Il
Trattato del Laterano
Il Trattato del Laterano (GAZZETTA UFFICIALE, 5 giugno 1929, n.
130 (Straordinario) ed ACTA APOSTOLICAE SEDIS Commentarium Officiale,
anno XXI, vol. XXI, n. 6, 7 giugno 1929) tra Santa Sede e Italia
poneva termine alle tante ipotesi territoriali che dal 1870 erano
state proposte per risolvere la Questione Romana. Concedere o meno
un territorio alla Santa Sede per il suo compito spirituale nella
realtà temporale fu uno degli aspetti della Questione Romana
che fino ai Patti del 1929 suscitò entusiasmi ed opposizioni.
Il possesso di un territorio non era un tentativo di rinascita dello
Stato Pontificio, bensì assicurare l'indipendenza al magistero
papale messo in pericolo con la conquista italiana, ossia con la
debellatio dello Stato Pontificio.
La legge delle Guarentigie (1871) doveva dare una prima composizione
giuridica alla Questione Romana e definire i rapporti con lo Stato
italiano. La soluzione della Questione Romana non si prospettava
altrimenti da una trasformazione in stato di diritto della situazione
de facto creatasi dopo la conquista di Roma, ossia alla concessione
della sovranità sulla città leonina, dal Colle Vaticano
fino alle rive del Tevere. La Legge delle Guarentigie concesse in
uso, senza sovranità, i cosiddetti Palazzi Apostolici per
cui da quel momento iniziò il volontario esilio del Papa.
La Santa Sede desiderava risolvere la questione con un documento
bilaterale, cosa che non era nei desideri dell'Italia come fu evidenziato
anche durante i colloqui per il Trattato di Versailles ed in ambito
della Società delle Nazioni. Ciò venne avvalorato
nel 1925 con il progetto di una semplice riformulazione della legge
delle Guarentigie nel quale venivano dichiarate proprietà
inalienabili della Santa Sede le residenze non occupate nel 1870.
Comunque, non si configurava una sovranità assoluta su un
territorio.
Nel 1926 Mussolini iniziò delle trattative segrete con la
Santa Sede e la cronaca di queste ha un validissimo aiuto nel diario
di Francesco Pacelli, fratello di Pio XII, che trattò per
conto del Vaticano. Un simile documento, per quanto se ne sappia,
non fu redatto da Domenico Barone, plenipotenziario italiano.
Pacelli incontrò per la prima volta Barone nell'agosto 1926
dopo essere stato autorizzato dal Pontefice a trattare solo se si
fosse riconosciuta la sovranità assoluta su un territorio.
Da parte italiana la condizione per l'inizio delle trattative fu
che il Papa dichiarasse che colla soluzione della Questione Romana
fossero escluse future rivendicazioni territoriali. Le pregiudiziali
furono poste a fondamento delle trattative.
Superati i problemi procedurali, lo status del futuro territorio
divenne la prima questione da risolvere.
Per problemi pratici (dove insediare, ad esempio, le delegazioni
straniere presso la Santa Sede?) nel settembre 1926 si pensò
all'unione di Villa Doria Pamphilj al Colle Vaticano. Comunque,
agli inizi di ottobre il Segretario di Stato Card. Gasparri informò
Pacelli che molti cardinali ritenevano pratico un territorio il
più piccolo possibile per non avere problemi nel governarlo.
Nell'ottobre 1926 i plenipotenziari procedettero ad un'ispezione
dei luoghi intorno al Vaticano per delimitarne il territorio. Barone
ritenne attuabile il congiungimento del Vaticano con Villa Doria
Pamphilj ed a tal proposito propose l'assegnazione di Villa Abamelek
e delle aree non edificate situate a sinistra della Via Aurelia.
Mussolini accettò la proposta di Barone ed a seguito di ciò
si indicarono i primi nomi della nuova entità statale: Città
Papale, Città del Papa, Città libera del Vaticano,
Città del Vaticano o Civitas seu Status Vaticani.
Nel dicembre 1926 la Santa Sede desiderava la demarcazione del territorio
per cui Barone incaricò Cozza, Presidente del Consiglio Superiore
dei Lavori Pubblici, di redigerne un primo progetto. Alla fine del
febbraio 1927 Mons. Borgongini consegnò a Barone la pianta
con il confine desiderato dalla Santa Sede e per fugare il senso
di 'prigionia' nel territorio italiano (enclave), in aprile venne
chiesto, ma non concesso, un porto franco a Fiumicino e la Torre
Clementina.
Nel gennaio 1928, dopo lunghe trattative, Barone ribattè
alle richieste vaticane di allargamenti al di fuori della zona del
Colle Vaticano con la perentoria limitazione della sovranità
al solo Vaticano e con l'extraterritorialità per Villa Doria
Pamphilj. La soluzione non fu gradita dal Pontefice che minacciò
di bloccare le trattative. Comunque, nell'aprile 1928 Barone consegnò
a Pacelli la planimetria della zona ceduta in sovranità e
quella in proprietà extraterritoriale. La pianta indicava
una zona di circa 48 ettari in piena sovranità e la zona
nella Villa Doria Pamphilj che il Governo italiano era disposto
a cedere alla Santa Sede col privilegio della extraterritorialità
come la zona intermedia tra la villa ed il Vaticano. Era esclusa
la sede stradale di Via Aurelia antica pur concedendo alla Santa
Sede di costruirvi dei ponti per assicurare la comunicazione interna.
In risposta il Vaticano richiese una zona circostante alla Stazione
di San Pietro, anch'essa non concessa.
Dalla metà del 1928 sembra che la Santa Sede inizi a ridurre
le pretese territoriali, specie quelle con piena sovranità.
Infatti, alla fine di giugno il Pontefice manifesta l'intenzione
di limitarsi alla sovranità solo sul Vaticano. A metà
agosto è pronta la nuova planimetria delle tre zone: Vaticano,
Villa Doria Pamphilj e zona intermedia. Ma, dopo pochi giorni, la
Santa Sede decide di restringersi definitivamente al solo Vaticano.
Nella bozza di dicembre del trattato si inizia a chiamare il territorio
Città del Vaticano e si ha la quasi definitiva stesura di
quello che sarà l'articolo 3 che definirà l'ambito
territoriale del nuovo Stato.
Nel gennaio 1929 muore Barone e Mussolini avoca a sè le trattative
incontrando Pacelli. Nella bozza redatta durante l'incontro l'articolo
3 non subisce variazioni, mentre nella bozza del 19 gennaio si fa
riferimento solo a catene di metallo senza plutei per delimitare
esternamente Piazza San Pietro.
Il 6 febbraio si svolse una seduta in casa Mussolini alla quale
parteciparono Consiglio, Cozza, Pacelli e Rocco, e durante la quale
si esaminarono le piante disegnate da Castelli, per conto della
Santa Sede, d'accordo con Cozza. Dal verbale della seduta si legge
che Mussolini permette la rettifica del confine in Piazza del Risorgimento
con l'inclusione dell'edificio di una scuola, concede una piccola
striscia davanti al Palazzo del Sant'Uffizio e lo sgombro e sistemazione
a verde (senza cessione nè in sovranità nè
in proprietà) delle zone di terreno tra i bastioni delle
mura vaticane. Nella stessa seduta venne concordata una nuova bozza
di trattato nella quale scompaiono i limiti del colonnato con le
catene.
Il giorno dopo Pacelli, Mussolini e Cozza si recarono a visitare
i dintorni del Vaticano per un ultimo sopralluogo.
Probabilmente, la sera stessa Mussolini comunica al re che davanti
al Palazzo del Sant'Uffizio era stata richiesta una striscia di
strada per farvi una cancellata di protezione. Egli riteneva la
questione di poca importanza e concludeva che la Città del
Vaticano coincide col Vaticano allora concesso, in base alla Legge
delle Guarentigie del 1871.
Quando tutto sembrava definito, il giorno prima della firma, Pacelli
fu convocato dal Papa, il quale lo informava essere più conveniente
lasciare il Palazzo del Sant'Uffizio, l'Oratorio di San Pietro,
il Museo Petriano e le zone adiacenti fuori dal territorio della
Città del Vaticano, limitandosi a chiederne il privilegio
di extraterritorialità. Ciò eliminava il fatto non
secondario di avere nel territorio vaticano proprietà private
come il Collegio Teutonico e l'Oratorio di San Pietro. La notizia
coglie di sorpresa la parte italiana e la zona venne subito concessa
in extraterritorialità. Nell'informare il re Mussolini scrisse
che la Città del Vaticano corrisponderà alla situazione
creatasi dopo la proclamazione del Regno d'Italia del 1870.
Il
confine sanzionato dal Trattato fu definito nell'articolo 3:
"L'Italia
riconosce alla Santa Sede la piena proprietà e la esclusiva
ed assoluta potestà e giurisdizione sovrana sul Vaticano,
com'è attualmente costituito [...] creandosi per tal modo
la Città del Vaticano [...] I confini di detta Città
sono indicati nella Pianta che costituisce l'Allegato I° del
presente Trattato, del quale forma parte integrante.
Resta peraltro inteso che la Piazza di San Pietro, pur facendo parte
della Città del Vaticano, continuerà ad essere normalmente
aperta al pubblico e soggetta ai poteri di polizia delle autorità
italiane; le quali si arresteranno ai piedi della scalinata della
Basilica [...].
Quando la Santa Sede, in vista di particolari funzioni, credesse
di sottrarre temporaneamente la piazza di San Pietro al libero transito
del pubblico, le autorità italiane, a meno che non fossero
invitate dall'autorità competente a rimanere, si ritireranno
al di là delle linee esterne del colonnato berniniano e del
loro prolungamento".
Nel primo comma non si descrive testualmente il confine (lungo circa
3.5 km) pur essendo il compito facilitato dal tessuto urbano di
Roma che avrebbe fornito univoci punti di riferimento. Si consideri,
inoltre, l'esigua estensione del territorio (circa 0.44 km²)
per cui alcune foto aeree avrebbero permesso la produzione di una
cartografia più adeguata di quella allegata.
Subito è da notare che tra le riproduzioni nei due Stati
della pianta generale allegata al Trattato è presente una
discrepanza. Negli ACTA APOSTOLICAE SEDIS il triangolo mistilineo
a nord del Colonnato Berniniano ed immediatamente a ridosso del
Passetto è tratteggiato a significare territorio vaticano,
mentre la stessa zona non è tratteggiata sulla GAZZETTA UFFICIALE.
Il secondo comma dell'articolo delinea il particolare status giuridico,
se non unico, di Piazza San Pietro. La piazza è territorio
vaticano, ma la zona fino ai piedi della scalinata del sagrato è
sotto la giurisdizione delle Autorità italiane che si ferma
lungo una linea che lambisce ad est il sagrato, dal Braccio di Carlo
Magno a sud a quello del Bernini a nord. Sul luogo, in corrispondenza
di questi due ultimi punti, non si nota alcun segno. Ci si aiuta,
forse, utilizzando l'allineamento tra i due plutei all'estremità
orientale della scalinata o i piedistalli delle due statue, di San
Pietro e San Paolo.
Il terzo comma definisce territorio vaticano la zona all'interno
del bordo esterno dei bracci del Colonnato Berniniano e loro prolungamento.
Si parla di linee esterne non specificando bene cosa siano. L'unico
modo per capirne il significato è quello di conoscere la
situazione del Colonnato a quell'epoca: il livello della strada
arrivava, in base a foto dell'epoca, alla base del plinto delle
colonne. Ciò giustifica la linea continua della pianta dell'Allegato
I.
Correndo la linea di confine lungo il lato esterno del plinto delle
colonne del filare esterno, vengono a trovarsi in territorio italiano
le colonne dei propilei del Colonnato rivolte verso Via della Conciliazione,
il cornicione e gli scalini esterni.
Tutto questo è giustificato dall'articolo 7 del Trattato
che, secondo il diritto internazionale, vieta il sorvolo non autorizzato
del territorio vaticano. La prassi dell'epoca e la Convenzione di
Parigi del 1919 ci dicono che i confini aerei laterali, ossia quelli
che delimitano esternamente la colonna d'aria sovrastante il territorio
terrestre, erano dei piani verticali con il piede sulla linea di
confine terrestre. Con questo stato di cose ci troviamo davanti
ad un monumento diviso tra due Stati in maniera non omogenea. Situazione
simile con l'Aula delle Udienze Paolo VI situata a cavallo tra territorio
vaticano e zona extraterritoriale del Sant'Uffizio ed adiacenze
che, comunque, è territorio italiano.
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