LETTERA APERTA A BIFFI
Khaled Fouad Allam
Docente di Sociologia del mondo musulmano all'Università di Trieste

(La Stampa, 28 settembre 2000)


Amico cristiano,
ti scrivo questa lettera in un momento di profonda tristezza e disperazione. 
Ci sono parole che feriscono, che sembrano farci precipitare in un grande abisso, perché aggiungono sofferenza alla sofferenza, dolore al dolore. Così ho letto di recente che il cardinale Biffi avrebbe invitato le autorità italiane a scegliere fra gli immigrati gli appartenenti al cristianesimo perché noi musulmani saremmo in qualche modo una minaccia per l'identità europea e per il cristianesimo.
Ti devo dire che ho veramente paura perché fu così che un secolo fa iniziarono i pogrom; il resto della storia lo conosciamo. Noi musulmani, immigrati, stranieri, non vogliamo diventare gli ebrei del XXI secolo.
La cultura del sospetto è sempre il primo passo verso l'annientamento dell'altro. Ma, ti assicuro, la mia paura non è quella del cristianesimo in sé, la mia paura è che «apprendisti stregoni» utilizzino il cristianesimo o qualsiasi altra religione per erigere nuove barriere. Per questo motivo Beirut e Sarajevo  sono  stare  messe a fuoco e sangue, lo dobbiamo ricordare. Ti assicuro che ho sempre considerato il cristianesimo come la religione del perdono e della compassione; ed anche noi musulmani, nel più profondo della nostra sofferenza, abbiamo visto nel martirio avvenuto pochi anni fa in Algeria dei sette monaci cattolici di Timirin l'immagine di Cristo che accetta la propria morte come redenzione dei peccati altrui. Ed anch'io ho pianto quando ho saputo della loro terribile sorte, perché essi ci avevano offerto la propria morte in segno d'amore per noi musulmani. E quanti musulmani, donne, bambini, uomini di buona volontà sono morti nel silenzio della storia perché pensavano che l'Islam fosse  innanzitutto  religione del rispetto e della misericordia? Così come io non posso identificare  in  Gesù  Cristo l'inquisizione o la colonizzazione, ma riconosco in esse la violenza della storia e la follia degli uomini, non voglio che in noi si identifichino temibili avversari, esseri violenti, peggio, una religione della crudeltà. So bene che le cose da noi non sono facili; la prova è che alcuni di noi, e non sono pochi, a rischio della propria vita, in questi ultimi anni hanno gridato che l'Islam non era un «mostro».
La lista di coloro che si battono per un umanesimo dell'Islam è lunga: per questo, il dialogo lo temono  in  molti.  La vera debolezza, la fragilità umana la vedo proprio nella volontà di dominio dell'uno sull'altro, perché la violenza è espressione di fragilità e non di forza.
Caro amico,  costruire la convivenza non è facile ma non ci sono alternative, proprio per evitare che la storia  stessa si trasformi in inferno. Non ha detto il Santo Padre «Vi ho dato il perdono datemi la speranza!»?