ARNOLDO DA BRESCIA
Riformatore o rivoluzionario?

Un personaggio poco conosciuto del XII secolo
in lotta contro le ingiustizie del clero del suo tempo

(Giuseppe Marrazzo, in Segni dei tempi, 1991)


Gli storici si sono interessati di Arnaldo da Brescia nel secolo scorso, quando ci fu l'unità d'Italia e il Papato perse i suoi territori; da allora il personaggio è stato completamente trascurato.
Chi era Arnaldo da Brescia? I pareri sono contrastanti.
Secondo il Dizionario di Erudizione storico-ecclesiastica edito a Venezia nel 1840, era un uomo "di scarsi talenti", "accecato dallo spirito di novità e di superbia", "empio apostata", colui che accese "il fuoco della rivolta", "monaco sedizioso", "scellerato"; per altri invece è un uomo "pio", "puro", "austero", "grande predicatore", perfino i suoi avversari testimoniano della santità della sua vita, come Bernardo di Chiaravalle, suo acerrimo nemico, disse di lui: "Fosse la sua dottrina altrettanto buona quanto austera è la sua vita! E uomo che non mangia e non beve, ma soltanto, come il diavolo, ha fame e sete del sangue delle anime", in Storia del Mondo Medievale, vol. IV, Garzanti ed., 1966).
Arnaldo nacque e studiò a Brescia, poi si recò in Francia e divenne allievo di Abelardo, professore all'università di Parigi.
Ritornato in Lombardia subì l'influsso della Patarìa, una sorta di movimento popolare che aveva accumulato energia ad alta tensione.
Non si trattava, a dire il vero, di un'eresia, ma di un movimento che metteva in pericolo l'ortodossia.
Nel 1129 ritornò a Brescia dove ricevette gli ordini maggiori e divenne superiore dei canonici regolari.
Divenne un ottimo predicatore. "Chiamava alla rinascita della vita apostolica e maturò ben presto la convinzione che la riforma della chiesa doveva cominciare da quella del clero" (Manteuffei T., Nascita dell'eresia).
Cominciò a predicare sulla povertà cristiana e sul fatto che le proprietà del clero dovevano ritornare ai laici.
Per queste sue idee rivoluzionarie si inimicò l'appoggio del vescovo. Contro di lui fu poi presentata un'accusa al papa Innocenzo II circa l'ordine e il battesimo dei neonati, ma simile accusa non fu presa in considerazione a Roma.
Nel 1139 il Concilio Laterano lo accusò di eresia, senza alcuna prova a suo carico.
Il Papa lo bandì dall'Italia; Arnaldo si recò in Francia presso Abelardo, proprio mentre questo veniva messo al bando per le sue idee. Scappò insieme con Abelardo, ma mentre questi si fermò a Cluny, Arnaldo proseguì per Costanza.
La persecuzione di Bernardo di Chiaravalle lo raggiunse, e costretto ancora a scappare, trovò un protettore nel cardinale Guido, che regnava sulla Boemia e sulla Moravia, ma anche qui Bernardo lo insegui. Fu così che il Cardinale fece di tutto per riconciliare Arnaldo con la curia di Roma, contro Bernardo.
Il 24 settembre 1143 morì Innocenzo II e Arnaldo tornò in patria.
In quel tempo Roma era soggetta al potere del Papa, mentre al nord le città si trasformavano a poco a poco in repubbliche cittadine.
A Roma il Papa comandava con l'appoggio dei "consules" e dei "capitanei", vassalli della curia.
Alla morte di Innocenzo, Roma approfittò dell'occasione e vi fu una rivolta popolare.

La rivolta popolare di Roma

La città di Roma insorse e venne costituito il Senato, composto da cinquantasei membri, quattro membri per i quattordici quartieri, elessero il "Patricius" nel 1144 e abolirono il prefetto.
Nel 1145,dopo la morte di Lucio II che non era riuscito a sedare la rivolta, per la prima volta, il nuovo papa, Eugenio III, fu eletto fuori dalle mura e stabilì la sua residenza a Viterbo.
Egli apparteneva all'ordine cistercense ed era favorevole al voto di povertà.
Arnaldo fu assolto e per penitenza si dovette recare a Roma, per pentirsi sulle tombe di Pietro e Paolo.
Intanto però i fermenti della capitale esercitavano uno strano influsso su Arnaldo.
Quando, nel marzo del 1147, il Papa si recò in Francia per preparare la seconda Crociata, Arnaldo cominciò a predicare Cristo povero e ad affermare che la povertà è la via della perfezione.
Si dichiarava contrario al fasto e alla venalità dei cardinali, era contro il potere temporale del clero e contro il fatto che un papa, detentore del potere spirituale, esercitasse un governo secolare.
Si dichiarava favorevole alla Repubblica. In breve, divenne il capo spirituale della rivoluzione romana.
Le relazioni tra il Senato ed Eugenio III si aggravarono e nacquero i seguaci di Arnaldo, che saranno chiamati "arnaldisti" o la "setta lombarda".
Il 15 luglio del 1148 il Papa, rientrato dalla Francia, scomunicò Arnaldo da Brescia.
Il Senato chiese la protezione di Corrado III che stava rientrando dalla Terra Santa, ma non ebbe successo, in quanto Corrado voleva ritornare presto in Germania.
Il Senato acconsentì che il Papa ritornasse a Roma e intanto Arnaldo, benché scomunicato, continuava a predicare.
Eugenio III si sentiva insicuro a Roma e così, verso la metà del 1150, fece ritorno a Viterbo.
Il Papa fece di tutto per accattivarsi la simpatia di Corrado III e da questi si fece promettere un'azione punitiva contro il Comune di Roma.
Nel 1152 Corrado muore; così i due partiti di Roma, il Senato e la Curia papale, dovettero cercarsi i favori del nuovo re Federico I Barbarossa.
Vi riuscì Eugenio III. Eccolo rientrare, trionfante, a Roma, nell'autunno del 1152.
Pochi mesi dopo, però, anch'egli muore. Siamo nel luglio del 1153 e viene eletto papa un cardinale centenario, Anastasio IV. A quest'ultimo mancano le forze per combattere contro il Comune, ma anche lui ha i giorni contati, e infatti, il 5 dicembre del 1154 Adriano IV, suo successore assume la guida della Chiesa con energia.
Egli odiava il Comune di Roma e cercava un pretesto per sconfiggerlo definitivamente. Questo non mancò a venire: un cardinale fu ferito per le vie di Roma.
Era l'occasione buona! Il Papa agì con astuzia e con rapidità, mise la città sotto l'interdetto, cosa che non era mai accaduta a Roma, bandì dalla capitale Arnaldo, tutte le chiese furono chiuse e i preti ricevettero l'ordine di non celebrare la Pasqua.
Il popolo insorse e chiese la capitolazione del Senato di fronte al Papa. Nel 1155 Arnaldo lasciò Roma.
Nel frattempo, però, già dall'autunno del 1154 Federico Barbarossa avanzava dal Nord verso Roma. Il Papa lo incontrò a Viterbo e gli chiese di consegnargli Arnaldo da Brescia, il quale era stato fatto prigioniero in Toscana.
Arnaldo fu consegnato al prefetto romano. La Repubblica era stata definitivamente sconfitta.
Un tribunale ecclesiastico fece il giudizio all'eretico e fu decretata la condanna. Il 19 giugno 1155, fu impiccato e arso. Le sue ceneri furono disperse nel Tevere "poiché non era senza fondamento ilftimore che il popolo onorasse le reliquie di questo scellerato, cui alcuni riguardavano qual martire".
Così finì miseramente la vita di questo grande riformatore.
Arnaldo aveva visto giusto. Aveva predicato sulla necessità che la Chiesa facesse ritorno alla povertà evangelica, chiedendo al Papa di abbandonare i beni temporali e di consegnarli ai principi. Aveva insegnato la legittimità delle decime, la decima parte dei beni, data alla Chiesa per permettere un umile ma necessario sostentamento del clero, senza dipendere dalle regalie.
Desiderava che l'eucarestia fosse celebrata "sub duas species" cioè non solo con il pane ma anche con il vino. Il battesimo doveva essere una scelta compiuta da adulti e infine la confessione andava fatta a Dio e alle persone offese, piuttosto che al vescovo o al prete.
Fu un uomo di grande ingegno, di singolare erudizione, possedeva una viva eloquenza da tribuno, aveva austerità di costumi, macerava la sua carne ma era anche un uomo d'azione.
Vale per tutti il giudizio dello storico Gioacchino Volpe: «Forse in pochi altri riformatori si vide mai tanta unità e molteplicità d'intenti e di vedute, come in Arnaldo» (G. Volpe, Movimenti religiosi e sette ereticali nella società medievale italiana, Sansoni 1922).


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