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Vedi Come si viveva a Parma tra il 1100 e il1350
Nellanno 570 dalla fondazione dellUrbe (citta), corrispondente al 183 a.C., da Roma partirono duemila cittadini guidati dai triumviri Marco Emilio Lepido,Tito Ebuzio Caro e Lucio Quinzio Crispino. Poco meno della meta si insediarono attorno a Mutina, dove ottennero cinque iugeri di terreno a testa. Gli altri proseguirono lungo la Via Emilia, iniziata quattro anni prima, che era allora come un nastro di civilta tracciato fra acquitrini e boscaglie a congiungere le due estremita dellancor fresco dominio romano in quelle plaghe pantanose: Ariminum (Rimini) e Placentia (Piacenza).
Si fermarono dove la strada incontrava uno dei tanti fiumi che correvano giù dallAppennino verso il Po, si distribuirono la terra in ragione di otto iugeri a testa e cominciarono ad abbattere alberi e a raccogliere pietre per costruire una nuova città Che ebbe forma tonda e percio fu chiamata Parma, come lo scudo di cuoio dei veliti; nome adatto ad un insediamento agricolo militarecreato non solo per colonizzare ma anche per difendere la presenza dei pionieri romani in quella terra di Galli bellicosi e malfidi.
La colonia prosperò, i campi furono man mano prosciugati e seminati, si coprirono di messi e di armamenti, le pecore davano una lana apprezzatissima, i valenti cittadini parteciparono con una loro coorte alla conquista della Gallia Transalpina capitanata da Giulio Cesare, che grato onorò la città col titolo di Julia. Ma poi venne la guerra civile: assediando Bruto che si era chiuso in Mutina, Marco Antonio si volse anche contro Parma che gli era ostile, e la distrusse.Una sdegnata invettiva di Cicerone compiange i poveri parmigiani, uomini ottimi ed onesti. Essi furono risarciti dal favore di Ottaviano vincitore e ricostruirono la loro patria più bella di prima: ebbe templi, terme, teatri e fori di cui oggi non restano che poveri cimeli. A tre buoni secoli di pax romana seguirono nuove sventure quando il vasto edificio imperiale cominciò a scricchiolare; già nella guerra tra Costantino e Massenzio Parma subì incendi e devastazioni, e attorno al 377, narra lo storico Ammiano Marcellino il suo territorio era totalmente spopolato che lImperatore Graziano vi insediò una torma di barbari vinti e catturati. I Taifali, tribù affine ai Goti.
Il vero disastro avvenne però con la calata degli Unni di Attila nel 452, che investirono e distrussero la città, vuota tuttavia di abitanti; che allapprossimarsi dellorda annunciata dalle colonne di fuggiaschi e dal fumo degli incendi serano tutti rifugiati sui monti dellAppennino, fortificandovisi alla meno peggio.
Partirono quei feroci
tornarono fra le rovine alcuni superstiti, mentre altri
preferirono rimanere arroccati sulle montagne; nella diruta Parma
e nelle sue campagne si istallarono altri barbari quando Odoacre,
re di una accozzaglia di Eruli, Rugi, Turcilingi e Goti al
servizio dellutimo imperatore dOccidente Romolo
Augustolo, depose quellultima larva di sovranoper cingere
la corona dItalia nel 476 e assegnare ai suoi un terzo
delle terre. La rinascita proseguiva poi con Odoacre diede a
Parma non solo un Conte che la governasse ma anche un acquedotto,
un ponte, fontane, canali. Forse più che opere nuove
furono restauri; comunque la città rifiorì ritrovando lantica
ricchezza.Quel benessere durò poco, appena un paio di
generazioni, fino a quando lImperatore Giustiniano regnante
a Costantinopoli volle tentare la riconquista delle perdute
province dOccidente, e lItalia fu teatro di una delle
guerre più devastanti della sua storia. Il re dei Goti Totila
radunò gli sparsi avanzi dei suoi dapprima battuti dai Greci e
corse la penisola come un uragano, distruggendo ogni città di
cui si impadroniva; Parma ebbe questa sorte, secondo alcune fonti.
O forse no; perche se la ritroviamo assediata da un ritorno
offensivo dei Greci, pochi anni dopo, vuol dire che era ancora in
piedi. E cacciati in fine i Goti, sotto il dominio bizantino si
ebbe il lucente titolo di Chrysopolis, la Città dOro,
perché fra le sue mura si custodiva il tesoro imperiale con cui
si pagavano i funzionari e lesercito.
Onore quanto aureo quanto effimero: quindici anni dopo
calavano dalle Alpi nuovi invasori, i Longobardi di Alboino, che
si impadronivano di gran parte deelItalia. A Parma come in
altre trentacinque città, fu insediato un duca, capo politico e
militare a un tempo.
Scarse sono le notizie sul periodo longobardo durato poco
più di due secoli; ad esso risale comunque la prima menzione di
un vescovo parmense, Grazioso, che nel 680 partecipò a un
concilio convocato da papa Agatone.
Nel 773 Parma e lItalia settentrionale mutarono di
nuovo padrone, con la discesa di Carlo, re dei Franchi e furono
Imperatore. Al duca si sostituì un conte, affiancato da uno
scabino o giudice; terre e castelli furono tolti ai vinti e
distribuiti in beneficio o feudo ai vincitori. I feudatari
andarono acquistando sempre più autorità , sottraendo molte
prerogative al conte, compreso il titolo, perché furono detti
conti rurali . Tre dinastie comitali sono ricordate come le più
ricche e potenti nei secoli IX-XI: la Supponide, la Bernardinga,
lArduinica. In città primeggiavano però i vescovi, che
andavano accumulandoprivilegi, esenzioni, terreni e prerogative.
Gia nel 857 il franco Wibodo, di stirpe imperiale nipote di
Carlo Magno, esercitava il potere temporale, col titolo di
signore di Parma e dimora in palazzo reale o corte regia. Saggio,
prudente, benefico ai sudditi, fedelissimo alla dinastia
carolingia, fu ricompensato con lucrosi donativi tra cui la
ricchissima badia di Berceto. I suoi successori sembra fossero
altrettanto abili, mantenendo e ampliando i loro poteri.
Sigefredo II ebbe per esempio dallimperatore Enrico II, nel
1004, lestensione del dominio vescovile tre miglia dalle
mura urbane, in ogni direzione; il suo successore Enrico, nel
1013 a tutto il contado di Parma;Ugo in fine, che cinse la tiara
vescovile nel 1027, ebbe da Corrado II la dignità di corte.
Dieci anni dopo accolse in città con grandi festeggiamenti il
suo imperiale benefattore, sceso in arma dalla Germania a
debellare altri vescovi padani riottosi alla sua autorità.
Quelle baldorie smodate finirono malissimo: bevvero tutti troppo,
tedeschi e parmigiani, gli scherzi degenerarono in oltraggi, si
mise mano alle spade e le soldatesche scatenate diedero alle
fiamme mezza Parma, sede episcopale compresa.
Il monarca aggravò i danni del suo soggiorno facendo
abbattere i baluardi, per punizione. Tuttavia i parmigiani gli
rimasero fedeli, e così ebbero in sorte unaltra batosta:
nel 1039, sotto le mura di Milano, le loro milizie unite a quelle
imperiali furono sbaragliate dagli ambrosiani,invasati di
travolgente furore bellico dalla notizia della morte improvvisa
di Corrado. Due anni dopo morì anche Ugo, e lambìto
vescovado di Parma fu acquistato a suon di danari dal veronese Càdalo.
Le fonti storeografiche lo tacciano unanimi di quasi tutti i vizi:
ignorante, prepotente,violento, corrotto, libertino,simoniaco.
San Pier Damianilo vitupera perché viveva in familiarità
con le femmine; affemminato egli stesso, incedeva indossando
ricchissime vesti e calzando scarpe rostrate in punta . Ma
poi gli concede una voce soave e armoniosa, cosicchépontificando
in chiesa, sapeva commuovere; da unlato con munificenza
largheggiava nelle donazioni; dallaltro usava prepotenza
nellusurpare diritti altrui.