Figli di un Pio minore
IL SANTO DEL 2 MAGGIO ~
BIOGRAFIA NON AUTORIZZATA
Le stimmate. Le visioni. Le guarigioni. Le baruffe con il demonio.
Ma anche le condanne ecclesiastiche, le accuse di fare sesso, i sospetti di
isteria.
Storia di un frate adorato da moltissimi, avversato da tre papi, e ora
beatificato da Wojtyla (Sandro Magister, L'Espresso, 29
aprile1999)
La sua dolce vita padre Pio l'ha cominciata volando in
cielo, una notte di settembre di trentun anni fa, da un remoto convento del
Gargano. Perché in terra lui beato non fu mai. Il 2 maggio Giovanni Paolo
II lo eleverà agli altari in gran tripudio e farà di padre Pio da
Pietrelcina il nuovo acquisto piÙ fulgido per il culto del terzo millennio.
Ma il suo profilo di santità è tutto tranne quello che usualmente
s'immagina, azzurrino, aureolato, gaudioso. Tutto l'opposto. Difficile
trovare una vita di santo moderno più irsuta e selvatica della sua, più
maltrattata da amici e nemici. Specie i nemici di casa. Farlo oggi beato,
credere post mortem nella sua santità, per la Chiesa vuol dire battersi il
petto, pronunciare un mea culpa colossale per tutta l'incredulità
rovesciata addosso a lui in vita.
La dolce vita, caso mai, gli era intorno. Da film di Fellini. Intorno a San
Giovanni Rotondo, sul Gargano, era tutto un brulicare di devoti e pie donne,
contadini vocianti e prelati in pompa, onorevoli e nuovi ricchi, pretazzuoli
e fratacchioni, esaltati e miracolati. Ricordate la scena iniziale del film
"La dolce vita", quella dell'elicottero con appesa la Madonna di
Fatima? Tutto vero. L'elicottero con la sacra statua atterrò anche a San
Giovanni Rotondo, ai primi d'agosto del 1959. In un'alluvione di gente,
corsa lì per la Madonna ma anche per padre Pio. Ma il povero frate era
inchiodato a letto da un tumore maligno, con i medici intorno che mesti
scuotevano il capo e gli davano pochi giorni di vita. Macché. Il 6 agosto
l'elicottero riparte e se ne va. Ed è un puntino nel cielo quando
all'improvviso fa dietrofront. Il gesuita Mario Mason, in carlinga, ha
ordinato al pilota di sorvolare un'ultima volta il convento del frate. Che
al rombo dell'elica scuote il suo corpo martoriato. E di colpo salta su,
caccia via i medici, corre in chiesa a confessare in un tumulto di folla
osannante. Guarito. Risorto. «È stata la Madonna», dice.
Poi ciascuno la penserà come gli pare. Ma è difficile, impossibile
cancellare gli accaduti di questa vita stupefacente. Padre Pio ha sempre
vissuto tra cielo e terra. Letteralmente. Subito dopo la guerra un gran
numero di piloti dell'aviazione alleata, americani, inglesi, protestanti,
ebrei, tornarono in veste di pellegrini a quella San Giovanni Rotondo che
avevano più volte sorvolato con il loro carico di bombe. E tutti
riconoscevano in padre Pio il volto di quel frate che durante la guerra gli
si era parato davanti in cielo, con le mani stimmatizzate aperte, a dire
alt, non bombardate, pace, pace. E loro tremebondi avevano invertito la
rotta.
Padre Pio non ha mai teorizzato niente. Le epocali dispute della Chiesa
conciliare non lo sfioravano neppure. Quando nel 1965 il rito della messa
cambiò forma e adottò la lingua volgare, lui tirò dritto, chiese e
ottenne l'indulto di restare al vecchio rito e continuò sempre a dir messa
in latino. E se valessero in questa materia gli indici di gradimento, fu lui
a vincere, anzi, a stravincere. Per lui un uragano di devoti in vita e post
mortem, in tutto l'orbe terracqueo. Per i diafani eroi della Chiesa
conciliare, don Giuseppe Dossetti, don Lorenzo Milani, don Primo Mazzolari,
solo radi cenacoli di intellettuali.
No. Non gli è mai stata amica la Chiesa, quella potente, in cattedra.
Gliene ha fatte patire di tutte. Eppure, ogni volta dopo anni, s'è sempre
scoperto che il torto stava dalla parte dei suoi detrattori, alcuni dei
quali autentici manigoldi. Anche tra i papi ci fu chi lo fece soffrire. Dei
nove pontefici della sua vita, due gli furono arcinemici, Pio XI e Giovanni
XXIII, il secondo più ancora del primo. E se papa Albino Luciani fosse
durato più a lungo, anche lui gli sarebbe stato contro. A riprova che gli
epiteti di "papa buono" e di "papa del sorriso"
applicati a questi ultimi non sempre calzano a puntino. Ma padre Pio non se
ne stupì mai. Quando era giovane frate, nella natìa Pietrelcina, gli era
apparso Gesù in una visione da girone dantesco. «Era tutto malconcio. Mi
mostrò una grande moltitudine di sacerdoti regolari e secolari, fra i quali
diversi dignitari ecclesiastici. Di questi, chi stava celebrando, chi si
stava parando e chi si stava svestendo le sacre vesti. La vista di Gesù in
angustie mi dava molta pena, perciò volli domandargli perché soffrisse
tanto. Nessuna risposta n'ebbi. Però il suo sguardo si riportò verso quei
sacerdoti. Ma poco dopo, quasi inorridito e come se fosse stanco di
guardare, ritirò lo sguardo ed allorché lo rialzò verso di me, con grande
mio orrore, osservai due lagrime che gli solcavano le gote. Si allontanò da
quella turba di sacerdoti con una grande espressione di disgusto sul volto,
gridando: "Macellai!"».
Un cardinale contro i suoi aguzzini
Quella visione padre Pio l'ebbe nel 1913, quando aveva 26 anni. Più di
mezzo secolo dopo, l'8 dicembre 1968, un eminentissimo uomo di Chiesa la
convalidò in pieno trasformandola in verità ufficiale, in un discorso che
fece sensazione. Perché del frate faceva un martire, per mano di macellai
ecclesiastici. Padre Pio era morto meno di tre mesi prima, il 23 settembre.
E già la Chiesa aveva deciso di farlo santo così, come spesso fa con
quelli che ha perseguitato in vita. L'eminentissimo era il cardinale Giacomo
Lercaro, capofila degli innovatori in Concilio, personaggio culturalmente
agli antipodi di padre Pio. Nell'apologia del frate pronunciata dal
cardinale c'era forse in più la punta di veleno d'un piccolo martirio che
lui stesso aveva patito pochi mesi per mano di papa Paolo VI: dimissionato a
forza da arcivescovo di Bologna per eccessivo progressismo.
Niente nomi, nel discorso di Lercaro. Ma che invettive! Contro gli «aguzzini»
di padre Pio. Contro i «miserabili traditori che colorarono di sacrilegio
il loro bacio proditorio». Contro le autorità superiori che vollero «dar
retta a esseri spregevoli invece che all'umile frate». Contro la Chiesa di
Manfredonia «avvelenata dall'infedeltà, infangata da abominazioni commesse
nel luogo santo e coperte da mostruose complicità e connivenze interessate».
Contro «le procedure arbitrarie, le misure durissime, ingiuriose, maligne,
i verdetti non giustificati» dei tribunali vaticani.
Questo l'indice: di un ciclo di afflizioni che comincia nel 1922 e finisce
nel 1965. Ma prima c'è l'antefatto. Padre Pio nasce nel 1887 a Pietrelcina,
nel Sannio, una dozzina di chilometri da Benevento, da povera famiglia
contadina. Già da bambino promette bene, fa penitenze «per essere come Gesù
flagellato», si incanta alla vista di un frate cappuccino con la barba che
passa di casa in casa per la questua. Vuol fare da grande come lui. E alla
vigilia d'entrare in convento, a 13 anni, ha la prima grande visione: una
lotta vittoriosa contro «un uomo di smisurata altezza da toccare con la
fronte le nuvole. Il di lui volto sembrava quello di un etiope, tanto che
era orrido». È il demonio. Col quale tornerà a battersi innumerevoli
volte. Non in sogno, ma per davvero, in carnale fisicità. Lui lo apostrofa
con i nomi di baffone, barbablù, birbaccione, cosaccio. E dalle celle
vicine, nella notte, i frati sentono le botte dello scontro, gli schiamazzi,
le detonazioni. Accorrono e trovano padre Pio tutto pesto e dolorante,
stremato dalla lotta.
Trafitto al cuore da un dardo infuocato
Anche la salute è sempre malconcia, non regge la vita del convento. Per
sette anni i frati lo rimandano a casa. E hanno un bel da fare, poi, a
riprenderselo, perché per i pietrelcinesi quel giovane frate è già «lu
santarellu nostro» e non lo vorrebbero più cedere. Le sue messe durano
ore, tra rapimenti, estasi, pianti, strazi.
Nel 1918, d'agosto, un dardo infuocato lo trafigge al cuore. È l'esperienza
dei mistici, quella dell'estasi di santa Teresa D'Avila nel capolavoro del
Bernini. «Mi sentivo morire. Da quel giorno in qua sento nel più intimo
dell'anima una ferita che è sempre aperta, che mi fa spasimare assiduamente».
Quaranta giorni più tardi, è il 20 settembre, nel coro della chiesa del
convento di San Giovanni Rotondo ecco sopravvenire le stimmate. Vede un
Cristo piagato e al suo scomparire «le mie mani, i piedi e il costato erano
traforati e grondavano sangue. Immaginate lo strazio che sperimentai allora
e che vado esperimentando continuamente quasi tutti i giorni. La ferita del
cuore gitta assiduamente del sangue, specie dal giovedì sera sino al sabato».
Per celare le stimmate indosserà mezzi guanti marrone. Glieli lasceranno
anche sul letto di morte, nonostante nelle ultime ore di vita le piaghe gli
si fossero richiuse, e le carni ferite fossero tornate lisce, bianche come
latte.
Corre presto la fama del nuovo san Francesco del Gargano. È tutto un
accorrere di fedeli. Non si contano le conversioni di peccatori incalliti.
Ma anche i medici corrono. A curiosare, a verificare. A mandarli sono
l'ordine dei cappuccini e lo stesso Vaticano. Il professor Amico Bignami,
quello con mandato pontificio, sentenzia che padre Pio non simula, ma che le
sue stimmate sono prodotto d'una suggestione e sono tenute aperte da
pennellate di iodio. Lo sottopone a cura coatta. Con totale insuccesso. Poi
entra in campo padre Agostino Gemelli, medico psichiatra fattosi
francescano, fondatore e rettore dell'università Cattolica di Milano. Con
padre Pio s'incontra pochi istanti, nemmeno il tempo d'una perizia alle
piaghe. Ma la diagnosi che trasmette in curia, a Roma, è drastica: «isterismo».
In Vaticano il cardinale segretario di Stato, Pietro Gasparri, è un
estimatore del frate. Ma gli altri magnati di curia no. Tutti contro.
Compreso il papa, il dotto Pio XI. Tira in quegli anni un'aria di
conciliazione tra Chiesa e Stato, tra fede e scienza, che vede solo come un
ingombro la religiosità popolaresca, fuori moda, impresentabile d'un padre
Pio. Idem i suoi miracoli, così favolistici, da cantastorie contadino. Come
quello fatto al generale Raffaele Cadorna, disperato dopo la disfatta di
Caporetto e con la pistola alla tempia, fermato in extremis da un misterioso
frate con la barba scura che all'improvviso gli compare vicino e lo
conforta. E che ritrova due anni dopo a San Giovanni Rotondo, proprio nella
persona di padre Pio che gli va incontro dicendogli: «Generale, l'abbiamo
vista brutta quella notte».
Il 1922 è l'inizio della via crucis. Comincia a piovere sul malcapitato
frate una grandinata di sentenze disciplinari, emesse dall'ordine cappuccino
o dal Sant'Uffizio. Gli tolgono i direttori spirituali. Gli aprono la
corrispondenza. Gli vietano di confessare e di dir messa in pubblico. Lo
incarcerano in convento. E lui paziente: «Sono figlio dell'obbedienza».
Sopporta le peggiori accuse. Quelle che gli inquisitori vaticani raccolgono
creduli dalla bocca del vescovo di Manfredonia, Pasquale Gagliardi, e dei
suoi accoliti.
L'accusa massima è, puntualmente, quella di far sesso con le pie donne a
lui devote. Ma da che pulpito. Monsignor Gagliardi ha fatto carriera grazie
alla stima di papa Pio XI, ma sarà lui alla fine travolto dalle sue
malefatte: satiro con le suore, anche di clausura, simoniaco con i preti,
capace di vendere ordini sacri, prebende e canonicati ai peggiori dei suoi
complici in ribalderie. Di questa risma erano gli accusatori di padre Pio. A
sua difesa si muove soprattutto un convertito di nome Emanuele Brunatto,
estroso tipo da film di spionaggio, dalle cento identità cangianti, capace
d'insinuarsi fin nelle curie nemiche. Sarà lui, a colpi di
controinformazione, a far ravvedere un pochino le autorità vaticane. Nel
1933 la prigionia cui è stato sottoposto padre Pio viene allentata. Può
riprendere a dire in pubblico la messa: «ma che non duri più di 30-35
minuti». E niente colloqui con donne.
Nel 1939 diventa papa Pio XII. E meno male. È un papa che gli vuol bene.
Nel 1942 autorizza la nascita dei "Gruppi di preghiera di padre
Pio", la costellazione di gruppi di devoti che oggi, nel 1999,
assommano a più di 2 mila, in 35 nazioni. Nel 1947 benedice l'avvio della
costruzione a San Giovanni Rotondo della "Casa sollievo della
sofferenza", un ospedale modello che sarà ultimato nel 1956 grazie
alle offerte dei devoti e a uno stanziamento di 400 milioni del governo
degli Stati Uniti (150 dei quali spariscono però lungo la strada, a Roma).
Padre Pio è sempre lui: non esce mai dal convento, dice messa con gran
concorso di popolo, confessa fino a 14 ore al giorno, lotta di notte col
demonio, sanguina dalle stimmate, recita rosari innumerevoli, ha le visioni,
converte, fa miracoli. Ma intorno a lui s'affolla un'Italia nuova e
febbrile, rampante e disordinata. L'Italia del boom.
La Chiesa ne è contagiata. Ordini religiosi e curie. Giambattista Giuffré,
finanziere d'assalto, li incanta. Li convince a rastrellare le offerte dei
fedeli e a investirle da lui, in cambio di interessi da capogiro, fino al
cento per cento. Un vescovo che si fa tentare è quello di Padova, Girolamo
Bortignon, cappuccino come padre Pio: da un miliardo investito da Giuffré
intasca in un anno 900 milioni di interessi. Ma quando il 18 agosto del 1958
la piramide crolla, è il disastro. I cappuccini di Foggia, anche loro
caduti in tentazione, si ritrovano da un giorno all'altro con più di un
miliardo di debito, con in cassa meno di un milione e con alla porta decine
di creditori ingannati che reclamano indietro i loro soldi. Che fare, per
salvare la diocesi e l'ordine, se non attingere alle floride offerte
accumulate dal loro confratello con le stimmate?
Spiato nel confessionale
E se gli economi di padre Pio rispondono picche, come in effetti fanno,
perché non mettere alle strette il sant'uomo? Perché non farlo capitolare
e quindi incamerare il suo tesoro? Perché non rinfrescare le vecchie accuse
contro di lui e strappare al Vaticano una bella condanna? Il vescovo
Bortignon, d'intesa con un altro vescovo veneto di nome Albino Luciani, il
futuro Giovanni Paolo I, consegna al Sant'Offizio un dossier contro il suo
confratello di San Giovanni Rotondo e i suoi Gruppi di preghiera. Le accuse
sono di quasi eresia e di scisma. Ma sotto sotto anche di sesso. E intanto,
a Roma, a Pio XII è succeduto Giovanni XXIII, che a Padre Pio è sempre
stato ostile.
Il 30 luglio del 1960 arriva a San Giovanni Rotondo una grossa automobile
nera. Ne scendono un vescovo, Carlo Maccari, e uno strano prete senza
tonaca, Giovanni Barberini, che gli fa da segretario e che in paese presto
chiamano «il prete bello». Maccari l'hanno inviato lì il Sant'Uffizio,
capitanato dal cardinale Alfredo Ottaviani, e il papa in persona, Giovanni
XXIII. Con un mandato: inquisire e mettere in riga. In due mesi
d'andirivieni tra Roma e il Gargano Maccari fa il suo dovere. Consegna alle
autorità vaticane il suo rapporto e queste emettono poco tempo dopo la loro
sentenza. Per padre Pio è un rovescio senza precedenti. Imbavagliato,
recluso, sorvegliato. Colpo finale: la confisca della Casa sollievo della
sofferenza, incamerata dal Vaticano.
Ma c'è di più. Di padre Pio vien messa in circolo la leggenda negra:
quella delle sue imprese amatorie. Provata, si dice, da bobine registrate di
nascosto nella sua cella, nel parlatorio, nel confessionale delle donne.
Proprio così. Pochi mesi prima che a San Giovanni Rotondo arrivasse
l'inquisitore Maccari, una banda di spioni aveva piazzato lì i microfoni.
Componevano la banda un intraprendente prete di Roma, Umberto Terenzi,
parroco del Divino Amore, un paio di superiori del convento di padre Pio e
una strana suora, di nome Lucina, che diceva d'avere visioni celesti «più
autentiche» di quelle del frate. Ma poi c'era il mandante, al quale la
banda consegnava le bobine: il potente assessore del Sant'Uffizio, Pietro
Parente, futuro cardinale. Che a sua volta le dava in ascolto a papa
Giovanni XXIII e al suo segretario, Loris Capovilla.
Papa Giovanni pare non le abbia mai volute ascoltare, le bobine. Anche
Maccari, al suo arrivo in convento, fece lo scandalizzato e ordinò di
rimuovere i microfoni spia. Poi però nel suo rapporto concluse che padre
Pio «bis in hebdomada copulabat cum muliere», s'accoppiava con una donna
due volte alla settimana: che per un ultrasettantenne con le stimmate
sanguinanti e macerato dalle malattie sarebbe un miracolo mica male. A
sostegno dell'accusa allegava le asserzioni d'una ex devota del frate e le
voci raccolte in paese dal suo braccio destro Barberini, il "prete
bello" che poco dopo sarebbe scappato con una fanciulla.
E padre Pio? Paziente e obbediente. I suoi devoti un po' meno. L'astuto
Brunatto compila un libro bianco in difesa del frate e in accusa degli
accusatori. Ne manda copia al nuovo papa, Paolo VI, al segretario dell'Onu,
U Thant, al capo dello Stato italiano, Antonio Segni, e annuncia che lo darà
in pasto ai giornali. Il risultato è che il Vaticano corre ai ripari e
patteggia. Il libro bianco non vede più la luce e il Sant'Uffizio rimette
in libertà padre Pio, annullando tutte le precedenti condanne. Dal 1965
alla morte, tre anni dopo, il Vaticano lo lascerà finalmente in pace.
Ma a determinare la retromarcia è soprattutto il cambio sulla cattedra di
Pietro. Paolo VI, il nuovo papa, è un estimatore di padre Pio. Lo è sempre
stato anche nei momenti più bui. E poi c'è un futuro papa in marcia, che a
padre Pio è ancor più vicino. Nel novembre del 1962, quando la
persecuzione contro il frate era all'acme, un vescovo polacco di nome Karol
Wojtyla, a Roma per il Concilio Vaticano II, viene a sapere che in patria
una sua amica d'infanzia, Wanda Poltawska, medico e psicologa, è in
pericolo di vita per un cancro alla gola. Che fa? Scrive un biglietto a
padre Pio, che conosce bene e dal quale era già stato, anche per
confessarsi.
Ed ecco che dieci giorni dopo, dalla Polonia, gli scrivono che la Poltawska
è guarita.
Completamente e all'improvviso. Deo gratias. Oggi Wojtyla, divenuto papa, è fiero d'elevare agli
altari un santo di cui si sente un po' padre. E un po' figlio.
Padre Pio e Papa Giovanni
E tra i suoi nemici più acerrimi chi c’era?
Papa Giovanni XXIII.
Durante il suo pontificato la persecuzione di padre Pio raggiunse l’acme.
Isolato, pedinato, spiato. Gli misero i microfoni nel confessionale. Estorsero
alle sue seguaci confessioni di commerci sessuali: «Bis in hebdomada copulabat
cum muliere», due volte la settimana s’accoppiava con una donna, scrissero
gli inquisitori nel rapporto finale. Tutto smontato nella causa di
beatificazione.
E il papa buono che aveva ordinato l’operazione contro padre Pio? Anche lui
proclamato beato, nel 2000. Persecutore e perseguitato hanno fatto pace in cielo
perché anche sulla terra si impari a convivere tra diversi.
Gli spirituali amplessi
"in nome di Cristo"
Mezzo secolo di bigliettini tra il frate
di Pietrelcina e la sua figlia spirituale
(Orazio La Rocca)
La Repubblica (1 maggio 1999)
"Piccina mia, ardo dal desiderio di vederti...". "E tu, mi
vuoi sempre bene?". "Mi sei tanto cara, figlia mia! Sei tutta mia!
Vivo per Gesù e per te". "Tu che sei Gesù visibile, mi ami
pure?". "In tua presenza mi liquefò; in tua assenza, mi brucio".
All'apparenza sembrano le frasi di due fidanzati profondamente innamorati. In
realtà, sono le parole che scritte su lettere autografe e bigliettini lasciati
in luoghi segreti per circa mezzo secolo si scambiarono Padre Pio da Pietrelcina
e Cleonice Morcaldi, la "figlia spirituale" più cara al frate di
Pietrelcina. A scanso di equivoci va subito detto che i due non furono
fidanzati, né prima né tantomeno dopo l'entrata in convento di Padre Pio. Va
anche precisato malgrado gli innumerevoli procedimenti accusatori intentati a
carico dei due da parte delle autorità ecclesiastiche del tempo che tra
Cleonice e il frate delle stimmate nacque, si sviluppò e durò fino alla fine
delle loro esistenze terrene un intenso rapporto di amicizia e affetto
squisitamente spirituale fatto di frequentazioni, preghiere, assistenza
reciproca.
Un rapporto sospeso tra il misticismo, l'affetto personale e la comune fede in
Cristo che Padre Pio non ebbe timore a difendere e a custodire gelosamente nel
suo cuore, sfidando i conformismi del suo tempo e i gratuiti attacchi dagli
inquisitori vaticani. Quasi una persecuzione che solo una trentina d'anni dopo
sarà ammessa dai postulatori della sua causa di beatificazione e certificata
dalla Congregazione per le cause dei santi con una ammissione di rispetto e di
ammirazione verso la "coppia" Padre Pio-Cleonice che ha del
sorpredente: tra i due, hanno affermato i giudici vaticani della congregazione
per la cause dei santi, ci fu solo rispetto e rapporto mistico nato dalla loro
comune fede in Gesù e nella Chiesa; dopo anni di studi, ricerche, analisi di
documenti e di deposizioni di decine e decine di testimoni, le autorità
vaticane non hanno trovato niente che possa, nemmeno lontanamente, adombrare il
sospetto che l'intesa mistico-spirituale che "unì" il frate e la sua
figlia spirituale abbia potuto dar luogo ad altre forme di intese affettive.
Cleonice, la "figlia" spirituale
Ma chi era Cleonice? Perché questa donna ebbe tanto spazio nel vita privata del
frate? Per avere solo una pallida idea della storia spirituale che caratterizzò
il cammino di questa strana coppia, forse è importante partire dal ricordare
che la bimillenaria storia della Chiesa, non è nuova a vicende simili. Un solo
esempio per tutti: San Francesco e Santa Chiara. Quanto affetto, quanto rispetto
e, perché no?, quanto amore caratterizzò il cammino di Francesco e Chiara;
amore, affetto e rispetto che, in seguito, porterà i due a occupare alcuni tra
i più importanti posti nella vita della Chiesa, fino a toccare le vette della
santità. Fatte le debite proporzioni, la stessa cosa accadde tra Padre Pio e la
sua figlia spirituale preferita.
Cleonice era molto più giovane del frate. Quando nacque, il 22 gennaio 1904, il
cappuccino di Pietrelcina aveva 17 anni. Quello stesso 22 gennaio, nel convento
di Moncalvo, il giovanissimo frate, alla fine dell'anno di noviziato, fece la
sua professione di fede nell'Ordine dei Frati Cappuccini. Fu una piacevole
coincidenza che lo stesso Padre Pio in seguito in una delle sue tante lettere
scritte a Cleonice ricorderà con queste parole: "Un Padre nasceva alla
vita religiosa e una figlia veniva alla luce".
La Morcaldi era figlia di povera gente. Aveva quattro fratelli. A cinque anni
era rimasta orfana del papà. Il peso della famiglia fu portato avanti sempre e
solo dalla mamma Carmela. "In casa c'era la miseria più nera scrisse
Cleonice nel suo diario pubblicato in occasione della beatificazione dalle
edizioni Dehoniane col titolo "La mia vita vicino a Padre Pio"
abitavamo in un sottano, senza luce, senza tavolo. Mangiavamo solo riso, senza
condimento".
Spinta da tanta povertà, un giorno mamma Carmela si recò a chiedere consigli e
aiuto proprio nel convento dove officiava Padre Pio. Il frate già noto a tanta
gente per le sue doti di predicatore e di confessore la accolse con parole di
conforto e di speranza. La donna uscì da quell'incontro completamente
trasformata: le parole del frate l'avevono incoraggiata e, soprattutto, convinta
ad affrontare qualsiasi sacrificio per far studiare la giovane Cleonice. La
ragazza, che dopo le scuole dell'obbligo, si diplomò a Foggia. E ben presto,
seguendo l'esempio della mamma, cominciò a frequentare anche lei il convento di
Padre Pio.
Iniziò, così, un rapporto spirituale, fatto di confessioni, preghiere, sfoghi
reciproci, manifestazioni di affetto nel nome di Cristo, che durerà per tutta
la vita e che sarà oggetto di scandalo agli occhi di inquisitori e benpensanti
del tempo. I due, però, non si lasciarono mai condizionare dalle critiche e,
tantomeno, dalle accuse. Al massimo, adottarono qualche innocente sotterfugio,
come l'uso di bigliettini lasciati in posti segreti o l'uso di segnali (in
genere un colpo di tosse) con cui la ragazza avvisava della sua presenza in
chiesa quando il frate era impegnato nel confessionale o sull'altare a celebrare
la Messa.
Lettere e bigliettini
Messaggi, lettere e bigliettini: tracce di un amore particolare che porta
diritto all'amore per Cristo, anche se i due protagonisti non disdegnano di
usare modi, linguaggi e espressioni caratterizzate da una carica emotiva che in
tanti tratti dà l'impressione di oltrepassare confini affettivi più terreni.
Dopo anni nascosti questi messaggi sono stati pubblicati dai dehoniani e
rappresentano un prezioso documento di un rapporto spirituale profondo e quasi
unico nel suo genere. Leggendoli, Padre Pio assume una luce ancora più umana.
Da quelle parole scritte, il frate senza mai venir meno alla sua scelta
sacerdotale confessa affetti e sentimenti verso una donna in un mix di
misticismo che in tanti aspetti rasenta l'eroismo.
"Mia sempre più cara figliola", scrive Padre Pio, "Gesù sia
sempre tutto il tuo conforto... e ti renda sempre più degna dei suoi divini
amplessi. Le tue lettere, nonché la tua fedeltà, mi sono di grande sollievo
nella prova a cui siamo assoggettati". In un'altra lettera si legge una
invocazione di Padre Pio che ha del soprendente: è un palese invito rivolto
alla sua figlia spirituale a raggiungerlo in un posto segreto: "Senti,
piccina, il babbo (uno degli pseudonimi usati dal frate per non essere
riconoscito, ndr) arde dal desiderio di vederti. Senti cosa ho pensato:
se riuscissi, ad esempio, a ottenere ancora la chiave e a venire inosservata su,
sii pur certa che nessuno se ne accorgerà... ti benedico con sempre crescente
affetto". "Tu e Gesù siete due gigli", gli confessa con mistico
entusiamo la Morcaldi. "E tu una rosa profumata", le risponde il
cappuccino con altrettanto trasporto. "Sei sangue del nostro sangue, ma
perché mi sei così cara?". "Non ti allontanare dall'anima mia, mi
sento sola", confessa un giorno la ragazza. "Assieme a Gesù sto in te
dalla cima dei capelli fino alla punta dei piedi", è la pronta e
rassicurante risposta del frate. Anche questo era Padre Pio: un frate, un
religioso stimmatizzato fedele a Cristo e alla sua Chiesa, ma era anche un uomo
e nella maniera più autentica e profonda.
Padre
Pio, santo esagerato
tra miracoli e miliardi
(GIOVANNI
MARIA BELLU, 'La Repubblica' 25 aprile 1999)
Eccolo qua, padre Pio. Corrucciato, un po' curvo dentro il saio, la stimmate
nascoste dai mezzi guanti. Una donna gli si avvicina, gli accarezza la testa.
Resta così per qualche minuto, a scrutarlo. Ha gli occhi lucidi. Padre Pio non
batte ciglio, non muta la sua espressione irata. Beh, se lo facesse sarebbe un
miracolo, l'ennesimo, visto che è una statua, e pure brutta, sistemata
all'ingresso di un negozio di Pietrelcina, tremila abitanti a nove chilometri da
Benevento.
Fu qua che il 25 maggio del 1887, in una casa di contadini, direttamente dal
Medioevo piombò sulla Terra il piccolo Francesco, un "dono di Dio a questo
secolo tormentato" come avrebbe detto esattamente cento anni dopo il più
illustre tra i suoi innumerevoli estimatori e miracolati, Karol Wojtyla. La
donna che tenta di svegliare la statua è pallidissima e ha i capelli radi.
Chemioterapia. Quando si stanca di pregare, entra nel negozietto di ninnoli
sacri di cui la statua è l'insegna mobile e s'aggira compunta tra posacenere
col volto di Padre Pio, liquori, berretti, penne, bracciali, portapillole,
notes, t-shirt, swatch, chitarre. C'è pure una automobilina (ma anche un
telefono e una piramide) di plastica trasparente piena d'acqua e di biglie
colorate con la faccina di padre Pio dietro un finestrino. La donna acquista un
rosario profumato di viole: l'odore che dicono si diffondesse quando padre Pio
faceva i suoi miracoli. Se ne vendono a migliaia tra i pellegrini - quest'anno
si prevede un milione di presenze - e ancor di più a San Giovanni Rotondo, in
provincia di Foggia, il luogo dove il piccolo Francesco, diventato adulto, frate
cappuccino, e aver assunto il nome di padre Pio, trascorse quasi tutta la sua
vita: lo scorso anno i pellegrini sono stati sette milioni. Un milione più che
a Lourdes. La donna ora si allontana seguita dai familiari e dalla speranza di
un miracolo.
La prodigiosa guarigione di Consiglia Di Martino, che è alla base della
proclamazione a beato prevista per il 2 maggio con l'arrivo a Roma di un milione
di fedeli, la chiusura delle scuole il lunedì, e un giorno di passione per
Francesco Rutelli (che pure di recente si è detto devoto di padre Pio)...
quella guarigione non è che una delle tante dispensate in vita e in morte.
Padre Pio se, come tutti pronosticano, presto diventerà santo, sarà il santo
più fertile della storia. Un santo esagerato, un santo dai mille effetti
speciali: un mix tra San Francesco e David Copperfield, a leggere le agiografie.
Una "produttività" spropositata - tanto da suscitare molti sospetti e
invidie nella chiesa ufficiale - ma sempre consapevolmente vissuta. Padre
Antonio Gambale, parroco di Pietrelcina, racconta che padre Pio si sorprendeva
nell'apprendere che gli altri frati non chiacchieravano con la Madonna e Gesù
Cristo. Si arrabbiava. Era un caratteriale che non ammetteva il dubbio. E' anche
per questo che lo scrittore cattolico Vittorio Messori lo definisce "una
meteora del Medioevo".
Ma il miracolo riconosciuto da tutti, atei compresi, è il modo in cui questa
meteora è esplosa nel ventesimo secolo: come ha agito sulla materia, oltre che
sullo spirito. Tra Pietrelcina, San Giovanni Rotondo e Roma il culto di padre
Pio quest'anno farà muovere un numero di persone pari a un sesto dell'intera
popolazione italiana. Un business da centinaia di miliardi all'anno cominciato
nel 1918, anno dell' apparizione delle stimmate, e cresciuto senza sosta. Nel
1927 Pio XII dispensò padre Pio dal voto di povertà. Nel 1968, anno della sua
morte, il Vaticano ereditò un patrimonio di 200 miliardi. Col Giubileo,
Pietrelcina ha avuto, tra comune e convento dei Cappuccini, 12 miliardi, San
Giovanni Rotondo 53, 21 dei quali al comune che li spenderà quasi tutti per
costruire parcheggi: i residenti sono 26.000, i posti letto 3.500, destinati a
diventare presto 7.500 con le nuove costruzioni. Trovare un posto per l'auto è
più difficile che nel centro di Roma.
San Giovanni Rotondo è un cantiere. Le sagome delle gru, quando arrivi -
accolto anche da una insegna "Oleificio Padre Pio" - interrompono la
vista della Casa del sollievo della sofferenza, il gigantesco ospedale nato nel
1956 per volontà del futuro beato: duemilacinquecento dipendenti, una delle
migliori strutture d'Italia. Poco distante c'è il cantiere della basilica
progettata da Renzo Piano: 8000 posti a sedere, 12.000 in piedi, 40.000 sul
sagrato. Costo, 35 miliardi (per ora), che saranno pagati con le offerte dei
fedeli. Esiste un sito internet dove è possibile vedere il prezziario delle
offerte: 50.000 lire una pietra, 100.000 una canna d'organo... La donna malata
si ferma davanti alla vetrina di un capannone, guarda un po', poi entra. Ora i
cloni del beato la circondano. "Cosimo Rossi, statue di Padre Pio di tutte
le dimensioni". E' vero: ci sono padri Pio alti pochi centimetri, e ce ne
sono di giganti, che sfiorano i due metri. Ce ne sono a colori e bianchi come la
calce. Di bronzo, di marmo e di vetroresina. Con prezzi diversi. Diciotto
milioni in bronzo, cinque lo stesso modello in vetroresina. "Il vetroresina
- spiega Rossi facendo "toc toc" sul saio per far vedere che non è di
metallo - è molto più economico e ormai riproduce alla perfezione il
bronzo". Una famigliola sta trattando l'acquisto di una statua da sette
milioni e mezzo in grandezza naturale (cm. 170) per il giardino.
"Decidetevi - ammonisce Rossi perché sono gli ultimi modelli. Il resto è
prenotato". È chiaro che questo c'entra poco con padre Pio, anche se forse
ha qualcosa a che vedere con le sue furibonde lotte col demonio, ingaggiate fin
dal noviziato: dalla sua cella s'udivano ruggiti e gemiti da far accapponare la
pelle. C'entra comunque poco con la spiritualità e crea qualche tensione tra i
luoghi di culto. La più sobria Piertrelcina, appena gemellata con Betlemme,
considera l'opulenta San Giovanni Rotondo la "Las Vegas dei miracoli",
trascurando l'eventualità che, prima o poi, a Las Vegas decidano di rifare
Pietrelcina. Padre Pio ha molti devoti anche negli Usa. Ai Cappuccini tanto
turbinare di denaro-sterco-del-diavolo crea un certo imbarazzo. Ma anche su
questo padre Pio aveva detto qualcosa. A chi gli faceva notare gli eccessi del
culto già nascente, rispondeva: "Guaglio', anche quelli hanno a campa'".
"Ora
non ha più nemici"
la rivincita di Padre Pio
(GIOVANNI MARIA BELLU,
'La Repubblica' 28
aprile 1999)
"Finalmente...", dice padre Giammaria, superiore dei Cappuccini,
socchiudendo due occhi da ragazzino su cui pende un caschetto di capelli candidi
e folti. "Padre Pio finalmente beato", ripete scandendo quello che,
secondo lui, dovrebbe essere lo slogan del 2 maggio. Finalmente: se ne prendano
tutti i sinonimi e si avrà una buona sintesi del campionario delle emozioni del
popolo di padre Pio. Il 2 maggio, tra San Giovanni Rotondo e Roma, dentro ogni
preghiera ci saranno migliaia di "Era ora!", di "Meglio tardi che
mai", anche di "Ce l'abbiamo fatta!".
C'è qualcosa di agonistico nella gioia dei fedeli. E non solo perché sono una
folla tanto grande che viene più facile immaginarla riunita in uno stadio che
in una chiesa (Renzo Piano, d'altra parte, ha progettato per San Giovanni
Rotondo una chiesa grande come uno stadio). C'è un motivo più semplice e
profondo: nella sua esistenza, padre Pio ha dovuto dividere le sue energie tra
la lotta contro il demonio e quella contro altri nemici: nemici terreni, in
giacca e cravatta, ma anche in tonaca. Da padre Agostino Gemelli, il fondatore
dell'Università Cattolica, che negli anni Venti pose pesanti interrogativi
sull'autenticità delle stimmate, a monsignor Carlo Maccari autore negli anni
Sessanta di una relazione durissima, considerata per molto tempo una
"pietra tombale" alla beatificazione.
Una guerra condotta con tutti i mezzi. Nel 1960 (erano i tempi del Sifar, è
vero, ma chi l'avrebbe mai detto che anche in chiesa...) nel 1960 persino un
registratore nascosto nella cella da un confratello-Giuda che aveva agito
d'accordo con un prete romano, Umberto Terenzi, parroco del Divino Amore.
Volevano arrivare a dimostrare che Padre Pio (allora già ultrasettantenne)
aveva rapporti sessuali con le pie donne del convento! In quell' epoca per
trovare qualcuno disposto ad attaccare il frate di Pietrelcina con tanta ferocia
bisognava andare in Lituania, a Vilnius, dove, nel "Museo
anticattolico", campeggiava una foto del futuro beato con la didascalia:
"Il Rasputin italiano".
Si capisce allora questo sentimento di rivincita che s'avverte, quasi si tocca,
tra i suoi seguaci. Nulla di male, nulla di pagano. Una reazione umana:
"Quando da ragazzo leggevo il Vangelo - confessa fra Luciano, uno degli
organizzatori della cerimonia del 2 maggio - provavo un senso di vittoria nell'
arrivare ai passi sulla resurrezione di Gesù". Per Padre Pio è stata
dura. "Non augurerei al mio peggior nemico quanto Dio ha chiesto a me con
quella prova", diceva ricordando la prima persecuzione, quella cominciata
nel 1922 (quando gli fu tolta la possibilità di incontrare i fedeli), culminata
nel 1931 con la sospensione dal ministero sacerdotale e conclusasi nel 1934. Ma
quella fu una persecuzione, per così dire, ingenua, ordita da un gruppo di
prelati davvero "cattivi". E non a caso a risolverla fu un tale
Emanuele Brunatto, personaggio che sembra uscito dalla penna di Dumas, un
libertino convertito al culto di Padre Pio che si "infiltrò" tra i
persecutori e ne scoprì gli inconfessabili vizi privati.
Ben più sottile e imbarazzante quella stile Sifar del 1960. Anche perché le
bobine accusatrici giunsero fino alla porta dell'ufficio di Giovanni XXIII, che
aveva sì ordinato i controlli, ma solo quelli doverosi, necessari in un mondo
dove ovunque possono esserci falsi profeti e millantatori. E infatti la
tradizione agiografica vuole che Roncalli, a chi gli chiese di ascoltare i
nastri registrati, disse di rispedirli ai mittenti: "Loro hanno fatto la
pastetta, e se la mangino". Bobine a parte, la relazione di Maccari era
feroce. Parlava di un padre Pio ostaggio delle pie donne, che origliavano le
confessioni e facevano commercio di pezzuole macchiate di sangue di gallina
spacciate per reliquie delle stimmate. Descriveva quello di San Giovanni Rotondo
come un falso fenomeno mistico maturato attorno a un "cosiddetto
santo". Quasi la denuncia di un culto eretico anche se, tra i biografi,
c'è chi, come Enrico Malatesta, individua in ragioni molto più terrene le
origini della seconda persecuzione: nel desiderio di mettere le mani sull'enorme
patrimonio che le offerte dei fedeli avevano fatto affluire a San Giovanni
Rotondo. Tanti soldi, investiti nella costruzione dell'ospedale, che
determinarono nel 1957 (e non nel 1927 come, per un refuso, è apparso nella
precedente puntata) la decisione di dispensare Padre Pio dal voto di povertà.
Qualunque fosse la sua origine, la "pietra tombale" della relazione
Maccari era tanto pesante che si riuscì a sollevarla solo con una sorta di
"incidente probatorio": "L'arcivescovo di Manfredonia, Valentino
Vailati - ricorda il professor Francesco Lotti, uno dei fondatori della Casa del
sollievo della sofferenza - osservò davanti alla Congregazione dei santi che se
in futuro qualche testimone contrario a padre Pio avesse avuto una resipiscenza
tale da aprire una nuova prospettiva, ci sarebbe stato il rischio di non poter
far nulla perché, nel frattempo, molti dei testi sarebbero certamente morti. Si
propose dunque di sentirli a futura memoria. Anch'io fui ascoltato. A me e ad
altri rivolsero domande molto precise, di tempo e di luogo. Le nostre risposte
fecero dissolvere le accuse di Maccari. Il processo di beatificazione fu
avviato".
E i nemici se ne andarono. O si nascosero? Certo è che oggi è difficilissimo,
quasi impossibile, trovarne. "Per forza - dice il teologo don Carlo Molari
- l'hanno fatto beato! Chi vuole che fiati?". Eppure, magari nascosti,
questi nemici esistono. Ma non hanno più un volto e un nome. E soprattutto non
usano, non possono usare, gli strumenti di prima. Chi mai oserebbe ripetere,
come Pasquale Gagliardi, l'arcivescovo-nemico della prima persecuzione: "Si
procura le stimmate con l'acido nitrico e poi le profuma con l'acqua di
colonia"? No, i nemici moderni non mettono in discussione la santità di
padre Pio, piuttosto ne osservano con sospetto il culto. Sono certi ambienti
teologici "con la puzza sotto il naso", secondo lo scrittore cattolico
Vittorio Messori. Resta l'imbarazzante tensione con Giovanni XXIII: un conflitto
tra due futuri beati (anzi, quasi tre: ad accompagnare padre Agostino Gemelli
nel 1920 c'era Armida Barelli, destinata a diventare serva di Dio). Certo,
Roncalli non aveva apprezzato gli eccessi dell'ispezione di monsignor Maccari,
ma qualche ruggine c'era stata per davvero. Probabilmente per quelle voci -
riprese allora dalla Settimana Incom - secondo cui padre Pio aveva predetto
l'elezione di Roncalli. S'era infastidito il papa buono: "È tutto
inventato", aveva detto. Ma in realtà padre Pio non aveva fatto nulla per
accreditare la presunta profezia. Anzi, anche lui si infastidiva per gli eccessi
di certi suoi devoti. Spesso sono gli agiografi i peggiori nemici dei santi.
Padre
Pio, santo dei media
tra medioevo e satellite
(GIOVANNI MARIA BELLU,
'La Repubblica'29
aprile 1999)
I più autorevoli sono Karol Wojtyla e Oscar Luigi Scalfaro, la più
sorprendente è Valeria Marini. Ha una montagna di "amici" padre Pio.
Nella politica e nel jet-set così come nelle periferie del mondo. Ma il suo
amico e sostenitore più grande e costante è stato il sistema dei mass media.
Sebbene per lui "giornalista fosse sinonimo di bugiardo", come scrive
uno dei suoi biografi, Antonio Pandiscia.
Nella sala stampa del convento dei cappuccini di San Giovanni Rotondo, padre
Luciano - un frate solido e moderno che dentro il saio salta dal computer al
cellulare - tenta di far fronte all' assedio. Poco fa c'è stata una antipatica
discussione con un fotoreporter che aveva chiesto a un frate di farsi ritrarre
mentre svuotava una cassetta delle offerte. Il superiore ha pensato a una
trappola, una roba come "ecco il diavolo e l'acqua santa". Ha negato
il permesso. Solo una conoscenza precisa dei meccanismi dell'informazione può
indurre una tale diffidenza. I frati hanno dovuto fare un corso accelerato.
"Il fatto è - dice padre Luciano - che per padre Pio tutto è avvenuto a
una velocità straordinaria, la velocità dei nostri tempi. Per San Francesco ci
sono voluti settecento anni, per padre Pio trenta. Due anni dopo la morte di San
Francesco molti dei suoi confratelli non sapevano ancora delle stimmate. Per
padre Pio...".
Per padre Pio, sebbene fosse il lontano 1919, il meccanismo della notizia si
attivò con una rapidità che ha del miracoloso. In senso letterale. Il primo a
occuparsene fu l'inviato del Mattino di Napoli Renato Trevisani. Giunse a San
Giovanni Rotondo con l'atteggiamento del giornalista vero: scettico, critico, ma
curioso. Il caso volle che, in sua presenza, si verificasse una guarigione
improvvisa. Il servizio - il primo di una serie lunghissima - uscì con un
titolo-bomba: "Padre Pio, il "Santo" di San Giovanni Rotondo,
opera un miracolo nella persona del cancelliere del paese". Cominciò
allora un idillio mediatico che martedì sera ha avuto l'ennesima conferma nei
dati auditel sul numero di Porta a porta dedicato da Bruno Vespa al futuro
beato: sette milioni 357mila ascoltatori, saliti fino a quasi nove milioni nella
seconda parte, con uno share da record: 45 punti.
L'altro giorno papa Wojtyla, nel suo appartamento, ha giocato un po' col
computer. L'occasione gli è stata offerta da un cd-rom su padre Pio inviatogli
dalla casa editrice Giunti Multimedia. S'intitola "Una profezia per la
Chiesa, una sorpresa per l'umanità". L'immagine del papa che rilegge al
computer la vita del frate di Pietrelcina è la miglior sintesi del fenomeno di
padre Pio, del suo essere sospeso tra Medioevo e futuro. Un frate semplice, che
parlava un italiano approssimativo, è stato portato agli altari dai fedeli e
dai mass media. E dai fedeli protagonisti dei mass media.
Un elenco lungo, che si apre col nome del comico Carlo Campanini, una specie di
primo apostolo, e prosegue con Maria Josè di Savoia, Alberto Sordi, Erminio
Macario, Totò, Beniamino Gigli, Lea Padovani, Elsa Merlini, Gina Lollobrigida,
Silvana Pampanini, Katia Ricciarelli, Lisa Gastoni, Sandra Milo, Franco
Zeffirelli, Rocco Barocco, Lino Banfi, Mike Bongiorno, Alessandro Greco, Peppino
Di Capri, Bruno Lauzi, Anna Kanakis, Orietta Berti, Luciana Turina, Memo Remigi,
Alberto di Monaco, Pippo Franco, Little Tony, Beppe Signori, Alberto Castagna e
poi, tra i politici, Giulio Andreotti, Rosa Russo Iervolino, Antonio Di Pietro,
Irene Pivetti. In varie epoche si sono detti devoti di padre Pio, l'hanno
venerato. Anche con qualche eccesso: sul rapporto tra padre Pio e jet-set
circolano aneddoti che forse il futuro beato non avrebbe gradito. Guarigioni
prima dello spettacolo, crisi matrimoniali risolte d'incanto. Come se il frate -
ospite fisso dei magazine popolari - avesse il potere di intervenire sulle
faccende raccontate nelle pagine successive.
I Cappuccini sono preoccupati. E alcuni teologi sono irritati. Come Franco
Bolgiani, storico della Chiesa, che accosta il fenomeno di padre Pio (e non il
santo padre Pio) ad altri fenomeni religiosi di massa, come il culto della
Madonna di Mediugorje. E se padre Pio avesse troppi amici? "Ormai ogni
attore - ha detto ieri Antonio Ricci, patron di Striscia la notizia - dice di
essere miracolato". Amici interessati, disposti a convertirsi per una
citazione su un rotocalco? "Non credo - dice il direttore di Gente, Sandro
Mayer - non ho mai avuto l'impressione che qualcuno tentasse di usare padre Pio
per avere uno spazio sul giornale. Al contrario, i vip che vanno a San Giovanni
Rotondo lo fanno in modo molto discreto. La stessa Valeria Marini non parla
volentieri in pubblico della sua devozione".
Il timore dei Cappuccini è che tanti riflettori e tanti lustrini possano
diventare fuorvianti. Che possano inquinare un culto che già corre il rischio
di cadere nel miracolismo. O in rappresentazioni fantascientifiche: "Padre
Pio - si legge in un libro di uno dei suoi biografi più devoti, Renzo Allegri -
assomiglia a un extraterrestre, a un alieno con poteri sconosciuti: il
protagonista di una storia da "incontri ravvicinati del terzo tipo".
"Non si deve dimenticare l'opera sociale di padre Pio - ammonisce padre
Luciano -. E non parlo solo della Casa del sollievo della sofferenza. Padre Pio
a San Giovanni Rotondo avviò la formazione delle associazioni di mutuo soccorso
volute da Leone XIII, chiamò qua le suore dell' Immacolata per realizzare asili
per i figli dei minatori". L'aneddotica agiografica dice che quando nel
1938 ricevette la visita di Maria Josè di Savoia, la fece attendere perché
aveva da confessare due donne di umile condizione. Fu rimproverato dal
superiore. Si scusò, obbediente come sempre. Ma continuò a trattare, e a
maltrattare, ricchi e poveri allo stesso modo.
Padre Giammaria è il frate che ha rifiutato d'essere fotografato mentre ritira
le offerte. È cordialmente diffidente verso la stampa. Al punto che ha adottato
un sistema di comunicazione che rivela il bisogno disperato di riportare tutto
all'essenziale. Intervistarlo è impossibile. "Tu sei venuto per fare un
articolo malevolo o benevolo?", domanda. Gli spieghi che il quesito posto
così non ha senso. Lui insiste: "Potevi anche rifiutarti, no?".
Chiarisci che il tuo è un lavoro. "Comunque - taglia corto - se sei venuto
fin qua non è un caso. C'è un disegno di padre Pio". Sì, padre, grazie,
ma ora posso cominciare a farle qualche domanda? "Che bisogno c'è - è la
risposta - Non ti sei accorto che ti ho già detto tutto?".