La storia di chi si pose al servizio di Hitler
Brigate nere
in provincia di Milano operò la Brigata "Aldo Resega"

La storia del corpo delle SS italiane è ancora oggi poco conosciuta e studiata. Rarissime le ricerche su questa pagina tra le più inquietanti della Repubblica Sociale di Salò. L'ultimo lavoro storicamente approfondito (Le SS italiane di Ricciotti Lazzero) risale ormai a più di vent'anni fa. Un testo da tempo fuori catalogo e quasi introvabile. In questo quadro si colloca il contributo di un ex-partigiano, non nuovo a lavori di storia sulla Resistenza e su questo periodo, Primo de Lazzari (Le SS italiane, Teti Editore, 10 euro per 230 pagine, prefazione di Arrigo Boldrini), che ha il merito soprattutto di riordinare e offrire agli studiosi diversi materiali di documentazione. Gran parte del libro, preceduto da un ampio saggio di inquadramento, è infatti utilmente occupato da analisi e giudizi di storici italiani e stranieri sulle SS italiane, da testimonianze dirette di chi ne fu vittima e di chi invece ne fece parte arruolandosi, ma soprattutto è interessante il materiale documentario relativo ai fatti e ai luoghi che videro impegnate le SS italiane negli eccidi dei civili e negli scontri con i partigiani, i decreti ed i bandi di arruolamento, gli strumenti di propaganda, le comunicazioni interne, la struttura dei comandi. Ampie e ricche, a completamento del lavoro, anche le sezioni dedicate alla genesi della Rsi, delle sue forze armate, e alle leggi successivamente emanate per i reati di collaborazione con l'esercito tedesco.

L'esistenza di una milizia armata di SS italiane fu caldeggiata da Mussolini fin dal suo arrivo in Germania, a metà settembre del 1943, dopo la sua liberazione dalla prigionia sul Gran Sasso. Mussolini illustrò il suo progetto al quartier generale dell'esercito tedesco, a Rastenburg, direttamente ad Hitler che lo sottoscrisse delegando Himmler per l'attuazione.


La costituzione ufficiale avvenne col Decreto 446 del 30 giugno 1944. Ecco alcuni articoli del Decreto:

  • Art. 1 : la struttura politico-militare del Partito si trasforma in organismo di tipo militare e costituisce il Corpo Ausiliario delle Squadre d'Azione delle Camicie Nere.
  • Art. 2 : il ministro segretario del Partito assume la carica di comandante del Corpo.
  • Art. 3 : le Federazioni assumono il nome di Brigate Nere del Corpo Ausiliario e i commissari federali la carica di comandanti di brigata.
  • Art. 5 : gli iscritti al PFR di età compresa fra i 18 e i 60 anni e non appartenenti alle altre Forze Armate entreranno, in seguito a domanda volontaria, a far parte del Corpo delle Camicie Nere che, a seconda della loro idoneità fisica, provvederà al loro impiego.
  • Art. 6 :gli appartenenti alle formazioni ausiliarie provcenienti dalle Squadre d'azione e passati alle Forze Armate, alla GNR e alla Polizia, iscritti regolarmente al PFR, possono, a domanda, essere trasferiti nel Corpo delle Camicie Nere.
  • Art. 7 :compito del Corpo è quello del combattimento per la difesa dell'ordine della RSI, per la lotta contro i banditi e i fuorilegge e per la liquidazione di eventuali nuclei di paracadutisti nemici. Il Corpo non sarà impiegato per compiti di requisizioni, arresti o altri compiti di polizia. L'impiego delle Brigate Nere nell'ambito provinciale viene ordinato dai capi delle provincie.
  • Art. 10 :il ministro delle Finanze è autorizzato ad apportare le variazioni di bilancio necessarie per l'attuazione del presente decreto.
  • Art. 12 : il Corpo delle Camicie Nere si avvarrà, per i servizi sussidiari, del Servizio Ausiliario Femminile.

Il giuramento al Führer

Tra i diciotto e i ventimila furono in totale i volontari italiani - la cifra esatta non si è mai riusciti a definirla con certezza - che si posero al totale servizio della Germania. Nel quadro composito delle milizie e delle forze armate della Rsi le SS italiche costituirono in questo contesto un corpo a parte. Fu il generale di brigata delle Waffen-SS Peter Hansen ad assumerne per primo la direzione operativa, dipendendo a sua volta dal generale Karl Wolff, comandante supremo delle SS e della polizia tedesca nell'Italia occupata.

Le SS italiane furono in conclusione composte da militari che accettarono di agire al comando di ufficiali germanici. Tutti i gradi più importanti erano tedeschi, i nomi dei volontari venivano inviati a Berlino e gli stessi ordini per gli ufficiali superiori erano dati in lingua germanica. Le divise, a differenza delle SS tedesche, avranno inizialmente mostrine rosse e solo in seguito ( almeno per alcuni reparti) nere. I gradi erano ordinati secondo la gerarchia tedesca. Sui berretti e sugli elmetti il "teschio d'argento" e le due SS stilizzate. Unici segni distintivi: un'aquila su fascio littorio romano e, verso la fine del 1944, il simbolo delle tre frecce incrociate racchiuse in un cerchio da portare sulla mostrina destra.

Le SS italiane si proclamarono apertamente ammiratrici del nazismo. Impressionante la formula utilizzata per il giuramento: «…sarò in maniera assoluta obbediente ad Adolf Hitler supremo comandante dell'esercito tedesco».

Va anche detto che nelle SS italiane in realtà non tutti si arruolarono volontariamente. Diversi i casi di adesione forzata tra i prigionieri messi di fronte all'alternativa "o con noi o al muro". Non isolati furono i casi di diserzione, a volte tragicamente conclusisi con la fucilazione.

L'ordine nero

Il caso di volontari non tedeschi nelle SS non fu un fenomeno solo italiano. Nel corso del secondo conflitto mondiale le Waffen-SS (le SS addestrate al combattimento) giunsero a contare circa 900.000 armati, articolate in 38 divisioni. Accanto ai reparti tedeschi si costituirono molte altre unità di diversa provenienza: di fiamminghi e valloni, di francesi, di olandesi, di norvegesi, di ungheresi, di albanesi, di croati, di lettoni, di estoni e di ucraini, di bulgari. Una divisione (la 13. sima), interamente composta da mussulmani bosniaci, fu impiegata in Jugoslavia contro i partigiani di Tito. Si allestirono anche battaglioni di cosacchi russi, di svizzeri, di finlandesi e di turchi. Un battaglione di calmucchi e turkestani operò anche in Italia, nel Piemonte e in Lombardia, in funzione antipartigiana, distinguendosi per ferocia e determinazione.

Una sorta di esercito internazionale, cresciuto all'ombra della svastica, che ancora oggi continua ad alimentare le fantasie ed i miti dei neonazisti di oggi.


Ogni regione ebbe tante Brigate Nere quante erano le provincie. In più fu costituito un gruppo di Brigate Nere Mobili. Ogni Brigata prese il nome di un caduto per la causa del Fascismo.

Le Brigate Nere furono:

EMILIA ROMAGNA
Mirko Pistoni (Modena), Igino Ghisellini (Ferrara), Eugenio Facchini (Bologna), Italo Capanni (Forlì), Virginio Gavazzeni (Parma), Pippo Astorri (Piacenza), Amos Maramotti (Reggio Emilia), Ettore Muti (Ravenna).
LOMBARDIA
Aldo Resega (Milano), Leonardo Cortesi (Bergamo), Enrico Tognù (Brescia), Cesare Rodini (Como), Augusto Felisari (Cremona), Marcello Turchetti (Mantova), Alberto Alfieri (Pavia), Sergio Gatti (Sondrio), Dante Gervasini (Varese)
PIEMONTE
Ather Cappelli (Torino), Attilio Prato (Alessandria), Emilio Picot (Aosta), Luigi Viale (Asti), Carlo Lidonnici (Cuneo), Bruno Ponzecchi (Vercelli), Augusto Cristina (Novara).
VENETO
Bartolomeo Asara (Venezia), Luigi Begon (Padova), Amerigo Cavallini (Treviso), Stefano Rizzardi (Verona), Francesco Turcato (Vicenza), Romolo Gori (Rovigo).
LIGURIA
Silvio Parodi (Genova), Antonio Padoan (Imperia), Giovanni Briatore (Savona), Tullio Bertoni (La Spezia).
TOSCANA
Raffaele Manganiello (Firenze), Emilio Spinelli (Arezzo), Benito Mussolini (Lucca), Emilio Tanzi (Pisa), Ruy Blas Biagi (Pistoia).
ISTRIA-VENEZIA GIULIA
Tullio Cividino (Trieste),37° (Udine).
BRIGATE NERE MOBILI
1) Vittorio Ricciarelli, 2) Attilio Pappalardo, 3) Danilo Mercuri, 4) A. Corrao, 5) Aldo Resega, 6) Enrico Quagliata, 7) Dalmazia, 8) Tevere, 9) Arditi, 10) Ministeriale, 11) Giovanni Gentile.

Feroci assassini

Tranne due battaglioni inviati a contrastare lo sbarco degli americani ad Anzio, le SS italiane furono quasi esclusivamente impiegate dai tedeschi in operazioni di polizia e di rastrellamento antipartigiano nelle regioni del nord Italia (Piemonte, Lombardia, Veneto, Marche e Umbria). Non meno feroci delle SS germaniche, si distinsero in eccidi e atrocità diffuse.

I tedeschi, affiancati dalle Brigate nere, attaccavano con fucili, mitragliatrici, cannoncini e due grossi cannoni, avevano anche postazioni, che permettevano di sparare dall'alto, in alcuni edifici vicini; i partigiani avevano solo armi automatiche, fucili e bombe a mano.

Da ricordare le stragi di Bucine, Cavriglia, Civitella della Chiana, nell'aretino, e di Bardine di San Terenzio in provincia di Massa Carrara, dove al comando del maggiore Walter Reder le SS italiane massacrarono 160 civili rastrellati nella vicina Pietrasanta. L'elenco potrebbe continuare. Alcune testimonianze parlano anche di una partecipazione, il 12 agosto 1944, alla strage di Sant'Anna di Stazzema, quando vennero massacrate 560 persone, 150 delle quali bambini sotto i 14 anni.

Brigate Nere

La propaganda fascista

Nel luglio 1944 Mussolini decise di militarizzare il Partito fascista repubblicano. Tutti gli iscritti dovevano arruolarsi nelle Brigate nere, nuovo corpo armato che andava ad affiancarsi all'Esercito, alla Guardia nazionale repubblicana (che aveva compiti di polizia e ordine pubblico) e ai corpi paramilitari (SS italiane, X Mas, ecc.).
Le Brigate nere furono le principali responsabili del clima di terrore e di violenza che caratterizzò l'ultimo anno di guerra nel nord Italia. Come sottolineato dal teschio disegnato sulla bandiera nera, i fascisti avevano il culto della morte, che veniva elevata a simbolo. L'azione armata non era un mezzo, duro e necessario in una guerra, ma arrivava a costituire il fine stesso di un'esistenza e di una pratica militare totalmente votate alla violenza più selvaggia e indiscriminata.

Ottobre 1944, formato 70x100.

Ma il contributo di orrore e di ferocia delle SS italiane si espresse anche in altri campi: nei corpi delle polizie speciali che infestarono l'Italia (assai noto il caso della cosiddetta "banda Carità", guidata da uno dei più sanguinari torturatori della Rsi che operò a Firenze, Padova e Vicenza, e che si presentava come ufficiale delle SS) e soprattutto, con funzioni da aguzzini, nel lager-crematorio della Risiera di San Sabba a Trieste.

Questo «ordine» di «uomini razzialmente e fisicamente scelti», come recitava un loro manuale, si sciolse come neve al sole nell'aprile del 1945, poco dopo aver avuto l'onore da Himmler di poter costituire una divisione tutta italiana (la "29 Waffen-Grenadier-Division der SS Italienische Nr.1").

Fine ingloriosa

L'ultima brigata si arrese a Gorgonzola, nei pressi di Milano, ai carri armati americani, senza sparare un colpo. Una fine ingloriosa.

Quasi tutti gli ufficiali e i militi delle SS italiane uscirono dalla guerra indenni. Una parte finì nei campi di concentramento o davanti ai tribunali straordinari senza patire gravi conseguenze. Molto del materiale sulla loro formazione e sulle loro gesta venne per tempo occultato. Il grosso riuscì a squagliarsela, chi espatriando oltreoceano, chi reinserendosi in silenzio nella vita civile.

Uno di loro, Pio Filippani-Ronconi, aiutante maggiore del generale di brigata Piero Mannelli, l'ufficiale italiano delle SS più alto in grado, lo ritroveremo ancora nel dopoguerra. Parteciperà al famoso convegno, nel maggio del 1965, all'Hotel Parco dei Principi a Roma, dove insieme a Pino Rauti metterà a punto la «strategia della tensione» e, ancora recentemente, scriverà sulle pagine culturali del "Corriere della Sera" in qualità di esperto in lingue e culture orientali. Tra i suoi studenti, alla fine degli anni '60, Delfo Zorzi, condannato per la strage di Piazza Fontana. Forse un caso.