La Storia di Parma dalla sua fondazione ad oggi
  Tratta dall’Enciclopedia di Franco Maria Ricci Parma.

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 Nell’anno 570 dalla fondazione dell’Urbe (citta’), corrispondente al 183 a.C.,  da Roma partirono duemila cittadini guidati dai triumviri Marco Emilio Lepido,Tito Ebuzio Caro e Lucio Quinzio Crispino. Poco meno della meta’ si insediarono attorno a Mutina, dove ottennero cinque iugeri di terreno a testa. Gli altri proseguirono lungo la Via Emilia, iniziata quattro anni prima, che era all’ora come un nastro di civilta’ tracciato fra acquitrini e boscaglie a congiungere le due estremita’ dell’ancor fresco dominio romano in quelle plaghe pantanose: Ariminum (Rimini) e Placentia  (Piacenza).

Si fermarono dove la strada incontrava uno dei tanti fiumi che correvano giù dall’Appennino verso il Po, si distribuirono la terra in ragione di otto iugeri a testa e cominciarono ad abbattere alberi e a raccogliere pietre per costruire una nuova città Che ebbe forma tonda e percio’ fu chiamata Parma, come lo scudo di cuoio dei veliti; nome adatto ad un insediamento agricolo militarecreato non solo per colonizzare ma anche per difendere la presenza dei pionieri romani in quella terra di Galli bellicosi e malfidi.

La colonia prosperò, i campi furono man mano prosciugati e seminati, si coprirono di messi e di armamenti, le pecore davano una lana apprezzatissima, i valenti cittadini parteciparono con una loro coorte alla conquista della Gallia Transalpina capitanata da Giulio Cesare, che grato onorò la città col titolo di Julia. Ma poi venne la guerra civile: assediando Bruto che si era chiuso in Mutina, Marco Antonio  si volse anche contro Parma che gli era ostile, e la distrusse.Una sdegnata invettiva di Cicerone compiange i poveri parmigiani, “uomini ottimi ed onesti”. Essi furono risarciti dal favore di Ottaviano vincitore e ricostruirono la loro patria più bella di prima: ebbe templi, terme, teatri e fori di cui oggi non restano che poveri cimeli. A tre buoni secoli di pax romana seguirono nuove sventure quando il vasto edificio imperiale cominciò a scricchiolare; già nella guerra tra Costantino e  Massenzio Parma subì incendi e devastazioni, e attorno al 377, narra lo storico Ammiano Marcellino il suo territorio era totalmente spopolato che l’Imperatore Graziano vi insediò una torma di barbari vinti e catturati. I Taifali, tribù affine ai Goti.

Il vero disastro avvenne però con la calata degli Unni di Attila nel 452, che investirono e distrussero la città, vuota tuttavia di abitanti; che all’approssimarsi dell’orda annunciata dalle colonne di fuggiaschi e dal fumo degli incendi s’erano tutti rifugiati sui monti dell’Appennino, fortificandovisi alla meno peggio.

Partirono quei feroci tornarono fra le rovine alcuni superstiti, mentre altri preferirono rimanere arroccati sulle montagne; nella diruta Parma e nelle sue campagne si istallarono altri barbari quando Odoacre, re di una accozzaglia di Eruli, Rugi, Turcilingi e Goti al servizio dell’utimo imperatore d’Occidente Romolo Augustolo, depose quell’ultima larva di sovranoper cingere la corona d’Italia nel 476 e assegnare ai suoi un terzo delle terre. La rinascita proseguiva poi con Odoacre diede a Parma non solo un Conte che la governasse ma anche un acquedotto, un ponte,  fontane, canali. Forse più che opere nuove furono restauri; comunque la città rifiorì ritrovando l’antica ricchezza.Quel benessere durò poco, appena un paio di generazioni, fino a quando l’Imperatore Giustiniano regnante a Costantinopoli volle tentare la riconquista delle perdute province d’Occidente, e l’Italia fu teatro di una delle guerre più devastanti della sua storia. Il re dei Goti Totila radunò gli sparsi avanzi dei suoi dapprima battuti dai Greci e corse la penisola come un uragano, distruggendo ogni città di cui si impadroniva; Parma ebbe questa sorte, secondo alcune fonti. O forse no; perche se la ritroviamo assediata da un ritorno offensivo dei Greci, pochi anni dopo, vuol dire che era ancora in piedi. E cacciati in fine i Goti, sotto il dominio bizantino si ebbe il lucente titolo di Chrysopolis, la Città d’Oro, perché fra le sue mura si custodiva il tesoro imperiale con cui si pagavano i funzionari e l’esercito.

Onore quanto aureo quanto effimero: quindici anni dopo calavano dalle Alpi nuovi invasori, i Longobardi di Alboino, che si impadronivano di gran parte deel’Italia. A Parma come in altre trentacinque città, fu insediato un duca, capo politico e militare a un tempo.

Scarse sono le notizie sul periodo longobardo durato poco più di due secoli; ad esso risale comunque la prima menzione di un vescovo parmense, Grazioso, che nel 680 partecipò a un concilio convocato da papa Agatone.

Nel 773 Parma e l’Italia settentrionale mutarono di nuovo padrone, con la discesa di Carlo, re dei Franchi e furono Imperatore. Al duca si sostituì un conte, affiancato da uno scabino o giudice; terre e castelli furono tolti ai vinti e distribuiti in beneficio o feudo ai vincitori. I feudatari andarono acquistando sempre più autorità , sottraendo molte prerogative al conte, compreso il titolo, perché furono detti conti rurali . Tre dinastie comitali sono ricordate come le più ricche e potenti nei secoli IX-XI: la Supponide, la Bernardinga, l’Arduinica. In città primeggiavano però i vescovi, che andavano accumulandoprivilegi, esenzioni, terreni e prerogative.

Gia nel 857 il franco Wibodo, di stirpe imperiale nipote di Carlo Magno, esercitava il potere temporale, col titolo di signore di Parma e dimora in palazzo reale o corte regia. Saggio, prudente, benefico ai sudditi, fedelissimo alla dinastia carolingia, fu ricompensato con lucrosi donativi tra cui la ricchissima badia di Berceto. I suoi successori sembra fossero altrettanto abili, mantenendo e ampliando i loro poteri. Sigefredo II ebbe per esempio dall’imperatore Enrico II, nel 1004, l’estensione del dominio vescovile tre miglia dalle mura urbane, in ogni direzione; il suo successore Enrico, nel 1013 a tutto il contado di Parma;Ugo in fine, che cinse la tiara vescovile nel 1027, ebbe da Corrado II la dignità di corte. Dieci anni dopo accolse in città con grandi festeggiamenti il suo imperiale benefattore, sceso in arma dalla Germania a debellare altri vescovi padani riottosi alla sua autorità. Quelle baldorie smodate finirono malissimo: bevvero tutti troppo, tedeschi e parmigiani, gli scherzi degenerarono in oltraggi, si mise mano alle spade e le soldatesche scatenate diedero alle fiamme mezza Parma, sede episcopale compresa.

Il monarca aggravò i danni del suo soggiorno facendo abbattere i baluardi, per punizione. Tuttavia i parmigiani gli rimasero fedeli, e così ebbero in sorte un’altra batosta: nel 1039, sotto le mura di Milano, le loro milizie unite a quelle imperiali furono sbaragliate dagli ambrosiani,invasati di travolgente furore bellico dalla notizia della morte improvvisa di Corrado. Due anni dopo morì anche Ugo, e l’ambìto vescovado di Parma fu acquistato a suon di danari dal veronese Càdalo. Le fonti storeografiche lo tacciano unanimi di quasi tutti i vizi: ignorante, prepotente,violento, corrotto, libertino,simoniaco. San Pier Damianilo vitupera perché “ viveva in familiarità con le femmine; affemminato egli stesso, incedeva indossando ricchissime vesti e calzando scarpe rostrate in punta” . Ma poi gli concede una voce soave e armoniosa, cosicché”pontificando in chiesa, sapeva commuovere; da unlato con munificenza largheggiava nelle donazioni; dall’altro usava prepotenza nell’usurpare diritti altrui”.

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