Abbiamo fatto trenta, facciamo trentuno: frase proverbiale per indicare che, fatto il più dell'opera, basta un altro piccolo sforzo per completarla. Ultimamente, sembra sia diventato il motto di ogni mio interlocutore...
C'è chi riferisce questo modo di dire al fatto che trentuno è il numero conclusivo della maggior parte dei mesi. Altri invece raccontano che papa Leone X, in un'informata di cardinali, ne elevò alla porpora trenta; poi, essendosi accorto di aver dimenticato un aspirante che gli stava molto a cuore, riparò la svista e ne fece trentuno. In seguito, questo metodo, prenderà copiosamente piede nella nomina di ministri (con e senza portafoglio) e sottosegretari. Senza alcuna apparente differenza tra prima e seconda Repubblica.
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Sul "trentuno" c'è anche una interpretazione, diciamo così, di basso profilo, per non dire osceno. Sempre nel secolo di Leone X, il Mille e cinquecento, ma qualche centinaia di chilometri più a nord-est, a Venezia vive amata da Pietro Aretino, la notissima (allora) Angela del Moro, detta la Zaffetta, per essere figlia di uno zaffo, che nel dialetto veneziano del tempo era lo sbirro. Angela era una delle più rinomate cortigiane della Serenissima, e figurava al terzo posto nella tariffa delle puttane di Venezia.
Siccome "la gelosia è di tutti quando la donna è di nessuno", per dirla con Marcel Carné e il suo "Les enfants du paradis", un gentiluomo veneziano, ritenendosi offeso perché Angela non aveva voluto "riceverlo"... decise di vendicarsi. Condotta la giovane in gita in laguna, dopo un lauto pranzo invece di ricondurla a Venezia ordinò ai barcaioli di proseguire fino alla vicina Chioggia, dove le fu dato uno spietato "trentuno". Così, infatti, si chiamava il brutale scherzo che si faceva alle meretrici, facendole possedere consecutivamente da trentun uomini: di solito squattrinati popolani, felici di godere gratis ciò che la Tariffa costava alcuni scudi. Oggi diremmo una gang bang...
E poi si dice che in ogni proverbio si nasconde la saggezza popolare...
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