SOGNA, IQBAL, SOGNA
La storia ed i sogni di un bambino
sindacalista ucciso dalla mafia dei tappeti
“Sogna, ragazzo, sogna quando sale il vento
nelle vie del cuore / quando un uomo vive per le sue parole o
non vive più / sogna, ragazzo, sogna non lasciarlo solo contro
questo mondo / non lasciarlo andare, sogna fino in fondo, fallo
pure tu….”.
Le parole di questa
canzone di Roberto Vecchioni ci sono sembrate le più adatte per
presentare una persona che ha sognato di cambiare il mondo e che
ha dato tutto se stesso per riuscirci. Il suo nome è Iqbal Masih
e questa è la sua storia.
Iqbal nasce nel 1983 a Muridke, in Pakistan,
in una famiglia poverissima. Ha appena quattro anni quando suo
padre decide di venderlo come schiavo ad un fabbricante di
tappeti per dodici dollari, una cifra che in Pakistan basta a
costituire un debito difficilmente solvibile, considerando
inoltre gli interessi usurari del “prestito” ottenuto in cambio
del lavoro del bambino. Per sei anni Iqbal ha lavorato
incatenato al suo telaio, dopo aver tentato di fuggire ai suoi
sfruttatori, è stato picchiato e sgridato, la sua paga è stata
di una rupia (circa tre centesimi di euro) per dodici ore di
lavoro al giorno. Per sei anni Iqbal è stato uno dei tanti
bambini che tessono tappeti in Pakistan: le loro piccole mani
sono abili e veloci, i loro salari ridicoli, e poi i bambini non
protestano e possono essere puniti più facilmente.
Un giorno del 1992 Iqbal, insieme ad altri
bambini, riesce ad uscire di nascosto dalla fabbrica di tappeti:
è un giorno importante, a Muridke si celebra la giornata della
libertà, organizzata dal Fronte di Liberazione dal Lavoro
Schiavizzato (BLLF). Per la prima volta Iqbal sente parlare di
diritti e dei bambini che vivono in condizioni di schiavitù.
Spontaneamente decide di raccontare la sua storia: il suo
improvvisato discorso fa scalpore e nei giorni successivi viene
pubblicato dai giornali locali. Con l’aiuto di un avvocato del
BLLF il bambino prepara una lettera di “dimissioni” da
presentare al suo ex padrone ed incontra il leader del BLLF,
Eshan Ullah Khan, il sindacalista che rappresenterà la sua guida
verso una nuova vita in difesa dei diritti dei bambini.
Dal 1993, all’età di dieci anni, Iqbal
comincia a raccontare la sua storia sui teleschermi di tutto il
mondo, sensibilizzando l’opinione pubblica sui diritti negati ai
bambini nel suo paese e contribuendo al dibattito sulla
schiavitù mondiale e sui diritti internazionali dell’infanzia.
Diventa simbolo e portavoce del dramma dei bambini lavoratori
nei convegni, prima nei paesi asiatici, poi a Stoccolma, a
Boston e al Palazzo di Vetro dell’ONU a New York: “Da grande
voglio diventare avvocato e lottare perché i bambini non
lavorino troppo”. Iqbal ricomincia a studiare senza interrompere
il suo impegno di piccolo sindacalista.
A Stoccolma nel 1994, ad undici anni, ha
parlato ad una conferenza internazionale sul lavoro: “Nessun
bambino dovrebbe impugnare mai uno strumento di lavoro. Gli
unici strumenti di lavoro che un bambino dovrebbe tenere in mano
sono penne e matite”, ha detto, e ancora: “Non ho paura del mio
padrone; ora è lui ad aver paura di me”.
Iqbal ha ricevuto una borsa di studio dalla
Brandeis University (Waltham, Massachussets), ma l’ha rifiutata
per rimanere nel suo paese nella speranza di aiutare ancora i
bambini del Pakistan e rendere utile la propria esperienza,
sfidando le continue minacce dei fabbricanti di tappeti. Con i
15 mila dollari del Premio Reebok per la Gioventù in Azione
ricevuti nel dicembre 1994 a Boston, Iqbal voleva costruire una
scuola perché i bambini schiavi potessero ricominciare a
studiare.
“Io ho un sogno …. la giustizia”, dice questo
bambino di undici anni, questa creatura dolce e coraggiosa, ma
anche molto fragile, dato che a causa del duro lavoro e
dell’insufficienza di cibo, non era cresciuto correttamente e
pesava e misurava come un bambino di sei anni.
Iqbal ha sognato fino in fondo, finché ha
potuto.
Per la sua attività di denuncia e di
promozione le autorità pachistane hanno dovuto chiudere decine
di fabbriche di tappeti; ma Iqbal ha creato problemi, per la
mafia locale è un pericolo, un personaggio scomodo per chi sul
lavoro dei bambini si arricchisce.
Il 16 aprile 1995, domenica di Pasqua, Iqbal
corre in bicicletta nella sua città natale con i suoi due
cuginetti, forse in una delle prime giornate di libertà della
sua vita, forse nella prima domenica in cui si sente soltanto un
bambino di dodici anni, che ha il diritto di giocare e di essere
felice. Iqbal muore quella domenica, ucciso da un colpo di
fucile sparato da un assassino rimasto ignoto. Il processo, che
vede imputati gli assassini materiali con la collusione della
polizia, non chiarirà mai del tutto i dettagli della vicenda,
sebbene appaia certo che il suo omicidio sia stato opera di
sicari della locale “mafia dei tappeti”.
I vili assassini di Iqbal non sapevano che
quel gesto, apice coerente di una catena di abusi e violenze che
gli sfruttatori dei bambini perpetuano pressoché indisturbati da
sempre, avrebbe aperto gli occhi del mondo su una delle pagine
più oscure della civiltà umana.
La morte di Iqbal ha avuto una forte eco in
tutto il mondo. In Italia nel 1998 la regista Cinzia T. H.
Torrini ha realizzato il film Iqbal, girandolo in Marocco
e Sri Lanka. Numerose sono le scuole intitolate a suo nome in
Italia e nel mondo.
Iqbal aveva scritto un testamento, forse
perché sapeva che la sua vita era in costante pericolo e non
voleva farsi cogliere impreparato. Con le sue parole desideriamo
concludere questo piccolo omaggio ad un grande eroe: “…Mi
batterò non solo per liberare me stesso e i miei compagni di
sventura dalle catene in cui mi trovo. Non solo quelle che
colpiscono i bambini, ma anche gli adulti, perché non può
esserci benessere per i bambini finché gli adulti saranno offesi
e sfruttati.
Vi abbraccio, vostro Iqbal.”
Eliana Paradiso |