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Riflessioni su un percorso triennale nella scuola media

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Premessa

  1. Prima media: "il giocattolo nel terzo mondo".
  2. Seconda media: "Cinque buoni motivi" e "A Natale regaliamoci la solidarietà".
  3. Terza media: ipertesto sulla mostra precedente e "scuola multietnica a Sarajevo".
  4. Riflessioni.

 

 

  1. Premessa

Per tutto un primo lungo periodo d'insegnamento, fino al '94, l'idea di proporre ai miei alunni un percorso o anche qualche tema che avesse a che fare con argomenti legati ai disagi nel mondo mi lasciava molto perplesso.

Le ragioni che me ne davo erano più o meno riconducibili alla riflessione: "mio compito è fornire gli strumenti e non i contenuti. Sta poi alla loro libertà decidere che cosa farne..".

Ad anni di distanza mi è chiaro che quell'atteggiamento, che in fondo si appellava ad una posizione di neutralità, non era tanto una scelta didattica consapevole quanto il riflesso di una mia difficoltà ad affrontare quei contenuti con una posizione interiore, mia, che mi convincesse profondamente. E che mi consentisse di assumermene tutta la responsabilità; e ciò non in modo ideologico, come avevo inconsapevolmente vissuto per tutti gli anni '70 da studente e negli anni '80 come educatore, ma in modo più corrispondente ad una visione più mia, più umana e quindi più autentica.

E' straordinario riflettere come dopo 10 anni di anni '70, di centinaia di manifestazioni contro tutto quello che -mi dicevano e mi convinceva- sembrava ingiusto (dall'autoritarismo della scuola e della società alla guerra del Vietnam allo sfruttamento degli operai, al fascismo ecc.), vinto il concorso a scuola, cambiavo strada: in certo qual modo "ripudiavo" l'idea di parlare ai ragazzi dei problemi del terzo mondo, delle ingiustizie e della fame, pur circondato da molti colleghi che invece su questi argomenti ci andavano tranquilli.

Pur vivendo con passione l'insegnamento, era come se da questo rimanesse esclusa una sfera di identità, quella mia più profonda che ha a che fare con ciò che ritieni più importante nella tua vita, e in cui credi. E questa esclusione, in quegli anni vissuta senza rendermene conto, era probabilmente il riflesso di una ricerca, non sempre chiara, di qualcosa per me di veramente importante, dopo l'ubriacatura ideologico-politica. Quei quindici anni (dall'80 al '95) vissuti così, oggi, mi aiutano a "guardare" (con compassione? con rabbia? Con impotenza? Raramente pregando) molti colleghi che vivono nell'insegnamento le difficoltà inconfessate della ricerca di un significato di ciò che fanno e che rispondono ripiegando sui libri di testo, spesso annoiandosi e annoiando.

 

Raggiungevo un equilibrio interiore adeguato a tale proposta didattica solo dopo un difficile periodo di ricerca: alternando l'intravedere qualcosa, il desiderarlo, l'illudersi di averlo trovato, il disilludersi, il ricercarlo, lo sperare di trovarlo, prima come dici tu, e poi pian piano come dicono le circostanze attraverso volti, incontri fin poi a ritrovarsi con le parole di Sant'Agostino "... Tu eri dentro di me e io stavo fuori......tu eri con me ma io non ero con te ... mi tenevano lontane le tue creature che se non esistessero per te non esisterebbero per niente..tu mi hai chiamato. Il tuo grido ha vinto la mia sordità.."

Solo l'esito di tale drammatica ricerca e la conquista stupita di un cammino non certo semplice, anche se affascinante, poteva guidarmi e sostenere uno sguardo che eliminasse (oltre che nella vita) nel lavoro e nel rapporto con i ragazzi le infinite separazioni tra cose utili e cose belle, tra competenza e espressione, tra gioco e conoscenza, tra educativo e cognitivo, tra dentro e fuori, tra formativo e ludico, tra strumenti e contenuti, tra mente e cuore, tra vicino e lontano, tra gli occhi dei miei alunni e quegli occhi africani neri e lontani.

 

 

 

2. Prima media: visita a una mostra dei comboniani sul giocattolo

L' idea di un lavoro con i ragazzi sulla solidarietà covava, perciò, da un po'. Infatti, quell'anno (95-96) avevo organizzato con la 1°F una visita ad una mostra dei missionari comboniani sul tema del giocattolo nei paesi del terzo mondo.

Ero consapevole che una mostra "mordi e fuggi" non avrebbe avuto alcun significato: accade spesso che tra mille proposte che ci raggiungono continuamente la mente nostra di docenti e dei ragazzi sia distratta e non si colgano importanti stimoli, che -finisce- ci scivolano addosso. E' chiaro che a questo livello gioca un ruolo fondamentale la scelta dell'educatore (le sue strategie e innanzitutto il suo cuore), che cosa sente e vuole lui veramente.

Decisi pertanto di andare a trovare i missionari comboniani e concordai con uno di loro, Padre Sandro, alcuni incontri che preparassero la visita a quella mostra, in modo da guidare i ragazzi a coglierne il significato e a non ritenerla soltanto l'occasione di non fare lezione. In quell'incontro non riuscii a mascherare la mia emozione di parlare con un missionario, un uomo, che incuteva una certa soggezione a me, che lì mi sentivo una piccola anima di fronte a un uomo, più piccolo di me fisicamente, ma che con la sua "no chalance" mi affascinava e intimoriva con i suoi cenni agli anni trascorsi in Amazzonia tra bambini indio.

Gli chiesi di aiutarmi ad aiutare quei miei ragazzi; non sapevo che ero io la persona più bisognosa di aiuto in quel momento.

Ci accordammo su un paio di incontri, da fare a scuola e in cui avrebbe mostrato delle diapositive alla classe.

Imparai in quei due incontri che tra lavoro (educazione ) e vita (esperienza) non c'era alcuna differenza: padre Sandro mostrava diapositive che illustravano luoghi e persone e situazioni (feste battesimi ecc.) e di tanto in tanto richiamava la nostra attenzione su aspetti normali dell'esistenza di quelle persone e dei loro bambini, in particolare. Ci faceva notare i loro sorrisi, la ricchezza e vivacità delle famiglie, i loro giochi e i loro spazi.

Per me (ancora intriso di ideologismo terzomondista) quei richiami venivano in una prima fase intesi come strumentali e funzionali a catturare l'attenzione dei miei ragazzi e in qualche modo a indirizzarli verso una "imposta sensibilizzazione". Ma, come avrei imparato nel tempo, non era così: Padre Sandro diceva loro cose che non stavano nella sua testa, ma invece facevano parte della realtà.

Quanto costava dover rinunciare ad una propria misura ad un proprio atteggiamento ideologico e a una didattica "propagandistica", quanta poca fiducia avevo nel mio desiderio di bene, pensiamo forse che questo possa essere non confermato dalla realtà al punto di pensare che dobbiamo forzarla. Quanta fatica nei nostri contorti pensieri e percorsi intellettuali, quando in effetti "molta osservazione e pochi ragionamenti" ti portano "realmente" alla realtà del mondo e del tuo cuore, che sono la stessa cosa.

 

Mi resi subito conto, in quei due incontri preparatori e nella visita alla mostra del giocattolo, che per i miei ragazzi la povertà materiale, dei loro fratelli più sfortunati dal punto di vista economico, svaniva di fronte ad una cultura della vita, che traspariva netta ed evidente nei sorrisi, nei giochi e nella ricchezza di relazioni umane e nel rapporto con la natura.

Pur non sfuggendo gli orrori della guerra, delle malattie e degli altri mille drammi, i ragazzi cominciavano a riflettere su se stessi, sulla loro vita, sui loro giochi, sui loro vissuti.

E proprio qui emergeva in loro, netta, la percezione -nel "comodo" occidente- di un'assurda povertà delle proprie relazioni, di solitudini a volte disperate, di un rapporto inesistente con la natura.

Mi sentivo impreparato ad approfondire in modo diretto un discorso tanto impegnativo con bambini di 11 anni. Era la prima volta che mi accadeva e perciò decisi di "raffreddare" quella loro ricchezza di percezioni e di "diluirle", per così dire, nelle consolidate unità didattiche previste nella mia programmazione.

Ogni qualvolta possibile sarei tornato, comunque, a riflettere con loro su quella esperienza.

 

Riflessioni di metodo (né pietismo né enfasi, e perché? dall'osservazione del disagio altrui alla scoperta vera dell'altro, della sua felicità, del suo disagio, della sua dignità e della mia povertà; come lavorare su questi aspetti? importanza della testimonianza di vita):

 

 

3. 96-97 Seconda media Natale regaliamoci la solidarietà"

L'anno successivo in occasione del Natale abbiamo deciso, agganciandoci all'esperienza dell'anno precedente con i Missionari Comboniani e con ciò, che avevamo imparato da quell'esperienza, di fare qualcosa.

Le tende di Natale per l'A.V.S.I. e una copia di "Buone Notizie", mi fornivano l'occasione di riflettere sulla possibilità di coinvolgere la classe in una esperienza di studio e di partecipazione ad una iniziativa concreta.

Ho portato in classe una copia di "Buone notizie" per alunno e ho esaminato insieme a loro altri materiali, videocassette, foto sul tema del volontariato e della solidarietà.

Nel frattempo, me lo aspettavo, all'approssimarsi delle feste natalizie i ragazzi mi sollecitavano a preparare qualcosa, una recita o una mostra.

Cominciava a prendere corpo l'idea di lavorare sulla solidarietà coinvolgendo l'intera scuola, a cui sarebbe stato proposto l'esito del loro lavoro, una mostra o una qualsiasi forma di documentazione.

Frattanto, confrontandomi con alcuni colleghi, si decideva di organizzare prima delle feste di Natale una settimana a scuola per la solidarietà, che terminasse con una festa ed una sottoscrizione per l' AVSI (presentata tramite "Buone Notizie"). Il lavoro, che i ragazzi avrebbero messo su, sarebbe stata l'introduzione e il filo conduttore della settimana sulla solidarietà.

Una bella e grande responsabilità per me e miei ragazzi, che dall'anno precedente avevamo faticato non poco a focalizzare su questo tema una posizione, che evitasse i rischi del pietismo, della superficialità e del moralismo. Non sarebbe stata cosa da poco fare emergere questa posizione e renderla chiara agli altri...

Cominciammo a leggere "Buone Notizie", convinti che partendo da quella lettura e dall'entrare nell'argomento avremmo trovato l'ispirazione, capendo che cosa fare, e di lì avremmo articolato un preciso "programma di lavoro".

Gradualmente, infatti, cominciavano ad esserci un po' più chiari i contorni del da fare.

Nella lettura dell'editoriale fummo, infatti, subito colpiti da una frase, in cui intuivamo la proposta di un metodo anche per noi, che in quell'occasione volevamo accostarci alla solidarietà: "noi intendiamo sostenere una presenza al lavoro, una presenza che condivide la vita di questi bambini e si fa carico dei loro bisogni attraverso una compagnia che, tendenzialmente, non vuole trascurare nessun aspetto della vita: l'affettività, l'educazione, la salute, il cibo, il gioco, la preghiera."

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Presenza al lavoro e condivisione diventavano in quel momento le parole guida del nostro piccolo progetto. Per dieci giorni sospendemmo lo studio delle nostre materie e ci dedicammo alla lettura approfondita delle cinque iniziative da sostenere e alla ricerca di immagini e di filmati sul tema.

Nella preparazione di quella che sarebbe stata una mostra ci risultavano chiari alcuni elementi, perché ne stavamo sperimentando la validità su noi stessi:

 

 

Si é realizzato tutto quanto si é andato "mettendo su", riscontrando con immensa gioia la grande curiosità e disponibilità in tutte le persone con cui si é lavorato (a partire dai diciotto alunni della 2°F ) e che si sono incontrate in questa esperienza.

C'é una frase - che abbiamo stampato e decorato come locandina e regalato alle classi, che riassume bene le cose che abbiamo incominciato ad imparare e che, comunque, abbiamo voluto dire a tutti:

"un gesto di solidarietà diventa grande se vivi nel tuo piccolo -nello studio, nel lavoro, in famiglia, nel modo di vivere, nei pensieri e nelle preghiere- un'amicizia attenta ai bisogni di chi soffre: é questo il significato di un percorso che é insieme festa e occasione di crescita culturale e umana".

Riflessioni di metodo:

 

Soffermiamoci sul primo episodio, che come vedremo va approfondito. In uno dei pannelli della mostra, dopo aver illustrato i grandi dati sulla sofferenza dei bambini nel mondo, si proponeva la domanda "che fare?" seguita da tre risposte tipiche e da alcuni esempi importanti in cui si alludeva alle migliaia di volontari e di missionari. In questo preciso punto i miei alunni, simpaticamente per vivacizzare l'ascolto chiedevano ai compagni se avessero mai sentito parlare di Madre Teresa di Calcutta e di quello che faceva in India.

E' evidente, quindi, quanto importante fosse stato l'incontro con una suora "di Madre Teresa", che faceva sentire loro una presenza in carne e ossa e perciò ancora più vere le cose che andavano spiegando ai compagni. Mi rendevo conto di quanto importanti fossero per loro esempi di umani eroismi, di persone comuni ma grandi nelle loro scelte di vita e nei loro esempi.

Grandezze positive in confronto alle migliaia di modelli negativi propinati continuamente dalla mentalità comune sostenuta dalla moda, dalla televisione e dalla pubblicità. Capitava spesso con loro di chiedersi quali erano i valori importanti e tra questi spesso emergeva il coraggio, la sfida ecc. (com'è facile che accada in età preadolescenziale). Ed erano curiose due riflessioni:

A partire da queste riflessioni decidemmo di andare a trovare suor Bruna: credo di non esagerare affermando che questo per i miei è stato l'avvenimento più importante dei tre anni di scuola media.

Mi limito a raccontare in sintesi il momento centrale dell'incontro. Suor Bruna, che al principio non voleva parlare di sé, presa gradualmente dal ritmo del confronto ci raccontò di come e perché aveva scelto d'essere Missionaria della Carità. Era quindi a Calcutta e come tutte le novizie, per desiderio della Madre era nella casa dei moribondi ad assistere un vecchio, raccolto per la strada e ricoperto di vermi. Con delicatezza straordinaria e sorridendo la missionaria raccontava il profondo imbarazzo e disturbo che provava lì per la prima volta, finchè sua reazione istintiva fu "alzare gli occhi verso il crocifisso e leggere I thurst ...(avevo sete e mi avete dato da bere ... ogni volta che farete questo a uno dei miei piccoli , lo farete a me) ". E, quindi, capire a che cosa era lei chiamata in quel momento lì.

E' difficile trovare le parole per descrivere che cosa accadeva in quel mistico silenzio, in cui ci si rivelavano attraverso quella persona dei significati tanto profondi ed in un modo così potente che nessuno poteva sottrarsi a quell'affascinante abbraccio.

Nei mesi successivi fino alla chiusura dell'anno scolastico conservammo "gelosamente" nei nostri cuori quell'esperienza, cui facevamo costantemente riferimento per spiegarcela meglio ogni volta che qualsiasi fatto poteva ricordarcelo.

 

 

4. 97-98 terza media Ipertesto e "una scuola multietnica per Sarajevo"

 

I fatti significativi dell'anno scolastico sono due:

 

 

4.1 Dalla mostra all'ipertesto

La realizzazione dell'ipertesto sorgeva da due esigenze: innanzitutto dal desiderio di lasciare nella scuola e in noi stessi un segno, un ricordo del percorso dell'anno precedente e dall'altro dal desiderio di rielaborare i contenuti trattati con un mezzo nuovo, potente e multimediale.

In pratica desideravamo cimentarci con un nuovo e affascinante strumento espressivo, che avrebbe arricchito la nostra voglia di comunicare grazie alla capacità di elaborare insieme testi (sempre più sintetici ed efficaci) con immagini e musiche.

Per quanto riguardava le immagini, ne avevamo di molto belle, ottenute (grazie alla guida estrosa di una collega)dalla rielaborazione "artistica" di fotocopie rubacchiate da riviste e che erano state utilizzate efficacemente nella mostra. Per le musiche decidevamo di fare una piccola ricerca sulle musiche etniche dei cinque paesi destinatari dei progetti dell'AVSI.

Dopo una ricognizione dei materiali disponibili e utilizzabili, decidevamo che l'ipertesto doveva avere tre possibilità di navigazione:

 

 

 

Riflessioni di metodo;

 

4.2 Scuola multietnica a Sarajevo

Dopo i primi mesi di scuola concentrati sull'attività di trasposizione ipertestuale della mostra dell'anno precedente all'avvicinarsi delle vacanze natalizie, abbiamo ricevuto il materiale dell'AVSI per le tende di Natale.

Avevamo imparato dalle diverse esperienze, sino ad allora fatte, che lavorare sulla solidarietà attraverso i materiali che io ricevevo dall' AVSI risultava estremamente gratificante. E ciò perché avevamo avuto la possibilità di individuare facilmente una chiave di lettura e di proposta di un'esperienza di solidarietà, che sviluppava in positivo il percorso che avevamo cominciato dalla prima media. A tutti i ragazzi, anche se ciascuno con gli strumenti culturali che possedeva, era chiaro che cosa significava lavorare sui temi della solidarietà al di fuori delle mode e delle ipotesi moralistiche.

Inoltre, si era in loro sviluppata l'aspettativa di dover preparare qualcosa, di sostenere qualche iniziativa, che li vedesse in una prima fase (com'era successo l'anno precedente) a documentarsi e ad approntare qualcosa, da presentare poi agli altri compagni.

Tra le diverse proposte per le tende di Natale del '97, quella che ritenevamo più interessante era "Mille scuole per mille ragazzi". E ciò per diversi motivi: innanzi tutto era nostro desiderio alzare lo sguardo a ciò che accadeva nel mondo a partire dalle ultime tragiche vicende dei Balcani. In secondo luogo ci sembrava molto interessante animare lo studio della storia che, (era il primo anno dell'innovazione didattica sulla storia prevista dal Ministero) si sarebbe concentrato sullo studio del novecento. Corrispondeva, inoltre, ad una crescita dei ragazzi il desiderio di approfondire i diversi aspetti di una tematica, piuttosto che trattarne diverse in modo globale. Infine trattare della tolleranza e delle diversità attraverso l'esperienza dell'ex Jugoslavia aiutava a paragonare le loro piccole difficoltà preadolescenziali, i loro piccoli problemi di sentirsi diversi, , con l'espressione macroscopica della difficoltà di convivenza (la guerra interetnica). Infine, gli egoismi nazionali fomentati da interessi forti, ci avrebbero aiutato a comprendere il senso dei loro piccoli egoismi e conflitti. E ciò insieme ad una speranza: "..un futuro che è già cominciato laddove vivono insieme identità diverse, non in forza del compromesso che costringe a censurare la parte migliore di sé, ma per uno strano e infinito abbraccio di misericordia che afferma e valorizza tutto il positivo che ogni uomo è".

Se ci fossimo posti l'obbiettivo di individuare una frase che sintetizzasse il senso della nostra proposta certamente sarebbe stata questa, perché corrispondeva alle cose che cominciavamo a dirci ogni volta che si affrontavano i piccoli problemi del nostro quotidiano.

E' con questa consapevolezza, straordinariamente matura che ci organizzammo per sostenere la scuola multietnica di Sarajevo.

I materiali che avremmo utilizzato sarebbero stati la videocassetta "I ragazzi di Sarajevo" e l'opuscolo, di non semplice lettura in terza media, "Sarajevo e la storia dei Balcani: un contributo per capire alcuni tratti del Novecento".

Ambedue furono accuratamente analizzati nel dettaglio. Anche quell'anno avremmo invitato una classe alla volta in aula proiezione e secondo uno schema già provato si sarebbe:

 

5 . Riflessioni finali e osservazioni di metodo

E' mia intenzione, descrivendo i momenti più importanti di diversi percorsi sulla solidarietà, vissuti da una classe lungo i tre anni di scuola media, non sostenere la ripetibilità dell'esperienza, bensì proporre alcune riflessioni a quel dibattito di idee ed esperienze per una didattica più consapevole e aperta alla realtà.

 

Francesco Lorusso

 

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