Ognuno può fare la differenza

Ognuno può fare la differenza

 

Abbiamo pensato di creare una nuova rubrica per Controrrente, uno spazio dedicato a tutti gli eroi sconosciuti o poco noti, persone comuni, che in ogni parte del mondo, nella loro vita di tutti i giorni hanno deciso di fare la differenza, hanno capito che cambiare si può e che per farlo non occorre essere capi di stato né sedere a tavoli importanti, ma basta essere consapevoli delle proprie piccole scelte, da come ci spostiamo a quello che mangiamo o indossiamo. Il desiderio di creare questa rubrica nasce dall’esigenza di diffondere attraverso storie esemplari di persone comuni la consapevolezza che gli eroi siamo noi se soltanto lo vogliamo, che non è vero che il mondo non si cambia, che abbiamo molto piu’ potere di quanto crediamo, e che c’è molta più politica fra gli scaffali di un supermercato di quanta ce ne sia dei palazzi di governo. Pertanto ci auguriamo che le biografie e le storie che di numero in numero pubblicheremo, perché no, anche con le vostre segnalazioni o con i vostri suggerimenti, possano costituire un iniezione di fiducia per quanti fin ora si credevano impotenti, incapaci o non all’altezza, uno schiaffo morale a coloro i quali vogliono farci credere che sia davvero così e al contempo una dimostrazione per tutti coloro che fanno dell’ “io non posso farci niente” un comodo pretesto, uno scudo dietro cui nascondersi per continuare a vivere una vita tutto sommato fondata su una voluta inconsapevolezza. In realtà ognuno può fare la differenza per cambiare il mondo e le storie che racconteremo lo dimostrano, nessuno ha più scuse! Per inaugurare questa nuova rubrica abbiamo scelto di parlarvi di Julia Butterfly Hill, ambientalista americana, divenuta famosa alle cronache nel 1997 quando allora ventitreenne si arrampicò su una sequoia millenaria per protestare contro l’abbattimento di una antichissima foresta della California del nord ad opera della multinazionale del legno Pacific Lumber-Maxxam. Convinta di restarci solo poche settimane, Julia scese due anni più tardi, solo dopo aver ottenuto un accordo che mirava a proteggere Luna, la magnifica sequoia su cui aveva trascorso 738 giorni sospesa a più di 60 metri dal suolo e una vasta area ad essa circostante. Da semplice ragazza americana, Julia si è trasformata in un mito per gli ecologisti di tutto il mondo. Da quel 18 dicembre ’99 giorno in cui ha lasciato la sua Luna, non ha mai smesso di lottare in difesa dell’ambiente, degli animali a anche e soprattutto in difesa di quanti continuano a vivere in armonia con la natura, popoli antichissimi che ancora tra mille difficoltà cercano di resistere all’ avanzata della modernità sempre più spesso identificata con la società dell’ “usa e getta”. Attualmente presiede una associazione chiamata Circle of Life Foundation che si occupa sostanzialmente di coordinare le attività di altre associazioni fornendo loro consigli pratici per organizzare eventi eco-compatibili, diffondere la cultura del rispetto dell’ambiente sottolineando lo stretto legame esistente fra tutte le cose, fra tutti gli esseri viventi, legame di cui spesso ci dimentichiamo o di cui volontariamente ignoriamo l’esistenza. Per farlo Julia gira il mondo, raccontando la sua magnifica avventura e spiegando come tutti in realtà possano “fare la differenza”. In occasione del suo ultimo viaggio in Italia lo scorso giugno ospite del Vegfestival di Torino, Julia ha ribadito più volte come non sia necessario essere influenti personaggi politici per fermare la distruzione o le ingiustizie e di quanto in realtà sia più dannosa la nostra non azione in confronto alla politiche di industrie interessate al mero guadagno e irrispettose dell’ambiente. “Quando ho capito cosa stava accadendo in quella foresta- ha detto - ho sentito che dovevo fare qualcosa e non essendo ancora un’esperta di problematiche ambientali, a quel punto ho fatto l’unica cosa che sapevo fare, mi sono arrampicata su un albero!”. Quando viaggia inoltre Julia porta sempre con se le sue stoviglie, che mostra orgogliosa a chi la ascolta affascinato: un barattolo di vetro è il suo bicchiere, una scatola di biscotti con coperchio si trasformano all’occorrenza in contenitore per il cibo e in un piatto, un termos è per le bevande e infine in un tovagliolo di stoffa avvolge le sue posate. Tutto questo per limitare il consumo di tutto ciò che possa essere usa e getta. Ridendo ha raccontato alla platea sbalordita di Torino le espressioni e i commenti increduli, che scatena quando chiede di farsi servire il cibo nei suoi contenitori, ma alla fine ha aggiunto “prima ti attaccano, poi ti deridono, in seguito si uniscono a te e insieme vinciamo”. L’invito è dunque a essere tenaci, a non arrendersi e non vergognarsi di portare avanti scelte coraggiose anche se spesso controcorrenti! I versi più belli che siano stati dedicati a questa pacifista dal cuore verde appartengono ad Alice Walker scrittrice afroamericana di colore, femminista e attivista per i diritti umani ed è con questi che desideriamo concludere: “Tutti gli alberi della terra hanno sentito parlare di Jula Butterfy Hill: celebrano le sue lodi e piangono nell’udire il suo nome. Le loro fronde si agitano in previsione del cambiamento che li attende. Lei è Abraham Lincoln, lei è Gandhi e Martin Luther King. Facendo per più di due anni la sentinella fra i rai di Luna per salvarla ha liberato anche me. Si è trasformata nel catalizzatore grazie al quale possiamo liberare il sentimento proibito e nascosto della nostra affinità con la natura. Dopo ciò che ha fatto per salvare un albero nessuna azione per proteggere qualsiasi parte della natura sembrerà eccessiva. Per innamorarsi appassionatamente di un albero occorre essere completamente folli”.

Ivana Guagnano

 

SOGNA, IQBAL, SOGNA

La storia ed i sogni di un bambino sindacalista ucciso dalla mafia dei tappeti

“Sogna, ragazzo, sogna quando sale il vento nelle vie del cuore / quando un uomo vive per le sue parole o non vive più / sogna, ragazzo, sogna non lasciarlo solo contro questo mondo / non lasciarlo andare, sogna fino in fondo, fallo pure tu….”.

Le parole di questa canzone di Roberto Vecchioni ci sono sembrate le più adatte per presentare una persona che ha sognato di cambiare il mondo e che ha dato tutto se stesso per riuscirci. Il suo nome è Iqbal Masih e questa è la sua storia.

Iqbal nasce nel 1983 a Muridke, in Pakistan, in una famiglia poverissima. Ha appena quattro anni quando suo padre decide di venderlo come schiavo ad un fabbricante di tappeti per dodici dollari, una cifra che in Pakistan basta a costituire un debito difficilmente solvibile, considerando inoltre gli interessi usurari del “prestito” ottenuto in cambio del lavoro del bambino. Per sei anni Iqbal ha lavorato incatenato al suo telaio, dopo aver tentato di fuggire ai suoi sfruttatori, è stato picchiato e sgridato, la sua paga è stata di una rupia (circa tre centesimi di euro) per dodici ore di lavoro al giorno. Per sei anni Iqbal è stato uno dei tanti bambini che tessono tappeti in Pakistan: le loro piccole mani sono abili e veloci, i loro salari ridicoli, e poi i bambini non protestano e possono essere puniti più facilmente.

Un giorno del 1992 Iqbal, insieme ad altri bambini, riesce ad uscire di nascosto dalla fabbrica di tappeti: è un giorno importante, a Muridke si celebra la giornata della libertà, organizzata dal Fronte di Liberazione dal Lavoro Schiavizzato (BLLF). Per la prima volta Iqbal sente parlare di diritti e dei bambini che vivono in condizioni di schiavitù. Spontaneamente decide di raccontare la sua storia: il suo improvvisato discorso fa scalpore e nei giorni successivi viene pubblicato dai giornali locali. Con l’aiuto di un avvocato del BLLF il bambino prepara una lettera di “dimissioni” da presentare al suo ex padrone ed incontra il leader del BLLF, Eshan Ullah Khan, il sindacalista che rappresenterà la sua guida verso una nuova vita in difesa dei diritti dei bambini.

Dal 1993, all’età di dieci anni, Iqbal comincia a raccontare la sua storia sui teleschermi di tutto il mondo, sensibilizzando l’opinione pubblica sui diritti negati ai bambini nel suo paese e contribuendo al dibattito sulla schiavitù mondiale e sui diritti internazionali dell’infanzia. Diventa simbolo e portavoce del dramma dei bambini lavoratori nei convegni, prima nei paesi asiatici, poi a Stoccolma, a Boston e al Palazzo di Vetro dell’ONU a New York: “Da grande voglio diventare avvocato e lottare perché i bambini non lavorino troppo”. Iqbal ricomincia a studiare senza interrompere il suo impegno di piccolo sindacalista.

A Stoccolma nel 1994, ad undici anni, ha parlato ad una conferenza internazionale sul lavoro: “Nessun bambino dovrebbe impugnare mai uno strumento di lavoro. Gli unici strumenti di lavoro che un bambino dovrebbe tenere in mano sono penne e matite”, ha detto, e ancora: “Non ho paura del mio padrone; ora è lui ad aver paura di me”.

Iqbal ha ricevuto una borsa di studio dalla Brandeis University (Waltham, Massachussets), ma l’ha rifiutata per rimanere nel suo paese nella speranza di aiutare ancora i bambini del Pakistan e rendere utile la propria esperienza, sfidando le continue minacce dei fabbricanti di tappeti. Con i 15 mila dollari del Premio Reebok per la Gioventù in Azione ricevuti nel dicembre 1994 a Boston, Iqbal voleva costruire una scuola perché i bambini schiavi potessero ricominciare a studiare.

“Io ho un sogno …. la giustizia”, dice questo bambino di undici anni, questa creatura dolce e coraggiosa, ma anche molto fragile, dato che a causa del duro lavoro e dell’insufficienza di cibo, non era cresciuto correttamente e pesava e misurava come un bambino di sei anni.

Iqbal ha sognato fino in fondo, finché ha potuto.

Per la sua attività di denuncia e di promozione le autorità pachistane hanno dovuto chiudere decine di fabbriche di tappeti; ma Iqbal ha creato problemi, per la mafia locale è un pericolo, un personaggio scomodo per chi sul lavoro dei bambini si arricchisce.

Il 16 aprile 1995, domenica di Pasqua, Iqbal corre in bicicletta nella sua città natale con i suoi due cuginetti, forse in una delle prime giornate di libertà della sua vita, forse nella prima domenica in cui si sente soltanto un bambino di dodici anni, che ha il diritto di giocare e di essere felice. Iqbal muore quella domenica, ucciso da un colpo di fucile sparato da un assassino rimasto ignoto. Il processo, che vede imputati gli assassini materiali con la collusione della polizia, non chiarirà mai del tutto i dettagli della vicenda, sebbene appaia certo che il suo omicidio sia stato opera di sicari della locale “mafia dei tappeti”.

I vili assassini di Iqbal non sapevano che quel gesto, apice coerente di una catena di abusi e violenze che gli sfruttatori dei bambini perpetuano pressoché indisturbati da sempre, avrebbe aperto gli occhi del mondo su una delle pagine più oscure della civiltà umana.

La morte di Iqbal ha avuto una forte eco in tutto il mondo. In Italia nel 1998 la regista Cinzia T. H. Torrini ha realizzato il film Iqbal, girandolo in Marocco e Sri Lanka. Numerose sono le scuole intitolate a suo nome in Italia e nel mondo.

Iqbal aveva scritto un testamento, forse perché sapeva che la sua vita era in costante pericolo e non voleva farsi cogliere impreparato. Con le sue parole desideriamo concludere questo piccolo omaggio ad un grande eroe: “…Mi batterò non solo per liberare me stesso e i miei compagni di sventura dalle catene in cui mi trovo. Non solo quelle che colpiscono i bambini, ma anche gli adulti, perché non può esserci benessere per i bambini finché gli adulti saranno offesi e sfruttati.

Vi abbraccio, vostro Iqbal.”

Eliana Paradiso