel caso di un Piano di Lottizzazione, si tratta di una iniziativa “concessa” dall’Ente pubblico, cui spetta di approvarla o meno.


La maggior parte dei piani urbanistici (un Piano regolatore generale a scala comunale o un Piano Territoriale di coordinamento a scala maggiore) è di iniziativa pubblica. I piani urbanistici perseguono scopi generali e collettivi, che definiscono i limiti entro i quali possono essere perseguiti gli scopi particolari di un singolo o di un gruppo.

L’uso del territorio e le trasformazioni fisiche sono soggetti direttamente o indirettamente, a molti altri poteri. Alcuni sono anch’essi pubblici o in funzione dell’interesse pubblico: ciò non esclude che, a causa della diversità degli obbiettivi, i loro piani (ad es. un piano autostradale) o i loro progetti possano risultare in contrasto con i piani urbanistici.


Il potere largamente più diffuso e più frazionato sull’uso del suolo e sulle trasformazioni fisiche deriva dal  diritto di proprietà. Ciascun proprietario tende ad usare  e a trasformare i propri immobili nei modi più utili al raggiungimento dei propri obbiettivi (modi e obbiettivi cambiano nel tempo e ciò è all’origine delle trasformazioni degli insediamenti umani). I piani urbanistici costituiscono una limitazione del diritto di proprietà in vista di soddisfare le esigenze della collettività, che non possono rientrare negli obbiettivi perseguiti dai singoli proprietari (salvo che siano enti pubblici o comunque vincolati a finalità di interesse generale). E’ questa la fonte di una parte importante delle difficoltà che la formazione di un piano urbanistico presenta. Tuttavia, come si vedrà più avanti, l’eliminazione della proprietà privata non eliminerebbe un problema sostanziale del piano urbanistico: la distribuzione necessariamente disomogenea fra le singole parti del territorio, e quindi fra le singole attività, dei vantaggi e degli svantaggi arrecati dal piano.


Scopo primario dei piani è infatti quello di andare oltre gli obiettivi singoli, per definirne di più complessi. La localizzazione delle attività infatti risponde a esigenze e desideri particolari, che per non confliggere gli uni con gli altri devono “ricomporsi” in un disegno più vasto, che comprenda i molteplici obbiettivi della collettività. Il caso più semplice che si può usare per fare un esempio è quello di una strada: ognuno la vorrebbe più vicina a sé, e allo stesso tempo ognuno vorrebbe costruire edifici dove più gli fa comodo. Ma una strada concepita in questo modo dovrebbe zigzagare da una proprietà all’altra, e deviare dal suo percorso per evitare gli edifici che lo sbarrano. Sarebbe costosissima. Da qui la necessità di un “piano”, perché il percorso della strada vada oltre i desideri dei singoli, e identifichi un obbiettivo complesso in grado di soddisfare una necessità collettiva, entro la quale possono trovar posto le altre. Sempre per restare a un esempio simile, si pensi al problema del traffico, della congestione nelle nostre città: è evidente che qualcosa non ha funzionato in termini di pianificazione: i piani non sono stati in grado di identificare un “obbiettivo complesso” in grado di rispondere al meglio all’insieme degli obbiettivi semplici (la mobilità dei singoli, per gli spostamenti da un punto all’altro della città).


La pianificazione urbanistica persegue molti obbiettivi contemporaneamente, spesso in parziale conflitto l’uno con l’altro, come quelli di una parte della società in rapporto a quelli dell’intera società, o di un gruppo rispetto all’altro ecc. Questo è coerente con la complessità del mondo attuale e dell’ambiente entro cui si svolge la nostra vita: finalità contrapposte cercano una sintesi, una “ricomposizione”.. Il piano urbanistico è una delle risposte a questa esigenza, e lo è in modo più complesso e difficile di altri approcci, dato che si articola su molti obbiettivi, che aumentano man mano la disciplina si evolve.

Alle sue origini il piano regolatore urbanistico, pur avendo già questa caratteristiche base, è ancora abbastanza semplice. In epoca preindustriale sono stati concepiti e attuati piani di città o di parti di esse con obbiettivi relativamente semplici e guidati da criteri essenzialmente estetici. Le cose iniziano a farsi complesse con i nuovi problemi posti dalla rivoluzione industriale: innanzitutto quello igienico dovuto all’alta densità degli abitanti e alla bassa qualità degli insediamenti nel loro insieme (per esempio le vie strette, la mancanza di impianti igienici ecc.); poi anche la questione della efficienza economica delle città, la loro capacità di essere “macchine” per abitare, ma anche e soprattutto produrre ricchezza, con efficienti ferrovie, ponti, comunicazioni tra una fabbrica e l’altra, fra le case e le fabbriche, e via dicendo.

In Italia la pianificazione urbanistica nasce nel 1865, nel contesto delle leggi fondamentali del nuovo stato, e in particolare come parte della legge sulla “Espropriazione per pubblica utilità” (Legge n. 2359 del 1865). È importante, questo collocarsi del piano all’interno di una legge di questo tipo, perché ci dice come l’urbanistica moderna nasca e trovi la sua ragione di essere in una cornice importante, come quella del rapporto fra interesse privato e utilità pubblica, collettiva. La legge sulla espropriazione è infatti un elemento centrale degli stati moderni, che traccia una linea importantissima: fra il diritto inviolabile alla proprietà, e il venire meno di questa “inviolabilità” quando la proprietà è di ostacolo al progresso generale. Quando per esempio un proprietario di un terreno si rifiuta di cedere lo spazio per un’opera (ferrovia, strada, fognatura) di utilità pubblica, egli ostacola il “progresso”, e il suo diritto alla proprietà non vale più. Può quindi essere espropriato (dietro congruo indennizzo).

All’interno di questi complessi principi generali sull’esproprio per pubblica utilità, si colloca come si diceva la norma sui piani regolatori: Piani Regolatori Edilizi, per la città esistente, per allargare strade strette, per farne di nuove a congiungere ad esempio il centro storico con la nuova stazione ferroviaria; Piani Regolatori di Ampliamento, per i nuovi quartieri nei terreni esterni, quando si ritiene necessario che la città si espanda.

Un esempio di questo tipo di piani regolatori, è quello denominato “piano Beruto” per la città di Milano, redatto nel 1884 e approvato dal Governo nel 1889. Il progetto, chiamato così dal nome di Cesare Beruto, ingegnere municipale presso l’Ufficio Tecnico e coordinatore dei lavori, ha il nome di “Piano Regolatore Edilizio e di Ampliamento”, perché comprende sia interventi sulla città esistente, sia nuovi quartieri all’esterno (in questo caso, all’esterno della cerchia delle Mura Spagnole). Osservando il disegno del piano, si nota la grande semplicità degli obbiettivi: si allargano strade esistenti per mettere meglio in comunicazione alcuni punti della città, si delinea un po’ più precisamente lo spazio di un nuovo quartiere (l’area dell’attuale Parco Sempione), si tracciano le maglie stradali di una grande fascia di Ampliamento attorno a tutta la città esistente, e si prevede qualche zona a verde (ad esempio l’attuale Parco Ravizza). Un insieme di obbiettivi forse ambizioso e complesso per l’epoca, ma piuttosto semplice se lo paragoniamo a un qualsiasi piano regolatore dei nostri giorni. Il piano ottocentesco, infatti, prevede solo una rete di strade, e al massimo influenza l’uso dello spazio con la forma e dimensione degli isolati (definiti appunto dalle strade), o con i regolamenti edilizi. Se guardiamo un piano contemporaneo, vediamo invece che è molto più dettagliato e particolareggiato l’elenco delle cose che si devono, si possono, o non si possono fare, in un determinato ambito, la densità, la quantità, la qualità ecc. Questo perché l’urbanistica si è evoluta, è diventata più complessa man mano diventava più complesso l’ambiente umano su cui doveva intervenire, e più profonda la consapevolezza delle trasformazioni indotte dalle azioni umane sul territorio.

Il Piano Regolatore di Cesare Beruto per Milano: un approccio "semplice"
(cliccare sull'immagine)

Un Piano Regolatore Generale "complesso" contemporaneo
(cliccare sull'immagine)


Dobbiamo tener conto del fatto che l’uomo appartiene a un ecosistema infinitamente più complesso di quanto possano prevedere le strategie limitate di una sola azione, di un solo obiettivo, di un individuo, di un gruppo. Già attraverso l’agricoltura, ovvero da 10.000 anni a questa parte, si è iniziato questo rapporto particolare “trasformativo” con l’ambiente, tanto diverso da quello della maggior parte delle specie animali, che hanno con l’intorno un rapporto “adattivo”. Ovvero mentre la maggior parte dei viventi si adatta all’ambiente, l’uomo tendenzialmente compete con esso, e lo fa in modo via via sempre più specializzato, nella divisione del lavoro così come nei modi di utilizzazione del territorio.
Si tratta apparentemente di scopi del tutto “positivi” che usano risorse naturali a proprio vantaggio, ma che come emerge con sempre maggior evidenza hanno effetti anche gravemente negativi: la desertificazione di interi territori sottoposti a monocoltura, l’inquinamento delle acque dall’uso di concimi chimici (tutto allo scopo di aumentare la produttività “naturale” dei suoli). Effetti “negativi” di un scopo “positivo”, che scaturiscono dalla mancata considerazione della complessità, della natura “sistematica” dell’ambiente entro cui si opera.
Per ricostruire con un esempio semplice lo schema della complessità ambientale, si pensi ad una famiglia che desidera cambiare la propria abitazione. Essa considera i propri problemi (per esempio di spazio nell’appartamento), le proprie risorse (quanto può permettersi di spendere), e le disponibilità esterne (l’offerta di abitazioni in un determinato raggio). Alla fine effettua la propria scelta, e si trasferisce, realizzando il proprio desiderio di avere più spazio a disposizione. Ma gli effetti delle scelte della famiglia, a ben vedere, escono ampiamente dai suoi confini: la casa lasciata vuota, i negozi che hanno perso clienti a causa del trasloco, e quelli che ne hanno guadagnati, il fatto che prima si usava (o non si usava) il mezzo pubblico, e ora non lo si usa più (o viceversa). Tutto questo, ha molti effetti sullo spazio urbano, effetti molto concreti, ma che non rientravano fra gli obiettivi del cambio di abitazione. Si potrebbe continuare a lungo con esempi di questo tipo, come quello ancora più semplice, della decisione di uscire in auto una mattina, e degli effetti che, moltiplicati per il numero degli automobilisti, ciò può avere sul traffico: molti hanno come obiettivo singolo il muoversi velocemente, il risultato collettivo è un rallentamento o addirittura la paralisi.

 Il piano, e il piano urbanistico in particolare, vuole rispondere a questi problemi. E lo fa prevedendo appunto un sistema complesso, di “interazione” di individui e gruppi con l’ambiente circostante. Ambiente col quale si instaurano rapporti determinati dai valori (più o meno condivisi) entro cui ci si muove, dalle necessità e desideri. Questo porta a individuare degli obiettivi, che generano decisioni e conseguenti azioni, le quali determinano modifiche dell’ambiente. Un ambiente modificato che, di nuovo, dovrà “interagire” con individui e gruppi portatori di bisogni e desideri ... all’infinito, secondo uno schema che a ben vedere è l’immagine della nostra vita quotidiana.

 Ogni fenomeno urbanistico, concerne:

  • attività
  • spazi adattati
  • comunicazioni
  • canali

Dove è importante sottolineare la distinzione complementare fra attività/spazi adattati, e fra comunicazioni/canali. Chiamiamo infatti Attività una azione, indipendentemente dallo spazio entro cui essa si svolge, e Spazio adattato una porzione di spazio, appunto “adattata”, trasformata per svolgere al meglio quella determinata attività. L’esempio può essere quello della Scuola: intesa come “Attività” di istruzione (che può svolgersi ovunque e comunque, anche, poniamo, all’aria aperta o in un edificio qualunque); intesa come “Spazio adattato” nel caso di un apposito edificio denominato Scuola. Lo stesso vale per la Comunicazione: intesa sia come flusso (di traffico, di informazioni), sia come “contenitore”, Canale lungo il quale avviene il passaggio del flusso (strada, “canale” radio-televisivo, corso d’acqua ecc.).
Rispetto a questi elementi, così identificati e distinti, è possibile operare in termini di:

  • Adattamento rispetto allo spazio (quando si cambia il proprio comportamento all’interno di uno stesso spazio)
  • Localizzazione rispetto allo spazio (quando si cambia la propria posizione da un luogo all’altro dello spazio)
  • Modificazione dello spazio (letteralmente “sviluppo”, traduzione letterale dell’inglese development: modifica spaziale, appunto)

Le stesse azioni, valgono anche per le comunicazioni e i canali: si cambia comportamento lungo la stessa strada, o si cambia percorso spostandosi da una strada all’altra, o infine si modifica fisicamente (i soggetti che possono farlo, come l’ente pubblico) il canale stesso.