Il "mea culpa" come desiderio di verità
di Bruno Forte
(Il sole 24 ore 12 marzo 2000)
Ma il gesto del Papa non rinnega i meriti della
Chiesa nei campi della carità e della cultura
Questa mattina, in San Pietro, viene celebrata la giornata
del perdono, un atto penitenziale che non ha precedenti nella storia. Sette
cardinali leggeranno le "intenzioni" di preghiera relative alle colpe
di cui si intende chiedere perdono. Sono: bisogno generale di conversione;
peccati commessi nel servizio della verità (intolleranza, violenza contro i
dissidenti, guerre di religione, violenze e soprusi nelle Crociate, metodi
coattivi dell'Inquisizione); peccati che hanno compromesso l'unità del corpo di
Cristo (scomuniche, divisioni, persecuzioni); peccati commessi in rapporto a
Israele, peccati contro i diritti dei popoli, il rispetto delle culture e delle
altre religioni; peccati contro la dignità umana; peccati nel campo dei diritti
fondamentali della persona e contro la giustizia sociale. Il Papa risponderà
con le richieste di perdono a nome delle Chiesa. Sarà poi accesa una lampada e
cantato il "Signore pietà". Giovanni Paolo II abbraccerà il
crocefisso e lo bacerà. In preparazione alla Giornata del perdono è stato
pubblicato il documento della Commissione teologica internazionale Memoria e
Riconciliazione: La Chiesa e le colpe del passato, presentato alla stampa
internazionale martedì scorso dai cardinali Roger
Etchegaray e Joseph
Ratzinger, dal vescovo Piero
Marini, dai teologi Bruno
Forte e Georges
Cottier. Forte - che ha presieduto li gruppo di lavoro che ha preparato
il documento - è autore dell'introduzione all'edizione italiana del testo
curata e pubblicata dalle Edizioni Paoline (pagg. 112, L. 3.500), in libreria in
questi giorni. Ne anticipiamo ampi stralci.
Non ha precedenti l'invito che Giovanni Paolo II ha rivolto
alla Chiesa a riconoscere le colpe del passato, come pure l'esempio da lui
stesso dato in vista di una "purificazione della memoria", che le
consenta di rinnovarsi in maniera più credibile nel presente: non stupisce
perciò che essi abbiano suscitato reazioni contrastanti anche all'interno della
comunità ecclesiale. La ragione ultima dell'invito del Papa alla
"purificazione della memoria" va riconosciuta nella sua incondizionata
fiducia nella forza della Verità, che sola rende liberi: perciò egli insiste
nel dire che per la Chiesa la "domanda di perdono non deve essere intesa
come ostentazione di finta umiltà, né come rinnegamento della sua storia
bimillenaria certamente ricca di meriti nei campi della carità, della cultura e
della santità. Essa risponde invece a un'irrinunciabile esigenza di verità,
che accanto agli aspetti positivi, riconosce i limiti e le debolezze umane delle
varie generazioni dei discepoli di Cristo". La verità non ha bisogno di
difese: essa si difende da sé, irradiandosi in forza di sé stessa. Perciò, il
riconoscimento delle colpe passate è un atto di libertà profetica, che esce
dal calcolo dei risultati immediati e si impone nell'orizzonte dell'obbedienza a
Dio e alle esigenze della Sua verità. Al di fuori di quest'ottica ogni
fraintendimento resta possibile: all'interno di essa, la "purificazione
della memoria" produce i frutti dello Spirito, "amore, gioia, pace,
pazienza, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé" (Gal
5,22). Contro queste cose - aggiunge l'apostolo - "non c'è legge":
neanche quella apparentemente ferrea della prudenza umana che voglia guadagnare
consensi o mantenere posizioni acquisite, piuttosto che obbedire alla verità di
Dio e piacere a Lui solo.
Per individuare le colpe passate di cui chiedere perdono il giudizio storico non
basta: esso potrebbe giustificare qualunque azione in nome delle circostanze e
delle mentalità del tempo. Come osservava Benedetto
Croce, "la storia non è giustiziera, ma giustificatrice"!
Occorre perciò unire all'indagine storica la valutazione morale ispirata al
Vangelo. "Ci si deve domandare: che cosa è precisamente avvenuto? che cosa
è stato propriamente detto e fatto? Solo quando a questi interrogativi sarà
stata data una risposta adeguata, frutto di un rigoroso giudizio storico, ci si
potrà anche chiedere se ciò che è avvenuto, che è stato detto o compiuto
può essere interpretato come conforme o no al Vangelo, e, nel caso non lo
fosse, se i figli della Chiesa che hanno agito così avrebbero potuto rendersene
conto a partire dal contesto in cui operavano. Unicamente quando si perviene
alla certezza morale che quanto è stato fatto contro il Vangelo da figli della
Chiesa ed a suo nome avrebbe potuto essere compreso da essi come tale ed
evitato, può aver significato per la Chiesa oggi fare ammenda di colpe del
passato". Nella combinazione del giudizio storico e di quello teologico si
terrà conto della inevitabile distanza ed estraneità fra il presente e il
passato, come pure della loro coappartenenza, che è tanto più forte quando si
tratta dell'unico soggetto ecclesiale in azione: solo così si potrà giungere a
quella "fusione di orizzonti", in cui consiste propriamente
l'interpretare. La Chiesa, afferma Giovanni Paolo II, "non teme la verità
che emerge dalla storia ed è pronta a riconoscere gli sbagli, là dove sono
accertati, soprattutto quando si tratta del rispetto dovuto alle persone e alle
comunità ". Il rifiuto di ogni storicismo equivale anche alla rinuncia ad
ogni forma di apologetica pregiudiziale: soltanto la verità rende liberi (Gv
8,32)!
E' a questo punto che si profilano alcuni problemi di ordine morale: se la colpa
è sempre connessa alla responsabilità personale, com'è possibile che si
chieda perdono di colpe commesse da altri? Non è questo un mero esercizio
retorico, tale da indurre in errore? E' in realtà la natura singolare del
"soggetto ecclesiale" che rende ragione di una richiesta di perdono
per colpe compiute nel passato dai figli della Chiesa: nessun'altra comunità
storica si identifica con tutti i suoi membri di tutte le epoche come il popolo
di Dio. Lo sguardo della fede riconosce la permanenza del principio generatore
della Chiesa in ogni sua tappa storica e consente di confessarne la santità
ontologica, frutto della presenza e dell'azione di questo principio
soprannaturale, che è il Cristo vivente per mezzo dello Spirito nella sua
comunità. Inoltre, ci sono delle colpe i cui effetti permangono nella storia al
di là della scomparsa dei loro autori. L'ammissione della colpa e la richiesta
di perdono equivalgono allora a una "purificazione della memoria",
intesa a rimuovere e dalla coscienza tutti quegli elementi di violenza e di
rifiuto della verità, che potessero ancora ostacolare il superamento delle
lacerazioni prodotte dalle colpe passate. La storia dell'abolizione delle
reciproche condanne fra i cristiani divisi mostra come un atto presente possa
avere rilevanza sul modo di percepire la memoria e l'eredità in essa custodita:
ciò vale non solo per i rapporti fra le Chiese e comunità ecclesiali separate,
ma anche per le relazioni fra cristiani ed ebrei, per l'uso di metodi violenti
nella custodia e nel servizio della verità, per la controtestimonianza e lo
scandalo tante volte offerti dai credenti, causa di ateismo o di indifferenza
verso la proposta evangelica. "Vi è poi il mancato discernimento di non
pochi cristiani rispetto a situazioni di violazione dei diritti umani
fondamentali. La richiesta di perdono vale per quanto è stato omesso o taciuto
per debolezza o errata valutazione, per ciò che è stato fatto o detto in modo
indeciso o poco idoneo". Si comprende come l'assunzione del peso delle
colpe passate abbia qui una notevole rilevanza in vista del superamento di
situazioni di ingiustizia e di sopraffazione, a volte giustificato in nome del
semplice mantenimento dello "status quo" secolare di alcune società,
pur caratterizzate dalla presenza massiccia della Chiesa e delle sue
istituzioni.
La purificazione della memoria si compie nel presente e incide in esso anzitutto
nello stimolare a non ripetere gli errori passati, a vigilare perché le ferite
da essi inferte siano sanate ed a promuovere una maggiore corrispondenza della
vita dei credenti al Vangelo. "Riconoscere i cedimenti di ieri - sottolinea
il Papa è atto di lealtà e di coraggio che ci aiuta a rafforzare la nostra
fede, rendendoci avvertiti e pronti ad affrontare le tentazioni e le difficoltà
dell'oggi". Occorre naturalmente evitare ogni autoflagellazione e valutare
nelle diverse situazioni le forme di mediazione del messaggio che vengono
impiegate nel riconoscimento delle colpe e nella richiesta di perdono, per
impedire fraintendimento e strumentalizzazioni di parte. E' naturalmente
auspicabile che ogni richiesta e offerta di perdono si compia nel segno della
reciprocità. Si deve tuttavia essere disposti a testimoniare la verità con
spirito di gratuità totale: perciò, nel ribadire che "i cristiani sono
invitati a farsi carico, davanti a Dio e agli uomini offesi dai loro
comportamenti, delle mancanze da loro commesse", il Papa aggiunge: "Lo
facciano senza nulla chiedere in cambio, forti solo dell"amore di Dio che
è stato riversato nei nostri cuori" (Rm 5,5)". In particolare, il
carattere di esemplarità che simili atti comportano andrebbe recepito da tutte
le istituzioni storiche per le quali potrebbe esigersi un'analoga
"purificazione della memoria", anche se la diversità dei soggetti
implicati rispetto al soggetto ecclesiale può a volte rendere ardua l'analogia.
L'invito di Giovanni Paolo II è esplicito: "Alle soglie del terzo
millennio, è legittimo sperare che i responsabili politici e i popoli,
soprattutto quelli coinvolti in drammatici conflitti, alimentati dall'odio e dal
ricordo di ferite spesso antiche, si lascino guidare dallo spirito di perdono e
di riconciliazione testimoniato dalla Chiesa e si sforzino di risolvere i
contrasti mediante un dialogo leale ed aperto". Il soffio dello Spirito non
esclude nessuno
Vedere anche in www.vaticano.va
Memoria e riconciliazione la Chiesa e le colpe del passato, 7 marzo 2000.htm |