Storie di adolescenti e differenze di genere

Emanuela Confalonieri

 

Introduzione

Il lavoro qui proposto si inserisce in una serie di studi e ricerche svolti negli ultimi anni e tesi in particolare ad indagare il periodo adolescenziale nei suoi aspetti di transizione e cambiamento, attraverso l’evidenziazione di percorsi di vita differentemente costruiti: per esempio, a partire da collocazioni contestuali  diverse (adolescenti in famiglia e adolescenti inseriti in comunità ) o da momenti o “punti di svolta” incontrati e vissuti nel passaggio dall’essere adolescente al diventare giovane-adulto.

Il lavoro di costruzione di identità particolarmente intenso e interessante nel periodo adolescenziale sembra offrirsi come oggetto significativo per essere indagato attraverso il racconto di storie di vita spontaneamente prodotte dai soggetti coinvolti.

La prospettiva narrativa e, in particolare, l’autobiografia si è infatti negli ultimi anni in un’ottica psicologica sociale e culturale, proposta come significativo e intrigante strumento euristico, al fine di comprendere gli elementi caratterizzanti le vicende umane, concrete e quotidiane degli individui e i sottesi processi psicologi di costruzione del Sé: le storie di vita si collocano allora come una sorta di “resoconto narrativo specializzato” nel dare significato e senso agli eventi che riguardano il Sé, in una ricerca di coerenza e continuità all’interno dell’intreccio di linee e trame che è il tessuto di ogni vita.

Tale ricerca di senso non avviene in solitudine ma richiede e comporta necessariamente la presenza di un “altro” che ascolti il racconto: la scrittura autobiografica cerca per sua stessa natura gli altri, “è via di emancipazione privata che desidera diventare pubblica” (Demetrio, 1999, p. 13). In questo senso diventa allora atto dialogico, frutto di una negoziazione con altri, interlocutori immaginari o reali, a cui  il narratore si rivolge e di cui tiene conto nel proporre la propria storia di vita (Bruner, 1993).

Quello che si viene a creare fra produzione autobiografica e Sé è un legame forte, costitutivo dal momento che nel racconto non si “trova” il Sé ma lo si costruisce, diventando il Sé “una caratterizzazione del protagonista principale della narrativa autobiografica” (Bruner, 1995).

Grazie a tale attività narrativa, il Sé trova una sua propria collocazione all’interno del contesto culturale e sociale di appartenenza (diventando in un certo senso specchio di alcuni degli aspetti della psicologia popolare che animano la nostra società) e, nello stesso tempo, compie un processo di individualizzazione della propria vita, alla ricerca di quegli elementi che lo rendano unico e diverso e di quegli eventi considerati eccezionali rispetto alla canonicità dell’ambiente, ma comunque comprensibili all’interno dello stesso (Bruner, 1991, Smorti, 1997).

Narrando la propria vita la persona non si limita, quindi, a far emergere gli eventi e gli avvenimenti che nel loro accadere hanno contribuito a tracciare il corso della sua esistenza, ma si pone anche in un'ottica metacognitiva di interpretazione e riflessione su tali accadimenti evidenziando Sé legati al passato e Sé possibili attuali e legati al futuro alla cui luce si racconta il tempo trascorso e si anticipano le scelte che verranno: l’autobiografia diventa allora luogo “ (…) dove l’immagine di sé a tutto tondo lascia spazio a riferimenti espliciti alle diverse identità che la riflessione autobiografica aiuta a far emergere” (Demetrio, 1999, p. 53).

Le storie di vita protagoniste del presente contributo, sono di adolescenti frequentanti  la scuola media superiore. La scelta di tale fascia di età è dettata, come accennato in precedenza, dal particolare momento che i nostri soggetti stanno attraversando: il periodo adolescenziale si presenta infatti come ricco di “punti di svolta”, ovvero costellato da scelte, incontri, esperienze significative per la costruzione di identità in atto e per la comprensione del proprio Sé presente e possibile. Raccontare la propria storia può allora diventare momento o occasione in cui “mettere ordine” al fluire della propria esistenza, trovare una cornice di senso funzionale ad affrontare e superare difficoltà o momenti critici.

Criticità che nell’adolescenza si traduce spesso in esperienze di  “sospensione”, di attesa fra passato e futuro in una dimensione presente che dovrebbe aiutare a leggere e comprendere desideri e bisogni, limiti e risorse (Confalonieri, 1999).

Se elementi di discontinuità e ambivalenza sono caratterizzanti il momento adolescenziale, la narrazione autobiografica può consentire di aprire finestre di comprensione sulle contraddizioni esperite, organizzando e dando senso all’esperienza mentale e psicologica interna ed esterna.

Delle narrazioni sul periodo adolescenziale, si è voluto mettere a tema uno specifico aspetto, quello relativo alle differenze di genere. Rifacendoci ad una letteratura dalle molteplici sfaccettature, si è voluto, infatti, provare a verificare la presenza di eventuali differenze nello stile narrativo autobiografico utilizzato dagli adolescenti coinvolti, ovvero rintracciare elementi del ”discorso autobiografico” specificanti in modo diverso ipotetici  Sé costruiti al  femminile e Sé costruiti al maschile.

Come propone in modo suggestivo Gergen (1996) si è cercato di capire se esistono delle storie al maschile e delle storie al femminile, in che modo differiscono e cosa sostanzia tali eventuali differenze.

La tradizione culturale femminista (fra gli altri, Smith, 1987) parla di una tendenza sin dall’infanzia che conduce maschi e femmine a guardare e leggere i propri percorsi di vita in modo differente: il risultato di tali sguardi è rintracciabile nelle storie di vita che evidenziano aspetti diversi del Sé o degli stessi aspetti ne sottolineano sfumature diverse e con intensità e toni differenti. Le attese sociali espresse sin dall’inizio dall’ambiente culturale e supportanti percorsi di vita diversi, portano a produzioni autobiografiche differenti per stile e ruolo scelto dal narratore, più alla ricerca di un ruolo da protagonista, di colui che scopre e conosce la vita quelle dei maschi, più legate ad assumere un ruolo che le rende attrici di supporto, narratrici “delle gesta altrui” quelle delle femmine (Gergen, 1996).

Partendo da un punto di vista evolutivo, teso, cioè, ad evidenziare come si sviluppi nel bambino la memoria autobiografica, diversi autori (fra gli altri, Haden, Haine, Fivush, 1997; Mullen, 1994; Fivush, 1991) hanno trovato dei dati interessanti e in sintonia con quanto appena segnalato che ci dicono di differenze di genere relative agli stili con cui si organizza la memoria autobiografica sin dall’infanzia.

Da ricerche effettuate con madri e bambini e volte a comprendere come diversi stili conversazionali (più o meno elaborativi) avessero conseguenze diverse sui bambini e sulla loro competenza narrativa autobiografica, si sono riscontrati atteggiamenti conversazionali diversi a seconda che le madri parlassero con i figli maschi o con le figlie femmine. Tali differenze si sostanziano in particolare in una maggiore cura e impegno da parte delle madri quando parlano con le figlie femmine: sono maggiori, infatti, gli interventi elaborativi e valutativi e anche la sottolineatura di aspetti emotivi è più forte in presenza delle figlie femmine che non dei figli maschi.  Tali differenti stili conversazionali contribuiscono a creare già in bambini molto piccoli una memoria autobiografica diversa nei maschi e nelle femmine: mentre le bambine appaiono più attente a ricordare con precisione e cura aspetti interpersonali connotandoli anche da un punto di vista emotivo ed evidenziando una dimensione sociale del proprio Sé sin da piccole, i bambini ricordano meno e in modo meno dettagliato, raccontando più di loro, in modo slegato e autonomo rispetto alla rete sociale di appartenenza (Reese, Haden, Fivush, 1996; Kuebli, Butler, Fivush, 1995; Fivush, 1994).

In una prospettiva sociale e culturale più ampia, tali dati possono quindi portare a pensare che sin dall’infanzia “ (…) femmine e maschi vengono socializzati a parlare e a pensare al proprio passato in modo diverso” (Haden, Fivush, Reese, 1997, p.147), in un confluire di fattori biologici e culturali che pesano e incidono nel direzionare tali differenze di genere (Golombock, Fivush, 1994).

In termini generali, le autobiografie delle donne appaiono più legate al contesto, più attente a raccontare aspetti relazionali e interpersonali di quanto non accada in autobiografie scritte da uomini. Non a caso le donne sono individuate e potremmo dire educate sin dalla prima infanzia all’essere memoria storica della propria famiglia, testimoni privilegiate e depositarie di dettagli, aneddoti e sfumature delle proprie storie famigliari (Ross, Holmberg, 1990; Langevin, 1990). Storie personali e famigliari di cui in particolare ricordano e riportano aspetti interpersonali: da adulte, le donne, socializzate sin dall’inizio a tale compito di “trasmissione famigliare”, presentano una memoria di tali eventi interpersonali più viva, dettagliata e precisa di quanto non sappiano fare gli uomini (Ross, Holmberg, 1990).

Le storie di vita “femminili” presentano, per esempio, una interdipendenza emotiva molto marcata, ovvero gli affetti e le emozioni raccontati sono comunque legati alla rete di legami intrecciati con altri significativi che le circondano e alla cui luce le donne rileggono e presentano la propria vita. Le storie di vita “maschili” sembrano essere invece delle “auto-celebrazioni” del Sé, dove ogni aspetto è detto e raccontato per evidenziare aspetti individuali e propri della vita della persona (Gergen, 1996).  Portate da una tradizione sociale e culturale ad essere particolarmente attente ad elementi interpersonali sin dall’infanzia, le donne diventano nel corso della loro vita “esperte in relazioni”, sviluppando una comprensione articolata e complessa del mondo relazionale che le circonda di cui parlano e a cui si rifanno per una comprensione del proprio Sé attuale più di quanto non accada per gli uomini (Ross, Holmberg, 1990).

Anche la forma narrativa, lo stile scelto per raccontarsi è diverso. Le storie di vita “maschili” tendono ad essere lineari, costruite attorno alle azioni concrete, e in progressione dinamica, ovvero evidenziando gli scopi e i comportamenti, le risorse e le energie necessarie per il conseguimento degli stessi. Le storie “femminili”, pur contenendo un tema conduttore, sono spesso costruite attorno all’imprevisto narrativo, alla digressione, offrendo una gamma di stili narrativi più ricca e complessa di quella maschile (Gergen, 1996).

Tali storie risultano inoltre più lunghe, più articolate e ricche di dettagli, lasciando trasparire un maggiore coinvolgimento cognitivo ed emotivo nei ricordi riportati ed esprimendo valutazioni e riflessioni in misura maggiore dei maschi (Davis, 1991, Friedman e Pines, 1991, Ross e Holmberg, 1990).

Alla luce di tali considerazioni, il lavoro condotto ha cercato di individuare se e come  adolescenti maschi e femmine raccontassero, pur presentando analogie legate al medesimo periodo di vita attraversato, il proprio Sé in modo diverso, con toni e colori che rimandano e richiamano a quelle attese sociali e culturali a cui sembra si venga educati e resi disponibili, a partire dalla differenza di genere, sin dall’infanzia. Attese sociali e culturali che dal punto di vista della letteratura abbiamo visto essere sostanzialmente rintracciabili, rispetto alla tematica in oggetto, nel mondo anglosassone e quindi in una dimensione  contestuale precisa: sarà interessante vedere quanto i dati ricavati dal nostro gruppo di adolescenti italiani (che presenta quindi una contestualizzazione sociale e culturale differente) potranno essere compresi a partire da tale cornice teorica e di ricerca.

 

Metodologia

 

La scelta di una metodologia di tipo qualitativo nasce dal tipo di oggetto che si desidera indagare, oggetto rintracciabile in termini generali nel pensiero umano stesso, e nella sua duplice componente di tipo paradigmatico e narrativo.

Partire dal pensiero umano e dalle sue esplicitazioni significa cercare di aprire spazi di comprensione circa la capacità di significare innata nell’uomo, ovvero cercare di rintracciare il perché di azioni, di processi, di eventi di una vita, interessati non tanto a risalire alla verità storica soggiacente al racconto quanto a “ciò che la persona pensa di aver fatto, ai motivi per cui pensa di averlo fatto, in quali tipi di situazioni pensava di trovarsi e così via” (Bruner, 1990, p.116).

L’analisi di produzioni autobiografiche si propone allora come metodo particolarmente efficace per rivelare i pensieri e l’identità della persona, le sue strategie di conoscenza e riflessione, il suo collocarsi in modo più o meno canonico all’interno della cultura di riferimento. E lo sguardo dello psicologo ricercatore cercherà di andare “oltre il testo” prodotto (e i suoi aspetti linguistici e stilistici), per cogliere ciò che dal testo è simbolicamente mediato, ovvero indizi e voci sulla costruzione del Sé (Bruner,1995b).

Tale lavoro di ricerca non porterà allora a dati validi in quanto coincidenti e corrispondenti a modelli di riferimento esterno, in un’ottica sperimentale classicamente posta, quanto ad una validazione funzionale ad uno spiegare e ad un comprendere culturalmente e socialmente contestualizzati.

Tale disposizione metodologica si presenta, inoltre, particolarmente interessante se ci si muove all’interno di quello che risulta essere uno dei principali ambiti di studio della psicologia dello sviluppo: l’identificazione, la descrizione e  la spiegazione dei cambiamenti nel comportamento o nelle modalità di funzionamento dell’individuo che si presentano in funzione dell’età e di specifiche fasi di vita (quale il periodo adolescenziale). Tale area di indagine cerca proprio di cogliere la dimensione del cambiamento, dimensione che connotandosi attraverso elementi di continuità e discontinuità (vedi fra gli altri, Blos, 1979; Gislon, 1993; Palmonari, 1993; Confalonieri, 1999) si adatta con difficoltà ad essere trattata con metodi sperimentali. Più funzionale sembra essere allora un approccio, quale appunto quello narrativo, che cerchi l’esplicitazione di tali processi e che faccia della loro lettura e comprensione il suo focus attenzionale.

 

Soggetti[1]

 

Sono state coinvolte due classi di due scuole medie superiori, un liceo classico e un istituto tecnico dell’hinterland di Milano. Per ciascuna classe sono stati interpellati 17 alunni, per un totale di 34 soggetti di età compresa fra i 15 e i 17 anni (età media 16.3), di cui 17 maschi ( 8 frequentanti il terzo anno del liceo classico e 9 frequentanti il terzo anno dell’istituto tecnico) e 17 femmine (9 frequentanti il terzo anno del liceo classico e 8 frequentanti il terzo anno dell’istituto tecnico). Gli studenti coinvolti nella ricerca appartengono ad una classe sociale media o medio-alta e risiedono nell’hinterland milanese.

 

Procedura

La stesura delle produzioni autobiografiche si è compiuta all’interno della scuola dove ogni giorno i ragazzi svolgono le loro lezioni. Il tempo a disposizione per eseguire la consegna era di circa 50 minuti (la durata di un’ora di lezione).

La consegna proposta era così formulata:

Ti chiedo di provare a raccontare la tua storia scrivendola come se la dovessi comunicare ad una persona che è interessata a te, ma non ti conosce. Puoi scrivere ciò che vuoi e nel modo che ritieni più opportuno, cercando, però, di fare capire all’altro che sei tu, quali sono le tue caratteristiche e come sei arrivato ad essere quello che sei.

 

Codifica del materiale

Le storie di vita raccolte sono state sottoposte ad una codifica testuale mirata alla ricerca di marcature linguistiche funzionali all’identificazione di alcuni indicatori che Bruner ha delineato come segnali dello “stato del Sé” del protagonista, e la cui analisi consente di riconoscere il grado di individuazione e di autocollocazione del Sé.

L’analisi testuale delle storie di vita è stata supportata dall’utilizzo di un programma statistico di analisi lessicale, denominato TACT (Text Analysis Computing Tools) al fine di rilevare con maggiore precisione le frequenze dei marcatori linguistici maggiormente ricorrenti nelle produzioni autobiografiche analizzate ed utilizzare tali elementi per un’analisi di contenuto più specifica e coerente. Successivamente ci si è avvalsi di un ulteriore programma di analisi del testo, il NUDIST che consente un’analisi e una codifica per categorie (nel nostro caso costruite a partire dagli indicatori bruneriani e dall’analisi lessicale precedentemente svolta) delle diverse unità individuate.

Come unità di analisi all’interno della quale ricercare gli indicatori è stato scelto l’enunciato da punto a punto: tale decisione è dettata dalla necessità di segmentare il discorso in parti dotate di significato a partire dalla punteggiatura posta dall’autore stesso.

Ogni decisione è stata presa a seguito di un accordo intergiudice (pari all’87%), raggiunto collegialmente da tre giudici a seguito di una prima codifica avvenuta singolarmente. Il confronto fra più giudici è garanzia di un maggior grado di obiettività per questo lavoro che è necessariamente interpretativo.

La codifica compiuta su ogni unità di analisi è distinta in due momenti: il primo consiste nell’identificazione del verbo perno, cioè della forma verbale che costituisce l’asse intorno a cui si articola l’intero enunciato, dando senso alla frase nel suo insieme. Il secondo momento prevede l’assegnazione dell’indicatore: ogni verbo viene messo in relazione con uno degli indicatori del Sé proposti da Bruner.

Alcuni di questi - in particolare coerenza, valutazione e riferimento sociale - difficilmente esprimibili in specifiche forme verbali, sono stati rilevati nell’uso di alcuni avverbi di tempo o di modo.

Presentiamo schematicamente nella Figura 1 l’elenco degli indicatori del Sé, così come sono stati definiti da Bruner (1995; 1998,), con l’aggiunta di alcune precisazioni emerse da vari studi, attualmente in corso di pubblicazione (fra cui il lavoro di Confalonieri, Scaratti, Tomisich, in stampa), che possono essere utili, oltre che al riconoscimento delle marcature lessicali tipiche di ogni indicatore, anche alla comprensione del significato più preciso che tali indizi del Sé assumono nel contesto linguistico e narrativo italiano.

Gli esempi riportati per ogni indicatore sono tratti dalle storie di vita prodotte dal presente gruppo di adolescenti.

 

Figura 1

 

Alla luce della lettura e della analisi di diverse storie di vita raccolte anche in altri contesti e con altri soggetti, si è avvertita la necessità di aggiungere ai nove indicatori appena presentati una nuova categoria di codifica, denominata “Elementi Esterni”. Sotto tale etichetta sono state codificate tutte quelle unità di analisi il cui contenuto non era né direttamente né indirettamente riferibile al Sé del soggetto e che quindi pur essendo funzionali allo scorrere della storia, non fornivano alcuna indicazione sullo “stato del Sé”, oggetto della presente analisi.  Qui di seguito vengono riportati due esempi:

 

“ Due giorni fa hanno tentato di entrare in casa mia e due settimane prima in casa di mio zio” (storia 12, femmina)

 

“Prendiamo per esempio il Milan: all’inizio del campionato è partita male (probabilmente per una preparazione estiva non adeguata) e ha perso fiducia nei propri mezzi” (storia 16, maschio)

 

Accanto alla individuazione dei marcatori lungo tutta la storia di vita, si è voluto anche valutare con quali indicatori i soggetti aprono la narrazione della propria vita e con quali, invece, scelgono di terminarla. Ciò può essere indicativo per conoscere quali notizie sul Sé vengono privilegiate nell’atto di iniziare a raccontare e, per contro, quali aspetti emergano alla fine, quando il “tempo del discorso” si incontra col presente della vita.

Un ulteriore aspetto che è sembrato interessante approfondire riguarda l’utilizzo dei tempi verbali: quali modi e tempi della coniugazione verbale italiana sono privilegiati nelle autodescrizioni degli adolescenti. La dimensione temporale si presenta infatti come particolarmente significativa per i nostri soggetti, in particolare, ma più in generale all’interno di un lavoro di costruzione-presentazione del Sé nel corso del tempo della propria vita. Individuare quali sono i tempi maggiormente utilizzati per narrarsi, può, dunque, essere utile per una comprensione diacronica di un Sé che nel raccontarsi getta uno sguardo al passato rileggendolo alla luce delle necessità  presenti e degli obiettivi futuri. Pertanto, anche alla luce di talune considerazioni bruneriane (Bruner, 1990, 1991)  è stata compiuta un’analisi dettagliata sui testi, selezionando e catalogando i verbi usati e i tempi e i modi in cui sono espressi.

 

Risultati
Gli indicatori del Sé.  Un primo elemento di rilievo è costituito dal numero complessivo di unità di analisi prodotte, dato indicativo della lunghezza delle produzioni autobiografiche. Nelle tabelle 1 e 2 vengono riportate, rispettivamente,  le storie di vita e i relativi indicatori attribuiti ad ogni unità di analisi per il gruppo di adolescenti maschi (Tabella 1) e per il gruppo di adolescenti femmine (Tabella 2).

 

Tabella 1

Tabella 2

 

Le adolescenti femmine presentano una più ricca produzione complessiva (276 unità di analisi) in termini di unità di analisi rispetto ai coetanei maschi (192 unità di analisi).

La distribuzione del numero totale di unità di analisi di ogni singola storia risulta più omogenea nel gruppo di maschi (con un range che va da storie con 7 unità di analisi a storie con 19 unità di analisi e un valore medio pari a 10.05 unità di analisi per storia) che nel gruppo delle femmine (con un range che va da storie con 7 unità di analisi a storie con 33 unità di analisi e un valore medio pari a 13.8 unità di analisi per storia).

In genere gli indicatori vengono utilizzati sempre quasi tutti dai soggetti, che non sembrano centrare la descrizione del proprio Sé utilizzando in particolare o in modo preferenziale un indicatore rispetto agli altri: tale riscontro è più evidente nel gruppo di adolescenti maschi.

Osservando i dati del gruppo di adolescenti femmine nel loro complesso (Tabella 3 e Grafico 1), l’indicatore più utilizzato in termini percentuali risulta essere quello relativo agli aspetti qualitativi (24.3%), seguito ad una certa distanza dalla riflessività (14.8%), dal riferimento sociale (11.6%), dalla valutazione (10.5%), dalle risorse (9.4%) e dalla coerenza (7.6%). Gli altri indicatori si attestano attorno al  5% circa.

L’indicatore relativo agli aspetti qualitativi (16.1%) risulta essere il più utilizzato anche dal gruppo di adolescenti maschi (Tabella 3 e Grafico 1): a questo indicatore seguono rispettivamente quello della valutazione (11%), quello dell’impegno (10.4%), quello della riflessività (9.9%), quelli di azione e di riferimento sociale (9.4%), quello di coerenza (8.8%) e quelli di localizzazione e risorse (8.3%).

 

 Tabella 3

 

Ad eccezione dell’indicatore relativo agli aspetti qualitativi che entrambi i gruppi utilizzano in modo percentualmente più consistente, la distribuzione degli altri indicatori è differente nei due gruppi considerati, con un utilizzo più omogeneo di tutti gli indicatori da parte degli adolescenti maschi (nessun indicatore scende sotto il valore percentuale dell’8%), e un utilizzo più marcato e consistente di alcuni indicatori rispetto ad altri da parte delle adolescenti femmine.

 

Grafico 1

 

Marcatori di apertura e di chiusura. Per quanto riguarda i dati relativi al tipo di indicatore maggiormente usato dagli adolescenti per aprire la loro storia di vita (Tabella 4), sia i maschi che le femmine si presentano usando per lo più l’indicatore di localizzazione (9 volte su 17 per i maschi; 7 volte su 17 per le femmine). Le femmine utilizzano in generale 6 fra i 9 indicatori disponibili per presentarsi, mentre  i maschi ne utilizzano 5 fra i 9 disponibili.

Tabella 4

Sempre nella Tabella 4 sono riportati i dati relativi agli indicatori utilizzati per chiudere il racconto di sé. In questo caso non vi è in nessuno dei due gruppi un indicatore che saturi in modo decisamente più consistente degli altri la gamma di indicatori individuati. Entrambi i gruppi chiudono per lo più utilizzando l’indicatore di impegno (4 volte su 17 per i maschi, 6 volte su 17 per le femmine), ma anche gli altri indicatori sono spesso usati per terminare la propria presentazione. In particolare, i maschi utilizzano, almeno una volta, tutti gli indicatori a disposizione per accomiatarsi dal proprio racconto, mentre le femmine ne usano 6 sui 9 a disposizione, concentrandosi soprattutto sul già citato indicatore di impegno e su quello della riflessività.

 

Tempi e modi verbali. Per quanto riguarda i tempi e i modi verbali maggiormente utilizzati nei due gruppi, vengono riportati nella Tabella 5 ( si veda anche il Grafico 2) quelli ritenuti più significativi per fornire un quadro della dimensione temporale utilizzata dagli  adolescenti per raccontarsi, ovvero il modo indicativo, quello congiuntivo e quello condizionale. I tempi verbali sono stati riportati in modo scorporato (presente, passato futuro) solo per il modo indicativo data l’esiguità numerica dei verbi riportati al congiuntivo e al condizionale.

Tabella 5

 

Dall’analisi dei dati non emergono differenze significative fra i due gruppi di soggetti fatta eccezione per un uso leggermente più consistente del congiuntivo (4.5% contro 3.4%) e del condizionale ( 3% contro 2.5%) da parte delle femmine. In generale i soggetti del presente studio si descrivono al presente (72.7% i maschi, 71.9% le femmine) e in forma minore al passato (18.2% i maschi, 18.5% le femmine): poco utilizzato è il futuro da parte dei maschi (3.1%), ma soprattutto da parte delle femmine (2.1%).

Grafico 2

 

 

Discussione

Il lavoro presentato vuole essere sia un’ulteriore conferma delle potenzialità metodologiche ed euristiche dell’approccio narrativo in genere e delle autobiografie in particolare, sia l’occasione di riflessioni, a partire da una letteratura già esistente, su modi differenti di raccontarsi e presentarsi, in adolescenza, a partire dalla propria diversa appartenenza di genere.

Un primo sguardo ai dati  presentati, evidenzia, accanto al desiderio e alla voglia sia dei maschi che delle femmine di presentarsi e raccontarsi - nessuno si è infatti “sottratto” alla richiesta e in molti hanno dimostrato di gradire l’occasione offerta - una più consistente produzione narrativa da parte delle femmine.

Le adolescenti raccontano più di loro, segnalando forse una maggiore disposizione al narrare agli altri di Sé e del proprio mondo (Davis, 1991; Golombock, Fivush, 1994): tale disposizione, pur in presenza anche di alcune storie di vita brevi, è particolarmente evidente in diverse storie di vita “femminili” che presentano un consistente numero di unità di analisi.

I maschi si raccontano senza mai dilungarsi o concedersi particolari digressioni, attestandosi tutti su racconti di media lunghezza.

Prima di commentare i diversi indicatori rintracciati nei racconti dei soggetti, sembra utile sottolineare come le adolescenti sembrino raccontarsi attraverso soprattutto alcuni indicatori (aspetti qualitativi, riflessività, riferimento sociale e valutazione), riscontrati in maniera più consistente degli altri. Tale indicazione ci rimanda un’immagine di Sé definibile attraverso alcune dimensioni che sembrano essere più funzionali per raccontarsi nella propria vita e per presentare il proprio Sé in modo coerente e coeso.

I maschi si descrivono invece in modo più sfaccettato, forse più sfuggente, rendendo difficile identificare quali siano gli indicatori che maggiormente contraddistinguono specificandolo il loro Sé e con esso il loro percorso di vita (da notare come nel gruppo di storie di vita dei maschi nessuno degli indicatori vada oltre, come valore percentuale, il 16% o, sempre come valore percentuale, scenda sotto l’8%).

Se le femmine sembrano aver individuato quali aspetti del proprio Sé sono particolarmente significativi per la loro personale costruzione di identità, i maschi sembrano orientati ancora in una direzione di  sperimentazione, di messa alla prova del proprio Sé e delle sue possibilità. Entrambi questi movimenti, di individuazione e sperimentazione, aprono scenari tipici del periodo adolescenziale e di individui che stanno ancora cercando di identificare la trama principale della propria storia di vita.

L’indicatore maggiormente rintracciato per entrambi i gruppi è quello degli aspetti qualitativi. Descriversi attraverso tale indicatore significa evidenziare dimensioni più esterne del proprio Sé, dimensioni socialmente visibili e valutabili dagli altri, dimensioni che ci mettono in gioco per quello che sentiamo, proviamo, amiamo, pensiamo di essere, per le cose che ci piace o non ci piace fare.

I nostri adolescenti privilegiano dunque questa dimensione “qualitativa” che del Sé e della vita evidenzia elementi descrittivi, di primo impatto, legati al mondo emotivo ed esperienziale. Attraverso tale indicatore gli adolescenti dicono come si vedono, quali sono le loro caratteristiche di personalità, quali sono i loro gusti, cosa li fa soffrire e cosa li rende felici. Eccone alcuni esempi:

“Poi sono uno a cui piace divertirsi, passo molto tempo con i miei amici” (storia 2,  maschio)

“Sono comunque sempre stata molto socievole e non ho mai avuto problemi a fare amicizie anche se spesso sentivo e sento il bisogno di stare sola” (storia 1, femmina)

 

Se entrambi i gruppi si descrivono prevalentemente attraverso questo indicatore, le femmine lo fanno sicuramente in modo più consistente rispetto ai coetanei maschi: inoltre è per loro l’indicatore decisamente più significativo rispetto agli altri (24.3%). Potremmo dire che le adolescenti trovano nella dimensione emotiva e descrittiva la giusta collocazione per il proprio Sé, che, pur raccontandosi poi, come vedremo, attraverso altre dimensioni riconosce in questa una collocazione preferita ( Fivush, 1994; Kuebli, Butler, Fivush, 1995).

Da notare come spesso gli aspetti qualitativi siano riferiti ad emozioni o stati d’animo vissute insieme ad altri o provate per altri: tale interdipendenza emotiva si presenta più spesso nelle femmine che non nei maschi del gruppo. Questi ultimi infatti, pur raccontando delle loro emozioni lo fanno in termini più personali e individuali, difficilmente in relazione ad altri. Ecco alcuni esempi tratti da storie di femmine:

 

“ In questo campo ho avuto infatti le delusioni più profonde della mia breve vita, ho sempre incontrato amiche false ed approfittatrici che mi hanno fatto soffrire” (storia 5, femmina)

“ Mi piace divertirmi con gli amici, quelli veri, ridere delle battute o delle gaffe degli altri; a volte poi sono io che esco con delle cavolate immonde e subisco con armonia le risa altrui: mi piace quando gli altri sono contenti a causa mia (storia 10, femmina)

 

Il Sé descritto dagli aspetti qualitativi nelle femmine è un Sé che conosce e presenta oltre a se stesso, gli altri;  nei maschi è un Sé autonomo, individuale, che sfiora gli altri, ma spesso non li racconta, come bel esemplificato in queste righe:

 

“ Spesso facendo questi pensieri mi riempio di felicità ma anche provo un pizzico di paura perché sono consapevole che man mano che cresco, purtroppo le difficoltà aumentano” (storia 12, maschio)

 

 

Se il primo indicatore è per entrambi i gruppi il medesimo, le narrazioni del Sé iniziano poi a differenziarsi, costruendo costellazioni e percorsi di vita in parte differenti.

Prendendo in considerazione gli indicatori più ricorrenti, vediamo come per le femmine la riflessività sia un elemento sicuramente presente: le adolescenti si osservano, ma questa volta è uno sguardo più interno, teso allo scopo di capire, di comprendere, in un movimento di interrogazione costante tipico dell’adolescente e delle sue nuove competenze cognitive formali ed astratte che amano inventare e individuare sempre nuove possibili linee di pensiero. A conferma di tale investimento cognitivo, possiamo sottolineare la presenza nel gruppo delle femmine di un maggior numero di forme verbali al congiuntivo e al condizionale, segnali seppur deboli di una pensiero più articolato e adulto, in cui il concatenarsi e il subordinarsi di pensieri ed idee diventa occasione di riflessione metacognitiva. Vediamone alcuni esempi:

 

“Non saprei proprio: non mi sento nessuno, non ho un’identità: ho solo delle reazioni ma non riesco ad identificarmi in base ad esse” (storia 13, femmina)

 

“Non sono ancora completamente sicura di cosa voglio, di chi sono, anche perché capita a volte di fare o pensare cose che mi spaventano, che mi fanno capire che chi sta facendo o pensando non sono io ma è la rabbia o la depressione che muove il mio corpo e la mia mente e mi chiedo perché” (storia 15, femmina)

 

Anche i maschi rintracciano in una dimensione di interrogazione una possibile descrizione del Sé: è una interrogazione che si esplicita nell’indicatore di valutazione, dove l’intento più che essere volto alla comprensione di elementi del Sé è teso ad osservare e interrogare il mondo esterno in modo quasi retorico, fine a se stesso, non per ricavarne possibili chiavi di lettura e spiegazione. E’ un uso delle nuove competenze cognitive diverso da quello delle adolescenti, più di tipo metariflessivo e con un obiettivo preciso: quello dei maschi sembra essere più un “esercizio di stile”, provocatorio verso se stessi ma soprattutto verso gli altri, coinvolti come termini di paragone il più delle volte in modo diminutivo alla ricerca di una conferma del proprio Sé. Eccone alcuni esempi:

 

“Alla fine se uno non si diverte quando è giovane quando si deve divertire” (storia 2, maschio)

 

“ Odio le persone falsamente modeste e le persone smodatamente gasate, mentre amo le persone realiste, oneste, sincere e che si giudicano imparzialmente” (storia 16, maschio)

 

 Il riferimento sociale è il terzo indicatore rintracciabile nelle storie di vita delle adolescenti. Emerge nuovamente quella dimensione di interdipendenza, di attenzione all'altro già riscontrata negli aspetti qualitativi e qui marcatamente riproposta (Ross, Holmberg, 1990).

Le femmine del nostro gruppo segnalano il bisogno, la necessità, l'importanza degli altri, rendendoli spesso protagonisti di pezzi importanti delle loro storie. La famiglia soprattutto, ma anche gli amici e i primi legami affettivi costituiscono una rete relazionale e valoriale forte, a cui in passato, nel presente e presumibilmente nel futuro le adolescenti guardano per avere conferme, indicazioni e di cui parlano per testimoiarne e tramandarne l'esistenza e il significato. Vediamone, anche in questo caso, alcuni esempi:

“Come  mia madre, diversamente da mio padre credo fermamente in Dio, anche se ho qualche difficoltà a seguirne tutti i comandamenti” ( storia 8, femmina)

 

“ Quando sono con lui mi fa sentire speciale, mi diverte: riesce ad essere, nei suoi comportamenti, bambino  e adulto; è sincero” (storia 16, femmina)

 

 

A conferma di una tendenza riscontrata e riportata in letteratura, i maschi non sembrano volere essere altrettanto testimoni e trasmettitori di tale dimensione relazionale: anche nei loro racconti sono presenti riferimenti sociali precisi di tipo familiare ed amicale, ma la loro presenza non è così significativa come per le femmine e, soprattutto, altre dimensioni del Sé sono individuate come più idonee per raccontare la propria identità in costruzione.

Preferiscono per esempio individuarsi attraverso la dimensione dell’impegno (indicatore che nelle femmine è davvero difficilmente rintracciabile), ovvero della sperimentazione e della scoperta delle proprie potenzialità e dei propri progetti (Gergen, 1996), dimensione ritrovabile nell’adolescenza, non  a caso individuata come periodo in cui progettare e individuare strategie e risorse adatte all’attuazione di tali progetti futuri. Eccone alcuni esempi:

 

“ Ormai sono dieci anni che gioco, avevo cominciato così, tanto per passare il tempo all’oratorio vicino casa mia, poi la cosa si è fatta sempre più seria e adesso spero di riuscire a diventare qualcuno”  (storia 2, maschio)

 

“ Certo ci sono stati i momenti, specie all’inizio, in cui ho pensato di lasciar perdere e di ritornare dai miei genitori, in fondo quello che stavo facendo era solo per inseguire un sogno che probabilmente non si sarebbe avverato” (storia 7, maschio)

 

“ Spero che l’amore sia più forte dei miei problemi e che mi riesca a portare al giorno che io aspetto tanto, tale giorno sarà quando finalmente potrò dire a me stesso: ‘ Sono orgoglioso di me stesso’ “ (storia 11, maschio)

 

A conferma di tale apertura al futuro, più avvertita dai maschi, c’è anche la presenza di un uso, comunque molto basso, ma leggermente superiore nei maschi rispetto alle femmine, di forme verbali future. Rimane la perplessità e lo stupore di fronte ad una difficoltà a pensare ad una dimensione futura della propria vita che forse da degli adolescenti ci si sarebbe aspettati come più consistente.

Rimanendo all’interno delle forme  e dei tempi verbali più utilizzati, sottolineiamo come la massiccia presenza di produzioni al tempo presente sia in accordo con quanto evidenziato da Bruner circa il fatto che scrivere la propria storia di vita significa riconnettere passato e futuro alla luce del presente, tempo quindi dominante nella narrazioni autobiografiche (Bruner, 1990, 1991). Il Sé che raccontiamo è il Sé attuale che guarda al passato e lo interpreta in funzione di ciò che è stato fatto e di ciò che questo “fare” ha comportato.

I nostri adolescenti in linea con questa attesa si raccontano al presente, concedendosi qualche apertura al passato – collegata anche alla presenza dell’indicatore di coerenza ovvero di una dimensione più pura e autentica del ricordo autobiografico – e intravvedendo soltanto la possibilità di iniziare a raccontarsi anche per quello che saranno.

Altri indicatori sono ovviamente presenti nelle storie di vita presentate, ma ci sembra che i valori percentuali da loro ottenuti non consentano un’analisi, seppur qualitativa, significativa al fine di far emergere quelle che si presentano come le direzioni di ricerca e di costruzione di senso del Sé  più immediatamente rintracciabili.

Sembra interessante soffermarsi, infine, sugli indicatori con cui gli adolescenti aprono il loro racconto  e lo chiudono.

La localizzazione sembra essere per tutti l’indicatore che meglio si presta ad una prima presentazione di esordio del proprio Sé: collocarsi spazio-temporalmente, dicendo chi si è, da dove si viene, dove si abita, ecc. sembra essere il modo più funzionale per iniziare a scrivere della propria vita. Dice probabilmente di un bisogno di partire da qualcosa di certo, di sicuro, di contestualmente e temporalmente situato, per poi poter iniziare a trattare aspetti e dimensioni meno certe e condivise. Vediamone alcuni esempi:

 

“ Ciao mi chiamo Laura, ho 16 anni, frequento l’istituto C. e abito a C. B. (storia 1, femmina)

 

“ Mi chiamo Francesco, ho sedici anni e frequento la terza superiore dell’istituto tecnico C. “ (storia 8, maschio)

 

Altri indicatori sono utilizzati, soprattutto dalle femmine, per presentarsi, ma in forma decisamente inferiore e meno caratterizzante.

Guardare gli indicatori con cui i nostri adolescenti chiudono e si accomiatano dal loro racconto sembra rimandare ad una dimensione futura, sembra forse portare ad interrogarsi sul cosa sarà.…. Non a caso allora, pur di fronte ad una grande varietà di “chiusure”, l’impegno è per entrambi i gruppi l’indicatore più usato. Impegno che come si diceva richiama a dimensioni future e che sembra essere quindi funzionale a chiudere questa che è solo una fra le tante autobiografie che capiterà di scrivere lungo il corso della propria vita. Eccone alcuni esempi:

 

“ Spero nella vita di aiutare le persone, far felici gli altri mi gratifica molto” (storia 1, femmina)

 

“ Spero di trovare una professione che mi faccia sempre girovagare, almeno avrò più tempo per pensare a me stesso” (storia 1, maschio)

 

“ Non ho ancora idea di ciò che farò nella vita dopo gli studi, quindi per il momento mi limito a dire che vorrei realizzarmi” (storia 14, maschio)

 

 Trattandosi di adolescenti, la dimensione futura seppur ancora lontana dall’essere individuata è quindi giustamente presente, accanto però ad una varietà di indicatori di “chiusura” che dicono di una molteplicità di Sé ancora possibili e ancora in costruzione. Questo sembra valere soprattutto per i maschi che scelgono almeno una volta tutti gli indicatori possibili, a segnalare davvero una ricerca e una sperimentazione aperta e in progresso. Le femmine, come si diceva all’inizio, sembrano aver già individuato alcuni punti fermi nel loro cammino di costruzione di identità e, non a caso, oltre che sull’impegno chiudono soprattutto sulla riflessività, indicatore da loro molto usato anche durante il dipanarsi del loro racconto. Vediamone alcuni esempi:

 

“ A volte mi sembra di voler soffrire, di farmi troppi problemi per nulla, problemi che forse non esistono” (storia 13, femmina)

 

“ Infine mi considero una persona come tante altre ma che ha quel pizzico dentro di diverso da distinguerla dagli altri” (storia 15, femmina)

 

 

Conclusioni

Cercando, ora, di trarre alcune conclusioni dal lavoro proposto, è possibile innanzitutto rimarcare come dalle storie di vita dei nostri adolescenti emergano caratteristiche e segnali attribuibili al periodo attraversato e ai diversi compiti evolutivi  a cui sono chiamati. Quello che ci raccontano è un Sé in costruzione, in “via di definizione”, che cerca attraverso lo sperimentarsi e l’interrogarsi una collocazione più adulta e matura.

Il loro è uno sguardo che passa velocemente da dimensioni interne (affetti, emozioni, paure, dubbi) a dimensioni esterne (attività, amicizie, incontri), in quel movimento fra mondo interno e mondo esterno tipico dell’adolescenza e del suo svilupparsi: caratteristico di un Sé che pur guardando al passato e cercando di iniziare a progettare il futuro è fortemente ancorato al presente narrato e vissuto.

Accanto a tali dimensioni rintracciabili in tutti i nostri adolescenti, sembra possibile sottolineare alcuni elementi che li differenziano in funzione della loro appartenenza di genere  e che, alla luce dei primi elementi raccolti e qui riportati e in relazione con quanto rintracciato in letteratura, varrà sicuramente la pena di approfondire e scandagliare ulteriormente con altri lavori di ricerca.

Il Sé raccontato dalle adolescenti femmine si presenta, in sintesi, come desideroso di parlare e di narrare della propria vita, degli elementi che l’hanno caratterizzata, delle emozioni provate e delle persone significative incontrate: spesso questo racconto è segnato dalla presenza di “altri”, segnalando un Sé legato ad una rete sociale, di cui parla e da cui “dipende”, alla ricerca di legami e di relazioni alla cui luce comprendere gli eventi canonici e non della propria storia. Quello delle femmine appare quindi come un Sé che pur parlando e riflettendo individualmente sulle proprie modalità di costruzione dell’identità, è anche orientato socialmente  e in modo interpersonale (Fivush, 1994).

Gli adolescenti maschi presentano invece un Sé più orientato a raccontarsi in autonomia, senza dilungarsi mai eccessivamente nel narrare la propria storia e senza indugiare su emozioni e aspetti relazionali. Tali elementi ci sono, ma appaiono trattati in modo meno preciso e dettagliato di quanto non facciano le femmine: il Sé dei maschi è orientato verso degli scopi, degli obiettivi, impegnato nello scoprire come raggiungerli, più attento a far emergere aspetti individuali e personali ed ad assumere un ruolo di protagonista della propria vita (Gergen, 1996).

L’approccio narrativo sembra, allora,  ancora una volta aver consentito di raccontare dimensioni interne, paesaggi e mondi che trovano un canale di espressione possibile nella modalità autobiografica proposta. Le sollecitazioni avute sono, come si è cercato di evidenziare, molte e meritano uno sviluppo ulteriore che le confermi e che generi nuovi ulteriori percorsi di ricerca e di pensiero.

 

 

Riferimenti bibliografici

 

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[1]  Si ringrazia la dott.ssa Vezzoso Simona per la collaborazione durante la raccolta  del materiale.

 

 

Figura 1 – Presentazione degli indicatori bruneriani e loro esemplificazioni

 AZIONE

Racconta le attività pratiche in cui il soggetto è coinvolto in prima persona, gli atti di libera scelta intrapresi al fine di realizzare un progetto o uno scopo. Si esprime con verbi di movimento: andare, venire, fare, studiare, divertirsi, iniziare...

Es. “Oltre ad andare a scuola pratico anche uno sport: il calcio” (storia 1, maschio, 17 anni)

“Mi piace moltissimo stare in compagnia con i miei amici per parlare, divertirmi e ridere” (storia 9, femmina, 15 anni)

IMPEGNO

Indica adesione e/o opposizione a norme e ad azioni compiute in loro nome. Evidenzia il coinvolgimento diretto del soggetto in un’azione, un’impresa, un compito.  E’ espresso da verbi modali come potere, dovere, volere, e da altri come scegliere, ripromettersi, cercare.

Es. “Oltre a diventare un bravo geometra vorrei anche diventare un bravo atleta e correre per la nazionale italiana” (storia 8, maschio, 16 anni)

“Ho dovuto infatti abbandonare scuola, amici e abitudini, per rifarmi una vita diversa, con amici, scuola e abitudini diverse” (storia 7, femmina, 16 anni)

 

RISORSE

Rivela le strategie cognitive (risorse “interne”) e sociali (“esterne”) necessarie al raggiungimento di obiettivi o al superamento degli ostacoli che si frappongono alla realizzazione dei progetti del protagonista. Sono verbi di azione, quali raggiungere, trovare, imparare, cavarsela, riuscire, cercare, ottenere...

Es. “Una volta ero diverso, al primo problema mi abbattevo, adesso invece cerco sempre di reagire, a volte sbagliando ma dicono che sbagliando s’impara (storia 2, maschio, 17 anni)

“Io mi piaccio “interiormente” e questo mi aiuta a vivere meglio” (storia 2, femmina, 18 anni)

COERENZA

Manifesta la volontà del narratore di  costruire una storia dotata di una sua logica interna, attraverso la creazione di uno scenario nel quale gli avvenimenti assumono significato. Si tratta soprattutto di coerenza temporale, nel senso che l’autore cerca di ordinare gli eventi secondo la loro successione evidenziando i punti di svolta. Si esprime con verbi come ricordare, ripercorrere, raccontare, spiegare; spesso si riconosce anche dall’uso di avverbi di tempo (ora, adesso, sempre...) o da altre espressioni temporali (da piccola, fino all’anno scorso...).

 

Es. “Non ho avuto esperienze degne di essere raccontate” (storia 6, maschio, 17 anni)

“Gli avvenimenti che mi hanno portato ad essere quella che sono oggi, sono tantissimi” (storia 13, femmina, 16 anni)

 

ASPETTI DI QUALITA’

Esprime il Sé da un punto di vista percettivo e qualitativo, cerca di caratterizzare il modo di “sentire” la vita da parte del protagonista della narrazione autobiografica. E’ espresso da verbi mentali come piacere, sentirsi, provare (nel senso di sentire dentro), arrabbiarsi, descriversi, avere paura, stare (bene o male). Inoltre, si incontra spesso tale indicatore nei predicati nominali, in cui il verbo essere si accompagna ad un aggettivo, in genere di tipo qualificativo (sono infelice, insicuro, timido...).

 

Es. “Se mi dovessi descrivere io mi definirei un ragazzo aperto, molto socievole anche se però tante volte sono timido" (storia 4, maschio, 17 anni)

“Sono un po’ lunatica e soprattutto molto testarda” (storia 2, femmina, 18 anni)

RIFLESSIVITA

Si riferisce alla parte metacognitiva del Sé. E’ connotato dall’uso di verbi mentali che parlano delle modalità di pensiero impiegate dall’autore per compiere la propria analisi dell’esperienza passata o presente. Tra le voci verbali più ricorrenti incontriamo pensare, sapere, ritenere, considerare, capire, accorgersi...

 

Es. “Da questa frase credo che tu abbia capito subito quanto sono contorto, infatti penso che questa sia una mia caratteristica formale” (storia 3, maschio, 17 anni)

“So che non mi sento mai all’altezza delle situazioni, anche se poi scopro di esserlo; so di sentirmi una vera schifezza in mezzo agli altri, ma non lo sono affatto, credo…” (storia 13, femmina, 16 anni)

RIFERIMENTO SOCIALE

Rappresenta la rete di affetti e di legami sociali che serve da riferimento per il Sé e per la scelta e la giustificazione  dei propri valori e progetti anche in chiave contrappositiva. E’ costituito da espliciti riferimenti a persone o gruppi di persone, quali la famiglia, i compagni di classe, gli amici, i nonni.

 

Es. “In famiglia è tutto a posto, forse quando ero piccolo sono stato seguito fin troppo fino all’ossessione tanto da viziarmi” (storia 5, maschio, 17 anni)

“I miei genitori non hanno mai capito niente di me, sono degli ipocriti, pretendono cose assurde e sono i primi a commettere errori” (storia 13, femmina, 16 anni)

VALUTAZIONE

Dice la volontà del narratore di esprimere un giudizio su eventi o comportamenti propri ed altrui, osservandoli come dall’esterno, in una posizione distaccata, per questo si esprime spesso con l’uso della terza persona. A volte, poi, la valutazione si compie attraverso una comparazione con gli altri che fungono da riferimento per caratterizzare se stesso. In questi casi si esprime con avverbi di qualità o altre espressioni come per me... per lui invece..., a detta di molti...

 

Es. “Ho solo parlato della mia esperienza, come tante, in fondo” (storia 13, maschio, 16 anni)

“Voglio dire siamo tutti dei quindicenni che non hanno ancora ben chiaro quale sia il proprio ruolo su questo pianeta” (storia 17, femmina, 16 anni)

LOCALIZZAZIONE

Rivela come un individuo si colloca nel tempo, nello spazio e nell’ordine sociale.

E’ espresso da verbi di posizione tipo trasferirsi, abitare, vivere, chiamarsi, nascere, frequentare, trascorrere...

 

Es. “Io mi chiamo E. e sono nato a Milano, ma sono residente a Borzonasco, un piccolo paesino in Liguria” (storia 9, maschio, 16 anni)

“Sono nata a Vigevano il 2 marzo, un martedì alle ore 13.30” (storia 9, femmina, 15 anni)