Nel XVI secolo, le discordie sulle questioni di fede portarono, nella cristianità
occidentale, una molteplicità di scismi persistenti.
Il luteranesimo, il calvinismo e l'anglicanesimo, iniziati come riformatori all'interno
della chiesa cattolica, erano cresciuti fino a diventare delle confessioni autonome con
legami ecclesiali propri, con ampie ramificazioni, in cui non vi era più posto per
l'autorità del vescovo di Roma.
Accanto e di fronte alle grandi chiese della Riforma, spuntarono piccoli gruppi marginali
di battisti, spiritualisti e altri dissenzienti che furono respinti e perseguitati sia dai
cattolici che dai protestanti; in tal senso furono i figliastri della Riforma.
Per caratterizzare la relazione in cui stavano le soprannominate minoranze protestanti
rispetto alle chiese riformate, allora in pieno rigoglio, R. Bainton, nel 1941, usò
un'immagine tratta dal sistema parlamentare moderno: esse erano 'l'ala sinistra della
Riforma'; tale denominazione voleva esser una riabilitazione e voleva esprimere il
riconoscimento del fatto che i dissenzienti del XVI secolo erano riusciti, su tutti i
fronti, nella dottrina, nella pietà, nella costituzione della chiesa, a rompere con la
tradizione in modo più profondo di quanto avessero fatto i loro avversari riformati.
Basandosi ancora sull'idea di Bainton, G.H. Williams, vent'anni più tardi, parlò di 'Riforma
radicale' e anche questa denominazione, come la precedente, contiene un giudizio
positivo.
Le due denominazioni citate hanno in comune il fatto che aprono una prospettiva nuova e
positiva sulle riforme perseguite dai dissenzienti.
Ora ci si può domandare come vada vista, una volta accettata questa prospettiva, la
posizione delle maggioranze, cioè di coloro contro cui si volsero i 'radicali'.
Dei due storici dalla chiesa nominati, Williams, in particolare, si è espresso con
chiarezza in proposito, contrapponendo alla Riforma radicale, o 'quarta' Riforma,
la 'Riforma del magistero'. L'espressione è stata coniata dallo stesso Williams
e indica, da una parte, l'autorità di cui godevano nelle tre chiese riformate i magistri,
cioè i teologi universitari formatisi all'insegnamento della grande tradizione;
dall'altra, il rigido controllo che queste chiese subirono e accettarono da parte del
magistratus, cioè dell'autorità laica.
Quest'ultimo aspetto è notevole. Mentre le piccole comunità dei battisti e degli altri
dissidenti sorgevano per libera adesione, le chiese riformate, proprio come la chiesa
cattolica, intrattenevano strette relazioni con l'autorità, diventando chiese nazionali e
statali.
In questo articolo non verrà trattata né la 'Riforma del magistero' né quella
'radicale', bensì i conflitti e le tensioni reciproche.
In particolare, ci occuperemo dell'aspra lotta sviluppatasi tra luterani e battisti, nella
prima metà del XVI secolo. Non verrà trattata in tutti i suoi aspetti; ci limiteremo a
chiarire i due punti principali: la condanna dogmatica e la persecuzione inflitta dai
luterani ai battisti.
La prima si sviluppò già a partire dal 1530, alla costituzione della prima professione
di fede luterana, la cosiddetta Confessio augustana; la seconda ebbe luogo
attraverso una lunga serie di misure penali messe in atto, contro i battisti, dai principi
e dai governatori luterani, prima e dopo la Confessione augustana.
Sarebbe ingiusto supporre che, nel caso della condanna presente nella confessione
d'Augusta, si sia avuto a che fare con un'iniziativa della chiesa e che, invece, per le
persecuzioni siano stati responsabili solo i detentori laici del potere.
La prima professione di fede luterana è firmata da autorità temporali, in particolare da
principi e da rappresentanti delle città.
Erano coloro che alla dieta imperiale di Augusta, da cui prese il nome il documento,
resero conto, dinanzi all'imperatore e agli alti funzionari imperiali, della loro fede e
dobbiamo subito aggiungere - della fede delle comunità evangeliche che essi avevano preso
sotto la loro protezione. In altre parole, le comunità ecclesiali sono probabilmente
presenti nella Augustana come soggetto delle fedi e delle confessioni, ma in modo
indiretto; attraverso i rappresentanti dell'autorità cristiana.
Al contrario, le misure penali prese contro i battisti, prima e dopo la loro condanna
dogmatica, non furono soltanto l'opera delle autorità laiche. A prepararle cooperarono le
chiese nella persona dei loro predicatori e dei loro teologi, Melantone, Lutero, Giovanni
Brenz e altri giustificarono sempre con varie teorie le pene inflitte ai battisti.
I loro consigli potevano essere accolti in maniera diversa e quindi anche le misure che
essi aiutarono a preparare. In altre parole, anche qui, come nella condanna dogmatica, si
manifestò un gioco di forze e di responsabilità.
1/ Il rifiuto delle dottrine battiste
La Confessio augustana non dà un'immagine completa della dottrina battista. Essa
unisce, qua e là, il più delle volte di sfuggita, un certo numero di affermazioni
dottrinali battiste da respingere.
La scelta appare, a prima vista, arbitraria e non è facile indicare un gruppo battista
identificabile con tutti i principi condannati o con la maggior parte di essi.
Alcuni ricercatori, soprattutto quelli di orientamento mennonitico, giunsero ad affermare
che le diverse affermazioni, prese nell'insieme, suscitano un'immagine del tutto deformata
del battismo. Ma questo rimprovero non è giusto: chi si renda conto che il compilatore
della Confessio augustana, Melantone, conosceva per esperienza propria ciò che
con il battismo si era propagato nella Germania centrale a partire dal 1526, può
riconoscerne, pur con qualche sforzo, alcune caratteristiche nella molteplicità delle
affermazioni, sempre molto generali, che vengono fatte sui battisti.
Si tratta qui di un battismo sui generis che si distingue, sotto molti aspetti, dal
movimento battista che, contemporaneamente, si stava diramando dalla Svizzera verso la
Germania meridionale.
Mentre l'anabattismo svizzero aveva una piega marcatamente umanistica e biblicistica, il
battismo della Germania centrale si collegò strettamente alle tradizioni di una mistica
tedesca popolare. Come queste tradizioni si erano manifestate, in precedenza, con Thomas
Müntzer, il 'mistico con il martello' che aveva lasciato la sua vita nella
guerra dei contadini, così, poco tempo dopo la fine di questa rivolta (1525), riemergono
figure come Hans Hut, Melchior Rink e altri capi battisti.
La Confessio augustana tratta di numerose controversie sul battismo, ma possiamo
limitare la nostra attenzione a tre punti principali: le divergenze sulla giustificazione,
sul battesimo e sulla morale sociale.
La prima questione viene trattata nell'articolo 5 che, alla fine, esprime la condanna nei
confronti dei "battisti e di tutti coloro che insegnano che possiamo ricevere lo
Spirito santo, mediante la nostra preparazione e le nostre opere, al di fuori della parola
esteriore del vangelo".
Cosa significano queste parole enigmatiche? Il contesto non è nient'altro che
l'esposizione della dottrina della giustificazione che inizia nella Confessio
augustana 4 e che continua sino alla Confessio augustana 6. Soltanto
attraverso la fede si ottiene la giustificazione e il perdono dei peccati, insegna
l'articolo 4 e, secondo il 6, la fede da sola, una volta ottenuta, porta buoni frutti.
L'articolo intermedio, il 5, tratta la questione di come si ottenga la fede che salva.
I luterani, al proposito, pongono l'accento sull'azione dello Spirito che sveglia in noi
la fede mediante due mezzi esterni della grazia, conferiti al ministero della chiesa, e
precisamente la parola della predicazione e la distribuzione dei sacramenti.
Ai battisti viene rimproverato, nella critica sopra citata, un'inosservanza di questi
mezzi oggettivi della grazia. I battisti, quasi come Thomas Müntzer, vengono considerati
come spiritualisti, per i quali è essenziale l'autorivelazione interiore dello Spirito,
preparata attraverso una pratica.
La descrizione che Confessio augustana 5 fa dello spiritualismo battista è
corretta ma sommaria. Non fa capire che il dissenso verteva soprattutto
sull'interiorizzazione della fede.
Rink contrappose la fede morta insegnata dai luterani alla fede viva e sperimentata di cui
Müntzer aveva parlato.
Credere per Rink, come per Müntzer, è un processo cosciente, e anche doloroso, durante
il quale l'uomo perde i suoi legami con questo mondo e rinasce nuova creatura. In questa
visione, la giustificazione è anche una santificazione; l'uomo muta e diventa idoneo ad
adempiere i comandamenti di Dio.
Nella riflessione teologica di Confessio augustana 5-7, viene posto l'accento
sulla trascendenza di Dio e sui mezzi oggettivi della grazia attraverso i quali è offerta
la salvezza. La posizione condannata presenta caratteri contrastanti: tratta
dell'immanenza di Dio, dell'esperienza interiore della fede e della pratica di vita
cristiana; l'antitesi continua nella controversia sul battesimo, trattata in Confessio
augustana 9.
Per gli anabattisti, il battesimo è il simbolo della conversione descritta e della
rinascita interiore.
A tutti coloro che non hanno ancora sperimentato la conversione e non hanno ancora
sviluppato una coscienza di fede (come nel caso dei bambini appena nati), non deve essere
amministrato il battesimo. La prova scritturistica di questa affermazione è tratta da Mc
16,16: "Chi crederà e sarà battezzato, sarà salvo".
Non si deve derogare dalla successione di queste parole: la fede deve assolutamente
precedere il battesimo.
Secondo questa visione, l'atto del battesimo non fornisce la grazia divina ma è il segno
che il battezzato stesso pone. La fede sigillata dal battesimo è la sua promessa solenne
di seguire Cristo in una santa condotta di vita.
Oltre al legame con Cristo, il battesimo suggella anche un vincolo con i fratelli e le
sorelle, con coloro che sono chiamati alla santità.
I luterani considerarono un'atrocità questa radicale reinterpretazione del battesimo:
"il segno e l'opera di Dio", viene detto nella prima stesura della Confessio
augustana 9, sono degradati dai battisti a "segno e parole tra i cristiani".
Il testo definitivo lancia un solenne anatema al rifiuto del battesimo dei bambini e
sottolinea che il battesimo è un sacramento in cui all'uomo è 'offerta la grazia'
dall'esterno. Confessio augustana 9 non si esprime sul rapporto tra i segni
sacramentali e la fede.
Da commenti della stessa epoca possiamo concludere che Lutero e i teologi di Wüttenberg
classificavano la fede in base ai doni distribuiti nel battesimo e che rimaneva per loro
inammissibile mettere sullo stesso piano fede e coscienza. Secondo loro, comprendere e
capire la salvezza offerta nel battesimo apparteneva essenzialmente allo sviluppo della
fede, non alla fede stessa.
La terza ed ultima differenza riguarda le implicanze etico-sociali della fede suggellata
dal battesimo. Secondo i battisti, il rinnovamento radicale dell'esistenza deve
manifestarsi anche nel comportamento sociale dei cristiani: l'uguaglianza con Cristo li
obbliga a seguire alla lettera i precetti del discorso della Montagna.
Il cristiano non ricopre alcun incarico nei tribunali o nel governo delle città, perché
ogni funzione di autorità comporta l'uso del potere o della violenza; il cristiano
inoltre non presta giuramento e rifiuta il servizio militare. Ci si aspetterebbe che
luterani avessero bollato queste concezioni battiste come un nuovo legalismo, cioè come
una rinnovata aspirazione a raggiungere la giustificazione attraverso le opere. Ma la Confessio
augustana mette in discussione questi insegnamenti nell'articolo 16 che tratta
dell'autorità temporale e dell'atteggiamento che il cristiano deve assumere nei confronti
dello stato. In altre parole, i precetti sopra descritti vengono considerati come un 'insidia'
all'autorità costituita.
La prospettiva particolare in cui viene considerata l'etica sociale dei battisti fa
chiedere come essi stessi si ponessero nei confronti dell'autorità temporale costituita
dall'alto.
Entro il battismo della Germania centrale si manifestavano, grosso modo, due concezioni.
La maggior parte dei raggruppamenti era costituita dai "battisti silenziosi"
che tenevano un atteggiamento di distacco nei confronti dell'autorità e che non avevano
l'intenzione di compiere un sovvertimento dell'ordine esistente. Questi non sostenevano
che ai principi e ai magistrati delle città non si dovesse l'obbedienza, ma si
distanziavano da loro proprio perché essi possedevano il potere temporale, vi erano
attaccati e quindi non erano cristiani.
I seguaci di Hans Hut, invece, andarono oltre. Anch'essi predicavano il rifiuto della
violenza, ma vi posero un limite.
Come Thomas Müntzer, erano dell'avviso che i governanti avessero perso, per principio, il
diritto di portare la spada, poiché non l'avevano mai usata per rinnovare, in modo
radicale, la società secondo la parola di Dio; di conseguenza, la loro sovranità era
andata distrutta.
Hut previde un ritorno imminente del Signore e lo raffigurò come un giudizio finale
particolarmente sanguinoso nei confronti dei principi.
La lega dei veri cristiani viveva nella spasmodica attesa di questo giudizio e si
considerava lo strumento che Dio avrebbe usato per mettere in atto la punizione. Confessio
augustana riporta e condanna questa visione apocalittica specialmente nell'articolo
17 che tratta del ritorno del Signore. In Confessio augustana 16, che nell'ordine
è precedente, non si tratta né di questa variante, né della posizione contraria dei
battisti 'silenziosi'. In questo articolo ci si rivolge contro una communis
opinio condivisa dai battisti silenziosi e dai rivoluzionari, cioè contro la
concezione che "ai cristiani non sia permesso rivestire incarichi temporali".
Il punto di vista contrario viene difeso facendo riferimento all'origine divina
dell'autorità temporale: dal momento che l'autorità è creata e stabilita da Dio, il
cristiano può essere principe, magistrato o giudice, può punire con la spada e condurre
guerre giuste, senza commettere peccato.
2/ La persecuzione dei battisti
E' notevole il fatto che, nei tre articoli citati, venga pronunciato, ad ogni momento,
un anatema contro i battisti. "Le chiese condannano (damnant) in noi gli
anabattisti", dichiarano coloro che hanno sottoscritto per tre volte la
confessione di fede.
Questo anatema assume peso maggiore per il fatto che i battisti sono gli unici avversari
contro cui venne lanciato.
La formula di condanna espressa nella Confessio augustana è risparmiata non solo ai
cattolici romani, ma persino agli zwingliani, tanto odiati per la loro dottrina
sull'ultima cena.
La discussione con questi gruppi di dissenzienti avviene con un tono del tutto diverso, un
tono veramente ecumenico: quando si prendono le distanze dalle loro convinzioni, lo si fa
sempre in termini cauti e senza far nomi.
Al contrario, i battisti vengono identificati come un gruppo e, dichiarati eretici,
perseguitati.
Non si sente l'obbligo di avere, nei loro confronti, né rispetto, né amore fraterno, o
apertura ecumenica.
Il duro giudizio sui battisti, espresso nella Confessio augustana, diventa
comprensibile se pensiamo che i principi e i rappresentanti delle città che firmarono nel
1530 questa confessione di fede, avevano cooperato, l'anno precedente, a redigere una
legge imperiale che privava i battisti di ogni diritto.
Nel 1529, alla dieta imperiale di Spira, fu pronunciato un mandato contro i battisti in
cui il nuovo battesimo era definito una colpa grave, da punirsi con la morte.
Il mandato era a nome dell'imperatore ma fu accolto con pari consenso dai cattolici e dai
luterani. Così venne anche incorporato nelle delibere della dieta. L'anatema espresso
dalla Confessio augustana poggia, senza dubbio, su questa legge emanata un anno
prima.
Alla base di entrambi gli atti, sta la medesima convinzione di fondo: i battisti sono
eretici.
Il mandato del 1529 legittima le definizione del nuovo battesimo come misfatto e la scelta
della misura punitiva, facendo riferimento all'antico codice imperiale, il Codex
justinianus. A prima vista, questa base storica può sorprendere, ma certo non fu
inventata di sana pianta.
Nel codice sono infatti incorporate alcune leggi che i predecessori di Giustiniano nel IV
secolo avevano emesso contro la pratica del nuovo battesimo.
Questa legislazione era rivolta contro l'antica setta cristiana dei donatisti che
praticavano in grande scala il ribattezzamento e lo imponevano a tutti i cristiani che
desideravano entrare a far parte della loro comunità.
Nella lotta al donatismo, gli imperatori cristiani del IV secolo avevano definita
sacrilega la pratica di culto dei ribattezzatori e, nella loro legislazione, avevano
richiesto per essa la pena di morte. Il mandato del 1529 si richiamava dunque a questa
legislazione.
Carlo V e gli ufficiali imperiali tedeschi riattivarono in altre parole l'antico e sempre
vigente diritto imperiale.
Nella decisione comunitaria, presa a Spira, i battisti furono identificati al famoso
gruppo di eretici del passato, i donatisti. In tal modo ci si poteva regolare nei loro
confronti secondo una modalità precisa. Chi ribattezza o chi si fa ribattezzare è
manifestamente un eretico e perciò viene punito con la morte.
Collaborare alla stesura di una legge e applicarla sono due atti diversi.
I principi e i rappresentanti delle città luterani hanno, senza dubbio, deciso il loro
intervento contro i battisti in base al mandato del 1529.
Claus Peter Clasen ha calcolato che nel periodo compreso tra il 1525 e il 1618 furono
uccisi in Europa 845 battisti e che l'84% di queste esecuzioni ebbe luogo in paesi rimasti
cattolici soprattutto nei territori asburgici e in Baviera - e soltanto il 16% nelle terre
protestanti; la maggioranza di queste ultime riguarda il cantone riformato di Berna. E
certo che le autorità luterane condannarono a morte un numero relativamente piccolo di
battisti.
In una gran parte delle zone luterane dell'impero - Hessen, Palts, Württemberg e in
numerose città - non fu mai applicata alcuna condanna a morte dei battisti.
Ciò perlomeno significa che in queste aree si era disposti ad accordare ai battisti la
libertà di culto e che, quando furono perseguitati, non furono loro mai inflitte pene
più gravi dell'esilio o della privazione prolungata della libertà.
In un solo territorio protestante della Germania il mandato imperiale venne eseguito
strettamente: nel principato luterano della Sassonia dove, secondo Clasen, furono eseguite
ventuno condanne a morte, corrispondenti a un quarto delle esecuzioni messe in atto dai
governi protestanti.
Sulla base delle suddette cifre, sorgono due interrogativi.
Perché le autorità luterane applicarono in generale pene più miti di quelle inflitte
dalle autorità cattoliche e persino dagli stessi detentori riformati del potere?
Come possiamo spiegarci che la Sassonia, culla del luteranesimo, si distaccò dalla linea
tenuta altrove dai luterani?
La linea di condotta che segna la maggior parte degli atteggiamenti protestanti dipende,
senza dubbio, dalla grande estensione e dall'influsso della dottrina luterana dei due
regni che offrì alle autorità protestanti e ai loro consiglieri una visione del fenomeno
dell'eresia diversa da quella della tradizione cattolica. Già durante la lotta per le
indulgenze, Lutero aveva lanciato un attacco al diritto tradizionale, formatosi nel
medioevo, nei riguardi degli eretici e dell'eresia. "Mandare
al rogo gli eretici è contro il volere dello Spirito santo" aveva assicurato
nel 1518 in una esposizione delle sue famose proposizioni sull'indulgenza. E due anni più
tardi, nel 1520, nella sua lettera alla nobiltà cristiana di nazione tedesca, afferma:
"Gli eretici si devono vincere con la Scrittura e non con il fuoco, siccome
fecero gli antichi Padri. Che se arte fosse il vincerli col fuoco, i carnefici sarebbero i
dottori più sapienti della terra". Alla base di queste affermazioni sta la
rigida divisione che Lutero desidera vedere apportata tra il vangelo e il mondo, tra il
potere spirituale e il potere temporale.
L'eresia è per lui un convincimento religioso ingiusto, sostenuto caparbiamente, che può
venir vinto solo spiritualmente, cioè con la predicazione della parola di Dio.
L'autorità temporale non ha, al proposito, alcun compito, perché non ha potere sul mondo
interiore dell'uomo e, quando si arroga il diritto di prescrivere un certo convincimento
religioso, va oltre la sua competenza e sconvolge l'ordine voluto da Dio.
Nel notissimo trattato del 1523, Sull'autorità secolare, fino a che punto si sia
tenuti a prestarle obbedienza, Lutero ripete i concetti basilari e,
contemporaneamente, esprime la sua idea più classica: "Poiché sta alla
coscienza di ognuno di credere o no, e ciò non arreca danno alcuno all'autorità terrena,
essa può stare in pace e attendere alle cose sue, lasciando che si creda in un modo o
nell'altro, come si può e si vuole, senza costringere alcuno con la forza".
Le parole di Lutero suonano straordinariamente moderne, come una difesa della libertà
religiosa nel senso più ampio della parola. Eppure non operarono come tali nella società
del XVI secolo, né potevano farlo. Non erano nemmeno state volute per questo scopo.
Lutero e la maggior parte dei suoi contemporanei consideravano logico che l'autorità
indicasse una sola dottrina nel territorio posto sotto il suo potere. Ogni altra
soluzione, secondo loro, avrebbe portato necessariamente alla discordia civile.
Per questa ragione, i battisti furono ostacolati e messi a tacere, ricorrendo all'esilio o
privandoli della libertà. Nello stesso tempo, le principali affermazioni del riformatore
portarono molti suoi contemporanei a intendere che non era lecito privare della vita i
dissenzienti a motivo delle loro convinzioni religiose.
Era ammesso soltanto impedire la libera propaganda delle loro idee.
La concezione di Lutero aveva, in altre parole, un valore di rottura, per il pensiero e
per la pratica giuridica di quel tempo.
Possiamo rilevare tale influsso nel rapporto delle autorità protestanti con la legge
imperiale del 1529: la maggior parte non la prese in considerazione e, quando la legge
venne messa di nuovo in discussione, due anni dopo la sua promulgazione, a una conferenza
dei gruppi protestanti, la maggior parte dei presenti dichiarò che essi non le davano
alcuna importanza poiché si riferiva a una decisione imperiale promulgata troppo in
fretta e senza la dovuta riflessione.
Per finire, ancora qualche parola sulla severa pratica della giustizia nel principato di
Sassonia, dove la giustizia era ispirata al convincimento politico che i battisti non
fossero dei miscredenti ma dei rivoltosi.
Il principe e i suoi consiglieri considerarono il movimento battista come un prodotto
della guerra dei contadini appena cessata, come un fuoco ancora acceso sotto le ceneri del
movimento rivoltoso fomentato da Thomas Müntzer.
I teologi di Wüttenberg, soprattutto Lutero e Melantone, condividevano la visione di
questi politici e la rafforzarono. Perciò anche Lutero andò considerando il movimento
battista come un movimento di rivolta che, come tale, cadeva sotto la competenza penale
dell'autorità temporale.
Dove l'eresia andava di pari passo con la rivoluzione, non cadeva più sotto la legge
dell'amore che domina nel regno spirituale, ma sotto la giustizia vendicatrice esercitata
nel regno temporale. I capi e i seguaci di una setta ribelle meritano, perciò, la pena di
morte.
Per principio, tutti, nel campo luterano, sia le autorità che i teologi, potevano
sottoscrivere questo argomento che rientrava nello schema dei due regni.
Una differenza di opinioni suscitò la quaestio facti, l'interrogativo, cioè, se
fosse lecito sospettare i battisti di idee rivoluzionarie.
Ogni volta che si presentava questa questione Giovanni Brenz, il predicatore di Schwabisch
Hall e consigliere di molti principi e di magistrati delle città, giudicava con maggior
prudenza dei suoi colleghi di Wüttenberg.
Per dire la verità, questi ultimi erano confrontati, nei loro territori, con disordini
causati dai battisti.
Lutero e Melantone avevano pure ragione quando ascrivevano ad alcuni battisti intenzioni
rivoluzionarie.
Abbiamo già visto che i seguaci di Hans Hut praticavano un battismo millenaristico. Ai
teologi di Wüttenherg si può rimproverare forse, di aver fatto, nel caso dei battisti,
di ogni erba un fascio e di aver assegnato a tutti la stessa ed unica dottrina
rivoluzionaria.
Conoscevano la differenza tra battisti silenziosi e gli apocalittici, ma non la presero
sul serio.
Il diavolo, e l'osservazione è di Melantone, si maschera sotto diversi aspetti, ma non
può mai nascondere i piedi.
Con questa frase voleva significare che tutti i battisti erano invasi dallo stesso spirito
di rivolta che era sprigionato da Thomas Müntzer con conseguenze fatali.
(traduzione dall'olandese di CLARA DE
VRIES-LEVI)
(*) EUGÈNE HONÉE
è nato nel 1934. Ha studiato filosofia e storia a Nimega e storia della chiesa a Roma
all'Istituto storico olandese e a Mainz presso l'Institüt für Europäische
Geschichte.
Dal 1982 ricopre la cattedra di storia della chiesa presso la Facoltà di teologia
dell'università di Amsterdam.
Insieme a E. Kerstiens ha curato la traduzione e il commento all'opera di M.
Merleau-Ponty, Elogio della filosofia.
Le sue pubblicazioni sulla storia della chiesa si riferiscono principalmente alla storia
della Riforma.
(Indirizzo: St. Annastraat 359, 6525 ZG Njimegen, Olanda).