Renato Rozzi - Corso di Urbanistica

 

 
 
 
 

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L’approccio al piano come Sistema

 Quando le varie attività umane sul territorio sono sottoposte a decisioni, ad alternative di scelta che possono modificare lo spazio, queste decisioni sono per loro natura imperfette, perché chi le prende ovviamente non ha una perfetta conoscenza di tutte le opportunità e possibilità. Come si comprende facilmente, anche una azione relativamente semplice come il cambio di residenza di una famiglia, include numerosissimi elementi di incertezza, elementi su cui la conoscenza preliminare non può essere che imperfetta (la personalità dei futuri vicini, l’effettiva qualità dell’ambiente nel suo complesso ecc.).

Lo stesso, con una complessità notevolmente maggiore, succede a un architetto progettista che si trovi di fronte ai problemi di una residenza, di un edificio collettivo o altro. Gli si pongono numerose alternative, e ne sceglierà quella che in quel contesto e rispetto alla sua cultura e capacità di giudizio meglio risolve gli specifici problemi e obiettivi del caso. Anche la sua, necessariamente, sarà una risposta imperfetta, come imperfette sono le informazioni su cui si basa, e imperfetta la sua preparazione rispetto al problema e ai possibili effetti che la sua particolare soluzione provocherà. In altre parole, rispetto al problema rappresentato dall’esigenza di una residenza o di altro edificio in quel particolare luogo, possono esserci soluzione diverse, e tutte valide da un particolare punto di vista, ma non da altri. Non a caso per gli edifici di particolare importanza è d’uso la procedura del concorso fra vari progettisti, che consente di valutare tra molte scelte differenti rispetto allo stesso tema.

Il piano, affronta la questione secondo un approccio ancora più complesso, ovvero quello che ha come obiettivo la soluzione di problemi generali, ovvero quelli che risultano dall’insieme anche contraddittorio di vari problemi singoli. Detto in altre parole, scopo del piano è quello di ricondurre ad una somma collettivamente positiva la miriade di azioni individualmente positive (ma potenzialmente negative per un altro individuo), che si esprimono nei vari approcci allo spazio e ai “canali”, approcci che abbiamo già definito come di adattamento (senza modificare spazio o canale), di localizzazione (muovendosi nello spazio o cambiando canale), di modificazione (development: trasformazione dello spazio o, per gli enti che possono farlo, del canale).

È ovvio che nessuno desidera, per sé, effetti negativi da una azione, ma avviene anche troppo spesso che dalla semplice somma di azioni individualmente e soggettivamente positive scaturisca un effetto non voluto, negativo per la collettività (si pensi alla congestione da traffico o all’inquinamento generati dalla volontà di molti di spostarsi velocemente in auto).

Un modo per affrontare questo genere di problemi complessi, è quello di ricondurre la realtà alla sua rappresentazione tramite SISTEMA, ovvero raffigurarla come una somma complessa di parti che interagiscono le une con le altre. L’identificazione di questa parti, così come dell’intero sistema, dipende dagli specifici obiettivi che ci si pongono, dal punto di vista che arbitrariamente si prende.

Un facile esempio di sistema inteso in questo senso, è la Facoltà di Architettura in cui ci troviamo. Le sue parti componenti sono gli Studenti, i Docenti, gli Edifici in cui si svolgono le lezioni … I suoi obiettivi auspicabili sono il migliore funzionamento possibile della vita interna, della didattica, della ricerca. Se però assumiamo un altro punto di vista, in questo caso quello dell’intero Politecnico di Milano, vediamo che la Facoltà di Architettura diventa solo uno degli elementi che lo compongono, insieme ad esempio ad altre Facoltà, e gli obiettivi del Politecnico di Milano possono non coincidere in tutto e per tutto con quelli della somma di facoltà che lo compongono. A sua volta il Politecnico di Milano appartiene a sua volta a un sistema più ampio, rappresentato dal sistema universitario nazionale, che a sua volta ha obiettivi diversi … ecc.

 Il sistema entro cui si colloca l’urbanistica, si compone di parti rappresentate prevalentemente da alcune Attività, in particolare quelle ricorrenti e permanenti. Per esempio il pendolarismo è parte importante e rilevante dell’urbanistica, mentre un’altra attività umana fondamentale, come l’alimentazione, non lo è. Per esempio ancora, la religione non è una attività umana di per sé interessante l’urbanistica, ma lo diventa nel momento in cui la sua pratica implica l’uso di specifici spazi adattati, quali sono le chiese, le moschee, le sinagoghe, che provocano e raccolgono flussi di persone, modificano l’uso dello spazio, e quindi interessano anche in modo rilevante il “sistema” cui l’urbanistica fa riferimento.

L’approccio sistemico alla pianificazione urbanistica fa il suo esordio nelle grandi città americane  come Chicago o Detroit nella seconda metà del Novecento, quando uno dei principali problemi urbani e metropolitani emergenti è quello della mobilità. Gli urbanisti iniziano a studiare la città per parti, secondo gli usi funzionali del suolo, e a comporre una rete di relazioni spaziali tra una zona e l’altra, denominate “linee di desiderio”: ovvero, i flussi teorici di spostamenti che sarebbero effettuati dalla popolazione se ci fossero le infrastrutture (strade ecc.) necessarie. La soluzione semplice individuata, è quella di realizzare effettivamente queste linee di comunicazione, ricalcandole su quelle teoriche. Ma gli urbanisti non avevano tenuto conto, appunto, del fatto che la città è un “sistema”, in cui al variare di un elemento corrisponde la trasformazione di molti altri, se non di tutti: con la realizzazione delle nuove strade, anche gli usi del suolo da cui gli studi erano partiti iniziano a cambiare (molte funzioni si collocano lungo le nuove strade), e la congestione da traffico che si voleva risolvere, semplicemente si sposta, o addirittura peggiora nel suo insieme. Questo, il risultato di un approccio “semplice” a un sistema complesso.

Per comprendere la complessità, basta una breve formula:

 S = 2n (n – 1)

 Dove S è il Sistema, ovvero il numero di stati possibile, variabile a seconda del numero n degli elementi componenti.
È facile calcolare che nel caso di due sole componenti A e B si hanno quattro stati possibili:

1) Nessuna relazione fra A e B
2) A influenza B
3) B influenza A
4) A e B si influenzano reciprocamente

Se n = 3, ovvero si hanno come componenti A, B, e C, le differenti relazioni che si possono instaurare sono

2n (n – 1) = 23 (3 – 1) = 26 = 64

L’aumento è quindi rapidissimo, e molto prima di arrivare alle dieci componenti, le relazioni sono diventate parecchie migliaia. Immaginando il tipo di correlazioni e di elementi presenti in una città, è facile comprendere come il piano sia un sistema altamente complesso.
Da qui, la necessità di ridurre al massimo la complessità, ponendosi arbitrariamente in un punto di vista tale da individuare alcune componenti chiave, alle quali tutte le altre (che pure non si escludono a priori) possano essere subordinate.

 L’idea generale è quella che si possa e si debba, attraverso l’analisi e lo studio della realtà, giungere a definire uno

STATO EFFETTIVO

Del sistema, ovvero una descrizione di come le varie componenti si relazionano allo stato attuale, generando eventualmente i problemi a cui si vuole porre rimedio. La fase successiva è quella in cui si opera un

CONFRONTO

Fra questo stato effettivo delle cose, e un'altra condizione, denominata

STATO DESIDERATO

O stato ideale, nel quale tutto va come vorremmo, e non ci sono più problemi. Dal confronto fra Stato Effettivo e Stato desiderato possono scaturire due risultati: a) i due stati coincidono, e quindi non è necessario fare nulla; b) i due stati non coincidono, e quindi esistono dei problemi ai quali bisogna trovare soluzione. In questo caso è necessario elaborare un

MODELLO SISTEMA

Ovvero un modello entro il quale sia agevolmente possibile analizzare le relazioni fra le varie componenti chiave individuate, e procedere ad una

CORREZIONE

Ovvero un intervento che cambia queste relazioni o introduce nuove componenti. La correzione, applicata al

SISTEMA

Genererà un nuovo stato delle cose, auspicabilmente senza i problemi che avevano generato l’insieme delle azioni che abbiamo brevemente descritto. Si tratta di un nuovo e diverso

STATO EFFETTIVO

Da cui è possibile ripartire con procedimento analogo, con un Confronto rispetto ad un diverso Stato Desiderato, e via dicendo.

Questo schema di azioni dovrebbe chiarire una delle differenze fondamentali tra il PIANO e il PROGETTO. Il progetto, comunque organizzato e complesso, ha un inizio quando si manifesta il problema, e una fine quando questo viene risolto (il bisogno di una casa, la costruzione della casa). Il piano si connota invece come “processo”, che si sviluppa nel tempo raggiungendo via via stati effettivi diversi, che rinviano però sempre a stati desiderati pure diversi, dato che lo spazio, la società, e le loro complesse relazioni cambiano di continuo, e la soluzione di problemi complessi ne fa scaturire sempre di nuovi.

 Il piano urbanistico scaturisce da una DECISIONE, una decisione che a differenza di quella dei singoli, delle famiglie, delle imprese, ha già al proprio interno notevoli elementi di complessità. È una decisione collettiva (presa dai rappresentanti istituzionali della collettività) anziché individuale, e rappresenta la prima sintesi di un processo già avvenuto, di identificazione dei problemi e degli obiettivi generali, diversi come si è già detto dalla somma di quelli particolari. La decisione di piano rappresenta già una scelta: si è stabilito che la situazione può essere migliorata (lo Stato Effettivo non corrisponde a quello Desiderato), e che questo deve essere fatto affrontando la realtà come Sistema (attraverso la complessità di un piano anziché l’azione definita di un progetto).

Gli obiettivi generali devono essere identificati tra quelli in qualche modo condivisi, e tenendo conto della contraddittorietà non solo fra scopi diversi di diversi individui o gruppi, ma anche della qualità e importanza relativa di quei gruppi o individui, dunque del maggiore o minore “peso” che questi possono avere nel raggiungimento degli scopi generali prefissati. Si sceglierà dunque in qualche modo di privilegiare un aspetto o l’altro, una zona o l’altra, un gruppo o l’altro, penalizzando invece in tutto o in parte interessi singoli, in favore di quello che si è identificato come un benessere comune, o un generale miglioramento.

Una battuta abbastanza ironica, ma realistica, recita più o meno: “Il pianificatore deve conoscere sempre meno cose di sempre più argomenti. Il pianificatore perfetto quindi non saprà niente … di tutto!”. Oltre l’ironia, la storiella introduce il tema centrale delle competenze di chi fa pianificazione: deve essere, soprattutto, in grado di “fare sistema”, individuando i capisaldi delle scelte principali, rispetto alle quali tutto il resto segue, diventando “sottosistema” (sottosistema traffico, sottosistema servizi, sottosistema salute ecc.), da affidare alla competenza di specialisti che “sanno sempre più, di sempre meno”, dato che le conoscenze richiedono approfondimenti e sotto-specializzazioni sempre più sofisticate.

 Una delle caratteristiche di un piano è la sua più o meno accentuata FLESSIBILITÀ. Un piano si considera “rigido” se per conseguire i suoi obiettivi ha bisogno che si realizzino completamente e perfettamente tutta una serie di passaggi intermedi, o progetti, che ne scandiscono le fasi. Può prefigurare un futuro meraviglioso, ma dipende in tutto e per tutto dall’ordinato raggiungimento di obiettivi semplici, che possono non tener conto della natura di “sistema” interconnesso. Un piano “flessibile” si caratterizza invece per la capacità di adattarsi a situazioni cangianti (cangianti spesso proprio a causa della realizzazione di alcuni progetti che cambiano le relazioni fra le componenti). L’elemento più comune in un piano flessibile è quello della “sovrabbondanza”, ovvero di una ampia scelta di possibilità per conseguire un fine, anche se non sempre nel modo perfetto e più auspicabile. L’esempio più a portata di mano è ancora quello della comunicazione stradale, che nella gran parte delle città (sistemi complessi) collegano le zone l’una con l’altra secondo una molteplicità di schemi, livelli, efficienza. Si può verificare l’interruzione di uno o più percorsi, per blocco da traffico o altre cause, ma la comunicazione in qualche modo non si interrompe, come in un corpo che perde un arto, ma non per questo muore, avendone a disposizione altri che in un modo o nell’altro gli consentono di sopravvivere. Se pensiamo invece a una “città ideale” della comunicazione, come la Ciudad Lineal pensata alla fine del XIX secolo da A. Soria y Mata, vediamo che si tratta di un “sistema” assai semplice: la comunicazione fra le sue parti (la correlazione fra le sue parti) avviene lungo un solo asse, in entrambe le direzioni. In definitiva, se si dovesse interrompere questa linea di flusso, anche solo per la caduta di un albero o l’inagibilità di un ponte, tutto il sistema si troverebbe bloccato.

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