I
COLORI DELLA VITA
“Arriva un momento nella vita in cui ognuno deve
lasciarsi alle spalle il passato e ricominciare; è quello il momento di prendere
il largo…”
Gli antichi buddisti, trascendendo
dall’ideologia induista, erano soliti definire con il termine maya il
dilemma dell’esistenza umana. Il maya è il male universale ed in esso si
completa la sofferenza della natura; crediamo di appartenere a categorie rigide,
di essere organismi fissi, immutevoli ed è proprio questo che ci porta a
condurre un’esistenza infelice. Non ci accorgiamo invece di essere in costante
cambiamento e che ogni emozione ci appartiene e fa parte di noi esclusivamente
sino a quando non ne sopraggiunge una nuova. Imponiamo a noi stessi idee,
giudizi e modi di vivere che non sono propri della natura stessa che ci ha
forgiati, in una dimensione flessibile. Situazioni e avvenimenti possono
convogliare la precaria saggezza della mente verso effimeri orizzonti, sino a
farla precipitare in un baratro di paure e ossessioni.
Durante
la vita terrena ci imbattiamo in numerosi incontri, milioni di miliardi di
persone incrociano il nostro sguardo, alcune rimangono indelebili nella memoria
e altre spariscono dopo pochi istanti. Ognuna di esse, però, lascia un segno che
modifica l’apparente stabilità del nostro IO. Per comprendere come ogni ricordo
passato torni a sussurrare sensazioni nel presente, basta, per esempio,
chiedersi come mai ricordiamo una canzone piuttosto che un’altra. Non
esisterebbe un mondo senza musica e la musica accompagna i momenti belli e
brutti della nostra vita. Ricordiamo questa o quella canzone, anche se non molto
recente, perché ascoltandola riappaiono limpide in noi le emozioni provate in un
particolare periodo. Ed ecco che il passato ritorna, a passi lunghi, senza mezze
misure. Cataloghiamo il ricordo positivo e quello negativo e scartiamo tutti gli
altri, così da congelare ancora il pensiero vitale.
L’essere umano pesca dagli episodi
trascorsi per gettarli nel futuro, omettendo il pensiero di una possibile
mutazione della sua identità. Se è pur vero che in molti il riproporsi di
situazioni già vissute è di notevole aiuto, in altri l’infelice passato può
tornare come un’ombra minacciosa sul presente. Accade spesso, soprattutto nei
ragazzi con un’infanzia o un’adolescenza tormentata, di sentire l’inutilità
delle azioni che si stanno compiendo, causata dall’idea che nulla ha più senso e
che la vita ha già concesso la sua possibilità. Molti arrivano a credere di
essere come gli altri li giudicano, quelle opinioni entrano a far parte di loro
tanto da sconvolgerne la personalità. Si coglie spesso nei loro discorsi frasi
come “…non ne posso più, la faccio finita” o “sono stanco di vivere”. In realtà
le sofferenze subite portano la ragione a dimenticare la straordinaria
bellezza della vita. E’ in quel momento che non si deve avere paura di
chiedere aiuto, è allora che non bisogna perdere la speranza.
Ci si deve far convinti che, anche quando
tutt’intorno si intravedono soltanto le tenebre, non si deve disperare, perché
da un momento all’altro uno spiraglio di luce ci mostra la strada verso la
felicità. Non ci sono regole di comportamento quando si è in difficoltà,
basta aprire il proprio cuore e sperare che qualcuno lenisca le sue ferite.
La vita è straordinaria perché è
imprevedibile; in pochi secondi un violento temporale lascia il posto ad un
bellissimo arcobaleno. D’un tratto si incontra qualcuno disposto ad aiutarti e
la vita riprende colore. Ora le azioni hanno un senso e il passato comincia a
farsi da parte. La gioia mette da parte il dolore, la mente si svuota per far
spazio alla voglia di vivere e ci si pente di aver pensato di rinunciare a tutto
questo.
La via che conduce alla felicità non
è mai la via breve, è una strada difficile da percorrere, piena di ostacoli.
Nessuno può sapere quanto essa sia lunga, ma ad ognuno è concessa la possibilità
di intraprenderla. Per riuscire ad arrivare fino in fondo bisogna far propria
l’idea che è possibile raggiungere quella meta soltanto essendo se stessi e
imparando a chiedere aiuto.
Roberto
Cazzolla
"Il mondo, alla
fine del mondo”
Se non ci opponiamo alla distruzione in
atto, la terra rischia il collasso totale.
Secondo una recente stima, il 2050 potrebbe diventare l’anno dell’apocalisse.
L’umanità, quindi, sembra avere le ore contate se non mette un freno alla
distruzione del pianeta. Certo, assicurano scienziati e biologi di tutto il
mondo, è che nei prossimi decenni assisteremmo ad una rapida estinzione del 50%
degli essere viventi del pianeta alla quale si aggiungerà un incremento del 30%
del rischio di catastrofi climatiche, tre cui cicloni, tempeste, alluvioni,
scioglimento dei ghiacciai e aumento
della temperatura globale. Il quadro che il futuro ci prospetta è catastrofico
ed è tutto e solo merito nostro. Vi era un tempo, primordialemente lontano, in
cui gli uomini vivevano in perfetta armonia con la natura, cacciavano solo ciò
che per loro era necessario per sopravvivere, non inquinavano, non facevano
guerra ad altre tribù senza un vero motivo, rispettavano ogni essere vivente ed
erano privi, forse perché ancora simili agli animali, di ogni crudeltà moderna.
Era gente che non mangiava più di quanto servisse per restare in vita e delle
pelli degli animali cacciati non si serviva per farne sfoggio con gli altri
simili ma, erano il suo riparo contro il freddo, la pioggia. In quell’epoca
remota la Terra non era costretta a soccombere sotto i pesanti colpi inflitti
dall’uomo.
Sono passati quattro
milioni di anni e per l’intero Universo si è profilata la più grande minaccia
possibile. Nell’epoca della tecnologia, del progresso scientifico, della
medicina, siamo ancora costretti a lottare contro la fame, l’effetto serra,
l’estinzione delle specie, schernendoci dinnanzi agli occhi increduli di chi
tutto questo l’aveva profetizzato da decenni. Sarà così, anche nel 2050, quando
una “bella” mattina di un’incandescente ed unica stagione estiva ci, o chi per
noi, risveglieremo constatando che,ancora una volta, gli ambientalisti avevano
ragione. Ma forse quella sarà l’ultima constatazione possibile. Il mondo sembra
fregarsene di quanto accade, programmando momentanei progetti di incremento
economico, e tralasciando un futuro che si fa ormai prossimo. Ciò che non si
coglie è lo stretto legame che intercorre tra uomo e ambiente e,quando questo
legame sarà spezzato definitivamente, sia l’una che l’altra parte sopperiranno
sino alla scomparsa della vita sulla terra.
Non è possibile
continuare con l’attuale politica, non è possibile tralasciare ancora le
questioni di interesse globale. Già parecchi treni sono stati persi, come il
vertice di Johnnesburg o il forum mondiale sull’acqua; o meglio ci sono
amministrazione che hanno deciso di perderlo. Gli interessi in gioco sono enormi
e gli USA, più di ogni altro Stato al mondo, si oppongono ad ogni interessante
iniziativa per il futuro. Bush e co. vengono manipolati come burattini dalle
compagnie petrolifere che scrutano miraggi di guadagno in ogni luogo invisibile
all’opinione pubblica. Se il protocollo di Kyoto è, per ora, soltanto una bozza
d'intenti, se milioni di persone al mondo continuano a morire ogni giorno per
malattie causate dalla cattiva qualità dell’acqua, è solo colpa
dell’amministrazione Bush e di tutte quelle altre amministrazioni, Italia in
primis, che restano a guardare impassibili lo spettacolo della morte.
Come spesso succede, l’uomo si accorge delle
sventure quando già esse sono in atto. E’ stato il caso della persecuzione degli
ebrei, della segregazione razziale, della vivisezione animale, ma molte volte
non c’è neanche il tempo di accorgersene che già il danno è diventato
irreparabile. Se un italiano consuma al giorno la quantità d’acqua che un
africano medio consuma al mese, ci sarà da riflettere? Se un giovane
statunitense emette, con la sua automobile, il 100% in più di anidride carbonica
nell’atmosfera rispetto ad un brasiliano,ci sarà da riflettere? Ed invece si
cerca in ogni modo di tappare le bocche agli scienziati che preannunciano al
mondo il suo tragico destino: è quello che è accaduto negli USA nel ’87 e nel
’91, quando Bush, giudicando le ricerche del suo team di scienziati poco
pertinenti (le ricerche avevano evidenziato l’inopportunità di un’azione
estrattiva in Antartico e la doverosa adesione degli USA a Kyoto), epurò 15
esperti sui 18, tra cui Dennis Paustenbach, lo scienziato che testimoniò nel
processo della famosa Erin Brockovich.
Se è insito nella natura umana il trarre profitto
in ogni occasione abolendo l’altruismo e il rispetto per la vita, allora
rassegniamoci al nostro triste destino, ma se, come credo, c’è gente al mondo
che come missione ha scelto di migliorare il pianeta, allora che si faccia
avanti, con forza e determinazione, e convinca le stolte menti di gente senza
scrupoli a mutare principi, ad invertire la rotta di una filosofia politica
autolesionistica, perché siamo noi i veri artefici del nostro destino e se non
ci opponiamo agli imbecilli che ora dopo ora condannano l’umanità e la vita in
sé, saremo tutti vittime della stessa ipocrisia.
E’ concluso il tempo di meditare, è tempo d’agire
perché non è mai troppo tardi ma, nella dura legge della vita, “mai” e “sempre”
sono le due parole impronunciabili e molto spesso il “mai” in un batter d’occhio
si trasforma in “già”.
Roberto Cazzolla
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"Se noi
provochiamo deliberatamente sofferenze e mali ad altre vite, aumentiamo le
nostre sofferenze e i nostri mali" - Tutto il creato, dice Mc Innes, è colpito
da mali inflitti ad animali da laboatorio nel tentativo, a suo dire, futile e
predestinato al fallimento, di combattere le malattie. Il creato è tormentato
mediante le spaventose agonie che il perito vivisettore infligge a creature
inermi. Qualsiasi liberazione dal male, che dovrebbe esser tolto con le
conoscenze acquisite a danno di molteplici agonie, verrà scontata tante volte di
più con accentuate sofferenze in altre parti del tutto. La creazione intera
soffre quando le piante vengono bruciate a milioni con diserbanti chimici. Come
ogni essere creato subisce un colpo per ogni vittima di guerra o persona
torturata in un campo di concentramento, così ogni cosa creata subisce un colpo
quando un coniglio muore di mixomatosi iniettatagli dall'uomo, quando gli
animali sono cacciati e uccisi per divertimento o quando il bestiame
terrorizzato viene ucciso nei mattatoi.
"La vita"
dice Mc innes, "è un tutto unico. Non vi sono eccezioni".
tratto da "La vita segreta delle piante",
P. tompkins, C. Bird ed. Net, 2002
(che consiglio vivamente di leggere, anche ai vegani*).
* Anche le piante vengono uccise quando le si raccoglie per mangiarle. Questo
splendido libro dimostra come esse probabilmente sentano il dolore e comunichino
tra loro gioia e sofferenza. Non mangiar carne e derivati, oltre agli
innumerevoli benefici per l'ambiente (riduzione della predita di 9/10 delle
risorse, della deforestazione, dell'inquinamento acquatico, terrestre e
atmosferico - dovuto ai gas serra (metano e CO2 in primis) -, dello sfruttamento
petrolifero, delle guerre, etc.) e per la salute degli animali non umani stessi
e dell'uomo, non può donare (donarci, mi riferisco a noi vegetariani e vegani)
la presunzione di non aver causato morte e dolore. Di certo vegani,
vegetariani e persone che riducono il consumo di pesce, carne e derivati,
riducono innumerevoli mali di questo pianeta. Ma nessuno è un angelo caduto dal
cielo. Tutti noi per soprevvivere dobbiamo seguire leggi naturali che ci portano
a consumare risorse e ad uccidere altre creature viventi (siano esse piante o
animali). Ma se questo vien fatto col principio del minor spreco, del minor
inquinamento e della minor sofferenza - e cioè, mangiando vegetali e non
animali - forse anche le piccole sensazioni silenziose di sofferenza e dolore di
una pianta sdradicata e divorata, alla fine non ci faranno sentire in colpa, ma
ci ricondurranno a quell'intimo legame che unisce tutta la Terra, consapevoli
che se un essere viene ucciso per essere mangiato, ma questo avviene nel
rispetto dell'ordine naturale e di TUTTE le creature sulla terra - a prescindere
se esse contengono cloroplasti o mitocondri, clorofilla o emoglobina - allora la
preda diventerà parte del predatore, la pianta dell'erbivoro e l'erbivoro del
carnivoro o dell'onnivoro, che alla sua morte tornerà parte del detritivoro, del
fungo, del batterio e della terra, che forniranno le giuste sostanze per la
crescita di una nuova, effimera, pianta...in un continuo ed armonioso, seppur
inconcepibile per la mente umana, ciclo della vita! Ognuno di noi, non solo è
parte della Madre Terra, ma in sè contiene l'essenza vitale di tutte le creature
che ha mangiato, dell'acqua che ha bevuto, dell'aria che ha respirato e della
terra che ha calpestato ed è per questo che non deve sentirsi fuori dal mondo o
superiore alla Natura ed alle sue Leggi, ma parte fondamentale del mondo...fondamentale
esattamente come lo è il coniglio, l'antilope, l'albicocco, lo spinacio o
l'amanita. Saremo nuovamente tutti figli del sole e della terra, quando
perderemo la presunzione di avere in tasca la Verità assoluta, ma cercheremo con
umiltà di capire come fare per tornare ad essere parte del Tutto.
Roberto
Cazzolla
Una
Marlboro che vale un negretto!
Strano il mondo, non si finisce mai di
ammetterlo. Soprattutto se si pensa che se il popolo dei fumatori smettesse di
fumare, tre quarti del mondo si riconvertirebbe nell’Eden.
Ebbene sì,
nessuna fandonia. Pura matematica. Provando a calcolare la cifra che un fumatore
accanito spende in una settimana, si arriva all’imbarazzante conclusione che
essa servirebbe a garantire il sostentamento settimanale di due bambini
africani. Ma se si vogliono evitare i calcoli e ci si vuole addentrare per un
istante nell’economia astratta, valutando barbaramente la vita umana in dollari,
si è stimato che la vita di un eritreo nullatenente vale all’incirca un dollaro.
Quella di suo figlio, privato degli organi da poter riproporre sul mercato nero,
ancora meno. Praticamente baratti un negretto con una Marlboro. Paradossale! E
poi ci si compiace delle obsolete affermazioni di plurilaureati pronti ad
ammettere l’impossibilità di rimedio, determinata dal vitalismo conflittuale che
attanaglia il nostro essere, agli squilibri della distribuzione economica tra
nord e sud del mondo. Troppo facile. Sarebbe
più consono constatare che l’irriverente Hobbs aveva ragione. Homo hominis
lupus. Ognuno pensa per sé, prevaricando i dettami cristiani dell’ “ama il
prossimo tuo come te stesso”. Profeti riuniti, un appunto. L’uomo del terzo
millennio non sa più interpretare le scritture. A volte in passato l’ha fatto ed
è stata tragedia. Avreste fatto meglio ad inserire a piè di pagina delle note
semplificative. Ad esempio: “Ama il prossimo tuo come te stesso”. Nota: “il
prossimo tuo non è da individuare posizionandosi davanti allo specchio; come te
stesso, include la parola ‘come’”. In questo modo, almeno, non si sarebbe potuta
utilizzare la scusante dell’interpretazione. Avremmo, perlomeno, risparmiato il
fiato per tirar su un’altra boccata di negretto…ops, pardon, di Marlboro.
Roberto Cazzolla
Albert
Einstein: SCIENZIATO E FILOSOFO
BREVE BIOGRAFIA: Albert Einstein nasce nel Würtemmberg nel 1879, trascorre
due anni della sua adolescenza a Milano e si laurea a Zurigo nel 1909. Nei
primi anni del secolo formula nuove ipotesi che rivoluzioneranno la fisica:
la teoria della relatività e la teoria dei quanti. Ma i suoi interessi vanno
oltre la fisica, nel 1934 pubblica Come io vedo il mondo e nel 1950 Pensieri
degli anni difficili, due testi di riflessioni sulla scienza, sull'umanità,
sulla società e la religione. |
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"La
preoccupazione per l'uomo e per il suo destino deve sempre costituire
l'interesse principale di tutti gli sforzi dell'attività scientifica."
La scienza per Einstein rappresenta anche
il bisogno di rispondere alle domande dell'umanità. Sul New York Times del 20
giugno 1932 scrive:
"Solo una vita vissuta per gli altri è
degna di essere vissuta"
Lo scienziato tedesco porta avanti, con le
sue opinioni anticonformiste, una battaglia contro ogni autorità e convinzione
prestabilita, in favore del libero pensiero e dell'individualità.
"Il mio ideale politico è l'ideale
democratico. Ciascuno deve essere rispettato nella sua personalità […]
l'elemento prezioso nell'ingranaggio dell'umanità non è lo Stato, ma è
l'individuo creatore e sensibile, è insomma la personalità"
(Come io vedo il mondo, società e personalità, A. Einstein, Newton&Compton 1988)
Egli si schiera sempre in difesa della
libertà e della pace, del rispetto degli uomini. Prende decisamente posizione
contro le guerre, contro le dittature e ogni forma di oppressione.
Discutendo con un intellettuale russo
sull'utilità di sopprimere per un certo periodo i principi della libertà
individuale per migliorare la struttura economica afferma:
"La violenza può avere talvolta eliminato
con rapidità degli ostacoli, ma non si è mai dimostrata capace di creare
alcunché."
(Pensieri degli anni difficili, anno 1934, A. Einstein)
Seguendo questa linea, nel 1914 Einstein si
rifiuta di firmare il
manifesto di adesione alla guerra firmato da
93 intellettuali tedeschi e pubblica un contromanifesto.
In Come io vedo il mondo condanna la
"peggiore fra le creazioni, quella delle masse armate, del regime militare". Si
scaglia contro le convinzione ideologiche militariste, contro i vertici
economici e politici degli stati, ma dimostra una speranza nell'uomo. La guerra
è la più grande offesa alla dignità dell'uomo, un sopruso per la libertà di ogni
singolo individuo e di ogni popolo, un insulto all'intelligenza, una stupida
violenza. Einstein teorizzerà la creazione di una corte internazionale, che
possa impedire i crimini contro l'umanità dando il proprio autorevole parere
etico. Questa soluzione appare puramente utopistica, ma egli vuole estraniarsi
dalle logiche diplomatiche di potere per proporre il sogno di una vera pace
mondiale, pur non escludendosi dall'impegno attivo e reale contro la guerra.
"Bisogna sopprimere questa vergogna della
civiltà, […] l'eroismo comandato, gli stupidi corpo a corpo, il nefasto spirito
nazionalista, come odio tutto questo! […] Eppure, nonostante tutto, io stimo
tanto l'umanità da essere persuaso che questo fantasma malefico sarebbe da lungo
tempo scomparso se il buonsenso dei popoli non fosse sistematicamente corrotto,
per mezzo della scuola e della stampa, dagli speculatori del mondo politico e
del mondo degli affari."
(Come io vedo il mondo, società e personalità, A. Einstein, Newton&Compton 1988)
Einstein condanna le forze
economico-politiche che hanno portato alla prima guerra mondiale e i metodi che
in quegli anni sostengono " la verità dello stato totalitario".
"Gli stati potenti mettono i propri
cittadini nella impossibilità di avere, in fatto di politica, opinione proprie e
trascinano il popolo nell'errore mediante la diffusione sistematica di
informazioni false"
(Pensieri degli anni difficili, anno 1934, A. Einstein)
Gli stati democratici devono provvedere ad
un’educazione scolastica orientata verso il rispetto dell'uomo, della pace,
della libertà. Pace e libertà sono strettamente connessi, se negli stati
aggressivi esistesse ancora la libertà, i cittadini non solo condannerebbero la
guerra, ma si rifiuterebbero di compiere il servizio militare. Secondo Einstein,
nelle condizioni attuali, questa forma di protesta porterebbe solo al martirio
di pochi coraggiosi; egli sostiene che i pacifisti debbano premere affinché gli
stati favorevoli a un progresso pacifico si uniscano per scongiurare il pericolo
rappresentato dai paesi fautori di una politica bellica. Egli non crede che la
semplice smilitarizzazione possa portare alla pace, per quanto contrario ad ogni
azione aggressiva e sostenitore della non violenza (nell'anno 1939 elogia la
figura di Gandhi, Le generazioni che verranno stenteranno a credere che un tale
uomo abbia camminato in carne e ossa su questa terra), la sua idea politica sarà
sempre quella di una Società delle Nazioni militarmente forte e capace di far
rispettare le sue decisioni.
Nel 1933 Einstein si trasferisce negli USA,
abbandonando la nuova Germania nazista. Da questo momento la sua posizione
contro i regimi antidemocratici diventa sempre più forte e decisa. Nella
battaglia contro la sua ex-patria in un primo momento condanna i "banditi che si
sono impadroniti del potere" e la loro politica con cui "la gioventù viene
sistematicamente avvelenata dalle menzogne". (Pensieri degli anni difficili,
anno 1939, A. Einstein)
La lotta di Einstein è la lotta per la
difesa della libertà politica ed individuale dell'uomo, che egli vede sconfitta
nello stato tedesco.
Negli anni successivi però egli si scaglia
duramente contro l'intero popolo tedesco. A generare questo mutamento, che
sembra escludere i tedeschi dall'umanità in cui Einstein ha una profonda
fiducia, è il grande dramma dell'olocausto, in cui Einstein, ebreo, è
profondamente coinvolto. Egli, pur non essendo, coerentemente alle sue
convinzioni, credente si sente parte della "nazione ebraica" che è duramente
provata dallo sterminio del Terzo Reich.
"L'intero popolo tedesco è responsabile di
questi assassini in massa e deve essere punito in quanto popolo, se vi è una
giustizia nel mondo e se la coscienza collettiva delle nazioni non deve morire
del tutto sulla terra. Dietro il partito nazista è il popolo tedesco, che elesse
Hitler dopo che egli nel suo libro e nei suoi discorsi aveva chiarito le sue
criminose intenzioni senza alcuna possibilità di malinteso. I tedeschi sono
l'unico popolo che non ha compiuto alcun serio tentativo di proteggere gli
innocenti perseguitati."
(Pensieri degli anni difficili, anno 1939, A. Einstein)
La persecuzione del popolo ebraico ferisce
emotivamente Einstein, già convinto oppositore delle politiche totalitarie
tedesche.
Nonostante il profondo rifiuto di ogni
forma di violenza Einstein ha un ruolo importante nella realizzazione della
bomba atomica. Quando Fermi e Szilard raggiungono importanti risultati nella
ricerca atomica e intuiscono le potenzialità distruttive di questa scoperta
conferiscono con Einstein. Einstein non vuole rendersi responsabile della
costruzione della più terribile arma mai realizzata né tantomeno immischiarsi in
questioni militari. Tuttavia egli non ignora che se la Germania entrasse in
possesso dell'energia atomica non esiterebbe ad utilizzarla come strumento di
dominazione mondiale. Solo in considerazione di questo scrive al Presidente
Roosvelt segnalando la propria convinzione, maturata analizzando alcuni scritti
di Fermi e Szilard, della possibilità dell'utilizzo dell'elemento uranio come
fonte di energia e arma.
Hiroshima il 6
agosto 1945, immediatamente dopo lo scoppio della bomba.
L'ultima parte
della sua vita sarà segnata dal senso di responsabilità per aver contribuito,
seppure in modo non diretto, alla costruzione di un terribile ordigno. Egli,
evidenziando i pericoli di un conflitto atomico, aumenterà il suo impegno
politico per realizzare un governo mondiale che garantisca la pace. La bomba ha
aumentato il potere distruttivo della guerra, secondo Einstein è ancora più
urgente la necessità di difendere la sicurezza delle nazioni. Ma lo scienziato
ebreo, che, prima che la Società delle Nazioni dimostrasse tutte le sue
debolezze, aveva entusiasticamente lodato l'iniziativa per una organizzazione
democratica fra gli stati, non crede all'Organizzazione delle Nazioni Unite, in
cui vede le stesse debolezze della Società delle Nazioni. Per questo propone la
formazione di un governo mondiale, con una struttura non egalitaria fra gli
stati, ma veramente forte, formato dalle potenze militari URRS, USA e Gran
Bretagna, che avrebbero potuto meglio garantire la pace. Le sue convinzioni lo
portano a sostenere l'intervento da parte delle nazioni democratiche nei paesi
antidemocratici, andando contro i principi che lo avevano caratterizzato prima
della guerra.
L'opera di Einstein può essere definita
come la riflessione sull'umanità di uno scienziato impegnato per il
miglioramento di essa. Egli ha sempre considerato bene supremo la libertà e la
pace,difendendoli sempre, seppur in modo diverso, durante la sua vita. Da un
iniziale rifiuto della guerra in tutti i suoi aspetti si è orientato verso una
politica interventista per la difesa della pace. Ma bisogna ricordare che questa
soluzione è stata sostenuta da Einstein solo nel momento in cui egli ha visto
l'intera umanità in pericolo e si è trovato a dover scegliere tra la vittoria,
in entrambi i casi violenta, degli stati democratici o di quelli dittatoriali.
Nel 1955, pochi mesi dopo la morte di
Einstein, B. Russel rese pubblico un "Testamento spirituale" contro le armi
atomiche (sottoscritto anche da sette studiosi tra cui lo stesso Russel e L.
Infeld).
"In considerazione del fatto che in ogni
futura guerra mondiale verrebbero certamente impiegate armi nucleari e che tali
armi mettono in pericolo la continuazione dell'esistenza dell'umanità, noi
rivolgiamo un pressante appello ai governi di tutto il mondo affinché si rendano
conto e riconoscano pubblicamente che i loro obiettivi non possono essere
perseguiti mediante una guerra mondiale e li invitiamo, di conseguenza, a
cercare mezzi pacifici per la soluzione di tutte le questioni controverse."
Se la pace…
La pace è un concetto proibito, una
digressione delle quotidianità della vita, una specie di sogno, da
alcuni
punti di vista. Una scabra confessione di libertà e, insieme, una straripante
obiezione all'umanità e ai suoi capricci, pieni di cinismo logorante. Ed è così
che, nell'inconcepibile e incontaminabile sprezzo dell'ostilità, o,
semplicemente, della contraddizione d'onore, parrebbe inconsueto un irascibile
soffermarsi sulla verità dell'errore.
O, perlomeno, sulla sua probabilità.
La
cosa più interessante -
mesta
- è il baluardo delle istituzioni che se ne prende gioco e ,d'improvviso, il
"nulla che poi è tutto" della disobbedienza civile diviene un procrastinato
stereotipo di ideologia politica o, con meno sadismo, un ossimoro di lotta
faziosa e, come dire, scontata.
Dalla barocca balconata dei diciott'anni
si è tutti alla stessa maniera idealisti e trovi una maledetta difficoltà a
credere che effettivamente il tuo posto nel mondo è una belligerante
contrapposizione tra chi ha capito che l'uomo non cambia e chi, invece, sta
ancora provando a cambiarlo.
E' un quadro confuso dove si
passeggia un pò senza meta e, d'altra parte, non ci si aspetta nulla di diverso.
O almeno che l'incostante
"respirando" dell'ecosistema chiamato globo si ribelli all'acidità dei luoghi
comuni e dei loro mistici proseliti.
Ogni cultura che abbia a che fare con
l'indisponibilità della guerra, chissà perché, si sente, in ogni caso, in grado
di professare riflessioni a carattere bene o male filodivulgatorio.
Se il confronto con la vita si
trasforma in un sentirsi dire che nessuno qui è in grado di volare e che questa
è l'età in cui invece siamo ancora convinti di poterci riuscire, temo di dovermi
rifiutare di crescere.
In fondo, delle preghiere che si
fanno la mattina non abbiamo ancora capito il senso.
Sai solo che qualcuno nel corso della tua esistenza prima o poi ti plagia e,
purtroppo, non puoi farci assolutamente niente.
In fondo devi solo imparare, hai
sempre da imparare.
Poi, a un certo punto, il ruolo si
inverte e allora l'inesorabile univocità con cui si verificano le interazioni
fra esseri perdono il consueto, sordido equilibrio, e ti viene il dubbio di aver
sbagliato strada.
Nella vita prima o poi si sbaglia
strada , anche se ti riprometti di essere quello che il resto del mondo vorrebbe
che tu sia.
Hanno paura di sentirti dire "pace"
e, come d'incanto, vorresti essere nato in quella quarta o quinta dimensione
dove sai che l'aspettativa è solamente un antipasto e le ambizioni assumono un
scevro carattere di progettualità e puoi permetterti di farti beffe della
politica.
Siamo abituati a pensare che in
effetti la guerra alla fin fine esista comunque e non esista invece un
profanatore di infinito che possa in qualche modo cambiare le cose.
Siamo abituati a pensare che l'opinione pubblica lanci missili e colpisca -
paradosso - solo quando vogliono far crederci che in fondo sia sempre così.
Alla fine, quando dell'opinione
pubblica ce ne ricordiamo da soli, arriva al traguardo lo spaventapasseri,
quello lì, la strumentalizzazione e altre leggende.
Materia di viaggio e di carattere,
non c'è che dire.
Se si parla di istituzionalizzazione del valore della vita, però, temo sempre
che quello che ti fraintende c'è sempre e che la maggior parte delle volte è il
resto del mondo. Basti pensare semplicemente che vittime lo siamo tutti e, in un
certo senso, non c'è legge che impedisca che l'Unione
Europea fra qualche anno debba
vedersela con gli aiuti umanitari e con milioni di morti a carico o, quanto
meno, sulla coscienza.
Succede che ti senti uno che ha tanti
desideri, che ha il desiderio che ci sia tolleranza e una guerra condotta contro
la vita. Condotta , nel senso del sole, all'unanimità. Per carità, il concetto
di popolo, o di stato, o quello che volete, rimane e credo non ci sarà mai
nessuno che verrà a impadronirsene, anche se a volte rifletto che sia la scelta
migliore e che perlomeno potrebbe essere la giusta punizione per quelli che
credono che ci siano dei gradini d'oro da occupare con la forza e che non sono
abituati a pensare alla disponibilità della pubblica relazione e di un denaro
che, bene o male, ti ritorna sempre in tasca, esacratore dell'equilibrio
comparato ed esecutore di vittime sempre pronto ad obbedire a chi gli prometta
la riproduzione. Non preoccupatevi. E' un semplice messaggio per comunicare che
la sconfitta si impara presto, e più vieni sconfitto dalla guerra e più credi
che la pace è, in qualche modo, sempre più vicina.
Perché sei un detentore dell'assurdo
e i paradossi della vita ti sorprendono sempre.
In Medioriente scorgo israeliani e
palestinesi che bazzicano intorno ai punti interrogativi e, per quanto ci si
sforzi di fare i samaritani intellettuali, ti pare che l'unica soluzione sia
l'estinzione della specie.
Dopo una manciata di chilometri, lo
spauracchio del petrolio che emerge e si nasconde a seconda che le
multinazionali abbiano perfettamente sotto controllo o meno l'egemonia dei
consumi.
E, per concetto, cadono bombe.
Cioè, è curioso. I consumi e le
bombe. L'unica verità che ti viene in mente é che il premio in ballo sia il
monopolio economico e geopolitico del pianete e le grandi potenze candidate in
effetti temano con goliardia e veracità l'esuberanza dell'integralismo
religioso.
Che da un giorno all'altro hanno
scoperto esistere.
Come se fosse una cosa da scrivere
sui libri.
La dedizione alla dottrina è una cosa
che ha fatto paura ad occidentali emancipati come noi.
Ed è chiaro che non ci sia diplomazia
fra le dissacratorie parole di un profeta che, di patrie, ne sa ben poco.
Probabilmente conosce solo casa sua.
La gente muore e partono aerei
eremiti a combattere un identità che, più o meno, è sempre la stessa.
Fiumi e contatti di popolarità
cambiano il loro corso e si gioca con la politica come fosse una semplice
questione di governo. L'oggettività della coscienza individuale si risolve in
quella assoluta di uno stato. Hegel potrebbe aver avuto ragione. Ma non mi
sorprenderei se un giorno un qualche defunto venisse da queste parti. E mi
raccontasse la storia di 40 vergini e un
giardino.
Piero Bradascio
Preghiera a Dio di
Voltaire
"Non
è più dunque agli uomini che mi rivolgo, ma a te, Dio di tutti gli esseri, di
tutti i mondi, di tutti i tempi: se è lecito che delle deboli creature, perse
nell'immensità e impercettibili al resto dell'universo, osino domandare qualche
cosa a te, che tutto hai donato, a te, i cui decreti sono e immutabili e eterni,
degnati di guardare con misericordia gli errori che derivano dalla nostra
natura. Fa’ sì che questi errori non generino la nostra sventura. Tu non ci hai
donato un cuore per odiarci l'un l'altro, né delle mani per sgozzarci a vicenda;
fa’ che noi ci aiutiamo vicendevolmente a sopportare il fardello di una vita
penosa e passeggera. Fa’ sì che le piccole differenze tra i vestiti che coprono
i nostri deboli corpi, tra tutte le nostre lingue inadeguate, tra tutte le
nostre usanze ridicole, tra tutte le nostre leggi imperfette, tra tutte le
nostre opinioni insensate, tra tutte le nostre convinzioni così diseguali ai
nostri occhi e così uguali davanti a te, insomma che tutte queste piccole
sfumature che distinguono gli atomi chiamati "uomini" non siano altrettanti
segnali di odio e di persecuzione. Fa’ in modo che coloro che accendono ceri in
pieno giorno per celebrarti sopportino coloro che si accontentano della luce del
tuo sole; che coloro che coprono i loro abiti di una tela bianca per dire che
bisogna amarti, non detestino coloro che dicono la stessa cosa sotto un mantello
di lana nera; che sia uguale adorarti in un gergo nato da una lingua morta o in
uno più nuovo.
Fa’
che coloro il cui abito è tinto in rosso o in violetto, che dominano su una
piccola parte di un piccolo mucchio del fango di questo mondo, e che posseggono
qualche frammento arrotondato di un certo metallo, gioiscano senza inorgoglirsi
di ciò che essi chiamano "grandezza" e "ricchezza", e che gli altri li guardino
senza invidia: perché tu sai che in queste cose vane non c'è nulla da
invidiare, niente di cui inorgoglirsi.
Possano
tutti gli uomini ricordarsi che sono fratelli! Abbiano in orrore la tirannia
esercitata sulle anime, come odiano il brigantaggio che strappa con la forza il
frutto del lavoro e dell'attività pacifica! Se sono inevitabili i flagelli della
guerra, non odiamoci, non laceriamoci gli uni con gli altri nei periodi di pace,
ed impieghiamo il breve istante della nostra esistenza per benedire insieme in
mille lingue diverse, dal Siam alla California, la tua bontà che ci ha donato
questo istante.”
Ma che colpa abbiamo noi?
Negli occhi le immagini del terrore di chi sin da bambino ha imparato a
convivere con la guerra. Sono occhi affranti, quasi rassegnati al triste
scenario che gli si dipana innanzi. Supplicano perdono per
una colpa che nemmeno conoscono, perché in realtà colpa non hanno. Sono gli
occhi di un bambino nato nel posto sbagliato e nel momento sbagliato. Sono gli
occhi di un bambino che non avrebbe voluto mai nascere. Ma ormai quegli occhi
hanno visto abbastanza, è troppo tardi per tornare indietro. Crudeli immagini
hanno scolpito l’indelebile vessillo della morte nelle anime di chi chiede
soltanto di poter giocare come gli altri. Vorrebbero giocare, quegli occhi, come
giocano qui in Italia o come giocano in America. Vorrebbero giocare ed
immaginare la vita, poiché si sono già resi conto che da quelle parti la vita è
meglio immaginarla. Quegli stessi occhi magari avranno già osservato la propria
casa sgretolarsi sotto il peso di un missile, magari avranno visto la loro mamma
dilaniata da una raffica di mitragliatrice, magari proprio quegli occhi avranno
riconosciuto fratelli mutilati che implorando un tozzo di pane erano costretti a
trascinarsi al suolo. Quegli stessi occhi di cui stiamo parlando da un momento
all’altro, potrebbero chiudersi per sempre, conservando al loro interno disegni
proibiti per un’innocenza non ancora macchiata dalla corruzione e dal potere. E’
nei bambini che il macigno doloso della guerra si schianta con maggior violenza.
E’ nei loro sguardi che si può cogliere quell’ultimo fiore colorato circondato
dalla sterpaglia. Ma quel fiore sbiadisce ogni attimo, seccando i suoi petali,
consapevole che ogni momento potrebbe essere quello giusto per diventare
anch’esso sterpaglia. I bambini occidentali non sanno dare una spiegazione alla
guerra. I bambini della guerra non sanno dare una spiegazione al mondo. La loro
mente, priva di ogni seme del male che col tempo il mondo seminerà, non è in
grado di concepire come un uomo possa essere in grado di ammazzarne un altro.
Non riescono a motivarsi perché nessuno abbia più voglia di giocare alle
macchinine, di sognare un gelato alto tre piani da potercisi tuffare dentro. Non
riescono, non vogliono, capire perché qualcuno ha deciso di privarli della loro
infanzia; non riescono, non vogliono, chiedere ai grandi: ma che colpa abbiamo
noi?
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