IL VATICANO II
E GLI ERRORI LIBERALI
[Michel Martin, «Vatican II et les erreures
liberales»,
Courrier
de Rome, 15 maggio 1976]
I - La Contraddizione
Ma supponiamo ora che una
affermazione sia in contraddizione evidente, chiara,
manifesta, con una dottrina che la Chiesa ha infallibilmente
definito. Abbiamo bisogno in tal caso di un giudizio della Chiesa docente
per rifiutarla? Immaginiamo per esempio che una setta sostenga che in Dio
vi sono solo due persone: il Padre e il Figlio. Abbiamo bisogno di un
giudizio della Chiesa docente per dire che questa affermazione deve essere
respinta, perché in contraddizione con il dogma trinitario infallibilmente
definito?
Certo, una contraddizione tra due dottrine non è
sempre manifesta e in questo caso è richiesto il giudizio della Chiesa
docente.
Quando però si tratta di due dottrine chiaramente
formulate e di cui l'una è manifestamente la negazione dell'altra,
abbiamo bisogno di un giudizio della Chiesa docente per convincerci che vi
è contraddizione? Constatando una contraddizione evidente, non esprimiamo
alcun giudizio dottrinale, ma solo un giudizio di fatto. Non siamo più nel
campo della teologia, ma in quello della logica.
La dichiarazione sulla libertà religiosa
Con i
vescovi del Cetus Internationalis Patrum affermo da dieci
anni, senza che alcuno mi abbia mai dato risposta, se non per mezzo di
scappatoie, che vi è una contraddizione evidente, chiara, manifesta, tra
certe affermazioni del Vaticano II e la dottrina tradizionale a proposito
della libertà religiosa in foro esterno.
Inoltre, queste
affermazioni del Vaticano II sono la riproduzione quasi parola per parola
delle proposizioni condannate da Pio IX in forma infallibile.
Ora, poiché queste affermazioni conciliari non sono state definite
infallibilmente, non dobbiamo forse noi rifiutarle?
Ma, non
volendo accettare questa conclusione, i difensori del Concilio si sono
trovati nella necessità di sostenere che non vi è contraddizione, poiché
la dottrina conciliare è solo, secondo loro, lo sviluppo della
tradizione.
Confronteremo più avanti i testi, ma ci si rende
conto che dichiarando compatibili due dottrine che almeno nove persone su
dieci stimerebbero contraddittorie, si compromette la credibilità di tutto
quanto insegna la Chiesa?
II - Il Liberalismo - Il Cattolico Liberale
Nella sua
essenza il liberalismo è il rifiuto di accettare una verità o una legge
imposta all'uomo dall'esterno.
L'uomo deve essere libero di giudicare lui stesso la
verità.
A ciascuno la sua verità.
Secondo la
dottrina cattolica, al contrario, l'uomo ha il dovere di credere alle
verità che Dio ha rivelato e che sono insegnate infallibilmente dalla
Chiesa.
I due punti di vista sono inconciliabili e i massoni,
per i quali il liberalismo è un dogma, su questo punto non si sono
ingannati. Ascoltiamo uno di loro: «Maestra di verità! Mai, senza
dubbio, la Chiesa aveva manifestato la sua imperiosa volontà di imporre il
suo dogma e sottolineato che questo dogma era l'unica verità, in termini
così categorici, così definitivi nella loro brutalità, mai con una formula
che tanto colpisce. Bisogna allora onestamente porsi il problema di sapere
dove possa sboccare un dialogo con un interlocutore che dichiara,
all'esordio di questo dialogo, che lui è padrone della verità per volontà
di Dio».
A rigore, infatti, cattolico e liberale sono due termini
che si escludono.
Nella loro grande maggioranza i cattolici
attuali sono, tuttavia, più o meno liberali.
Ciò non
significa che questi cattolici abbiano personalmente passato
l'insegnamento della Chiesa al vaglio della loro ragione, per ritenere
soltanto quanto personalmente hanno giudicato vero, un tale
cattolico rappresenta in verità l'eccezione. Ma i cattolici sono oggi
immersi in un mondo il cui pensiero si allontana sempre più dalla dottrina
tradizionale della Chiesa. Sollecitato e diviso tra questa dottrina e il
"pensiero moderno", il cattolico liberale di oggi e colui che cerca o
adotta compromessi tra questi due sistemi di pensiero.
Questa sete di compromesso ha invaso la Chiesa stessa; un teologo
"moderno" non cerca più tanto di approfondire la dottrina e di opporla
agli errori attuali; cerca soprattutto di distorcerla (nel modo meno
visibile) in modo da evitare il più possibile gli attriti con il pensiero
moderno.
Non è possibile, in un semplice articolo, enumerare
tutti questi compromessi. Mi limiterò all'esame della tesi che figura
nella dichiarazione conciliare sulla libertà religiosa e che è relativa ai
rapporti tra il potere civile e il potere spirituale.
III - La Dottrina della Chiesa sul Potere Civile
Non
spetta alla Chiesa dare costituzioni agli Stati, ma solo enunciare i
grandi principi di ordine morale cui queste costituzioni devono
ottemperare.
Questa dottrina della Chiesa sul potere civile è
immutabile; essa è infatti fondata nella Scrittura e nella
Tradizione ed è stata costantemente insegnata dalla Chiesa a partire dai
Padri fino a Pio XII compreso. Essa è dunque garantita dal Magistero
ordinario infallibile della Chiesa.
Inoltre, come vedremo più in
dettaglio, alcuni punti di questa dottrina sono stati oggetto di
definizioni ex cathedra e sono dunque garantiti dalla
infallibilità del Magistero straordinario della Chiesa.
La dottrina.
Essendo stato creato da Dio, avendo
ricevuto tutto da Dio, l'uomo deve rendere omaggio al suo Creatore e
soprattutto a Gesú Cristo, il Verbo di Dio che è stato costituito dal
Padre suo Re dell'Universo.
Consideriamo bene quanto -
richiamato da Pio XII - ha insegnato Leone XIII: «L'impero di Cristo
non si estende soltanto sui popoli cattolici, o a coloro che, rigenerati
nel fonte battesimale, appartengono, a rigore di diritto, alla
Chiesa, sebbene le errate opinioni ve li allontanino o il dissenso li
divida dalla carità; ma abbraccia anche quanti sono privi della fede
cristiana, di modo che tutto il genere umano è sotto la potestà di Gesù
Cristo».
Pio XI osserva poi: «Non v'è differenza fra gli individui e il
consorzio domestico e civile, poiché gli uomini, uniti in società, non
sono meno sotto la potestà di Cristo di quello che lo siano gli uomini
singoli».
Lo Stato non ha dunque il diritto di essere "laico"; deve, in
quanto Stato, riconoscere la regalità di Gesù Cristo e rendergli
omaggio. E, beninteso, fare in modo che non vi sia alcuna contraddizione
tra le leggi civili che promulga e le leggi di Dio.
Lo Stato ha
il dovere di assicurare il bene comune della città e deve in particolare
proteggere i cittadini. Tutti trovano naturale che si opponga al libero
commercio della droga, che devasta i corpi, e che quindi nessuno sia
obbligato ad acquistarla. La Chiesa aggiunge che lo Stato ha anche il
dovere di proteggere i cittadini contro le idee false che devastano le
anime.
«Ma qual può darsi morte peggiore dell'anima che la
libertà dell'errore?», dichiarava sant' Agostino.
La
Chiesa non ammette dunque la libertà di dire e di scrivere qualunque cosa;
in opposizione completa al pensiero moderno ritiene infatti che solo la
verità abbia dei diritti. L'errore non ne ha alcuno e può tutt'al più
essere tollerato.
Derivando l'una e l'altro il loro
potere da Dio ed esercitandosi la loro giurisdizione sugli stessi
soggetti, la Chiesa e lo Stato non possono ignorarsi, benché
costituiscano due poteri distinti: «Ma poiché uno e medesimo è il
soggetto di ambedue le potestà, e potendo una medesima cosa, quantunque
sotto ragione e aspetto differente, appartenere alla giurisdizione
dell'uno o dell'altra […]. Devono dunque essere tra loro debitamente
ordinate le due potestà».
In altri termini la Chiesa condanna la separazione tra Stato e
Chiesa.
Anche se spiace alla mentalità moderna, la dottrina
cattolica sullo Stato, come fu esposta dai Padri fino a Pio XII compreso,
è non poco intollerante. Essa afferma che, poiché Cristo ha fondato una
sola religione, si deve, nella misura del possibile, cercare di instaurare
lo Stato cattolico. E poiché il culto cattolico è il solo
pienamente gradito a Dio, nessun altro culto pubblico dovrebbe di
principio essere tollerato.
La Chiesa non impone alcuna forma di
governo. Essa ammette sia la repubblica che la monarchia, purché siano
rispettati i principi che ho riassunti.
Le realizzazioni
Dal 313, Costantino e i suoi
successori si sforzano di realizzare questo ideale.
Dapprima religione ammessa, la religione cattolica fu
presto proclamata religione dello Stato. Dopo la caduta
dell'impero, Clodoveo è consacrato re e monarchie cattoliche
vengono instaurate pressoché in tutta Europa. Fino all'inizio del secolo
XX lo Stato cattolico (o almeno confessionale) è la regola generale. In
realtà sono sempre esistiti Stati cattolici e il 27 agosto 1953 - data
relativamente recente - è stato firmato un concordato tra la Santa Sede e
la Spagna di cui ecco l'art. 1: «La religione cattolica, apostolica,
romana continua a essere la sola religione della nazione spagnola
[…]».
Il concordato del 1953 non annullava la Carta degli Spagnoli
del 13 luglio 1945 che dichiarava: «[…] nessuno sarà molestato per
le sue convinzioni religiose né per l'esercizio privato del suo culto. Non
si autorizzeranno altre cerimonie né altre manifestazioni esterne se non
quelle della religione cattolica».
La tolleranza. La tesi e l'ipotesi.
Ma la Chiesa
cattolica non ignora che, in campo politico, l'ideale non sempre è
realizzabile. Essa ammette dunque che nei paesi divisi da diverse fedi
e per evitare un male peggiore, lo Stato cattolico tolleri
l'esercizio di altri culti. È per questo che Enrico IV, per evitare la
guerra civile, concesse ai protestanti con l'editto di Nantes, il
diritto (limitato) di esercitare pubblicamente il loro culto.
Da cui la classica distinzione fra la tesi e l'ipotesi. La tesi
è la dottrina cattolica in tutta la sua purezza; l'ipotesi è ciò che è
possibile realizzare, tenuto conto delle circostanze. Ma la Chiesa chiede
che non si perda mai di vista la tesi e che si faccia tutto ciò che è
possibile per realizzarne il massimo. Di fatto, nell'editto di Nantes, il
protestantesimo è sempre chiamato «la religione che si pretende
riformata», cosa che mostra con chiarezza che gli estensori
dell'editto avevano tenuto a sottolineare in questo modo come la religione
cattolica sia la sola vera e sola abbia dei diritti.
Ma la
giusta distinzione tra la tesi e l'ipotesi servirà di pretesto ai
cattolici liberali per rinnegare la dottrina tradizionale, che essi
dichiarano non più confacente al nostro tempo.
Come vedremo più in dettaglio, il Concilio Vaticano II andrà più lontano ancora, senza
più occuparsi della tesi, che non richiamerà neppure, dichiarerà che la
libertà religiosa in foro esterno è un diritto per gli adepti di
qualsiasi religione e che questo diritto scaturisce dalla dignità della
persona umana.
Cedendo allora alle reiterate pressioni della
Santa Sede, il generale Franco accordò agli Spagnoli, il 28.6.1967, la
piena libertà per tutti i culti.
IV - Il Liberalismo Cattolico e le sue condanne
Con liberalismo cattolico e l'espressione equivalente cattolicesimo liberale, si indica soprattutto un insieme di teorie sostenute nel secolo XIX che minimizzano la dottrina tradizionale sullo Stato, che ho appena riassunto. Queste teorie furono condannate da tutti i Papi che si sono succeduti da Gregorio XVI a Pio XII. Inoltre Pio IX, come vedremo più particolarmente, per condannarle impegnò nella Quanta cura l'infallibilità pontificia.
Gregorio XVI e l'enciclica Mirari vos.
Nel 1830
l'abbé Lamennais sosteneva che ogni uomo ha il diritto di manifestare
pubblicamente le sue opinioni e che di conseguenza lo Stato deve ammettere
il libero esercizio di tutti i culti.
Egli faceva notare che nel
sistema dello Stato cattolico, che ha regnato per più di quindici secoli,
il potere spirituale e temporale non hanno mai cessato di contendere (san
Luigi stesso ebbe difficoltà con la Santa Sede). Separando completamente i
poteri, la Chiesa godrà di una piena libertà, che dovrebbe, secondo lui,
accrescere la sua influenza.
Tutte queste idee furono sostenute con talento nel giornale
L'Avenir di cui Lamennais era l'ispiratore.
Ma Roma, dal
1832, le condanna. Nell'enciclica Mirari vos, Gregorio XVI
denuncia anzitutto l'indifferentismo, che sostiene che tutte le religioni
salvano, e poi scrive queste righe, le ultime delle quali - che sottolineo
- predicono i frutti amari del liberalismo, come li possiamo constatare
oggi: «Da questa corrottissima sorgente dell'indifferentismo
scaturisce quell'assurda ed erronea sentenza, o piuttosto delirio, che
debbasi ammettere e garantire per ciascuno la libertà di coscienza: errore velenosissimo a cui appiana il sentiero quella
assoluta e smodata libertà d'opinare che va sempre aumentando a danno
della Chiesa e dello Stato, non mancando chi osa vantare con impudenza
sfrontata, provenire da siffatta licenza alcun comodo alla Religione.
“Ma qual può darsi morte peggiore dell'anima che la libertà
dell'errore?” diceva sant'Agostino. Tolto infatti ogni freno che
contenga nelle vie della verità gli uomini già volgentisi al precipizio
per la natura inclinata al male, potremmo dire con verità essersi aperto
il pozzo dell'abisso […]. Di là infatti proviene l'instabilità degli
spiriti, di là la depravazione della gioventù, di là il disprezzo nel
popolo delle cose sacre e delle leggi più sante, di là in una parola la
peste della società più di ogni altra funesta […] ».
Non è precisamente quanto accade nella nostra società liberale
avanzata? I cattolici liberali si sottomisero e L'Avenir chiuse
i battenti. Ma Lamennais finì per abbandonare la Chiesa.
Pio IX, il Sillabo e l'enciclica Quanta cura.
La seduzione delle idee liberali era tale che il
liberalismo cattolico riapparve venti o trent'anni dopo. Montalembert, che
si era sottomesso nel 1832, ne fu uno dei piú ardenti difensori. Egli
sostenne con talento che bisogna riconciliare il cattolicesimo e la
democrazia, la quale esige prima di tutto la libertà religiosa.
Egli affermò che la libertà è piú utile alla Chiesa che non la protezione
dei re. I discorsi di Montalembert ebbero una grande eco. Ma l'8 dicembre
1864 il successore di Gregorio XVI, Pio IX, condanna di nuovo il
liberalismo cattolico nel Sillabo e nell' enciclica
Quanta cura.
Ecco qui, per esempio, due articoli
del Sillabo.
Sono condannate le seguenti
proposizioni: «55. Si deve separare la Chiesa dallo Stato, e lo
Stato dalla Chiesa. - 77. Ai giorni nostri non giova più tenere la
religione cattolica per unica religione dello Stato, escluso qualunque sia
altro culto».
Ma ecco un fatto nuovo. Nell'enciclica Quanta cura, Pio
IX, come vedremo, impegna l'infallibilità pontificia. Perciò dedicherò piú
avanti tutto un paragrafo alle condanne formulate in questa enciclica.
Mons. Dupanloup
Scoraggiati da questa nuova
condanna, Montalembert e i suoi amici erano del parere di rinunciare alla
lotta.
Ma questa fu ripresa con un opuscolo che mons. Dupanloup, vescovo
di Orleans, inviò a tutti i vescovi e anche al Papa. Mons. Dupanloup
sosteneva che si fossero letti male la Quanta cura e il
Sillabo. Egli faceva numerose osservazioni esatte (come la
distinzione logica tra contrario e contraddittorio), ma per
il resto si teneva costantemente al limite del sofisma. Riprendeva la
distinzione tra la tesi e l'ipotesi, ma lasciando intendere che le tesi di
Pio IX erano ormai irrealizzabili.
Poiché nell'opuscolo non vi
era niente di positivamente falso, Pio IX ringraziò mons. Dupanloup
dell'invio, ma con una riserva che mostra come avesse ben compreso quanto
stava per succedere. Infatti i cattolici liberali restarono sulle loro
posizioni: continuarono soprattutto a chiedere la separazione di Chiesa e
Stato (che non si era ancora realizzata a quel tempo) e rimasero cosí
fedeli a una tattica che in seguito non hanno mai abbandonata: invece
di lottare contro i nemici della Chiesa si esige insieme a loro quanto si
pensa che inevitabilmente un giorno sarà ottenuto.
Leone XIII
Leone XIII succede a Pio IX. Nelle
encicliche Immortale Dei, sulla costituzione cristiana degli
Stati (1885), e Libertas, sulla libertà (1888), riprende
tutte le tesi tradizionali sullo Stato cattolico.
Nella
Libertas fa suo quanto vi è di esatto nella distinzione tra
la tesi e l'ipotesi, ma riprende anche, senza una sola eccezione, tutte
le condanne formulate da Gregorio XVl e Pio IX, e cita esplicitamente
l'enciclica Mirari vos e il Sillabo.
Una volta ancora il liberalismo cattolico è condannato.
San Pio X
San Pio X succede a Leone XIII ed è sotto
il suo pontificato che la Repubblica francese denuncia, nel 1905, il
concordato, proclamando che lo Stato da ora sarà laico e non riconoscerà
piú alcun culto.
San Pio X protesta con l'enciclica
Vehementer, dell'11 febbraio 1906, e lo fa con termini
che costituiscono una nuova condanna del liberalismo cattolico:
«[…] in virtú dell'autorità assoluta che Iddio Ci ha conferito, Noi
[…] riproviamo e condanniamo la legge votata in Francia sulla
separazione della Chiesa e dello Stato come profondamente ingiuriosa
rispetto a Dio che essa rinnega ufficialmente, ponendo il principio che la
Repubblica non riconosce nessun culto».
Era la rinnovata affermazione, una volta ancora, che, contrariamente
alla tesi liberale, lo Stato deve rendere omaggio a Dio e obbedire
anch'esso a Gesù Cristo, solo e vero Re delle Nazioni, e che in ogni caso
lo Stato non può lasciare che si propaghi liberamente l'errore come se
avesse lo stesso titolo della verità. E se lo Stato lo fa, la Chiesa non
può in nessun modo approvarlo.
Pio XI e la festa di Cristo Re
Non appena
elevato al sommo pontificato, nel 1922, Pio XI condanna esplicitamente il
liberalismo cattolico nella sua enciclica Ubi arcano
Dei.
Ma egli comprende presto che, essendo rimaste
inoperanti le condanne dei suoi predecessori, sarebbe accaduto lo stesso
delle sue. Utilizza allora un altro metodo, che avrebbe probabilmente
avuto successo, se, senza volerlo, non l'avesse vanificato con le sue
stesse mani.
Poiché il popolo non legge le encicliche, Pio XI
pensa che il miglior modo per istruirlo sia quello di utilizzare la
liturgia.
Nell'enciclica Quas primas, dell'11
dicembre 1925, egli espone anzitutto in termini luminosi una teologia
esauriente della regalità di Cristo e dimostra che essa implica
necessariamente il dovere per i cattolici di fare quanto è in loro potere
per tendere verso l'ideale dello Stato cattolico.
«Accelerare e
affrettare questo ritorno [alla regalità sociale di Cristo]
coll'azione e coll'opera loro, sarebbe dovere dei cattolici […]
».
Dichiara poi di istituire la festa di Cristo Re
spiegando la sua intenzione di opporre così «un rimedio
efficacissimo a quella peste, che pervade l'umana società. La peste
della età nostra è il così detto laicismo, coi suoi errori e i suoi empi
incentivi».
Disgraziatamente, male informato sulla situazione religiosa e politica
che regna in Francia in quel momento, Pio XI renderà inoperante la festa
di Cristo Re, colpendo, meno di un anno dopo, i cattolici antiliberali più
attivi, mentre per contro, né lui, né i vescovi danno disturbo ai
cattolici liberali.
In realtà i cattolici antiliberali, in quel
tempo, facevano capo a due movimenti: l'Action Française, guidata
da un ateo, Charles Maurras, e la Federation Nationale Catholique
del generale de Castelnau.
La condanna dei cattolici
dell'Action Française (che Pio XII tolse non appena elevato al
sommo pontificato) fu interpretata (a torto) come quella
dell'anti-liberalismo.
Dopo questo periodo i cattolici antiliberali in
Francia sono solo una minoranza di isolati. Hanno perduto ogni influenza
e, nel timore di essere trattati da fascisti, rari sono coloro che osano
manifestare le loro opinioni.
La vittoria dei cattolici liberali
era dunque totale.
La separazione di Chiesa e Stato, la completa libertà
di stampa, si erano realizzate ed erano considerate normali dalla
stragrande maggioranza dei francesi. L'esistenza di un partito
cattolico-liberale era divenuta inutile, e l'espressione
liberalismo cattolico cadde in dimenticanza.
Ma ora in
Francia progrediscono le idee politiche di sinistra e con esse i cattolici
liberali cercheranno compromessi. Mounier con la rivista Esprit, i
domenicani con la rivista Sept amoreggiano con il socialismo e il
marxismo. I cattolici liberali virano a sinistra e andranno sempre più
avanti su questa via.
Dopo la liberazione essi si organizzano in
un potente movimento politico, il MRP (Mouvement des Republicains
Populaires) di cui Marc Sangnier fu, fino alla morte avvenuta nel
1950, il presidente onorario.
Vedremo come nel 1946 il MRP doveva tradire vergognosamente la
causa di Cristo Re.
E l'enciclica? Docilmente la Chiesa celebra
ogni anno, dal 1925, la festa di Cristo Re, ma vescovi, sacerdoti e fedeli
non ne comprendono più il significato.
Il MRP e la festa di Cristo Re
Nel 1946 fu
necessario dare alla Francia una nuova costituzione. I comunisti
presentarono una proposta in parlamento chiedendo che la laicità dello
Stato fosse esplicitamente menzionata, cosa a cui gli autori del progetto
costituzionale non avevano pensato.
Il MRP era allora un partito
potente e i suoi deputati costituivano un terzo del parlamento. Ma, per le
ragioni dette, questo partito cattolico era liberale e non poco
orientato a sinistra.
Il progetto costituzionale era sostenuto
dai socialisti e dai comunisti, che occupavano un terzo dei seggi, e
combattuto invece dai deputati che sedevano alla destra del MRP, che
costituivano il rimanente terzo, e pertanto il MRP era arbitro della
situazione.
Dimenticando completamente che Pio XI aveva
istituito la festa di Cristo Re per ricordare ai cattolici il loro dovere
di lottare contro il laicismo, frutto del liberalismo condannato dai Papi,
il MRP, che poteva far respingere l'emendamento sulla laicità, si guardò
bene dal farlo. Non ricordo piœ ora se votò a favore o si astenne, ma
rimane sempre il fatto che fu grazie a un partito cattolico che la
laicità dello Stato fu promossa per la prima volta al rango di legge
costituzionale.
E per una sorprendente coincidenza, nella quale
vedo, per conto mio, uno scherzo del demonio, questa costituzione laica fu
promulgata sulla gazzetta ufficiale con la data del 27 ottobre 1946, giorno della festa di Cristo Re!
De Gaulle e la costituzione del 1958
Dodici anni
dopo questa repubblica laica crolla senza gloria, e un generale cattolico
è incaricato di proporre una nuova costituzione.
Ma anch'egli è
un cattolico liberale e inscrive anche la laicità dello Stato nella
costituzione, che sottopone all'approvazione dei francesi mediante
referendum.
Un gruppo assai esiguo di cattolici anti-liberali
fece una campagna contro questa costituzione empia, ma fu sconfessato
dalla quasi totalità dei vescovi; bisognava salvare l' Algeria e l'impero.
Il seguito lo si conosce.
Pio XII
Pio XII è un Papa moderno che si
preoccupa già dell'organizzazione di comunità di Stati.
In un
discorso del 6 dicembre 1953, dedicato a questo problema, egli ricorda,
una volta ancora, i principi tradizionali: «[…] nessuna autorità
umana, nessuno Stato, nessuna Comunità di Stati, qualunque sia il loro
carattere religioso, possono dare un mandato positivo o una positiva
autorizzazione d'insegnare o di fare ciò che sarebbe contrario alla verità
religiosa o al bene morale».
Come Leone XIII, egli riconosce che l'ideale non è sempre
realizzabile; è dunque spesso necessario usare tolleranza; ma, nella
determinazione di ciò che occorre fare in pratica, lo statista cattolico
«[…] nella sua decisione si lascerà guidare dalle conseguenze
dannose, che sorgono dalla tolleranza, paragonate con quelle che mediante
l'accettazione della formula di tolleranza verranno risparmiate alla
Comunità degli Stati».
Le tesi sullo Stato, proprie del cattolicesimo liberale, erano una
volta ancora condannate.
Senza esito migliore.
Da Pio XII ai nostri giorni
Le idee
sovvertitrici dello stesso ordine naturale, segnatamente il marxismo,
guadagnano tutti i giorni terreno.
Ma la Chiesa, come in preda
allo scoraggiamento, ha praticamente rinunciato a opporre loro la barriera
invalicabile della sua dottrina. Pur affermando la sua volontà di non
rinunciare a nulla, essa cerca compromessi con questo mondo, che non vuol
più intendere ragione. Ed è con questo stato d'animo che si apre il
Vaticano II.
Conclusione
In questo anno 1976, i francesi,
costernati, si preoccupano dell'anarchia che regna dovunque, e
specialmente del disorientamento della gioventù: anarchia
nell'insegnamento, cinema pornografico, incitamento dei minori alla
corruzione attraverso la libera vendita dei contraccettivi, aborto libero,
ecc.
V - La dichiarazione del Vaticano II sulla libertà
religiosa
Essa segnerà un mutamento di rotta senza
precedenti nella storia della Chiesa.
Foro interno e foro esterno
Non si possono cogliere
le contraddizioni tra la dottrina tradizionale e la dichiarazione del
Vaticano II se non si distingue bene tra la libertà religiosa in foro
interno e la libertà religiosa in foro esterno, distinzione che la
dichiarazione ignora.
Circa la libertà religiosa in foro
interno, non si coglie nessuna contraddizione tra la dottrina tradizionale
e quella esposta dal Concilio. Certamente, davanti a Dio, la libertà
religiosa non è un diritto, poiché ogni uomo è tenuto a cercare la verità
e ad aderirvi (come ricorda d'altra parte la dichiarazione conciliare). Ma
se la posizione che l'uomo assume resta puramente interiore, questo è
affare da regolarsi tra lui e Dio solo, e di cui i pubblici poteri non
sono tenuti a occuparsi. In particolare, nessuna autorità umana ha il
diritto di esercitare pressioni su qualcuno per forzarlo a credere.
Ma, come ha sempre insegnato la Chiesa, la libertà
religiosa in foro interno non implica affatto la libertà religiosa in foro
esterno, vale a dire il diritto di praticare pubblicamente qualsiasi
culto, di insegnare qualsiasi errore. La libertà di ognuno in questo campo
è limitata infatti dal diritto degli altri a essere protetti contro le
idee false, che possono essere tanto pericolose per le anime (e anche per
l'uomo nella sua completezza) quanto la droga per i corpi.
La dichiarazione del Vaticano II
Ecco qui il passo
essenziale relativo all'argomento di cui trattiamo: «Questo Concilio
Vaticano dichiara che la persona umana ha diritto alla libertà religiosa.
Questa libertà consiste in ciò, che tutti gli uomini devono essere immuni
dalla coercizione da parte sia di singoli individui, sia di gruppi sociali
e di qualsivoglia potestà umana, e in modo tale, che in materia religiosa
nessuno sia forzato ad agire contro la sua coscienza né sia impedito,
entro debiti limiti, ad agire in conformità ad essa privatamente e
pubblicamente, da solo o associato ad altri. Inoltre dichiara che il
diritto alla libertà religiosa si fonda realmente sulla stessa dignità
della persona umana, quale si conosce sia per mezzo della parola di Dio
rivelata sia tramite la stessa ragione. Questo diritto della persona umana
alla libertà religiosa dev'essere riconosciuto e sancito come diritto
civile nell'ordinamento giuridico della società».
Notiamo anzitutto che non viene fatta alcuna distinzione tra foro
interno e foro esterno, a proposito dei quali la dottrina tradizionale non
ha la stessa posizione. Privatamente è il foro interno, pubblicamente è il foro esterno. Notiamo poi che la dichiarazione
non fa alcuna differenza tra forzare ad agire e impedire ad
agire. Secondo la dottrina tradizionale, lo Stato non può forzare
qualcuno ad agire contro la sua coscienza, ma ha il diritto, per contro,
in casi determinati, di impedirgli di agire secondo la sua coscienza.
Il Concilio pone tuttavia una restrizione: «Entro debiti
limiti», dice. Questa nozione assai vaga sarà precisata più
avanti. Lo Stato non ha il diritto d'intervenire se non quando l'ordine
pubblico è minacciato: «Si fa quindi ingiuria alla persona umana e
allo stesso ordine stabilito da Dio agli uomini, se si nega all'uomo il
libero esercizio della religione nella società, una volta rispettato
l'ordine pubblico giusto».
Il Concilio non ha voluto parlare solo della religione cattolica, ma
di qualunque religione. Infatti, dopo avere spiegato che l'uomo è tenuto
per obbligo morale a ricercare la verità e ad aderirvi, il Concilio
dichiara: «Per cui il diritto a questa immunità perdura anche in
coloro che non soddisfano all'obbligo di cercare la verità e di aderire ad
essa».
Il Concilio non condanna totalmente lo Stato cattolico;
lo accetta volentieri, ma alla condizione che sia accordata agli adepti
delle altre religioni la stessa libertà di culto e di propaganda che ai
cattolici: «Se, considerate le circostanze particolari dei
popoli, nell'ordinamento giuridico di una società viene attribuito ad una
determinata comunità religiosa uno speciale riconoscimento civile, è
necessario che nello stesso tempo a tutti i cittadini e a tutte le
comunità religiose venga riconosciuto e sia rispettato il diritto alla
libertà in materia religiosa».
E piú avanti: «Nello stesso tempo i cristiani, come gli altri
uomini, godono del diritto civile di non essere impediti di vivere secondo
la propria coscienza. Vi è quindi concordia fra la libertà della Chiesa e
quella libertà religiosa che dev'essere riconosciuta come un diritto a
tutti gli uomini e a tutte le comunità e che dev'essere sancita
nell'ordinamento giuridico».
Tutto questo era la condanna del concordato con la Spagna, stipulato
esattamente dodici anni prima, che Pio XII aveva dichiarato essere uno dei
migliori!
Poiché molti Padri avevano fatto notare che non si
faceva alcun cenno della differenza tra la verità e l'errore, tra la
religione vera e le altre, si aggiunse un preambolo che ricordava come
l'unica e vera religione fosse la religione cattolica. Ma questa aggiunta
non infirma per nulla la tesi sulla libertà religiosa in foro esterno,
sostenuta nella dichiarazione.
La libertà religiosa e la Rivelazione. La dignità dell'uomo
Rifiutando sempre ogni distinzione tra foro interno
e foro esterno, il Concilio afferma che: «una tale dottrina sulla
libertà ha le sue radici nella Rivelazione divina, per cui tanto più dai
cristiani va rispettata con sacro impegno».
Come
vedremo nel paragrafo seguente, Pio IX, nella Quanta cura,
affermava il contrario. Egli diceva, infatti, che la libertà religiosa in
foro esterno è «contro la dottrina delle Scritture, della Chiesa e
dei Santi Padri».
I
passi della Scrittura che condannano la libertà religiosa in foro esterno
sono infatti innumerevoli. Per esempio, non è Dio stesso che ha ordinato a
Gedeone di andare a rovesciare l'altare di Baal, che apparteneva allo
stesso padre suo?
Il Concilio riconosce tuttavia come «la Rivelazione non affermi
esplicitamente il diritto all'immunità dalla coercizione esterna in
materia religiosa».
Ma allora, in che modo la dottrina conciliare ha la sua fonte nella
Rivelazione? Nella maniera seguente (secondo il Concilio): è perché la
Rivelazione «fa tuttavia conoscere la dignità della persona umana in
tutta la sua ampiezza, mostra il rispetto di Cristo verso la libertà
dell'uomo nell'adempimento del dovere di credere alla parola di Dio, e ci
insegna lo spirito che i discepoli di un tale Maestro devono assimilare e
manifestare in ogni loro azione».
Mi sembra chiaro come questo si applichi alla libertà religiosa in
foro interno, ma non vedo il rapporto con la libertà religiosa in foro
esterno.
Comunque, la dichiarazione afferma a più riprese che le
sue tesi sono fondate sulla nozione della dignità dell'uomo. Siccome gli
estensori della dichiarazione traggono conclusioni contrarie a
proposizioni infallibilmente definite, bisogna concludere che nel loro
ragionamento vi è qualche cosa che non va.
Dov'è l'errore? Alla
Chiesa docente tocca dirlo. Con tutto il rispetto dovuto a questa Chiesa
docente, e lasciando impregiudicato il suo giudizio, si può pensare che
non si sia tenuto sufficientemente conto non solo dei diritti del
prossimo, ma anche della dignità di Dio, la quale, in caso di conflitto,
ha la meglio sulla dignità dell'uomo.
Conclusione.
Questi sono i testi, ed è
sufficiente leggerli per constatare che le tesi del Concilio sulla libertà
religiosa in foro esterno sono in contraddizione con la dottrina
tradizionale. La dichiarazione ci dice che «questo Concilio Vaticano
scruta la tradizione sacra e la dottrina della Chiesa, dalle quali trae
nuovi elementi sempre in armonia con quelli già posseduti».
Di fatto la dichiarazione si riferisce diciotto volte a testi
pontifici. Perché non si fa alcuna menzione delle encicliche Mirari
vos, Quanta cura e del Sillabo?
Guardiamo dunque più da vicino ciò che diceva Pio IX nella
Quanta cura.
VI - La dichiarazione del Vaticano II di fronte alle condanne infallibili della Quanta cura
La Quanta cura è una delle rarissime encicliche che sia un documento ex cathedra. Poiché i redattori della dichiarazione non ne hanno tenuto alcun conto, credo anzitutto necessario ricordare le condizioni della infallibilità, che ogni teologo e ogni cattolico colto dovrebbe peraltro conoscere!
Le condizioni dell'infallibilità pontificia
Andiamo
direttamente alla fonte: la costituzione sulla Chiesa del Vaticano I
(1870): «Quindi Noi aderendo fedelmente alla tradizione ricevuta dai
primi tempi della fede cristiana, a gloria di Dio nostro Salvatore, ad
esaltazione della religione cattolica e della salute dei popoli cristiani,
approvante il sacro Concilio, insegniamo e definiamo essere dogma
divinamente rivelato, che il Romano Pontefice, quando parla ex Cathedra,
cioè quando, adempiendo l'ufficio di Pastore e di Dottore di tutti i
Cristiani, in virtù della sua suprema Autorità apostolica, definisce una
dottrina riguardante la fede ed i costumi, da tenersi da tutta la Chiesa:
in virtù della divina assistenza a lui promessa nella persona del beato
Pietro, è dotato di quella infallibilità, della quale il divino Redentore
volle che fosse fornita la sua Chiesa nel definire la dottrina intorno
alla fede o ai costumi; e che perciò tali definizioni del Romano
Pontefice per sé stesse, e non già mediante il consenso della Chiesa, sono
irreformabili. Se poi qualcuno oserà, che Dio non lo permetta!, di
contraddire a questa Nostra definizione: sia anàtema».
Di qui le quattro ben note condizioni della infallibilità
pontificia:
1. Il Papa deve parlare come pastore e dottore
di tutti i cristiani.
2. Si deve trattare di fede o di
costumi.
3. Il Papa deve definire, vale a dire ben
precisare le tesi in questione e dire chiaramente da che parte sta la
verità.
4. Il Papa deve, almeno implicitamente, obbligare
i fedeli ad accettare la sua definizione.
È importante notare che l'infallibilità pontificia non data dal 1870.
Come ricorda Pio IX nella sua definizione, si tratta di una
«tradizione ricevuta dai primi tempi della fede cristiana».
Pio IX, nel 1870, non ha fatto che mettere fine a una controversia. Non si
deve dunque pretendere che i documenti pontifici anteriori al 1870, e che
soddisfano le quattro condizioni precisate da Pio IX, non siano coperti
d'infallibilità.
L'infallibilità delle condanne della Quanta Cura
Ecco ciò che si può leggere in questa enciclica:
«In
tanta igitur depravatarum opinionum perversitate, Nos Apostolici Nostri
Officii memores, ac de sanctissima nostra religione, de sana doctrina, et
animarum salute Nobis divinitus commissa, ac de ipsius humanæ societatis
bono maxime solleciti, Apostolicam Nostram vocem iterum extollere
exstimavimus. Itaque omnes et singulas pravas opiniones ac doctrinas
singillatim hisce Litteris commemoratas auctoritate Nostra Apostolica
reprobamus, proscribimus atque damnamus, easque ab omnibus catholicæ
Ecclesiæ filiis, veluti reprobatas, proscriptas atque damnatas omnino
habere volumus et mandamus».
[«In tanta perversità di errate opinioni, Noi dunque, giustamente
memori del Nostro Apostolico Ufficio, e paternamente solleciti della
Nostra santa religione, della sana dottrina e della salute delle anime, a
Noi commesse da Dio, e del bene della stessa umana società, abbiamo
stimato bene innalzare di nuovo la Nostra Apostolica voce. Pertanto, con
la Nostra Autorità Apostolica riproviamo, proscriviamo e condanniamo tutte
e singole le prave opinioni e dottrine ad una ad una ricordate in questa
lettera e vogliamo e comandiamo che tutti i figli della Chiesa cattolica
le ritengano come riprovate, proscritte e condannate».]
È evidente che le quattro condizioni della infallibilità sono qui
riunite:
1. Il Papa precisa di agire in virtù della sua carica e
della sua autorità apostolica.
2. Si tratta di costumi. Il Papa
si propone di giudicare la moralità delle leggi sulla tolleranza o
l'intolleranza promulgate dagli Stati.
3. Come si vedrà, le proposizioni condannate sono
enunciate in termini chiari e precisi.
4. Il Papa indica
esplicitamente che i fedeli devono accettare le condanne da lui
comminate.
Notiamo bene che l'infallibilità non verte su tutto ciò che dice Pio IX
nell'enciclica, ma unicamente su «tutte e singole le prave opinioni
e dottrine ad una ad una ricordate in questa lettera». Queste
opinioni sono infallibilmente condannate da quando il Papa le ha
chiaramente definite. Tutto ciò appare chiaro a un semplice laico quale
sono. Fino a tempi assai recenti, tutti i teologi erano d'accordo nel
riconoscere il carattere di infallibilità delle condanne sancite da Pio IX
nella Quanta cura (8.12.1864). Contestandolo, oggi, i
difensori della dichiarazione sulla libertà religiosa si rendono conto di
mettere in causa tutta la dottrina della infallibilità pontificia, come è
stata infallibilmente definita da Pio IX nel 1870?
Tre proposizioni condannate
Le proposizioni
condannate dall'enciclica Quanta cura sono numerose. Ne
esaminerò solo tre. Si trovano nel passo seguente, dove le ho messe in
evidenza chiamandole A, B, C.
«E contro la dottrina delle
Scritture, della Chiesa e dei Santi Padri non dubitano di
asserire:
«[A] “La
migliore condizione della società è quella in cui non si riconosce nello
Stato il dovere di reprimere con pene
stabilite i violatori della religione cattolica, se non in quanto ciò
richiede la pubblica quiete”.
«Da
questa idea di governo dello Stato, che è del tutto falsa, non temono di
dedurre quell'altra opinione
sommamente dannosa alla Chiesa cattolica e alla salute delle anime,
chiamata deliramento dal Nostro
Predecessore Gregorio XVI di r. m. e cioè:
«[B] “La libertà di coscienza e dei
culti è diritto proprio di ciascun uomo,
«[C] “che si deve proclamare con legge
in ogni società costituita […]».
Perché non vi sia alcun dubbio possibile sul senso delle proposizioni
A, B, C, eccone il testo latino:
«[A]
“Optimam esse conditionem societatis, in qua imperio non agnoscitur
officium coercendi sancit pœnisviolatores catholicæ religionis, nisi quatenus pax publica
postulet”.
«[B]
“Libertatem conscientiæ et cultum esse proprium cuiuscumque hominis
jus,
«[C] “quod lege
proclamari, et asseri debet in omni recte constituta societate
[…]».
Ora, come risulta dalla prima citazione fatta, il Vaticano II afferma
lecito esattamente tutto ciò che condanna Pio IX:
1. Il Vaticano II non riconosce al potere
pubblico il dovere di reprimere le violazioni della legge cattolica
poiché:
«In materia religiosa nessuno […] sia impedito
[…] ad
agire in conformità ad essa [la sua
coscienza] […]
pubblicamente [foro esterno], da solo o associato ad
altri».
2. Per il Vaticano II,
la persona umana ha diritto alla libertà religiosa.
3. Questo diritto della persona umana alla
libertà religiosa, nell'ordine giuridico della società deve essere riconosciuto in modo
tale che costituisca un diritto civile.
Vi è dunque opposizione tra le condanne pronunciate in forma
infallibile da Pio IX e la dichiarazione del Vaticano II, che, dato il suo
«carattere pastorale», «ha evitato di pronunciare in
modo straordinario dogmi dotati della nota di infallibilità», come lo stesso Santo Padre ha confermato.
VII - Conclusioni
Lascio al lettore la cura di trarre
le conclusioni.
Ma insieme a migliaia di cattolici costernati, auspico
soprattutto che siano tirate dalla nostra santa Madre Chiesa, alla quale
intendiamo restare fedeli.