La confessione 
nelle Chiese evangeliche

MAX THURIAN (*)
(In Concilium, 1971, rivista internazionale di teologia, © www.queriniana.it)


La conoscenza della posizione esatta delle Chiese evangeli­che, luterane e riformate, sulla confessione, è resa difficile da una certa discontinuità della tradizione protestante circa la pratica della confessione stessa. Si potrebbero distinguere, in linea generale, tre momenti nella dottrina e nella pratica della confessione nelle Chiese evangeliche: a) il pensiero dei riforma­tori, Lutero e Calvino; b) la reazione anticattolica contro la confessione; c) la rinascita della pratica della confessione nel clima dei rapporti ecumenici e nel quadro della cura d'anime e dei ritiri spirituali.

I/   IL PENSIERO DEI RIFORMATORI: LUTERO E CALVINO

Lutero ha conservato nella sua dottrina il valore sacramen­tale della assoluzione; nel suo De captivitate babylonica,  Lutero afferma esplicitamente che egli accetta tre sacramenti: il battesimo, la penitenza e il pane eucaristico. 
Manifesta tuttavia qualche esitazione nei riguardi della penitenza perché trova la mancanza di un segno divinamente istituito; per questo motivo la confessione è vista come un ritorno al battesimo.  
Melantone a sua volta ritiene l'assoluzione come il terzo sacramento: «Se chiamiamo sacramenti - egli dice - i riti che sono istituiti da Dio ed ai quali è connessa la promessa della grazia... allora sono sacramenti il battesimo, la cena del Signore, l'assoluzione che è sacramento di penitenza». La confessione augustana dichiara: «La penitenza consiste propriamente in queste due parti: una è la contrizione, e cioè il terrore che invade la coscienza per la conoscenza del peccato; l'altra è la fede che è concepita mediante il vangelo o l'assoluzione, e mediante la quale il peccatore crede che i suoi peccati gli siano rimessi a causa di Cristo, e che consola la sua coscienza e la libera dal suo terrore».
Per Lutero non vi è un obbligo assoluto della confessione, ma tuttavia egli non esclude la pressante esortazione nella Chiesa in favore di una disciplina regolare della confessione. 
Nel 1529 egli aggiunge alla seconda edizione del grande Catechismo una breve esortazione alla confessione.  
Egli dice sin dall'inizio: «Riguardo alla confessione, noi abbiamo sempre insegnato che essa deve essere libera»; di fatto Lutero esorta ardentemente alla pratica della confessione privata che egli chiama «la nostra cara confessione». Egli poi continua: «Se un povero miserabile mendicante venisse a sapere che in un certo luogo si distribuiscono ricche elemosine, denaro o vesti, sarà forse necessario che ve lo conduca un poliziotto? ... Se tu sei povero e misero, va’ a confessarti e usa questo rimedio di salvezza... Se, al contrario, tu disprezzi questo tesoro e se sei troppo orgoglioso per confessare i tuoi peccati, concluderemo che tu non sei cristiano e che perciò non devi partecipare al sacramento (della santa cena). Tu disprezzi una cosa che nessun cristiano deve disprezzare, e questo disprezzo fa sì che tu non possa ottenere la remissione dei tuoi peccati, e indica anche che tu disprezzi l'evangelo». Lutero non vuole «lasciar godere della nostra libertà» coloro che, con il pretesto di essere evangelici, si dispensano da ogni disciplina e in modo particolare dalla confessione. E’ meglio essere costretti a confessarsi, a digiunare ecc... piuttosto «che disprezzare la disciplina volontaria e gioiosa della confessione, del digiuno, ecc... Come un cervo assetato anela a trovare una sorgente fresca, la mia anima ha sete della Parola di Dio, dell'assoluzione e del sacramento» .
Calvino rigetta la penitenza come sacramento, e tuttavia conserva la confessione privata non obbligatoria. 
Bisogna notare che la critica da lui fatta al sacramento della penitenza risale, quasi al completo in tutti i suoi elementi, sino alla prima redazione della Institution chrétienne (1536). 
Nelle successive edizioni del 1539 e del 1541 egli introduce delle sfumature notevoli nella sua critica. 
Nella edizione del 1560, Calvino rivela una notevole evoluzione del suo pensiero, dovuta certamente all'influsso di Strasburgo con la presenza di Bucero, ed all'esercizio del ministero. 
In un testo del 1539 nel quale dice che i pastori sono «Costituiti da Dio per istruirci come dobbiamo vincere il peccato e per renderci certi della bontà di Dio, per consolarci», Calvino ha inserito nel 1545 questa importantissima precisazione: «Sebbene l'ufficio di ammonirsi vicendevolmente gli uni gli altri sia comune a tutti i cristiani, tuttavia questo dovere spetta in modo particolare ai ministri. Poiché, come ognuno di noi siamo tenuti a consolarci gli uni gli altri, d'altra parte allo stesso modo i ministri sono ordinati da Dio come testimoni per rendere certe le coscienze della remissione dei peccati, come è appunto detto di essi che rimettono i peccati e liberano le anime (Mt. 16,19; 18, 18; Gv. 20,23). E quando noi vediamo che ad essi è affidato questo ufficio, pensiamo che è loro affidato per il nostro bene».  
Dunque i pastori non sono soltanto i testimoni che annunciano  i remissione dei peccati, la loro missione non consiste soltanto nel predicare l'evangelo, ma essi sono come i garanti di questa remissione dei peccati. 
I pastori devono perciò testimoniare alle coscienze angosciate il valore delle promesse di Dio in Gesù Cristo; di queste promesse essi sono come una cauzione, come una garanzia allorché essi liberano le anime, nell'assoluzione, mediante il buon annuncio dell'evangelo. 
E Calvino precisa che essi sono in modo tale i garanti della misericordia di Dio «che di loro è detto che rimettono i peccati e liberano le anime». 
Indubbiamente qui Calvino interpreta la parola di Gesù agli apostoli dopo la sua risurrezione (Gv. 20,23) e il potere delle chiavi (Mt. 16,19; 18,18) nel senso tradizionale del sacramento dell'assoluzione: la Chiesa, mediante la parola dei suoi ministri fondata sulla promessa di Gesù Cristo, ha il potere di rimettere i peccati e di liberare le anime. 
Certamente non bisogna dare maggiore ampiezza, di quella che non abbia in realtà, al pensiero di CaIvino, e bisogna notare subito che tutto il contesto delle sue riflessioni sulla penitenza e sul potere delle chiavi mostra che egli attribuisce questo potere di assoluzione non alla Chiesa o al ministero come tali, ma in quanto essi annunciano l'evangelo. 
Ma, d'altra parte, l'autentica tradizione cristiana non ha pensato mai diversamente; essa non ha mai separato il ministero del Cristo e quello del pastore, se non nei periodi teologicamente poveri.

II/ LA REAZIONE ANTI-CATTOLICA

La reazione anti-cattolica avviene in nome della libertà della confessione e sotto l'influsso di una concezione non-sacerdotale del ministero. 
I riformatori avevano affermato questa libertà cristiana, ma erano ugualmente convinti della utilità di una disciplina liberamente accettata. 
Ma in seguito la forte insistenza sulla libertà mise in secondo piano la disciplina. D'altra parte, l'insistenza sulla trascendenza e sulla libertà di Dio attenuò la concezione del segno efficace in favore della Parola la quale non esige altro che la libera adesione del credente; in tale contesto l'idea di un segno sacramentale che compie ciò che significa diventava quasi scandalosa e venne presto accusata di magismo sacramentale. 
In questa reazione si sente qualcosa dello scandalo degli scribi di fronte a Cristo che perdona i peccati al paralitico (Mt. 9,1-8); di fatto la loro teologia voleva salvare ad ogni costo la trascendenza di Dio e i suoi diritti: perdonare i peccati significa usurpare un potere che appartiene soltanto a Dio. 
Come è possibile che un uomo o un altro, una qualsiasi creatura, abbia il diritto di liberare il suo prossimo dalla condizione di colpa nella quale si trova? 
Questa assoluzione non può essere altro che l'oggetto di una predicazione che bisogna assimilare mediante la fede e che soltanto dopo essere assimilata ed appropriata dall'uomo crea la certezza del perdono di Dio. 
Si può trovare a volte nel protestantesimo questa concezione; può sembrare che l’affermazione della trascendenza di Dio escluda la possibilità per la Chiesa di dichiarare il perdono dei peccati e di dare veramente l'assoluzione. 
Ma questa concezione di tinta giudaica è superata dall'evento dell'incarnazione: il Figlio dell'uomo ha veramente sulla terra il potere di perdonare i peccati. 
Nella sua umanità Cristo può assolvere, e ce ne dà il segno guarendo il paralitico: «Vedendo questo, la folla fu presa da timore, e rese gloria a Dio perché aveva dato un simile potere agli uomini» (Mt. 9,8). 
Ora, il potere di perdonare, come pure quello di guarire, poiché è un privilegio del Figlio dell'uomo, è conferito pure agli uomini in quanto essi sono uniti a Gesù Cristo nella Chiesa; e la Chiesa, corpo di Cristo che significa e l'umanità del Cristo presente e agente oggi in questo mondo, conserva questo potere di assolvere. 
Non si tratta dunque soltanto di predicare o di dichiarare il perdono, ma di accordarlo veramente. 
La Chiesa non ha soltanto il dovere di predicare la misericordia divina per suscitare la fede e la sicurezza del perdono, ma ha il potere di rimettere veramente i peccati mediante il segno efficace della assoluzione. 
Questo ministero della assoluzione fa parte della missione degli apostoli e della Chiesa: Gesù ha paragonato e significato questo perdono mediante la guarigione di un paralitico; e la Chiesa che dichiara l'assoluzione dei peccati, fa sorgere miracolosamente un uomo paralizzato dalle sue colpe; essa compie un'opera di risurrezione spirituale, poiché è il risuscitato che agisce in lei. 
E il
risuscitato che alla sera di pasqua ha conferito ai suoi apostoli, e attraverso di essi alla Chiesa, il potere e la missione del perdono. 
Il Signore disse loro: «La pace sia con voi; come il Padre ha inviato me così io mando voi». 
Il Padre ha mandato il Figlio sulla terra con il potere di perdonare i peccati e allo stesso modo il Figlio manda la Chiesa con questo stesso potere: «E quando ebbe detto quelle parole, soffiò su di loro dicendo: ricevete lo Spirito santo; a coloro ai quali rimetterete i peccati saranno loro rimessi; e a coloro ai quali voi li riterrete, saranno ritenuti» (Gv.
20, 22-23).
A questa reazione anti-cattolica suscitata in nome della libertà cristiana e della trascendenza di Dio, venne ad aggiungersi lo svilupparsi dell’individualismo in seno al protestantesimo. 
In questa prospettiva, l'immagine della Chiesa come comunità dei peccatori perdonati viene affievolendosi in favore di una spiritualità della persona, sola davanti al suo Dio. La confessione è allora considerata come un rapporto tra Dio e l'individuo; perciò non si vede più la funzione specifica del ministero pastorale dell'assoluzione; il pastore ha soltanto il dovere di predicare la Parola oggettiva della misericordia divina, della quale ognuno riceve i frutti mediante la fede individuale, nella sua relazione personale con Dio.

            III/     LA RINASCITA DELLA CONFESSIONE NEI TEMPI MODERNI

Le Chiese evangeliche hanno subito un grande influsso dal risveglio pietista; esso ha prodotto una riscoperta della responsabilità comunitaria e della pratica della cura delle anime, accompagnata anche dalla confessione e dall'assoluzione. 
Giovanni Cristoforo Blumhardt sperimentò questa riscoperta nel suo ministero; parlando di uno dei suoi primi penitenti egli dice: «Si pose in ginocchio e io gli diedi l'assoluzione imponendogli le mani. Quando si rialzò era trasformato: il suo volto splendeva di gioia e di gratitudine... L'afflusso alla casa parrocchiale è così grande, tanto che io sono occupato a ricevere le persone dalle sette del mattino sino a tarda ora della
notte... Più volte ho dato l'assoluzione; ed ho pensato di poter ripetere questo gesto, vedendo quei cuori così contriti. Inoltre ho chiesto a parecchie di quelle persone di ritornare...». 
Il risveglio spirituale della sua parrocchia coincide con la rinascita della pratica della confessione.
In un periodo più vicino a noi è da sottolineare l'influsso dei gruppi di Oxford che hanno dato poi origine al 'riarmo morale'
I militanti dei gruppi di Oxford insistevano sulla necessità dell'esame di coscienza, della confessione, e a volte della confessione pubblica, e ritenevano del tutto utile il sostegno di un direttore spirituale scelto liberamente. 
Molti pastori e fedeli hanno ritrovato sotto questo influsso i benefici effetti della confessione e della cura pastorale delle anime. 
Bisogna notare tuttavia un particolare: in questa riscoperta non si insisteva tanto su di una teologia sacramentale della assoluzione, quanto piuttosto sulla cura delle anime nel corso della quale poteva aver luogo la confessione, seguita poi dalla dichiarazione del perdono nel nome dell'Evangelo. 
Di fatto la teologia evangelica in genere teme che si dia una eccessiva importanza al posto del confessore nella pratica penitenziale; essa ha una forte ripugnanza per quell'«io» premesso al «ti assolvo»; essa preferisce che il confessore quasi scompaia in qualche modo dietro l'evangelo del Cristo, che libera dal peccato.
Un altro fenomeno recente che ha molto favorito la riscoperta della confessione e dell'assoluzione nel protestantesimo, è il rinnovamento della concezione comunitaria della Chiesa, soprattutto sotto l'influsso del movimento ecumenico. 
Questa rinascita è particolarmente visibile nell'ambito del luteranesimo tedesco. Anche lo sviluppo che è andato assumendo il movimento dei ritiri spirituali  a contribuito ad una maggiore attività nella cura delle anime con la confessione e l'assoluzione; nelle comunità, come quella di Taizé in Francia o di Grandchamp in Svizzera, la pratica della confessione e dell'assoluzione è divenuta un fatto normale nel ministero esercitato per coloro che si recano presso quelle comunità per il ritiro spirituale.
 
Ma in questa rinascita è necessario notare che vi sono anche delle difficoltà. 
La diffusione e la volgarizzazione delle dottrine psicanalitiche e della psicoterapia, rendono di frequente difficile una nozione chiara di peccato; si è tanto parlato di complesso di colpa, che a volte il cristiano non sa più in che cosa egli sia veramente peccatore. 
E d'altra parte è pur vero che si è tanto insistito sul peccato personale così da far perdere il senso della responsabilità sociale del cristiano; oggi è necessario ritrovare questa dimensione sociale del peccato verso la umanità, per uscire da un pietismo troppo individualista della confessione.
La gioventù attuale diffida dell'istituzione e delle forme; essa ha sete di autenticità e di interiorizzazione. 
E questa critica dell'istituzione non favorisce l'uso delle forme sacramentali tradizionali. Pur conservando l'oggettività del segno efficace dell'assoluzione e senza cadere in una problematica puramente morale, forse oggi è necessario trovare delle forme più libere e spontanee di confessione, nelle quali confessore e fedele vengano a trovarsi più in una situazione di fraternità molto semplice, che nella solennità di una relazione liturgica che per molti oggi è certo una difficoltà. 
Ma dicendo questo noi solleviamo un problema più generale: la Chiesa posta al servizio dell'uomo contemporaneo deve esercitare il suo ministero sacramentale oggettivo e allo stesso tempo deve mettersi con estrema semplicità alla portata delle necessità attuali di autenticità fraterna: il termine 'potere' deve oggi fare posto costantemente al termine 'servizio'; è necessario che il potere evangelico di perdonare divenga sempre meglio per la Chiesa un servizio fraterno e semplice, in forme autentiche e umane.


(traduzione dal francese di Vittorino Joannes)


(*) MAX THURIAN

Fratello di Taizé, è nato a Ginevra (Svizzera) il 19 agosto 1921.
E membro della chiesa riformata. 
Ha studiato alla facoltà di teologia protestante dell'università di Ginevra, attualmente è assistente del priore della comunità di Taizé (Francia).
 
Citiamo fra le sue pubblicazioni: Amour et Verité se rencontrent,1964
Collabora alla rivista Verbum Caro.


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