Nietzsche e il nichilismo europeo

Il primo impiego filosofico della parola "nichilismo" risale a F. H. Jacobi. In una sua lettera a Fichte, la parola "nichilismo" ricorre molto spesso. Così scrive:

"In verità mio caro Fichte, non deve infastidirmi se Lei, o chicchessia, vuole chiamare chimerismo quello che io contrappongo all'idealismo, a cui muovo il rimprovero di nichilismo......" (Fr. H. Jacobi, Werke, G. Fleischer, Leipzig, vol. III, 1816, p. 44; da: "Jacobi an Fichte", apparso per la prima volta nell'autunno 1799).

La parola "nichilismo" entrò in circolazione più tardi ad opera di Turgenev  per denominare la concezione secondo la quale soltanto l'ente accessibile alla percezione sensibile è reale ed essente e nient'altro. Con ciò viene negato tutto quello che è fondato sulla tradizione e sull'autorità. Per questa visione del mondo si adopera però più spesso la parola positivismo. 
Per Nietzsche tuttavia il termine significa molto di più. Nietzsche parla di "nichilismo europeo". Non intende con ciò il positivismo che sorge alla metà del XIX secolo e che si espande in Europa. Europeo ha qui un significato storico che vuol dire lo stesso che occidentale nel senso della storia occidentale. Nietzsche usa il nome "nichilismo" per indicare il movimento storico da lui riconosciuto per la prima volta, ma che domina già i secoli precedenti e che darà l'impronta al prossimo e di cui egli compendia l'interpretazione più essenziale nella breve sentenza: "Dio è morto". Cioè: Il Dio cristiano ha perduto il suo potere sull'ente e sulla destinazione dell'uomo. Il dio cristiano è il soprasensibile, sono gli ideali e le regole... i fini e i valori instaurati per dare all'ente uno scopo. Il "nichilismo" è quel processo storico attraverso il quale il soprasensibile diventa caduco e nullo nel suo dominio e di conseguenza l'ente stesso perde il suo valore. Il nichilismo è la storia dell'ente stesso attraverso la quale la morte del Dio cristiano, lentamente ma inesorabilmente, viene alla luce.
La verità sull'ente nel suo insieme si chiama fin dall'antichità "metafisica". La fine della metafisica è la decadenza del dominio del soprasensibile e l'inizio del prendere sul serio l'evento della morte di Dio.
Nietzsche stesso intende la sua filosofia come l'inizio di una nuova epoca. Egli vede già il secolo venturo come liberazione e compimento, come una liberazione per la trasvalutazione di tutti i valori.
Secondo Heidegger se la fondazione della verità sull'ente nel suo insieme costituisce l'essenza della metafisica, allora la trasvalutazione di tutti i valori, in quanto fondazione del principio di una nuova posizione di valori, è in sé metafisica. E' per questo che Heidegger considera Nietzsche l'ultimo dei filosofi della metafisica.
In realtà se consideriamo il pensiero di Nietzsche vicino a quello di Spinoza (Deus sive natura) lo dobbiamo piuttosto vedere come il primo filosofo che si è saputo liberare della metafisica.
La trasvalutazione dei valori non deve essere pensata immaginando che al posto dei valori finora validi vengano messi valori mutati. Ma trasvalutazione significa che proprio il "posto" dei valori finora validi scompare e non solo che questi ultimi vengono a cadere. Non è che l'ente stesso abbia bisogno di una nuova interpretazione come sostiene Heidegger nella sua opera "Nietzsche" (Ed. Adelphi,pag. 567) per scrivere una nuova tavola dei valori, quanto piuttosto cercare in una mutata situazione storica una nuova serie di valori indipendentemente dall'esistenza dell'ente. E' secondo questa chiave di lettura che la volontà di potenza va riferita al Deus sive natura di Spinoza. Dio è morto e con Dio è morto l'ente.
Volontà di potenza non è il nome per indicare il carattere fondamentale dell'ente come sostiene Heidegger, bensì il nome che indica il carattere fondamentale della natura. E non è neppure caratteristica dell'ente in quanto volontà di potenza che si determina l'eterno ritorno dell'uguale: eterno ritorno dell'uguale appartiene al Deus sive natura spinoziano.
Non dunque una rinnovata concezione dell'ente nel nichilismo europeo, bensì una totale morte dell'ente.
In questo contesto l'oltreuomo, liberato dall'ente, diventa esso stesso volontà di potenza ed eterno ritorno dell'uguale. Non fine, ossia non un fine che sostituisce il fine dell'ente, ma volontà di potenza identica alla volontà di potenza della natura.