Dalla presentazione del volume

 

Giuliano Gasca Queirazza S.J.

Giovanna Massariello Merzagora

Dorino Tuniz

 


Giuliano Gasca Queirazza S.J.
Professore emerito dell’Università di Torino

"Il secondo volume del Dizionario galliatese continua negli intenti e nella realizzazione l’impresa di fornire, attraverso la forma di vocabolario ossia in ordinamento alfabetico, un compendio articolato delle manifestazioni di vita della comunità di Galliate, che dal presente risale al suo passato in virtù della capacità della lingua di fissare momenti e fenomeni anche passeggeri, tramandandoli quasi cristallizzati.

Come in una goccia di ambra riscopriamo forme arcaiche di insetti, colti nella loro realtà vitale da un flusso che si è subitamente rappreso, così avvenimenti, istituzioni, personaggi, consegnati alle pagine della storia e alla dimenticanza dei più, permangono nella parola o nell’espressione idiomatica. Per fare un solo esempio, radöscu, s.m. “persona cattiva, antipatica, scostante …”conserva dopo centocinquanta anni la caratterizzazione, nell’immaginario popolare, del ferreo feldmaresciallo austriaco Radetzky, che aveva condotto al tramonto le speranze e le illusioni delle insurrezioni e della prima guerra d’indipendenza d’Italia proprio nei campi della “fatal” Novara.

E´ la magia della lingua, che per essere disvelata esige la maestria dell’interprete competente.

Un altro pregio da segnalare è l’indicazione della singolarità dell’uso di quelle voci che non hanno riscontro nelle parlate della zona: questo pure è consentito soltanto da una non comune competenza linguistica. Si veda in proposito quazaja.

A dimostrazione dell’ampiezza di informazioni in cui si può distendere la dichiarazione di una voce, peraltro semplice, si veda misüra.

La prosecuzione di un’opera così impegnativa e ponderosa ha richiesto certamente grande lavoro e fatica. Soltanto una volontà molto tenace, sorretta da un vivo amore, può aver consentito nel tempo previsto di un biennio di stendere questo secondo sostanziale e sostanzioso elemento del trittico lessicale programmato.

Agli esecutori e al nume ispiratore e direttore il plauso e la gratitudine dei fruitori."


Giovanna Massariello Merzagora
professore straordinario di Glottologia, Università di Verona

"La competenza e la pervicacia del "Gruppo Dialettale Galliatese" sono nuovamente documentate dal II volume  del Dizionario giunto felicemente a compimento.

Si tratta di un’opera connotata, come le precedenti, dalla ricchezza delle fonti (orali e scritte, letterarie e archivistiche), dall'ampiezza dei lemmi, dal felice intreccio tra storia linguistica e storia locale, dalla serietà dell’approccio etimologico, garantita dalla continuità del lavoro del prof. Angelo Belletti, caratteristiche per le quali l’opera è da considerarsi come documento prezioso anche per gli studiosi impegnati nella lessicografia storico-etimologica della lingua italiana e dei suoi dialetti.

Segnalo, tra gli aspetti più interessanti, l’attenzione alla registrazione della variabilità interna al lessico dialettale: non tutte le parole appartengono all’uso odierno e pertanto la dimensione arcaica di alcuni termini è indicata; tra le parole dialettali alcune appartengono a un filone ‘colto’ e di derivazione letteraria ed esse  sono marcate come tali; altre parole appartengono a lessici settoriali e ad essi vengono riportate.

Il Dizionario non procede perciò per accumulo indiscriminato di materiali, ma delimita al suo interno tanti insiemi lessicali quanti sono quelli  in cui il segno linguistico vive in bocca a parlanti concreti, mossi nelle loro scelte dalle situazioni comunicative, dall’oggetto del discorrere e dal tipo di destinatari a cui il messaggio è rivolto.

Per questi motivi nel panorama  dei dizionari dialettali  del nostro tempo, il Dizionario galliatese è opera pregevole, seria, di gradevole lettura per la tonalità della scrittura, talora garbatamente sorridente e ironica nella ricostruzione di episodi di storia locale, di tradizioni consumate dal tempo e alle quali si può anche guardare senza idealizzante nostalgia."


Dorino Tuniz
Presidente Associazione di Storia della Chiesa novarese

"A due anni di distanza dal primo, vede puntualmente la luce questo secondo volume del Dizionario storico-linguistico galliatese, sotto la mano maestra di Angelo Belletti e del Gruppo dialettale di Galliate.

Anche il secondo tomo segue la collaudata e pregevole impostazione del primo: non solo raccoglie la documentazione delle parole che costituiscono il patrimonio linguistico della comunità galliatese, ma anche recupera e contestualizza gli usi e le motivazioni dei termini presentati, corredandoli di notizie e quadri storici che ne permettono una più piena comprensione dei significati.

Il contesto storico è, infatti,  particolarmente ampio anche per le voci registrate in questo secondo volume. Molti termini sono accompagnati da vere e proprie “schede storiche” che permettono di salvare la memoria di tanti aspetti della vita sociale e della cultura materiale della comunità di Galliate, soprattutto per gli ultimi due secoli. È il caso, ad esempio, delle condizioni di vita e di lavoro degli operai fra Ottocento e Novecento nelle fabbriche locali (vedi lavôru) o nei campi, della  coltivazione del lîn (fiore all’occhiello dell’agricoltura galliatese e maggior ricchezza del paese) o del riso (cfr. mundarişu  e mundina), della molitura dei cereali (al murîn, ad acqua o elétricu). I prodotti della campagna, misurati e pesati (vedi misüra, da quella empirica come la granpà o la scusalà alle tante di peso e di capacità in uso nel Seicento), erano portati al marcà, che a Galliate ha storia e statuti propri, o al macèlu, sorto negli anni Trenta del secolo scorso.

Molto spazio è dedicato (e sono le voci di maggior godibilità anche per chi, come chi scrive, è un austro-ungarico trapiantato da sempre a Novara) agli storici e rugginosi rapporti con  gli abitanti del capoluogo. Già, i Novaresi, che quelli di Galliate indicano, con benevola distinzione, come patachêti (i cives nati e residenti entro la cerchia muraria cittadina, usi ad indossare sotto la giacca un misero sparato più o meno pulito o “impataccato”, ma particolarmente boriosi con i rustici) oppure mès patachîn (gli incolae dei sobborghi cittadini, come quelli di Veveri o di Pernate, i parnaghin, più conosciuti come massacurat, per loro presunti e mai provati curaticidi).

I patachêti con quelli dadlà dal Lavagiu, cioè con i burdugni, i baüscia, insomma con i Milanesi, hanno avuto nei secoli passati rapporti contrastanti. In principio, di fronte alla pericolosità egemonica del loro espansionismo sulla linea del Ticino, si sono schierati con il Barbarossa, e a Milano hanno mostrato il loro valore di picconatori distruggendo Porta Vercellina in una settimana, quando la mole del lavoro avrebbe richiesto due mesi. Han dato una mano al Barbarossa anche a tirar giù il castello di Galliate (che brêut rimai!, avrebbe esclamato il poeta don Montano), e hanno ripetuto l’operazione più tardi, con la fortezza di Galliate Vecchio.  Solo da ultimo, su istigazione dei preti, hanno aderito alla Lega (si intende quella Lombarda medievale).

Non che i Gain siano stati meno tosti. A metà del Trecento, un giorno salirono nel Palazzo comunale di Novara, si impadronirono delle carte e dei libri che contenevano i loro contratti d’affitto, li lacerarono e li bruciarono, gettando tutto il resto nel pozzo del Broletto. Così Novara perdette il suo Archivio, lasciando i futuri storici con poca materia prima per le loro indagini.

I Galliatesi, poi, hanno avuto una prodigiosa capacità di lasciare il loro segno un po’ dappertutto in territorio novarese, se è vero che a Macugnaga (storico territorio di villeggiatura dei patachêti) nella “chiesa vecchia” tra Precetto e Staffa, sulla coda del drago che giace sotto il piede di san Bernardo è stata apposta la scritta in inequivocabile galliatese sa t’si rabià, mòrti a cóa: uno scherzo da prete del gain don Pietro Rigorini, parroco in quella località all’inizio del Novecento.

Per saperne di più, un quadro veramente affascinante, una vera iniziazione e introduzione alla storia di Galliate è quella offerta dalle voci “Nomi e cognomi”, con l’analisi dei nomi di alcuni importanti documenti medievali, e, per i tempi più recenti, da quella Parsunagi da Gajà.

Ma al di là delle loro secolari risse, liti, dissidi e contrasti, Gain e patachêti (sia quelli interi sia i mès) hanno molti più motivi di comunanza che di divisione.

 Lo rivelano proprio molte voci di questo secondo volume del Dizionario, che mostrano la sostanziale comune appartenenza, sia pure con spiccate peculiarità,  alla grande famiglia lombarda, della quale Galliatesi e Novaresi hanno condiviso secoli di storia, di cultura, di mentalità e anche di relativa prosperità, finendo per essere istintivamente consapevoli della diversità che li separano, ad esempio, dalle tradizioni  che hanno vigore al di là della Sesia.

Una comunanza, quella tra Galliate e il Novarese, che si rivela anche negli aspetti migliori di una condivisa cultura materiale, come è quella culinaria: ad esempio la panîscia, faj cumè Diu cumända (da non confondere - Dio ci guardi - con la “pallida” e sabauda panissa  vercellese,  ma neppure col risòtu còi zafròn, o  ris giald di quelli dadlà dal Lavagiu), la rustida (ròba da barlichèsi i dîi), la pulénta, lüganiga e gabarü, il marzapön e scigôli, e la oggi colesterolica e proibitissima büşöca, sono tutti elementi che ben caratterizzano la comune cultura materiale: e anche la cultura materiale definisce l’appartenenza culturale e storica, ben al di là di qualche castello demolito e di poche pergamene bruciate."


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