Una sera mi sono trovato a chiacchierare con un praticante di scherma
antica e storica occidentale che aveva una preparazione teorica e tecnica
davvero notevole. Durante la nostra chiacchierata stavamo amabilmente
discutendo di argomenti diversi, quando siamo arrivati a parlare delle
differenze tecniche che si possono osservare tra due praticanti. Ad un certo
punto il mio interlocutore ha espresso un concetto molto interessante, che
cerco di riportare il più fedelmente possibile.
"E' giusto che esistano differenze tra praticante e praticante, purchè
siano aderenti ad un substrato di preparazione seria e aderente alla
tradizione. Prendiamo un esempio semplice: io sono italiano come te e quindi
entrambi parliamo e scriviamo la stessa lingua. Nonostante ciò io ho un mio
modo personale di esprimermi, che dipende dal tipo di educazione che ho
ricevuto e la stessa cosa vale per te. Se vogliamo comunicare, dunque, entrambi
dobbiamo cercare di comprendere ciò che l'altro cerca di dirci. La stessa cosa
vale per la spada. Io possiedo una certa tecnica e cerco di esprimerla al
meglio e lo stesso fai tu e da questo nasce quello che noi chiamiamo fraseggio"
Questo dialogo mi ha
permesso di trovare una conferma di un'idea che è maturata in diversi anni di
pratica. Nella pratica della arti marziali è necessario evidenziare spesso la
predominanza dell'aspetto teorico e filosofico che pone l'accento sul lavoro
che ognuno di noi deve compiere su se stesso. Tale aspetto è fondamentale e
pilastro indimenticabile di quella che è la pratica comune dentro e fuori dal
tatami.
Si sente, tuttavia,
parlare poco o in rare situazioni del lavoro a coppia, che, allargato come
concetto, è raffrontabile anche con il combattimento e lo scontro. Se si
riflette bene, infatti, si può osservare come la finalità di un' arte marziale
sia relativa sempre alla presenza di un altro, di qualcuno che non è noi
stessi. Nell'ottica primordiale quell'essere altro era qualcosa da cui ci si
doveva difendere o attaccare e la prova ne è il fatto che, da quando l'uomo ha
imparato ad usare sassi e clave, c'è sempre stato qualcuno che ha usato tali
mezzi per raggiungere uno scopo, legittimo o meno che fosse.
Chiunque abbia avuto la
possibilità di sperimentare un'arte marziale a livello profondo, sia essa
occidentale o orientale, trova in tutte un fondamento comune e cioè una
profonda ritualità nello scontro. Questo aspetto è di fondamentale importanza
poiché allena didatticamente la corretta forma, il corretto atteggiamento
mentale e prepara, secondo un'ancestrale alchimia, anche il nostro corpo ad
accettare ciò che deriverà dallo scontro. Accanto a queste sensazioni, che sono
proprie di un livello già avanzato dello studio del bujutsu, troviamo però
qualcosa di più: è una sorta di intimo contatto che si crea tra i due
praticanti. È impossibile definire questo a parole perché è come cercare di
definire cosa sia l'amore per qualcuno, tanto esso è intimo o personale. Anche
se lo scontro non è letale, la ritualità e soprattutto lo spirito e la
tradizione, che animano quei gesti, consentono a chi li compie di stabilire
qualcosa che sarà difficile dimenticare. Per tornare all'esperienza quotidiana
che ho precedentemente citato, è facile quindi capire come il "fraseggio" di
cui si è parlato sia un dialogo che diviene reale nel momento in cui i due
praticanti iniziano a scambiare i colpi. Da un combattimento, infatti, si può
capire come è fatta intimamente una persona: se è astuta cercherà di trovare
una strategia per porre fine allo scontro a proprio vantaggio, sfruttando le debolezze
dell'avversario; se è scorretto userà qualche trucco poco onorevole e se è
collerico o si fa trasportare dalle emozioni è probabile che si lanci con foga
all'assalto.
In quest'ottica il
combattimento prende un significato tutto nuovo. Non è più il mezzo per
sottomettere o eliminare il nostro avversario, ma diviene un mezzo per
conoscere intimamente qualcuno, coglierne la vera essenza e capire ciò che
spesso le parole non ci possono spiegare. Forse è proprio questa una delle più
grandi lezioni che il bujutsu ci può insegnare e cioè a cambiare il significato
di uno strumento di morte, come lo scontro, in un mezzo per comprendere,
conoscere e amare il nostro prossimo.
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