( http://www.sangennaro.connect.it/miracolo.htm
)
Il "Miracolo"
Per la festa
dell'Assunta del 1389 il partito filo-avignonese indisse grandi festeggiamenti
cittadini per accogliere un'ambasceria proveniente da Avignone.
Nel corso di quelle manifestazioni vi fu anche l'esposizione pubblica della
reliquia di sangue di San Gennaro.
Sotto la data del 17 agosto il cronista annota che vi fu una grandissima
processione per il miracolo mostrato da Gesù Cristo nel sangue di San Gennaro,
conservato in un'ampolla, che si era liquefatto come se fosse sgorgato quel
giorno stesso dal corpo del santo Dal testo si ricava l'impressione che il
fenomeno si verificasse allora per la prima volta. Del resto, la Cronaca di
Partenope, precedente di qualche anno, pur ricordando diversi "miraculi"
attribuiti alla potenza di San Gennaro, non menziona mai una reliquia di sangue
del martire.
Dal 1389 il culto della reliquia di sangue di San Gennaro, conservata
onorevolmente presso la cattedrale di Napoli, si andò intensificando: nel 1425
Loys de Rosa scriveva che il miracolo avveniva spesso, e nel 1440 l'arcivescovo
Gaspare de Diano riorganizzava il culto verso il santo martire con un'apposita
costituzione liturgica che menzionava il miracolo.
Ed è proprio tra XV e XVI secolo, e non prima, che si comincia a formare la pia
quanto fantasiosa leggenda di una liquefazione del sangue di San Gennaro nei
pressi di Antignano sulla collina del Vomero, mentre i santi resti venivano
traslati da Pozzuoli a Napoli.
Il sangue di San Gennaro è custodito in due balsamari vitrei di piccole
dimensioni e di foggia diversa, che una particolarità di manifattura nella
strozzatura del collo fa datare ai primi decenni del IV secolo.
La totale assenza di notizie prima del 1389 non consente di dire dove fosse
conservata questa reliquia. Ma in via ipotetica non si può escludere che essa
venisse custodita, insieme ai resti del cranio, nella chiesa cattedrale fatta
costruire dal vescovo Stefano I e dedicata al Salvatore, luogo che fino al
XII-XIII secolo fu il centro del culto urbano verso il martire da quando le
catacombe extramurarie cominciarono a essere poco sicure.
La
liquefazione delle reliquie di sangue
una proposta
di spiegazione
( A cura di Marcello Guidotti,
http://www.nemesi.net )
Un miracolo è un evento che si presenta
all'esperienza umana con caratteristiche tali che le leggi naturali conosciute
sembrano annullate o sospese, di modo che è generalmente attribuito
all'intervento della potenza divina: svariati eventi descritti nel Vecchio e
Nuovo Testamento sono considerati miracoli.
Molti filosofi razionalisti hanno respinto il concetto di miracolo: David Hume
sosteneva che un miracolo è una violazione del comune corso della natura e
perciò non può verificarsi. Tuttavia, questa argomentazione - a rigore
un'affermazione - presuppone una completa conoscenza del "comune
corso" della natura. E dal momento che non possiamo vantare una simile
conoscenza, si presenta più corretta la posizione di Sant'Agostino, il quale
definì i miracoli non come qualcosa di "contrario alla natura" ma
come qualcosa di opposto solo a "ciò che conosciamo della natura".
Purtroppo i miracoli poco si prestano ad aggiungere qualcosa alla nostra
conoscenza della natura, in quanto - per definizione - sono caratterizzati
dall'unicità, e solo se si presentassero con una certa frequenza potrebbero
essere studiati con il dovuto rigore scientifico. Però accanto ad ineffabili
"miracoli" che hanno la caratteristica dell'unicità o comunque
dell'imprevedibilità del loro verificarsi (statue che lacrimano, improvvise
guarigioni, ecc.), se ne indica un altro che si ripete con sorprendente
regolarità.
Nel Duomo di Napoli, nella cappella dedicata a San Gennaro, sono custodite due
ampolle ermeticamente chiuse, contenenti - secondo la tradizione - il sangue del
Santo. Questo sangue, che si presenta raggrumato, ha la singolare caratteristica
di liquefarsi a scadenze regolari.
Secondo la documentazione storica, San Gennaro, vescovo di Benevento, fu
decapitato a Pozzuoli nel 386; il suo corpo venne portato nelle catacombe di
Napoli, quindi a Benevento, poi a Montevergine, infine ancora a Napoli nel 1497.
La prima liquefazione del sangue del martire storicamente documentata è del 17
agosto 1389, quando un anonimo donò la reliquia alla Chiesa. Da allora, dopo
nove secoli, le liquefazioni avvengono ancora oggi, in date che presentano una
certa regolarità, senza alcun apparente intervento esterno. Questo fenomeno si
ripete due volte l'anno: il Sabato precedente la prima Domenica di maggio
(ricorrenza della traslazione del corpo di San Gennaro da Pozzuoli a Napoli) e
il 19 settembre (anniversario del martirio). Comunque, l'evento non è così
regolare: dopo una solenne processione con la reliquia, iniziano fervidissime
preghiere nel Duomo di Napoli dove possono trascorrere molte ore o giorni prima
che il fenomeno si presenti.
E in questo caso, le preghiere assumono accenti di ansia e di impazienza, per
trasformarsi poi in vere e proprie esortazioni.
Ciò premesso, considerando che molti credenti liquidano con un'alzata di spalle
qualsiasi proposta di spiegazione non miracolistica, cerchiamo di percorrere
passo dopo passo il procedimento concettuale necessario per impostare una
discussione con il metodo scientifico.
Occorre premettere che le ampolle contenenti le reliquie si presentano
all'osservazione come una "scatola nera": un oggetto che manifesta una
certa fenomenologia osservabile e suscettibile d'alcune misurazioni, ma che non
ci è consentito aprire per esaminarne il contenuto. Per fare un esempio,
immaginiamo di porre una scatola di vetro riempita con paglia e sigillata vicino
ad una bussola. Se vedessimo l'ago della bussola ruotare, saremmo autorizzati a
pensare che la scatola contiene un magnete nascosto dalla paglia. Però, se
studiando meglio il fenomeno ci accorgessimo che la rotazione dell'ago si
manifesta solo in presenza di luce - e non sempre - dovremmo dedurne che se la
scatola contiene una calamita, questa ha davvero un comportamento bizzarro...
Fatto è che dal 1820, grazie agli esperimenti del fisico danese Hans Christiaan
Oersted, è noto che anche un circuito elettrico percorso da corrente genera un
campo elettrico capace di orientare l'ago di una calamita. Così, per i moderni
studiosi, la scatola conterrebbe non un magnete, bensì un circuito elettrico
(solenoide) alimentato da una fotocellula. La presenza di luce attiva la
fotocellula (la paglia nasconde il contenuto della scatola ma non impedisce il
passaggio della luce) provocando nel circuito un passaggio di corrente con
associato il campo magnetico che orienta l'ago della bussola. Tutto ciò, però,
si verifica generalmente solo se la luce è quella solare, anche se debole (le
leggi dell'effetto fotoelettrico dimostrano che al di sotto di una certa
frequenza, le radiazioni elettromagnetiche, indipendentemente dalla loro
intensità, non provocano l'effetto fotoelettrico). E sarebbe difficile
convincere gli studiosi che il contenuto della scatola fosse un magnete dal
bizzarro comportamento (sebbene non potrebbero dimostrare la loro teoria senza
aprire la scatola); però, la stesso fenomeno confonderebbe chi ha scarsa
dimestichezza con la fisica.
La scatola nera del nostro esempio è un oggetto facilmente costruibile e
riproducibile e dunque non è unica. Così, se ne scoprissimo qualche altro
esemplare, anche le persone meno addentro ai principi della fisica, dovrebbero
concordare che il comportamento dell'improbabile calamita non è davvero unico.
E magari comincerebbero a dar credito a qualche altra spiegazione, magari basata
proprio sull'effetto fotoelettrico.
Ebbene, anche le ampolle contenenti il sangue miracoloso non sono uniche.
Infatti, l'annosa diatriba sulle reliquie del sangue di San Gennaro ha messo in
ombra le altre testimonianze del fenomeno che si ripete in molte chiese
napoletane: ricordiamo le reliquie del sangue di S. Stefano, custodite
nell'antico monastero delle Clarisse in piazza del Gesù le reliquie del sangue
di San Giovanni e di San Lorenzo, custodite nella chiesa di San Gregorio Armeno;
le reliquie del sangue di San Luigi Gonzaga e di San Pantaleone, custodite nella
chiesa del Gesù Vecchio. Tuttavia, la liquefazione di queste reliquie, e -
secondo indiscrezioni - di altre reliquie custodite nelle cappelle private di
alcune ricche famiglie gentilizie, non si ripete in date regolari.
Se ora consideriamo le secolari peripezie che queste reliquie presumibilmente
hanno dovuto attraversare per giungere - secondo le documentazioni - alle
ampolle, e pensando alle centinaia di martiri ricordati dalla storia, viene da
stupirsi che non siano disponibili decine di reliquie miracolose.
Tuttavia, allontanandoci da Napoli, vi sono altre due reliquie per le quali il
fenomeno della liquefazione si presenta con regolarità:
San Pantaleone: il sangue è racchiuso in un'ampolla di vetro e, secondo
la tradizione, si liquefa ogni anno il 27 luglio, nel giorno del martirio del
Santo, decapitato a Nicomedia nel 325 sotto l'imperatore Massimiliano. Il sangue
del martire venne raccolto da una pia donna in una grande ampolla trasparente.
La reliquia è custodita nella cappella omonima del Duomo di Ravello (circa 60
km da Napoli) e richiama tutta la popolazione della riviera amalfitana che, a
seconda del tempo impiegato dal sangue per liquefarsi, e dal grado più o meno
completo della liquefazione, usa trarne oroscopi per l'annata. Le documentazioni
disponibili datano la prima liquefazione dal 1112.
San Lorenzo: Il sangue, racchiuso in un'ampolla di vetro, si liquefa ogni
anno il 10 agosto, nel giorno del martirio del Santo, avvenuto a Roma nell'anno
258 sotto l'imperatore Valeriano. Secondo la tradizione, un soldato romano che
assistette al supplizio - mediante graticola posta su carboni ardenti - raccolse
con uno straccio gocce di sangue e grasso mentre il martire spirava, portandole
al paese di Amaseno (circa 100 km da Roma) dove la reliquia è custodita nella
chiesa. Le documentazioni disponibili datano le prime liquefazioni dopo il 1600.
Tutte queste reliquie sono davvero troppe per parlare di evento unico e
miracoloso. Così, sul fenomeno della liquefazione dei "sacri grumi"
raccolti nelle antiche ampolle, il Vaticano ha sempre mantenuto un atteggiamento
distaccato. Le fonti ecclesiastiche lo hanno sempre definito come prodigio, e
non hanno mai parlato ufficialmente di miracolo. Questa distinzione è sottile:
mentre il miracolo si definisce come un fatto che ha per causa un intervento
soprannaturale, il prodigio - sebbene esorbiti o sembri esorbitare
anch'esso dall'ordine naturale delle cose - è interpretato come l'annuncio
divino d'eventi.
Da quanto esposto, è più che giustificabile cercare una possibile spiegazione
scientifica.
Qualsiasi fenomeno fisico o chimico che sia ripetibile e di discreta durata si
presta bene, in generale, all'osservazione diretta e quindi può essere
agevolmente studiato e per quanto possibile spiegato. Così, lo studioso che
esaminasse la scatola di vetro del nostro esempio, non tarderebbe a constatare
le circostanze in cui si manifesta il fenomeno: la presenza di luce, ma non
quella fornita da un gruppo di candele accese. Pertanto, articolerebbe la sua
spiegazione in tre punti:
In questo caso, poiché l'ipotesi principale H, è
condizionata e supportata da un'ipotesi ausiliaria A, si tratta di
valutare se quando si presenta la situazione sperimentale H, è
verificata anche l'ipotesi ausiliaria.
Questo che sembra una sorta di espediente, però non è arbitrario: sebbene le
ipotesi ausiliarie possano essere sempre aumentate in modo da sostenere H,
ciò si può fare finché la spiegazione non diventi talmente complicata da
preferire una nuova teoria. In questo caso, l'esperienza suggerisce di applicare
il cosiddetto "rasoio di Ockam": fra due ipotesi è preferibile la
più semplice in quanto richiede meno condizioni da verificare.
A questo punto, occorre precisare che il genere di osservazioni e dati che è
ragionevole raccogliere per formulare una teoria, non è determinato dal
problema in esame, ma da un'ipotesi di spiegazione che il ricercatore prende in
considerazione. Le osservazioni servono appunto per verificare le ipotesi.
Dunque, anche se la cosa può apparire sorprendente, le ipotesi scientifiche non
sono derivate dai fatti sperimentali (le osservazioni sperimentali possono
essere considerate rilevanti o irrilevanti soltanto facendo riferimento ad una
certa ipotesi, ma non ad un preciso problema, altresí occorrerebbe esaminare un
numero indefinito di condizioni), ma immaginate per spiegare i fatti osservati.
Tuttavia, per quanto vi sia libertà nelle "immaginazioni", queste
devono passare un minuzioso esame critico che comporta, in particolare, il
controllo. Molte ipotesi scientifiche vengono espresse in termini quantitativi:
in questi casi, si possono formulare le cosiddette "leggi", o più
correttamente modelli matematici, che permettono di fare previsioni.
Quando è impossibile un controllo sperimentale riproducibile, allora l'ipotesi
può essere controllata aspettando il verificarsi di quei casi in cui le
condizioni specificate siano realizzate naturalmente (sic!).
Nel caso delle reliquie di sangue, il fenomeno della liquefazione (più
correttamente, fluidificazione: il sangue passa da uno stato di consistenza
gelatinosa ad uno stato fluido, facilmente evidenziabile capovolgendo le
ampolle) si manifesta - apparentemente - in presenza di sollecitazioni
meccaniche: spostamenti della reliquia, terremoti, ostensioni.
Il breve sommario - riferito alle reliquie di San Gennaro - riportato nel
riquadro, fornisce qualche esempio relativo a fluidificazioni avvenute in date
non canoniche. Anche per la reliquia di San Lorenzo possiamo citare due
fluidificazioni straordinarie: nel 1967 al termine di un'ostensione di una
settimana a Firenze e nel 1969, durante il viaggio di ritorno da un
pellegrinaggio a Milano.
Le ampolle contenenti il sangue di San Gennaro vengono
mostrate agli illustri personaggi che visitano la cappella del tesoro ed in
queste occasioni il sangue si è fluidificato molte volte, mostrando una
notevole quanto sfaccettata "personalità". Ad esempio, durante la
campagna di Napoleone in Italia, nel giugno del 1799, il generale francese
Championnet entrò a Napoli con le sue truppe e, per prevenire disordini, pensò
alle miracolose ampolle: perentoriamente sollecitò il cardinale ad intercedere
perché avvenisse il miracolo... e San Gennaro acconsentì. Nel 1986, il
cardinale di Napoli, Michele Giordano, mentre saliva i gradini del Duomo, cercò
di baciare un'ampolla... San Gennaro, evidentemente compiaciuto da tale
devozione, fece il miracolo. E così il 6 maggio 1989, durante la processione
guidata ancora dal cardinale Giordano dalla Basilica di Santa Chiara al Duomo.
Anche il 18 maggio 1992, in occasione della visita di Andrew Bertie, Gran
Maestro del Sovrano Militare Ordine di Malta, le ampolle - estratte dalla teca
in cui sono custodite - hanno mostrato il sangue prontamente fluidificatosi dopo
un minuto di preghiere. Per contro, mostrando uno "spirito"
repubblicano, il miracolo non si é mai verificato in presenza dei sovrani di
Casa Savoia. E nemmeno in occasione della visita di papa Pio IX il secolo scorso
e di papa Giovanni Paolo II nel novembre 1990. Faceva freddo o... San Gennaro è
indispettito per una vecchia bolla pontificia del XVII secolo?
La bolla, vietava l'ostensione della reliquia - pena la scomunica - a chiunque,
con la sola eccezione del Papa, dei suoi rappresentanti e dei membri della
casata Colonna, prìncipi amministratori della regione. La bolla venne
dimenticata nella prima metà del secolo successivo, quando ripresero le
ostensioni pubbliche.
Tuttavia, si può obiettare che la fluidificazione si presenta anche quando la
reliquia è in posizione di quiete, sebbene - come qualcuno ha ipotizzato - in
questi casi si possa pensare ad eventuali manovre manuali, anche fortuite, le
quali comunque non sempre produrrebbero la fluidificazione. E quanto a questo,
occorre sottolineare che le sollecitazioni meccaniche necessarie per la
fluidificazione possono richiedere di volta in volta intensità e durata
differenti. D'altra parte, la comoda ipotesi di manovre manuali è da trattare
con cautela giacché almeno in un caso queste si possono senz'altro escludere:
l'ampolla contenente il sangue di San Pantaleone, dal 1617 - anno in cui fu
completata la cappella omonima - venne collocata in un'urna dorata chiusa da
robuste inferriate, in modo da "evitare che si concedesse oppure si
promettesse alcunché minima parte della preziosa reliquia a qualsiasi persona
anche se insignita di autorità o di ufficio, pena la scomunica ipso facto
incurrenda", perché la maggior parte del sangue era già stato donato
a diverse città o personalità. Però, in questo caso, la sicura collocazione
della reliquia, oltre ad impedirne l'ostensione, non permette di giudicare
oggettivamente il verificarsi della fluidificazione, a meno di volerla
riscontrare a tutti i costi. Inoltre, ho osservato personalmente che il
"sangue" è in considerevole quantità forse troppa...
Ora, ciò che interessa il metodo scientifico non è tanto il comportamento del
fluido contenuto nelle ampolle, piuttosto qual è la logica che permette di
sostenere che l'evento H è causa di un effetto I.
Conan Doyle fa dire a Sherlock Holmes: "Quando hai eliminato tutte le
ipotesi impossibili, ciò che resta, per quanto improbabile, deve essere la
verità". Quest'affermazione perentoria, più che altro va intesa come un
suggerimento volto a vagliare qualunque ipotesi sebbene improbabile. Così, in
passato, si pensava che la liquefazione fosse indotta dall'attesa dei fedeli
che, concentrandosi in preghiera nell'attesa del miracolo, in qualche modo
catalizzassero l'evento. Questa spiegazione, che invoca discutibili fenomeni
paranormali, non è certo soddisfacente. Viceversa, appare più verosimile
pensare che i mesi in cui avviene l'evento siano caratterizzati da temperature
relativamente elevate, che incrementate dal calore delle candele e da quello
dissipato dalla folla dei fedeli (occorre considerare che ogni persona, già in
condizioni d'immobilità, scambia con l'ambiente 100 calorie ogni ora)
richiamata all'interno delle chiese nei giorni d'attesa dell'evento,
trasferiscono alle reliquie l'energia necessaria per portarle in una condizione
nella quale vibrazioni anche poco intense, come quelle che si verificano durante
l'ostensione, possono completare la fluidificazione.
A sostegno di questa ipotesi, come passo successivo, dobbiamo cercare di
comprendere quali caratteristiche debba avere una sostanza per mostrare la
transizione gel-liquido.
Queste sostanze le troviamo anche in cucina: ketchup, gelatina, maionese,
senape e miele, sono esempi di fluidi la cui viscosità diminuisce quando
vengono sottoposti a sforzi di taglio; ad esempio spalmandole con un coltello, o
estrudendole da un tubo come quello delle paste dentifrice. Detto comportamento,
è conseguenza del fatto che le molecole componenti sono
"aggrovigliate" tra loro in modo da conferire all'insieme una certa
consistenza. Queste molecole, sottoposte a trazione, tendono a sgrovigliarsi e
passano in uno stato più fluido. Anche la temperatura ha influenza sulla
viscosità che, generalmente, subisce la maggior diminuzione percentuale tra 10
e 40 0C. La ragione è facilmente intuibile pensando
che il calore fornisce l'energia necessaria per spezzare i deboli legami
elettrostatici che "aggrovigliano" la struttura delle sostanze.
Ovviamente, se dalla cucina ci spostiamo in un laboratorio chimico, possiamo
disporre di sostanze che presentano caratteristiche più intriganti...
Nel 1991, due ricercatori, seguendo una traccia nota dal 1923, hanno preparato
una miscela - composta da carbonato di calcio, cloruro ferrico e cloruro di
sodio - che ha un aspetto simile al contenuto delle ampolle miracolose. La
miscela con una leggera scossa si disorganizza, passando in uno stato fluido
facilmente evidenziabile capovolgendo la boccetta in cui è contenuta. Una
sostanza simile a questa potrebbe essere presente nelle ampolle contenenti le
reliquie. Inoltre, le proprietà di certe miscele - dette tissotropiche - sono
abbastanza particolari, in quanto richiedono per la loro fluidificazione,
l'applicazione di forze ogni volta d'intensità differenti. Questo fatto
potrebbe spiegare perché ogni fluidificazione si presenta irregolarmente. Per
esempio, se la sostanza tissotropica si trova in uno stato metastabile molto
energetico, una sollecitazione di debole intensità può essere sufficiente per
portare la struttura in uno stato di maggior fluidità.
Una sostanza tissotropica che si comporti come le reliquie in questione, rappresentata su un reogramma tridimensionale, potrebbe avere il seguente comportamento: inizialmente si trova nel punto metastabile P1 (energia E1) nello stato di gel (viscosità h1). Per assorbimento di calore, la sostanza acquista l'energia necessaria per portarsi (mantenendosi nel piano profilato in blu) dal punto P1 al punto P2 di energia E2 e viscosità h2 = h1 (questa ipotesi comporta diminuzione di generalità) ; di qui, spostandosi spontaneamente (energia E3<E2) nel punto P3 (fuori dal piano) prende a fluidificare (h3 < h2); infine, con ulteriore diminuzione di energia, la sostanza si riorganizza tornando nello stato iniziale, oppure in un punto ad esso sottostante: in questo caso, la prossima fluidificazione richiederà un maggior trasferimento di energia. |
A questo punto, è facile obiettare che la similitudine
del comportamento di una miscela tissotropica con quello delle reliquie
miracolose, non permette di inferire necessariamente l'identità delle due
sostanze: le reliquie potrebbero effettivamente contenere sangue.
Questa obiezione è corretta: se una scatola nera A si comporta in modo
simile ad una scatola trasparente B, non è lecito inferire che il
contenuto delle due scatole sia lo stesso. Si può solo concludere che B
è un modello soddisfacente di A.
Gli esami effettuati nel 1902, a metà degli anni '30 e nel 1989, avrebbero
confermato che le ampolle contengono sangue.
In effetti, questi esami rispettosi dell'integrità delle reliquie - che non
sono state aperte - hanno permesso di individuare solo la presenza di ferro.
Ora, sebbene il ferro sia un elemento caratteristico dell'emoglobina, è ovvio
che la sua presenza non implica necessariamente quella dell'emoglobina,
componente essenziale del sangue.
D'altra parte, anche la presenza di emoglobina non sarebbe probatoria: le
ampolle potrebbero contenere piccole quantità di sangue miscelato con una
sostanza tissotropica. Per di più, molte specie di piante appartenenti al
genere Dracaena contengono sostanze resinose rossastre (il cosiddetto
sangue di drago) usate in medicina popolare e come sostanze coloranti. Unendole
con grasso animale, si ottiene una miscela di aspetto simile al sangue: la
reliquia di San Lorenzo è stata descritta come costituita da "sanguine et
pinguedine".
Comunque, anche il sangue, come molti fluidi biologici (latte, linfa delle
piante), presenta il fenomeno della tissotropia: è sufficiente che non sia
coagulato, bensì sedimentato. E quanto a questo, occorre sottolineare che non
è affatto certo che il sangue - se di sangue si tratta - sia coagulato.
Infatti, la coagulazione comporta che la parte corpuscolata del sangue, venga
intrappolata in una fitta rete di fibrina, la quale forma una struttura molto
compatta che in nessun caso può distruggersi e poi riformarsi. Tuttavia, la
coagulazione può essere impedita con varie modalità.
Galeno (129-201) ed i suoi discepoli dell'alto medioevo iniettavano a scopo di
ricerca autoptica sostanze coloranti nei vasi sanguigni. E' dunque probabile che
fra varie sperimentazioni abbiano trovato il modo raggiungere questo risultato.
Ad esempio, addizionando al sangue sale da cucina e succo di limone (ottenendo
citrato sodico). Né si può escludere che la coagulazione sia stata impedita da
interferenze prodotte dal vetro delle ampolle, che avrebbe inibito uno o più
dei delicati stadi che portano alla formazione della fibrina.
Sebbene questa discussione dei fenomeni relativi alle fluidificazioni sia
ragionevolmente completa, il problema, per il credente, resta aperto. E non si
può dargli torto. Vi sono almeno due buone ragioni per rifiutare la spiegazione
scientifica...
La prima ragione è ovvia: il massimo che possiamo pretendere da una teoria è
che questa concordi con i fatti con il più alto grado di accuratezza
pretendibile dai nostri mezzi di misurazione. Poiché non abbiamo fatto misure,
il grado di accuratezza della teoria proposta non è valutabile; anzi, potrebbe
essere falsa.
La seconda ragione - come ha chiarito il filosofo Karl Popper - è
epistemologica: è più facile provare che una teoria sia falsa piuttosto che
vera. Infatti, lo stesso fenomeno può avere differenti spiegazioni possibili.
La plausibilità di una teoria non è una garanzia. Una teoria nasce per
spiegare un insieme di fenomeni osservati in natura o prodotti nei laboratori
scientifici. Tuttavia, una teoria non è un teorema matematico, che può essere
dimostrato a partire da certi presupposti, non importa se siano veri o falsi. E
proprio perché una teoria non è un teorema matematico - secondo Popper - non
si può provare che è "vera", giacché non si può escludere che la
vera descrizione della realtà risieda in un'altra teoria. Questo perché, nel
formulare una teoria, teniamo sotto osservazione i soli fenomeni che riteniamo
significativi.
Comunque, questo limite delle teorie merita una precisazione. Isaac Asimov, il
noto romanziere e divulgatore scientifico, propose un interessante paragone a
proposito della teoria dell'evoluzione ma la cui congruità è valida in
generale. Eccolo: "Io guido un'automobile e voi anche. Io, per esempio, non
conosco esattamente il funzionamento del motore. Forse neanche voi. E può darsi
che le nostre idee confuse e approssimate sul funzionamento di un'automobile
siano un po' contraddittorie. Dobbiamo dedurre da questo disaccordo che
l'automobile non funziona o non esiste? O, se i nostri sensi ci obbligano ad
ammettere che l'automobile esiste e funziona, dobbiamo concludere che è spinta
da un cavallo invisibile perché la nostra teoria sul motore è
imperfetta?".
Allora, perché rifiutare teorie che confutano fenomeni apparentemente
inspiegabili?
Proprio perché sono solo teorie, ossia congetture che magari hanno una certa
probabilità di essere vere, ma sempre congetture, si risponde. Accettare questa
obiezione significa non aver compreso il metodo scientifico o essere molto
dotati di... preconcetti!
Chi respinge il concetto di miracolo, crede di avere un alleato nella logica,
mentre offre solo una manifestazione di "pensiero debole".
I credenti affermano che fra tutti gli eventi osservabili o tramandati, vi è
qualche miracolo. Una simile affermazione, che in forma astratta equivale a
"per tutti gli X, vi è qualche Y", è priva di
contenuto empirico in quanto non possiamo essere certi di aver esaminato e
controllato tutti gli X possibili, né di aver visto tutti gli Y
(a causa della limitazione "qualche"). In altre parole, questo è un
procedimento d'indagine deduttiva che, oltre a non essere informativo, in quanto
le conclusioni sono contenute nella premessa, porta ad una generalizzazione che
non è necessariamente vera. Infatti, consideriamo la seguente argomentazione:
Come è chiaro, la conclusione (3) si basa su un assunto
dogmatico (2) giacché le leggi naturali non sono note in tutte le condizioni.
Da quanto discusso, appare evidente che il modo più corretto per concludere
questa discussione, che ha fini puramente speculativi ed è propriamente
inerente l'epistemologia, è ricordare la cosiddetta "scommessa di Pascal"...
supponiamo di accettare la dottrina della Chiesa Cattolica. Se la Chiesa è nel
falso, non guadagneremo né perderemo, ma se è nel vero otteniamo la
possibilità di andare in cielo. Se viceversa non accettiamo la dottrina
cattolica, ci neghiamo la possibilità della salvazione. Dunque, conviene
credere... ma con lo stesso ragionamento dovremmo credere a tutte le religioni?
William James sosteneva fermamente la sua volontà di credere. Magari in quella
cristiana perché ha il conforto dei miracoli. Bertrand Russell affermava la sua
volontà di dubitare. Ma, in conclusione, il punto in discussione è la fede. E
la fede, almeno quella nelle cose celesti, non deve aver bisogno di prove.
Così, la posizione corretta è quella di monsignor Luigi Pignatello portavoce
del cardinale Giordano, intervistato a proposito del miracolo di San Gennaro:
«E' la fede che vi attribuisce un intervento di Dio», precisando però che il
suo non è scetticismo: «Dico soltanto che non ho bisogno di miracoli!»
Il
miracolo di S. Gennaro
( http://www.aureliolatella.it/vaticano/sangennaro.html
)
Vergogna somma per la Chiesa che
sfrutta fenomeni da baraccone per mantenere la presa sulle masse incolte, e ha
l'arroganza di rifiutare qualsiasi controllo scientifico. Lo stesso vale per la
Sacra Sindone, Lourdes, ecc...
Ecco come realizzare il miracolo di S. Gennaro secondo il Prof. Garlaschelli
dell'Università di Pavia, membro del CICAP:
Materiali utilizzati:
cloruro ferrico, carbonato di calcio, cloruro di sodio, un tubo da dialisi (nel
medioevo hanno probabilmente utilizzato dei budelli animali).
Sciogliere 25g di cloruro ferrico in 100 ml di acqua e si otterrà una soluzione
rossiccia. Aggiungere lentamente agitando 10 g di carbonato di calcio, essendo
la soluzione di cloruro ferrico acida si avrà produzione di CO2. Le quantità
relative di cloruro ferrico e di base possono variare ma si deve evitare la
precipitazione completa dell'idrossido di ferro formatosi. Il cloruro ferrico
non reagito e il cloruro di calcio formatosi saranno eliminati per
dialisi.
Si otterrà una soluzione marrone scuro a causa della formazione di FeO(OH)
colloidale. Per dializzare usare circa 30 cm. del tubo da dialisi, bagnarlo bene
e chiuderlo con un nodo a una estremità.
Riempire il tubo fino a circa metà del suo volume, con la miscela da purificare
e immergerlo, appendendolo ad un sostegno in un barattolo di acqua distillata,
si può usare anche acqua piovana. Sospendere il tubo in modo che il livello
della soluzione sia uguale a quello dell'acqua nel barattolo. Il livello
all'interno del tubo aumenterà presto a causa dell'osmosi (dell'acqua entra nel
tubo, mentre i sali ne escono).
L'acqua distillata si dovrà cambiare tre o quattro volte ad intervalli di circa
24 ore, fino a che non è più gialla. Si otterrà un volume finale di soluzione
circa doppio di quello di partenza. Questa soluzione può ancora essere
concentrata e le concentrazioni finali utili di FeO(OH) dovrebbero essere tra 5
e 10 per cento. Per concentrare la soluzione si può versarla in un contenitore
largo e farla evaporare al sole. Dopo questa operazione si deve arrivare ad un
volume non minore di quello iniziale (circa 100 ml). Versare ora un po' di
questa soluzione
in una bottiglietta, meglio se rotonda e schiacciata con un volume di circa 50
ml (per esempio una bottiglietta da liquore), aggiungere una piccola quantità
di sale da cucina e agitare bene.
Lasciare a riposo un paio d'ore e controllare se è gelatinizzata, in caso
contrario aggiungere sale. Il gel che si ottiene dopo adeguato riposo tornerà
liquido per effetto di movimenti, o piccole scosse e il processo è ripetibile a
volontà. Questo è solo un esempio di gel tissotropico, ovvero capace di
passare dallo stato solido a quello liquido se scosso. Naturalmente resterà
ignota la composizione di quello presente nell'ampolla di san Gennaro, dal
momento che la Chiesa Cattolica non permetterà mai di effettuare
un'analisi.
Giù
le mani da San Gennaro
Reazioni sdegnate da Napoli
dopo le spiegazioni scientifiche della Hack sul miracolo
(Walter
Sacchetti)
Il cardinale: «Il liquido contiene emoglobina, componente del sangue»
L'astrofisica Margherita Hack aggiunge il suo
nome alla lunga lista di coloro che hanno ipotizzato spiegazioni scientifiche al
miracolo di San Gennaro.
E, come già in altre occasioni, a Napoli si reagisce - ricorrendo anche
all'ironia - per respingere l'idea che la liquefazione del sangue del santo sia
solo una reazione chimica, come ha ipotizzato la nota scienziata, fondatrice con
Piero Angela del Cicap, il Comitato italiano per il controllo delle affermazioni
sul paranormale. Il primo a contestare la tesi della Hack è il cardinale
Michele Giordano, che - in una pausa della cerimonia di apertura dell'anno
giudiziario - risponde brevemente ai cronisti: «Nei secoli si sono
susseguiti tanti tentativi di trovare spiegazioni terrene al prodigio, ma
nessuno si è rivelato veritiero. L'unico esame sulle ampolline - la
spettroscopia effettuata nel 1989 dal prof. Pier Luigi Baima Bollone, per
incarico della curia - ha dimostrato che il liquido contiene emoglobina,
componente tipico del sangue».
Di più l'arcivescovo non dice; ma i sacerdoti esperti di questioni
sangennariane - come monsignor Enrico Cirillo, autore di vari studi in materia -
trovano nella tesi della Hack lo stesso punto debole di altre ipotesi fatte in
passato. '«Le leggi scientifiche - dice Cirillo - prevedono che in presenza di
determinati requisiti una certa reazione avvenga sempre e comunque. Per San
Gennaro non e' così».
Insomma, gli scienziati cimentatisi sul sangue di San Gennaro non terrebbero nel
dovuto conto il fatto che la liquefazione del sangue a volte si verifica subito,
a volte si fa attendere giorni o non avviene del tutto, malgrado i ripetuti
scuotimenti delle ampolline.
Obiezione simile fu mossa nel 1991 quando la rivista ''Nature'' pubblicò
uno studio del chimico Luigi Garlaschelli, dell'Universita' di Pavia, il quale
avanzò l'ipotesi che nelle ampolline fosse contenuta una sostanza ''tissotropica'',
in grado di passare allo stato liquido. «Già,
ma perché allora nel maggio 1976 il sangue non si sciolse affatto, malgrado
otto giorni di attesa?», rispose all'epoca l'ufficio stampa della curia di
Napoli. L'impressione dei frequentatori della ''cappella del Tesoro'',
dove sono custodite le reliquie del santo, è che si debba in qualche modo fare
l'abitudine a periodici tentativi di spiegare la liquefazione. «Ogni tanto c'e'
una nuova tesi. Ci provò anche il principe di Sansevero, grande alchimista, ma
in realtà il fenomeno resta incomprensibile secondo le leggi naturali»,
sostiene Lucia Ascione, una anziana devota. Incalza Antonio Maresca, habituè
delle processioni in onore del patrono: «Conosciamo e stimiamo la professoressa
Hack, brillante divulgatrice anche in tv. Ma una cosa sono le stelle, un'altra
il miracolo di San Gennaro. Soprattutto quando non si è avuto modo di studiare
da vicino ciò di cui si parla».
POSSIAMO
AFFERMARLO CON CERTEZZA:
SAN GENNARO E’ NATO IN CALABRIA!
(Don Bruno Sodaro, rettore del Santuario della Madonna delle Grazie di Torre di Ruggiero (CZ) www.sosed.it )
Che San Gennaro sia nato in Calabria possiamo
affermarlo con certezza, perché non solo la tradizione popolare, ma anche
documenti antichi confermerebbero questa tesi. Caroniti (ab.782), frazione di
Ioppolo (paesino fino a qualche anno fa in provincia di Catanzaro, ma ora di
Vibo Valentia, da quando cioè questa città è stata costituita provincia),
vanta i natali del famoso vescovo di Benevento, che nel 305 subì il martirio a
Pozzuoli, durante la grande persecuzione di Diocleziano.
Nella stessa borgata vi è un’antica chiesa a Lui dedicata, dove una magnifica
statua del Santo è molto venerata. Non me ne vogliano i Napoletani (sia di
Napoli che di Benevento) se oso affermare ciò, ben sapendo che i Santi
appartengono a tutti gli uomini e a tutto il mondo. Del resto non sono il solo
ad affermarlo, perché prima di me altri hanno reclamato, ed a ragione, le
origini calabresi del Santo, il grande Patrono di Napoli. I buoni napoletani
(sia di Napoli che di Benevento) dovrebbero andar fieri ed essermene grati per
quanto da me affermato e per quanto dirò sul loro santo Patrono perchè
smentisco i critici, che hanno negato e che negano perfino l’esistenza di San
Gennaro, (tanto che Paolo VI era stato indotto nel 1964 ad escluderlo dall’elenco
dei Santi), e provo invece: - che San Gennaro è realmente esistito; - che ha
avuto i suoi natali a Calafàtoni, villaggio ormai scomparso, nella zona del
monte Poro, villaggio sostituito da Caroniti, e che ivi ha vissuto la sua
fanciullezza; - che è stato vescovo di Benevento; - e che è stato martirizzato
a Pozzuoli nel 305. I Caronitesi vantano questa tradizione peraltro confermata
sia dalla chiesa parrocchiale, che ha sostituito quella precedente diruta, che
era parimenti ab immemorabili dedicata a San Gennaro, e i cui resti sono “una
muraglia di pietra e calcina lunga tre metri ed alta uno”, sorta sui ruderi
della casa di San Gennaro; sia dal numero delle persone che in Caroniti hanno
assunto ed assumono tuttora il nome del Santo, come usano anche molti
napoletani. Qualcuno (maliziosamente ?) ha voluto confondere il Santo Patrono di
Napoli, nato a Calafàtoni, con gli altri 14 Santi, che portano lo stesso nome,
osando dire che il Santo venerato dai Caronitesi è uno di questi 14 e non il
San Gennaro venerato dai napoletani. Infatti nel Grande Dizionario Illustrato
dei Santi dell’Abbazia Sant’Agostino di Ramsgate, vengono enumerati ben 15
Santi col nome di Gennaro. Tutti martiri, ma nessuno di essi era vescovo,
escluso San Gennaro, Patrono di Napoli. Laddove l’antica statua lignea,
venerata dai Caronitesi porta le insegne episcopali. Perciò il Padre Antonio
Bellucci dell’Oratorio in “S.Gennaro nacque in Calabria?” (Napoli, Tip.
Jazzetta 1926) non può confondere San Gennaro, patrono di Napoli, con gli altri
14; poiché i Caronitesi di nessuno di essi reclamano la nascita, comprovandola
con la tradizione e la documentazione, ma di San Gennaro, vescovo di Benevento,
martirizzato a Pozzuoli, patrono di Napoli. Qualche altro ipotizza (ignoriamo se
ironicamente) che sia stata data al Santo una specie di “cittadinanza onoraria”
di Calafatoni... Saprebbe costui, o costoro, dirci quali meriti o importanza
potesse avere in tal caso un insignificante borgo sperduto tra i monti calabri,
come quello di Calafatoni? Ma via! non cadiamo nel ridicolo!... Non si riesce
purtroppo a comprendere come i napoletani o altri non si convincano della
notizia sulla nascita di S. Gennaro in Calabria! “San Gennaro -essi dicono-
non può aver avuto i natali in un borgo sperduto fra le montagne calabresi”.
Ed allora si vuole agganciare la sua nascita a una “gens januaria”, che
forse gli diede “nobili natali”. Come se i Santi con l’aureola debbano
soltanto sortire da nobili natali e da illustre prosapia! Per costoro che la
pensassero così, i poveri non troverebbero alcun posto in paradiso... Bandiamo
allora dal discorso della montagna di Gesù la prima delle Beatitudini, la
parabola del ricco epulone e la costante affermazione ‘la chiesa dei poveri”,
per dar ragione a tutti coloro che pretendono di andare o di mandare al paradiso
“in carrozza”. Ma ben altra ragione affiora tra tanto clamore per soffocare
la verità: i calabresi non possono essere santi...né dare santi...perché
gente abbietta, indegna, spregevole, bruta...e perciò non possono aver dato i
natali a San Gennaro. Viene in mente quell’espressione, mi pare del Tasso: “Non
solo per cittadi e per castella, / ma per tuguri ancora e per fienili / sorgon
gli animi gentili”.
La lettera del 432 del prete Uranio, riportata in “Oggi” (n. 49 del 4
dicembre 1996), in cui si indica “il vescovo Gennaro” come una “gloria di
Napoli”, nulla prova della napoletanità del Santo, come Padova per S.
Antonio, o Bari per S. Nicola, o Milano per S. Ambrogio, ecc., dove i Santi sono
“per adozione”, perché “importati”, e non nativi. Né l’affresco o
gli affreschi delle catacombe napoletane possono essere prove irrefragabili. La
decorazione col “nimbo crucigero” è segno dei grandi personaggi e della
chiesa locale, e cioè, sia dove hanno avuto i loro natali, sia dove hanno
svolto la loro opera. Anche la tradizione fa storia, e non può essere respinta.
E questa tradizione di San Gennaro in Caroniti è antica, antichissima, che non
si può bandire con leggerezza nelle indagini sulla biografia del Santo. E se la
biografia è ricostruita e svolta con documenti insicuri, o con lo sforzo di
collegarla con la prosapia dei “Januari” napoletani, o per il contrasto fra
le città che si disputano il vanto dei natali del Santo, non può essere vera
storia. Perciò non si può respingere a priori come falsa la tradizione d’un
popolo che addita alla venerazione i luoghi, dove San Gennaro avrebbe avuto i
suoi natali e trascorso la sua fanciullezza.
Perché Calafatoni (o Caroniti) vanta di aver dato i natali a S. Gennaro?
Riportiamo le prove già pubblicate in “Santi e Beati di Calabria” del
maggio 1996 (Ed.Virgiglio), cui aggiungiamo altre di nostra conoscenza. Tommaso
Aceti (sec. XVII), nativo di Figline Vegliaturo (CS ), grande teologo, giurista
e vescovo di Lacedonia, nelle sue “Annotazioni” all’opera di Gabriele
Barrio “De Antiquitate et situ Calabriae” (Roma, Mainardi , 1743) riferisce
che San Gennaro nacque a Calafàtoni, villaggio ormai scomparso, nel comune di
Joppolo, presso il monte Poro. Raffaele Corso (XIX-XX), etnologo di Nicotera, in
“Calabria Letteraria” (rivista di cultura diretta da E. Frangella), scrive
di “una muraglia di pietra e calcina, lunga tre metri e alta uno” dei resti
della chiesa di Calafatoni, sorta sui ruderi della casa di San Gennaro, che cosi
solea chiamarsi “casa della nascita di San Gennaro”. I magistrati di
Nicotera, nel cui territorio si trovava il villaggio di Calafatoni, ci assicura
il dott. Bruno Polimeni nel periodico “La Città del Sole”, sia nelle
lettere patenti che nei passaporti inserivano la seguente formula: “Dei gratia
et intercessione S.Januarii Episcopi et Martyris concivis nostri etc.” (“Per
la grazia di Dio e per l’intercessione di San Gennaro, vescovo e martire
nostro concittadino”). I Vescovi di Nicotera nel sec.XVII e XVIII erano soliti
firmarsi: “Episcopus Nicoterensis et Concivis S. Januarii Episcopi et Martiris”
(“Vescovo di Nicotera e Concittadino di San Gennaro Vescovo e Martire”). Il
che risulta fino a Mons. Vincenzo Giuseppe Marra (1792-1816), perché fino
allora Calafatoni era in territorio della Diocesi di Nicotera. Dopo la divisione
dei Comuni i Vescovi non hanno più usato tale dicitura. Al piedi del monumento
funebre di questo stesso vescovo Marra c’era scritto: “Joseph Marra
Episcopus Nicoterensis concivis Januarii Episcopi et Martyris” (“Giuseppe
Marra Vescovo di Nicotera concittadino di Gennaro Vescovo e Martire”). Nella
stessa cattedrale di Nicotera c’era un Beneficio fondato dal vescovo
Mons.Ottaviano Capece (1582-1619), dedicato a San Gennaro “Episcopus et
Concivis”. Inoltre nel museo diocesano di Arte Sacra di Nicotera vi si trova
un antico pastorale del sec. XV, sul cui riccio fino alla metà del sec.XIX c’era
la statuina in argento di San Gennaro. Vi sono poi le “Memorie” di Luigi
Sorace (sec. XIX), in cui si legge che il vescovo di Nicotera Mons. Antonio Luca
Resta, si reca di persona a visitare quei luoghi, “dove San Gennaro era nato”,
riferendosi a Calafatoni. Lo stesso vescovo - riferisce Raffaele Corso - nella
bolla di elezione a parroco di Don Giannettino, il 30 settembre 1578, comincia
con la dicitura: “Annuente Domino nostro Jesu Christo, ac Beato Januario
Episcopo et Martyre, quem Calaphatonenses meruerunt habere colonum”. Lo stesso
vescovo Mons. Resta, appesa nominato vescovo di Nicotera (1578) “volle
portarsi di persona a visitare il villaggio di Calafatoni in punto di
estinguersi e di Caroniti sorgente, ed ancor senza chiesa...” :così racconta
il canonico Sorace, nativo di Nicotera. Giunto sul luogo vi trovò soltanto 25
case disabitate, appartenenti ai pastori di pecore, che avevano trovato più
agevole la posizione di Caroniti per la pastorizia, perché più amena, donde
nei giorni festivi erano costretti ad andare a Calafatoni per partecipare alla
Messa. Onde ovviare a tale inconveniente Mons. Antonio Luca Resta, udito Don
Giannettino, cappellano e rettore della chiesa di Calafàtoni, che in detta
chiesa non si conservava più da tempo il Santissimo Sacramento né i sacri Olii
per l’assenza degli abitanti, ormai emigrati in Caroniti, e che non vi
risiedeva più nemmeno il parroco, ma soltanto vi andava da Preitoni a celebrare
nei giorni festivi, e che la chiesa era stata intitolata a San Gennaro, perché
quello era il luogo, dove era nato il Santo, ordinava che in Caroniti, poco
distante da Calafàtoni, si fabbricasse una chiesa da dedicare con lo stesso
titolo di San Gennaro ed una casa parrocchiale per Don Giannettino. Stabiliva
che intanto Don Giannettino risiedesse a Calafàtoni fino al completamento e
della chiesa e della casa parrocchiale. Quindi passasse a Caroniti. Stabiliva
altresì che la chiesa di Calafatoni si conservasse bene, come chiesa rurale, in
memoria del Santo ivi nato, data la frequenza dei fedeli che vi si recavano per
offrire voti. Anche Ludovico Centofloreno, nativo di Città-Nuova (Istria), in
diocesi di Fermo, fatto vescovo di Nicotera da Innocenzo X il 2 maggio 1650,
partito da Roma per recarsi a Nicotera a prender possesso, passando per Pozzuoli
ebbe il piacere di avere una cronaca manoscritta, mostratagli da quel vescovo
(che era lo spagnolo Martin De Léon y Càrdenas), dalla quale ebbe ad
apprendere che S. Gennaro, vescovo di Benevento, era nato a Calafàtoni, in
diocesi di Nicotera. Il canonico Surace scrive che Mons. Centofloreno, fatta una
copia di proprio pugno, la portò a Nicotera come una preziosa reliquia, per
fare una sorpresa ai Nicoteresi (pensando che questi non conoscessero le origini
di San Gennaro a Calafatoni) e la munì del suo certificato attestante di averla
estratta dalla cronaca esistente nell’archivio di Pozzuoli. Copia che andò
perduta nel terremoto del 1783. Peccato che l’archivio vescovile di Nicotera,
un tempo così ricco di documenti, non li abbia più, perché lungo il corso dei
secoli subì notevoli danni e molti furti. Aggiungiamo che fino a pochi anni or
sono, prima dei lavori di restauro del 1930, cui fu sottoposta la chiesa
cattedrale di Nicotera, sull’arcata della cappella del Santissimo era dato
leggere a titoli cubitali “Divo Januario Episcopo Concivi ac Patrono”.
Antonio Crudo e Anna Cocciolo sono i proprietari del terreno, coltivato a vigna,
dove sorgono i ruderi della vecchia casa del Santo. In questo terreno vi sono
due grossi mandorli, sotto i quali spunta dal suolo una grossa pietra
rotondeggiante, su cui è impressa l’orma di un piede, che la gente del luogo
asserisce essere l’impronta di un piede di S. Gennaro ragazzo. Su questa
pietra è stata costruita un'edicoletta, all’interno della quale vi è un’effige
del santo martire, illuminata da lampade votive. A circa 3 chilometri da
Calafàtoni sorge Caroniti con le sue viuzze caratteristiche a scalinate. E qui
vi è pure l’antica chiesa matrice dedicata a San Gennaro, la cui statua
secentesca troneggia sull’altare maggiore . Recentemente sono stati fatti dei
restauri ed un nuovo portale è stato installato su suggerimento dell’avv.
Pasquale Rombolà, il quale con grande devozione era solito recarsi in questo
luogo per venerare il Santo, del quale andava fiero per la sua calabresità, che
vantava specialmente quando si trovava in ambienti napoletani. Nella relazione
“ad limina” del 1681 di Mons. Francesco Aricò si legge: “Civitas
Patronum habet S. Josephum cum maxima devotione ac etiam S. Januarium episcopum
et martyrem qui civis oriundus dictae civitatis hic esse dicitur”. Mons.
Luigi Petito, ex parroco del duomo di Napoli, e attualmente ottuagenario
sacerdote in pensione, nel suo volume “San Gennaro”, pubblicato agli inizi
degli anni Ottanta, riferisce che vi è una tradizione che riconduce i natali
del Santo a Calafàtoni.
LA VITA DEL SANTO
Fatte queste premesse passo a delineare la vita del Santo, ispirandomi a quanto ebbe a descrivere nel 1892 Diego Corso in “La Calabria”, rivista del tempo, per quanto riguarda la nascita e la fanciullezza del Santo, per rivolgermi quindi alle “Passiones”, e cioè agli Atti Vaticani e agli Atti Bolognesi, nonché alla “Passio S. Januarii” e alla vita greca che sarebbe stata scritta nel sec. V da un monaco basiliano, certo Emanuele del Lucullano di Napoli. San Gennaro nacque da genitori poveri. Perduta la madre a pochi anni, dal padre, passato a seconde nozze, veniva incaricato a fare da guardiano ai maiali. Dopo qualche tempo, il ragazzo, avendo conosciuto un eremita del villaggio di Aràmoni, lasciava due volte la settimana gl’immondi animali incustoditi in un semplice quadrato, da lui tracciato sulla terra con la punta di un bastone, per recarsi a trovarlo; e da lui veniva amorevolmente istruito. Al ritorno trovava gli animali al loro posto, ed anche qualche tozzo di pane nero, che la matrigna gli portava abitualmente ogni giorno, e, quando non trovava il ragazzo sul posto, glielo lasciava sul tronco di un ulivo. Un giorno però passava di là il suo istruttore eremita coi suoi discepoli. Il pio ecclesiastico o eremita, come qualcuno preferisce definirlo, si avvicina a Gennaro e gli chiede: “Gennarino, ne ha pane?”. Il ragazzo risponde di no, e riceve un rimbrotto dall’eremita, per non avergli detto la verità. Ma il ragazzo si scusa subito dicendo: “Ne ho, ma non è buono per voi”. Il pane era nero e stantìo, forse portatogli da diversi giorni dalla matrigna. L’eremita insiste di portaglielo, comunque fosse, pur di sfamarsi. Tre pani splendevano all’inforcatura dei rami d’un ulivo. Gennaro, con grande stupore, li guarda e, volgendosi al saggio eremita, dice subito che non era quello il pane che era solito avere. Mangiato il pane, il maestro invita Gennaro a seguirlo e a fare la volontà del Signore. Gennaro, dice la leggenda, non ci pensò due volte, e si aggregò alla comitiva, abbandonando alle sue spalle non solo i maiali, che avrebbero raggiunto da soli la greppia, come gli aveva assicurato l’eremita, ma anche gli ulivi e la terra che gli aveva dato i natali, allontanandosi per sempre dalle montagne del Poro. Ed ora i Caronitesi, raggianti di orgoglio, additano ai passeggeri i ruderi della casetta sul clivo Pirrò, dove Gennaro avrebbe avuto i natali, gli ulivi verdeggianti e floridi, se pur vetusti, e financo la rupe come sacra, su cui sarebbe apparso il loro Santo durante un’incursione dei saraceni per metterli in fuga, nonché una nicchia, nel cui interno quei montanari ripongono voti e lampade, in segno di devozione. Ma già in tempi antichi, e cioè prima del sec. XVI, sia la rupe, che la “muraglia di pietra e calcina lunga tre metri e alta uno”, che si suppone, più che un rudere della casa, fossero i resti della chiesa di Calafàtoni, la quale solea comunemente chiamarsi la “casa della nascita di San Gennaro”; sia le piante di ulivo, erano meta di pellegrinaggio per i poveri montanari, i quali si recavano colà per deporre le loro offerte e per raccomandarsi al Santo martire, loro conterraneo.