Vade retro, Concilio
CONSERVATORI CONTRO PROGRESSISTI
Prelati in campo contro l'idea di una terza assise, lanciata dall'arcivescovo di Milano
(Sandro Magister, L'Espresso, 17 febbraio 2000)

Il terzo e ultimo dei consessi di studio convocati in Vaticano da Giovanni Paolo II a corredo del Giubileo è in arrivo per il 27 e 28 febbraio. Il primo il papa l'ha indetto sulle persecuzioni degli ebrei, e ha chiesto perdono al mondo per le colpe della Chiesa. Il secondo sui roghi dell'inquisizione, e anche qui con tanto di mea culpa. E il terzo? Sulle crociate? Sulla tratta degli schiavi? Macché. Sul Concilio Vaticano II. Qui almeno la Chiesa non dovrebbe avere proprio niente di cui chieder perdono. Una bella assise celebrativa e via.
Invece è vero l'opposto. In Vaticano è vigilia tesissima. Le relazioni maggiori le terranno i cardinali Joseph Ratzinger e Roger Etchegaray, i vescovi teologi Rino Fisichella e Angelo Scola e il gesuita Albert Vanhoye. Tutte a tema ben delimitato: una verifica dell'attuazione dei documenti conciliari, che cosa è stato fatto e che cosa no. Stop. Vietato discutere su che cosa è stato il Concilio come evento in sé, non solo come produttore di testi. Vietatissimo contrapporre alla "lettera" dei documenti lo "spirito" della grande assise convocata da Giovanni XXIII. Quegli storici che proprio su questo hanno più studiato e scritto non avranno la parola in congresso. Non uno solo, in particolare, della scuola di Bologna guidata da Giuseppe Alberigo e Alberto Melloni, discepoli di don Giuseppe Dossetti, che sta pubblicando l'imponente "Storia del Concilio Vaticano II" edita in Italia dal Mulino.
Eppure all'apparire del primo volume dell'opera, nel 1995, Alberigo e Melloni furono benignamente ricevuti dal papa. Il secondo volume lo raccomandò in pubblico il cardinale Pio Laghi e l'ultimo l'arcivescovo Walter Kasper. Ma tutto questo non vale più. L'aria gelata che tira oggi in Vaticano l'ha fatta sentire "L'Osservatore Romano" all'inizio di questo mese, con un paginone intero di implacabile stroncatura dell'opera, firmata da un oscuro funzionario della segreteria di Stato, Agostino Marchetto. E il giorno dopo con un corsivo al veleno dello stesso Marchetto contro Melloni. Accusato di pretendere dalla Chiesa un nuovo Concilio.
Basta infatti la sola parola Concilio, oggi, a mettere in allarme massimo il vertice della Chiesa, nella sua ala conservatrice. Da quando il cardinale Carlo Maria Martini, arcivescovo di Milano e leader mondiale dei progressisti, ha lanciato per primo l'idea di un nuovo Concilio e ne ha fissato gli argomenti, per i conservatori non c'è più pace. Martini il suo intervento bomba lo fece il 7 ottobre scorso nel mezzo del sinodo dei vescovi d'Europa, presente Giovanni Paolo II. E tutti i presenti lo lessero come un attacco al sistema monarchico che governa la Chiesa, concentrato nel papa. A questo sistema Martini contrappose l'idea di un governo collegiale, di papa e vescovi insieme. Capace di decidere anche sui «punti caldi» fin qui avocati dal papa alla propria delibera solitaria.
E di punti caldi Martini ne elencò sette, con linguaggio tecnico ma trasparentissimo: l'ordinazione al sacerdozio di uomini sposati; l'ordinazione delle donne al diaconato, almeno; la guida delle comunità senza sacerdote affidata ai laici; la revisione della condanna dei contraccettivi e dell'amore omosessuale; la revisione della scomunica di fatto inflitta ai divorziati risposati; il ripensamento del modo di amministrare il sacramento della penitenza; il come far pace con le Chiese non cattoliche e con le democrazie laiche. Sono i punti, i primi sei, su cui Giovanni Paolo II ha personalmente deciso con altrettanti no. E anche sul settimo punto egli ha proceduto di sua volontà, senza attivare alcuna delibera collegiale.
Al termine del sinodo il cardinale Dionigi Tettamanzi, arcivescovo di Genova e primo dei papabili, garantì: «L'intervento del cardinal Martini non ha avuto nessuna eco nell'aula». Esatto. Ma nei corridoi se n'era parlato eccome. I conservatori sanno che la proposta di un nuovo Concilio, una volta lanciata autorevolmente, prima o poi va a segno. Per questo il loro obiettivo è che se ne parli il meno possibile. Anzi, niente del tutto.
Ma chi li fa tacere, i progressisti? Dopo Martini, altri ne sono entrati in campo, e di gran peso. L'americano John Raphael Quinn, arcivescovo di San Francisco dal 1977 al 1995 ed ex presidente dei vescovi degli Stati Uniti, ha regalato a Giovanni Paolo II la prima copia d'un suo libro intitolato proprio così: "La riforma del papato". Criticissimo del centralismo papalino e curiale e fautore entusiasta del modello collegiale di governo della Chiesa.
Il maestro generale dei domenicani, l'in-glese Timothy Radcliffe, ha anche lui attaccato aspramente il centralismo dei poteri. «Perché la nostra autorità sia convincente», ha detto, «dobbiamo piuttosto condividere il cammino delle persone, a cominciare dalle donne, dai divorziati, da coloro che hanno abortito, dagli omosessuali».
L'arcivescovo di Bordeaux, cardinale Pierre Eyt, ha contestato in pubblico nientemeno che il cardinale Ratzinger, la testa più fine del fronte conservatore. Gli ha obiettato che predicare la sola verità non basta. Le istituzioni della Chiesa sono altrettanto importanti. E vanno riformate in chiave non autoritaria.
E l'arcivescovo di Magonza, Karl Lehmann, presidente dell'episcopato tedesco, s'è scagliato anche lui contro la curia accentratrice, che arriva fino a tener prigioniero il papa. Non solo. Lehmann ha legato esplicitamente la riforma della Chiesa in senso conciliare alla successione a Giovanni Paolo II.
Di fronte a questa offensiva ben congegnata, i conservatori ricordano con terrore che anche al Concilio Vaticano II andò così: i progressisti partirono in minoranza, ma seppero fissare sin dall'inizio l'agenda dell'assise, e grazie a questo ribaltare tutto e vincere. Anche oggi sono pochi di numero. Martini sa di non essere papabile e ha ripetuto, domenica 6 febbraio, che il suo sogno di ritirarsi a Gerusalemme a studiare e pregare «è ormai vicino a realizzarsi».
Lehmann e Quinn, non cardinali, neppure entreranno in conclave. Radcliffe ha già perso la corsa per succedere al cardinale Basil Hume come arcivescovo di Westminster. E Hume, un altro che la pensava come Martini sul modo di riformare la Chiesa, è morto lo scorso giugno. Ma è difficile, anzi, impossibile che i conservatori riescano a eludere la sfida. Papa Giovanni Paolo II non li aiuta: è figura troppo irripetibile per essere presa a modello. Ratzinger li disorienta: troppo alta è la sua visione. Il prossimo papa sarà scel-to tra loro, i conservatori. Intanto, però, l'agenda futura l'hanno già scritta i rivali.