17 ottobre 1944: l’eccidio del Comando unico partigiano

Giacomo Crollalanza (pablo) in divisa militare (Archivio Isrec). Alla fine dell’agosto 1944, i rappresentanti delle più importanti brigate partigiane del Parmense, su sollecitazione del Cln provinciale, elessero un Comando unico operativo per dirigere e coordinare le unità militari della montagna. Alla testa del nuovo vertice fu designato “Pablo”, Giacomo Crollalanza, fino a quel momento alla guida della 31a Brigata Garibaldi.
Questo giovane siciliano si era formato come ufficiale nell’Accademia di Modena e aveva alle spalle l’esperienza della guerra in Grecia. Gli eventi dell’8 settembre lo avevano sorpreso a Parma, convalescente per una ferita; datosi prima alla macchia, poi catturato dai tedeschi, Crollalanza riuscì a fuggire dal carcere di San Francesco il 13 maggio 1944, nel corso dei bombardamenti alleati che colpirono anche un’ala del penitenziario. Pochi giorni dopo, riuscì a raggiungere le montagne e ad arruolarsi tra i “ribelli” col suo nuovo nome di battaglia. L’esperienza da ufficiale nell’esercito, il rispetto conquistato nei distaccamenti partigiani, l’equidistanza dalle diverse componenti politiche e, infine, la necessità di dare velocemente sicurezza alle formazioni combattenti riorganizzate dopo i rastrellamenti estivi furono le ragioni che spinsero i rappresentanti delle brigate, riuniti a Pian del Monte, a indicare “Pablo” quale dirigente del massimo organismo militare del Parmense.
In autunno, infatti, riprese con nuova forza l’attività partigiana, alla quale le truppe tedesche – affiancate da reparti della milizia fascista – contrapposero puntate offensive nelle valli dell’Enza, del Parma e del Baganza. Nell’ambito della “settimana di lotta alle bande”, ordinata da Kesselring, si consumò l’eccidio del Comando unico partigiano.
La sera del 16 ottobre, un reparto mobile del Centro addestramento antiguerriglia, guidato da una spia e partito da Berceto si diresse verso l’albergo Ghirardini a Bosco di Corniglio, sede del vertice partigiano. La colonna nazi-fascista circondò il paese nella mattinata del giorno successivo, cogliendo improvvisamente i “ribelli”: “La sorpresa – ha raccontato Primo Savani – non permise agli assediati di organizzare una resistenza efficace. I due componenti la missione ‘Rochester’: Piero Boni e l’operatore radio ‘Sergio’, reso inservibile l’apparecchio radio e distrutti i cifrari, riuscirono, insieme a , Ferrari, Pelizzari, Cipriani, Parisi, Domenico Zammarchi ed altri, a salvarsi miracolosamente gettandosi dalle finestre, tra il sibilo delle raffiche di mitra che imperversavano ovunque” (P. Savani, Antifascismo e guerra di Liberazione a Parma, Guanda, Parma 1972, pp. 156-157).
Non tutti, però, sfuggirono all’agguato: durante il conflitto a fuoco vennero uccisi il comandante “Pablo”, l’ufficiale di collegamento “Penola” (Giuseppe Picedi Benettini) e tre partigiani di guardia (Enzo Gandolfi, Domenico Gervasi e Settimio Manenti). Anche il responsabile del Comando di piazza di Parma Gino Menconi (“Renzi”) – in montagna per un incontro in vista della liberazione della città (ritenuta erroneamente prossima) – fu ferito e bruciato vivo in una stanza, mentre le truppe tedesche abbandonavano il paese in fiamme. All’inizio di novembre, sul sagrato della chiesa di Pellegrino Parmense, don Nino Rolleri, il cappellano della 31a Brigata Garibaldi, celebrò la messa in onore dei caduti davanti alle brigate della Val Ceno.
L’eccidio di Bosco suscitò tra le forze partigiane un profondo senso di smarrimento, nonDon Nino Rolleri tiene l’orazione funebre per i caduti nell’eccidio di Bosco. Pellegrino Parmense, primi di novembre del 1944 (Archivio Isrec Parma). soltanto per le numerose perdite, per il tradimento di un delatore e per la capacità d’azione del nemico, ma soprattutto per il forte valore simbolico dell’obiettivo colpito: dopo aver superato i grandi rastrellamenti estivi, mentre nuovi giovani salivano in montagna estendendo le capacità di lotta della guerriglia in attesa dell’arrivo delle truppe alleate – considerato prossimo –, il movimento partigiano veniva colpito improvvisamente nel suo più alto organismo militare. La morte del comandante “Pablo”, dunque, riferimento per molti combattenti, aveva il sapore di un grave colpo e di un inquietante presagio per l’inverno. Ciò nonostante, pochi giorni dopo, i capi delle brigate si ritrovarono a Belforte per eleggere “Arta” (Giacomo Ferrari ) nuovo comandante unico delle brigate parmensi.