Come avevamo
fortemente auspicato nel numero di settembre 1998 de La
Reggia gli interventi allinterno della ritrovata
Sala degli Specchi di Palazzo Ducale si sono spinti nella
direzione del recupero globale del vano cinquecentesco.
Contrariamente a quanto asserito a suo tempo dalla
soprintendenza (che minacciava solo un parziale
scoprimento di alcuni affreschi in un'ottica pseudo archeologica) è giustamente avvenuta
leliminazione degli ambienti minori
dellappartamento Carbonati che avevano
completamente falsato l'originano progetto del 1582. La
camera si presenta ora in una forma vagamente
trapezoidale, simile ad un ampio triangolo rettangolo che
si conclude in un piccolo vano rettangolare a sua volta
collegato con il Corridoio dei Mori. Lo spazio interno
(ancora occupato nell'angolo sud est da una struttura
impropria che si spera di poter eliminare quanto prima),
si estende per circa 150 metri quadrati e, dopo la
demolizione della soffittatura dell'Appartamento
Carbonati, appare coperto dai cavalletti del sottotetto.
Non sembra azzardata l'ipotesi della ricostruzione della
complessa volta ad ombrellone composta da una ventina di
vele (che in origine erano decorate con grande
probabilità a festoni e girali come il soffitto
dell'anticamera). Al centro del soffitto era
probabilmente collocato uno specchio tondo, affiancato ad
altri posti sulle pareti e dei quali, almeno al momento,
non sembra essere rimasta memoria. Al di sotto dei
cavalletti, nella parte alta del parametro murario, si
trova una seria di 15 lunette, affrescate con putti e
strumenti musicali, sorrette da un fregio in cui si
alternano le specchiature a finti marmi (sotto le
lunette) e delle singole figure di putti (tra le lunette)
che forse reggevano, il «corniciotto» ligneo (oggi
scomparso) citato in alcune lettere del 1582. Altre 5
lunette sono occultate da una scala settecentesca che
sorge nell'angolo sud est, verso il cortile del Frambus.
La parte inferiore del paramento murario reca ancora
tracce di una decorazione a fresco raffigurante
specchiature aperte su cieli rosati e non è escluso che
il restauro in corso possa anche individuare l'eventuale
collocazione di specchi lungo le pareti.
L'enigma della « Camera» pareva già dipanato alcuni
anni fa. Il merito va infatti a Paolo Carpeggiani che nel
suo volume Bernardino Facciotto, edito nel 1994
dall'editore Guerini di Milano presentava tutta una serie
di disegni e documenti legati all'attività
dell'architetto di corte Bernardino Facciotto. Si devono
infatti alla sua mano planimetrie inedite del Ducale ,
progetti per i palazzi di Marmirolo e Goito, per la
Cappella Gonzaga in San Francesco e , in particolare,
quelli per il Cortile delle Otto Facce e per la Camera
de' Specchi.
Occorre comunque segnalare che già negli anni Sessanta
il professor Rodolfo Ermenini aveva già pensato di
collocare idealmente in questi ambienti la Sala degli
Specchi, salvo poi ritrattare successivamente in base a
dei nuovi apporti documentari
I primi invece a collocare con certezza in questo luogo
lantica Sala degli Specchi, sono stati la
musicologa Paola Besutti , attraverso un'attendibile
scelta documentaria che toglie ogni possibile dubbio
circa la collocazione dell'ambiente, e l'architetto della
soprintendenza Roberto Soggia.
Grazie ai loro studi, che hanno consentito di ritrovare
(più che scoprire) la sala degli specchi, ora è
possibile auspicare un pieno recupero non solo della
spazialità ma anche della fruizione dello storico
ambiente, sia dal punto di vista musicale, sia da quello
storico artistico e turistico (già lo scorso ottobre
suggerivamo un nuovo percorso museale che dalla Stanza
degli Specchi potrebbe passare al Corridoio dei Fauni e
scendere, tramite la Scala Triangolare, al Cortile delle
Otto Facce ed al Cortile dOnore).
Per concludere ci preme riportare alcuni passi del
significativo intervento di Renato Berzaghi sul numero II
(1998) della rivista della Banca Agricola Mantovana
«Quadrante Padano». Berzaghi pone dapprima la sua
attenzione sul nome della sala (detta anche «loggia
dello specchio») il cui nome ricorre nei documenti
dellArchivio Gonzaga tra il 1582 e 1627. Tra i
progetti del Facciotto è detta «Sala dello Specchio»
mentre lappellativo «logia del Spechio » compare
nel 1582 quando il prefetto delle fabbriche gonzaghesche
Bernardino Brugnoli si apprestava a mettere in opera il
pavimento. Lo storico dellarte quindi ricorda le
vicissitudini dellambiente a partire dai lavori
svolti nel 1595.
Dalla documentazione consultata da Berzaghi non emerge
nè il numero nè la collocazione degli specchi
allinterno della sala. Gli Specchi non compaiono
nè allinterno dellinventario del 1614 né in
quello del 1627. In questo piuttosto - ricorda Berzaghi -
si elencano «trei quadri grandi, in uno dipinto una
battaglia navale, nel secondo le nove muse in aere et nel
terzo l'istoria d'Ester avanti il Re Asuero» (gli ultimi
due identificati nei dipinti Ester e Assuero e Le nove
muse , opera di Tintoretto e della sua bottega ,
conservati all'Hempton Court) originariamente posti nel «Passetto per andar nelli camarini della sala dei
specchi».
Dell'Appartamento Carbonati Berzaghi ricorda che
larchitetto Soggia durante i lavori nella sala ha
rinvenuto un graffito riportante la data 1735 (che viene
ad essere quindi un termine post quem) e che lo stesso
Clinio Cottafavi aveva visto gli affreschi nel sottotetto
dellappartamento negli anni Trenta del Novecento ma
li aveva attribuiti ad una fantomatica «sala dei Pianeti» che aveva
trovato in alcuni carteggi del 1580
(che in realtà si riferivano«al Refettorio» o «Sala Nuova», ora dei Fiumi).
Notevole (e lo dobbiamo sempre a Berzaghi) è la
descrizione dei dipinti ed un tentativo di attribuzione.
Secondo lo studioso mantovano si vedono almeno due mani:
una corsiva cui si devono le lunette scoperte, una
seconda in alcuni putti reggicartiglio che definisce con
più esattezza i dettagli . Il primo autore, è
identificabile con Giulio Rubone, specialista in
affreschi, attivo anche presso le corti gonzaghesche
minori (Novellara e Sabbioneta) e in palazzi del contado
( corte Castiglioni di Casatico e villa Galvagnina presso
Moglia). Il secondo e più dotato artista, che interviene solo raramente , quasi a perfezionare l'opera
potrebbe essere il più conosciuto Ippolito Andreasi : a
lui dovrebbe spettare l'ideazione dell'intera sala,
mentre Rubone, secondo una prassi documentata in altre
circostanze, riceveva solo disegni da riportare in
affresco. Torna all'indice
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