Verso il “putsch”

.



Mussolini prende possesso di Palazzo Venezia

Hitler stava convincendosi sempre più che la caotica situazione creatasi da questa pesantissima inflazione offriva un’occasione unica per scardinare la Repubblica. Egli aspirava a dirigere la controrivoluzione; se non fosse stato lui a portarla innanzi, la questione non l’avrebbe più interessato. C’erano però diversi problemi da risolvere. Anzitutto, il partito nazista, pur ingrossandosi di giorno in giorno, era pur sempre una piccola formazione politica, del tutto sconosciuta al di fuori dei confini bavaresi. Come poteva allora quel piccolo partito far cadere la Repubblica? Hitler, che non si lasciava scoraggiare dalle difficoltà, credeva di conoscere il modo per giungere a tanto: raggruppare sotto la sua direzione personale tutte le forze nazionalistiche e antirepubblicane della Baviera. Allora, con l’appoggio del governo bavarese, dei gruppi armati e della Reichswehr, avrebbe marciato su Berlino (imitando così la “marcia su Roma” di Mussolini del 1922) per abbattere la Repubblica di Weimar e instaurare un nuovo governo. Il facile successo ottenuto dal dittatore italiano l’aveva certamente impressionato. Un’altro problema era l’occupazione francese della Ruhr, che danneggiava profondamente i già precari equilibri dell’economia tedesca. Benché questo suscitasse nei tedeschi l’odio per il nemico tradizionale, riaccendendo così il loro spirito nazionalista, non poteva non complicare i progetti di Hitler, giacché il popolo tedesco si sarebbe stretto attorno al governo repubblicano di Berlino qualora esso si fosse mostrato deciso a tenere testa alla Francia. Ed era proprio questo che a Hitler non piaceva affatto. Il suo scopo era abbattere la Repubblica, alla Francia si sarebbe potuto pensare dopo che in Germania si fosse avuta la rivoluzione nazionalistica e si fosse instaurata la dittatura. Hitler osò dunque assumere un atteggiamento che contrastava con una forte corrente dell’opinione pubblica e propose: “Non gridiamo - Abbasso la Francia - ma - Abbasso i traditori della patria!, Abbasso i criminali di Novembre! - Tale deve essere la nostra parola d’ordine”. Durante i primi mesi del 1923, Hitler si occupò instancabilmente di far circolare questo slogan.

Inoltre, in questo periodo, iniziò anche ad occuparsi di un ulteriore allargamento della sfera d’influenza del suo partito, impegnandosi in alleanze con altre formazioni politiche. Arrivò nel Settembre ’23 a costituire una coalizione abbastanza poderosa, denominata Deutscher Kampfbund (Unione tedesca di combattimento), diretta da un triumvirato di cui Hitler faceva parte. Gli obiettivi della nuova organizzazione, resi noti all’opinione pubblica, erano il rovesciamento della Repubblica e l’abolizione del trattato di Versailles.

Sempre al fine di allargare il suo potere in un ambito più esteso, strinse rapporti con l’eroe tedesco della prima guerra, il generale Ludendorff. Questo personaggio incoraggiava apertamente la campagna controrivoluzionaria scatenata dalla destra; era quindi lecito sperare di poterlo convincere ad appoggiare i piani che cominciavano a delinearsi nella mente di Hitler. L’unico rischio era che il generale potesse pretendere di guidare la campagna controrivoluzionaria, cosa che Ludendorff desiderava ardentemente. Ma era un rischio che si poteva correre. Sicuramente, infatti, il nome di Ludendorff, la sua reputazione tra il corpo degli ufficiali e tra i conservatori della Germania intera, rappresentavano un prezioso appoggio per un politicante di provincia, fino ad allora quasi del tutto ignoto al di fuori della Baviera.

Durante l’autunno 1923, i rapporti tra la Repubblica tedesca e lo Stato di Baviera, giunsero ad un punto critico. Stresemann, il cancelliere tedesco allora in carica, annunciò la fine della resistenza passiva nella Ruhr e la ripresa del pagamento delle riparazioni. Egli, conservatore convinto, si era persuaso che se voleva salvarsi, la Germania avrebbe dovuto accettare almeno per un po’ di tempo il regime repubblicano e accordarsi con gli Alleati per godere di un relativo periodo di tranquillità che permettesse alla Germania la possibilità di restaurare la sua potenza economica. La cessazione della resistenza antifrancese nella Ruhr e la riassunzione dell’onere delle riparazioni di guerra, sollevarono un’ondata di proteste isteriche da parte dei nazionalisti tedeschi, e con loro i comunisti. Era però già preparato a questa eventualità, e fece dichiarare il giorno stesso lo stato di emergenza, passando così il potere nelle mani del ministro della Difesa, Otto Gessler, e del comandante delle forze armate, generale von Seeckt, i quali, di fatto, divennero i nuovi padroni del Reich. La Baviera non poteva accettare una situazione simile, e incominciò a sfidare Berlino e a sottrarsi al potere centrale. Quando lo Stato della Baviera si ritrovò sotto la guida di un triumvirato, accentuò ulteriormente tale tendenza, tanto che Seeckt, deciso a stroncarla, comunicò in modo chiaro al triumvirato, a Hitler e ai corpi di volontari antirepubblicani che ogni loro tentativo di ribellione sarebbe stato represso con la forza. Il capo nazista non poteva tuttavia indietreggiare, in quanto i suoi esagitati seguaci chiedevano ad alta voce di agire. Hitler comprese d’altronde che se Stresemann fosse riuscito a guadagnare altro tempo e a ridare tranquillità al paese, egli avrebbe perduto ogni possibilità di riuscire. Inoltre temeva che il triumvirato perdesse coraggio o progettasse un colpo di mano alle sue spalle per distaccare la Baviera dal Reich, idea molto diffusa in quel periodo ma che a Hitler non piaceva affatto. Egli era, come sappiamo, fanatico sostenitore di un Reich forte, nazionalista, e unificato e quindi del tutto contrario a tale soluzione. I tre uomini che formavano il triumvirato, Kahr, commissario di stato, Otto von Lossow, comandante della Reichswehr in Baviera, e Hans von Seisser, capo della polizia di Stato iniziarono a vacillare al monito di Seeckt. Hitler, non disponendo dei mezzi necessari e quindi non potendo organizzare un putsch senza l’appoggio dello stato bavarese, del suo esercito e della sua polizia (non era forse questa la lezione che aveva imparato nei suoi giorni di vagabondaggio a Vienna?) doveva fare in modo che Kahr, Lossow e Seisser, fossero costretti ad agire assieme a lui, senza possibilità di tirarsi indietro. Si rendeva necessaria a questo punto una forte dose d’audacia, anzi di brutalità, e Hitler dimostrò di averla. Decise di impadronirsi dei triumviri e mettere al suo servizio le forze di cui disponevano.


Continua>>