da "La Padania" del 7 giugno 1998

Meglio figli di puttana
che figli della lupa

di Gilberto Oneto

Montanelli è stato un grande giornalista, ha nel suo lungo passato dimostrato grandi capacità professionali, ha anche avuto memorabili momenti di coraggio (che ha pagato di persona) e di coerenza ma è anche stato il cantore del compromesso, dell'italica propensione a servire tutti i vincitori, è stato il temerario fondatore de Il Giornale ma anche quello che diceva di turarsi il naso e votare DC (e a forza di turarsi il naso si rischia di privare il cervello di ossigeno...), ha lasciato il Corriere perché era organo di regime e vi è tornato per lo stesso motivo.
È sicuramente meglio degli altri vecchi del giornalismo italiano che hanno vissuto una vita con i pantaloni abbassati: lui li ha abbassati solo qualche volta ma proprio per questo quando lo ha fatto lui è stato peggio.
Ormai oggi però i pantaloni non li porta nemmeno più e sta terminando la sua carriera in compagnia di tutti i leccaculo di regime da cui ha sempre cercato di distinguersi.Per questo fa più rabbia e più tristezza.
L'ultima tavanata è di martedì scorso. Il suo editoriale sul Corriere è un capolavoro di prostituzione intellettuale.Ci mette dentro tutto e il contrario di tutto.C'è il solito coraggioso slancio di razzismo mediterraneo che descrive i Padani come una congrega di ignoranti, trogloditi e analfabeti.Non vale più neppure la pena di rispondere a vaccate del genere, che gli derivano da frequentazioni pelasgiche. Ripropone poi la capziosa distinzione fra lingue e dialetti che ha appreso dalle veline di regime; confonde l'Italiano con il Toscano e l'Italia con la Toscana (che è anche peggio) e ci insegna che l'unico elemento che unifica fin dal Cinquecento l'Italia è la cultura, scambiando ancora una volta la Toscana con l'Italia. Finisce poi in bellezza, sparando: "insegnerete alle nuove leve padane la Storia degli Insubri, di cui vi proclamate figli, che è come dire figli di padre ignoto, che è come dire figli di puttana". E bravo l'Indro: finiti gli argomenti, anche quelli banali, ritriti, stupidi e spuntati il vecchio patriota passa agli insulti. Evviva.Pensate cosa avrebbe detto se l'avessimo fatto noi, se la Padania avesse scritto che gli Italiani sono figli di buona donna o della lupa. Razzista, isterico, privo di argomenti, fazioso e triviale.E anche ignorante, perché il meglio di sé (si fa per dire) lo dà all'interno dello stesso Corriere, nella sua "Stanza" della posta, abituale teatro delle sue più olimpiche banalità e dove dimostra che senza Roberto Gervaso a scrivere i libri (e a rispondere alle lettere) riesce solo a fare figure da vecchio cioccolataio.
Un lettore gli parla dei campi di concentramento dei soldati borbonici in Piemonte e dei morti della guerra del brigantaggio. L'Indro dice di non sapere nulla delle cosiddette "Buchenwald piemontesi" lasciando intendere che se non ne sa nulla lui allora non sono mai esistite. Migliaia di soldati dell'esercito napoletano furono invece deportati all'ex lazzaretto di Livorno, in alcuni conventi di Cagliari, a Lombardore (dove ne passarono 12.447), a Savigliano (CN), a San Maurizio (TO), alla cittadella di Alessandria e alla fortezza di Fenestrelle in Val Chisone che fu, il 22 agosto 1861, teatro di un sanguinoso tentativo di ribellione. Liquida poi la cosiddetta "guerra del brigantaggio" come un "gran brutto episodio", nega che ci siano stati i 700.000 morti incautamente ipotizzati dal lettore ma pontifica che siano stati solo 7.000, che già non sarebbe male per una "operazione di polizia". In realtà furono mobilitati fra 250 e 300 mila uomini (fra soldati italiani e milizie locali) e i morti accertati superarono i 60.000, ben di più di tutte le guerre risorgimentali messe assieme (compresi i morti di colera in Crimea). Imperturbabile Indro: ancora fedele dopo tanti anni alle veline del Minculpop fascista che vietavano di occuparsi di dialetti, considerati "sopravvivenze di un passato che la dottrina morale e politica del Fascismo tende decisamente a superare" (4/6/1943) o che ricordavano che "Il Fascismo è intransigentemente e rigorosamente unitario. L'unità spirituale degli Italiani ha cominciato a formarsi tra il Piave e l'Isonzo ed è stata poi completata dal Fascismo. Bisogna ora evitare qualunque ritorno al passato". (2/8/1933). Eja, eja, Alalà ! Certo, mi rendo conto che non sia facile per chi (come Montanelli) ha avuto per bisnonno uno di quelli che hanno cacciato via dalla Toscana una persona per bene come il Granduca Leopoldo per consegnarla a una masnada di affaristi e mascalzoni, per un cuore che ha sempre palpitato di amor patrio (sia pur sotto camicie e canottiere di diverso colore), per chi è venuto su a veline e sillabari di regime e a poppate di latte di lupa capitolina, di dover ammettere la precarietà morale e l'inconsistenza storica di tutta la brodaglia tricolore in cui ha guazzato per quasi un secolo. Ci dispiace comunque di doverlo intruppare con i Cito e i Mussi di cui in fondo non si merita la cameratesca compagnia. Ma proprio perché è (o è stato) una persona intelligente che non dovrebbe neppure pensarle certe pistolate, figuriamoci scriverle sul quotidiano del Giuanìn Lamera, organo ufficiale della peggiore ammucchiata del regime italione. Ci duole che non riesca a concludere in bellezza (e in saggio silenzio) una carriera lunga e sostanzialmente gloriosa ma che sia finito per diventare uno dei tanti sapüta di regime, un Biagi o un Bocca qualsiasi, cosa che dovrebbe essere per lui il peggiore insulto. Io gli auguro di vivere ancora a lungo, sicuramente fino a vedere la libertà della Padania e la fine della sua italietta scalcinata e fasulla. Sarebbe troppo comodo uscire di scena prima della fine. Gli auguro di godersela invece tutta, fino in fondo, l'agonia della sua patria inventata, e di avere dei tremendi contorcimenti delle sue budella tricolori. E di sentirsela bene la dichiarazione di indipendenza di quei "figli di puttana" dei popoli della Padania. Nei suoi cento dialetti.


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