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INTRODUZIONE

Nel 1931, con Über formal unentscheidbare Sätze der "Principia mathematica" und verwandter Systeme I, Gödel pubblica l'articolo forse più famoso dell'intera logica matematica. L'incompletezza dei sistemi formali coerenti, che contengano l'aritmetica elementare, e insieme l'impossibilità di dimostrare, all'interno di quei sistemi, la loro coerenza sono i due risultati diretti dello scritto. Di fronte al problema aperto dai paradossi della teoria degli insiemi, quello di restituire alla conoscenza matematica la piena certezza del suo procedere, e con Hilbert, in modo classico, il rango di modello per il pensiero di sicurezza e di verità, i teoremi di Gödel segnano l'insufficienza della fondazione assiomatica. Il concetto di teoria assiomatizzata ha percorso comunque una ricca storia, ma all'infrangersi della più alta ambizione formalista per lungo tempo si è accompagnato il retrogusto della speranza tradita. Il limite del metodo assiomatico regala però una subitanea consolazione; in chiave positiva, l'incompletabilità della matematica pare dischiudere all'inventiva concettuale uno spazio, di cui non si intravede la fine. Qualcosa di questo atteggiamento, che si colora di ottimismo, prende corpo, in maniera molto chiara, nelle affermazioni di Tullio Regge (L'universo senza fine,1999), fornendo al contempo una misura del successo dei teoremi di Gödel al di fuori della logica stessa. Se poniamo, al posto di "linguaggio formale" il termine "teoria o modello fisico", e a "decisione" sostituiamo "verifica sperimentale" di una legge fisica, otteniamo secondo Regge un modello convincente e realistico del procedere della scienza. L'impresa scientifica entusiasma perché incompleta; ma l'universo per primo, nella sua realtà fisica, si configura come entità logicamente infinita, cioè indecidibile. D'altro canto la non realizzabile chiusura della matematica entro il raggio di un sistema formale conduce, lungo le linee di forza che raccordano quest'ultimo all'essenza del procedimento meccanico, a una quasi fatale deduzione della superiorità dell'uomo su qualunque calcolatore. L'argomento che a tal fine sfrutta il teorema di Gödel riceve i suoi tratti iniziali già nel limpido testo di Ernest Nagel e James R. Newman, Gödel's proof del 1958. Se si considera un calcolatore come l'istanziazione di un sistema formale, è agevole, nel confronto tra la prestazione umana e quella della macchina, rispetto all'intelligenza matematica, concludere a tutto vantaggio dell'uomo. Soltanto sul calcolatore, e proprio perché esso risulta paragonabile a un sistema consistente e adeguato per l'aritmetica, grava come un limite purissimo l'esistenza di una proposizione indecidibile. Questa rimane infatti né dimostrabile né refutabile, senz'altro ordine di considerazioni. Non così per l'umana mente, capace di coglierne, al di là dell'impasse sintattica, la verità. La fortuna di questa interpretazione, suggestiva ma troppo frettolosa per risultare probante, resuscita oggi nei libri di Roger Penrose, mentre il teorema di Gödel diviene linfa di uno sterminato dibattito, in cui si fronteggiano opposti modelli per la mente, quello che le ascrive capacità qualitativamente diverse dal computazionale, o sovra-computazionali, e quello che la rinserra tra gli effetti dell'algoritmico. Non può non apparire conturbante come anche in questo secondo caso si sappia attingere, a piene mani, al teorema di Gödel; vi riesce Douglas R. Hofstadter, nel suo best-seller Gödel, Escher, Bach, ma non è il solo. Ora sembrerebbe che la ragione, per quanto attiene all'utilizzo corretto dei risultati di Gödel, piuttosto che annidarsi negli argomenti di Penrose o in quelli di Hofstadter, riposi altrove. Ma forse è, alle spalle del dibattito stesso, il continuo confrontarsi tra mente e macchina calcolatrice ancora, e nonostante l'erompere di un'era dell'informatica, tutt'altro che ovvio, avvinto d'astrazione, offuscato tanto dai pregiudizi eterni di chi teme la tecnica che dagli entusiasmi di chi in essa ripone ogni fiducia di un futuro radioso.


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