Montanelli è stato un grande giornalista, ha nel suo lungo passato
dimostrato grandi capacità professionali, ha anche avuto memorabili momenti
di coraggio (che ha pagato di persona) e di coerenza ma è anche stato il
cantore del compromesso, dell'italica propensione a servire tutti i
vincitori, è stato il temerario fondatore de Il Giornale ma anche quello che
diceva di turarsi il naso e votare DC (e a forza di turarsi il naso si
rischia di privare il cervello di ossigeno...), ha lasciato il Corriere
perché era organo di regime e vi è tornato per lo stesso motivo.
È sicuramente meglio degli altri vecchi del giornalismo italiano che hanno
vissuto una vita con i pantaloni abbassati: lui li ha abbassati solo qualche
volta ma proprio per questo quando lo ha fatto lui è stato peggio.
Ormai oggi però i pantaloni non li porta nemmeno più e sta terminando la
sua carriera in compagnia di tutti i leccaculo di regime da cui ha sempre
cercato di distinguersi.Per questo fa più rabbia e più tristezza.
L'ultima tavanata è di
martedì scorso. Il suo editoriale sul Corriere è un capolavoro di
prostituzione intellettuale.Ci mette dentro tutto e il contrario di
tutto.C'è il solito coraggioso slancio di razzismo mediterraneo che descrive
i Padani come una congrega di ignoranti, trogloditi e analfabeti.Non vale
più neppure la pena di rispondere a vaccate del genere, che gli derivano da
frequentazioni pelasgiche. Ripropone poi la capziosa distinzione fra lingue
e dialetti che ha appreso dalle veline di regime; confonde l'Italiano con il
Toscano e l'Italia con la Toscana (che è anche peggio) e ci insegna che
l'unico elemento che unifica fin dal Cinquecento l'Italia è la cultura,
scambiando ancora una volta la Toscana con l'Italia. Finisce poi in
bellezza, sparando: "insegnerete alle nuove leve padane la Storia degli
Insubri, di cui vi proclamate figli, che è come dire figli di padre ignoto,
che è come dire figli di puttana". E bravo l'Indro: finiti gli argomenti,
anche quelli banali, ritriti, stupidi e spuntati il vecchio patriota passa
agli insulti. Evviva.Pensate cosa avrebbe detto se l'avessimo fatto noi, se
la Padania avesse scritto che gli Italiani sono figli di buona donna o della
lupa. Razzista, isterico, privo di argomenti, fazioso e triviale.E anche
ignorante, perché il meglio di sé (si fa per dire) lo dà all'interno dello
stesso Corriere, nella sua "Stanza" della posta, abituale teatro delle sue
più olimpiche banalità e dove dimostra che senza Roberto Gervaso a scrivere
i libri (e a rispondere alle lettere) riesce solo a fare figure da vecchio
cioccolataio.
Un lettore gli parla dei campi di concentramento dei soldati
borbonici in Piemonte e dei morti della guerra del brigantaggio. L'Indro
dice di non sapere nulla delle cosiddette "Buchenwald piemontesi" lasciando
intendere che se non ne sa nulla lui allora non sono mai esistite. Migliaia
di soldati dell'esercito napoletano furono invece deportati all'ex
lazzaretto di Livorno, in alcuni conventi di Cagliari, a Lombardore (dove ne
passarono 12.447), a Savigliano (CN), a San Maurizio (TO), alla cittadella
di Alessandria e alla fortezza di Fenestrelle in Val Chisone che fu, il 22
agosto 1861, teatro di un sanguinoso tentativo di ribellione. Liquida poi la
cosiddetta "guerra del brigantaggio" come un "gran brutto episodio", nega
che ci siano stati i 700.000 morti incautamente ipotizzati dal lettore ma
pontifica che siano stati solo 7.000, che già non sarebbe male per una
"operazione di polizia". In realtà furono mobilitati fra 250 e 300 mila
uomini (fra soldati italiani e milizie locali) e i morti accertati
superarono i 60.000, ben di più di tutte le guerre risorgimentali messe
assieme (compresi i morti di colera in Crimea). Imperturbabile Indro: ancora
fedele dopo tanti anni alle veline del Minculpop fascista che vietavano di
occuparsi di dialetti, considerati "sopravvivenze di un passato che la
dottrina morale e politica del Fascismo tende decisamente a superare"
(4/6/1943) o che ricordavano che "Il Fascismo è intransigentemente e
rigorosamente unitario. L'unità spirituale degli Italiani ha cominciato a
formarsi tra il Piave e l'Isonzo ed è stata poi completata dal Fascismo.
Bisogna ora evitare qualunque ritorno al passato". (2/8/1933). Eja, eja,
Alalà ! Certo, mi rendo conto che non sia facile per chi (come Montanelli)
ha avuto per bisnonno uno di quelli che hanno cacciato via dalla Toscana una
persona per bene come il Granduca Leopoldo per consegnarla a una masnada di
affaristi e mascalzoni, per un cuore che ha sempre palpitato di amor patrio
(sia pur sotto camicie e canottiere di diverso colore), per chi è venuto su
a veline e sillabari di regime e a poppate di latte di lupa capitolina, di
dover ammettere la precarietà morale e l'inconsistenza storica di tutta la
brodaglia tricolore in cui ha guazzato per quasi un secolo. Ci dispiace
comunque di doverlo intruppare con i Cito e i Mussi di cui in fondo non si
merita la cameratesca compagnia. Ma proprio perché è (o è stato) una persona
intelligente che non dovrebbe neppure pensarle certe pistolate, figuriamoci
scriverle sul quotidiano del Giuanìn Lamera, organo ufficiale della peggiore
ammucchiata del regime italione. Ci duole che non riesca a concludere in
bellezza (e in saggio silenzio) una carriera lunga e sostanzialmente
gloriosa ma che sia finito per diventare uno dei tanti sapüta di regime, un
Biagi o un Bocca qualsiasi, cosa che dovrebbe essere per lui il peggiore
insulto. Io gli auguro di vivere ancora a lungo, sicuramente fino a vedere
la libertà della Padania e la fine della sua italietta scalcinata e
fasulla. Sarebbe troppo comodo uscire di scena prima della fine. Gli auguro
di godersela invece tutta, fino in fondo, l'agonia della sua patria
inventata, e di avere dei tremendi contorcimenti delle sue budella
tricolori. E di sentirsela bene la dichiarazione di indipendenza di quei
"figli di puttana" dei popoli della Padania. Nei suoi cento dialetti.