Nota per la Stampa da parte di Alessandro Fogliati, che partecipa all’Assemblea di Telecom Italia quale azionista in proprio, portatore di deleghe e presidente dell’ADAS, l’Associazione dei dipendenti azionisti.

 

 

Telecom Italia ha una peculiarità che la distingue rispetto sia alle altre grandi utilities italiane sia ai suoi diretti concorrenti europei: la privatizzazione del 1997, pressoché integrale e in un’unica soluzione, realizzata per far cassa nel vuoto drammatico di un progetto di struttura azionaria capace di sollecitare e sostenere obiettivi industriali all’altezza dei tempi. Peculiarità che sta duramente pagando: la società si è infatti trovata esposta, come nessun altro grande soggetto imprenditoriale, alla drammatica assenza in Italia di quelle regole e istituzioni adatte ad un’economia moderna.

 

Gli azionisti dovrebbero potere oggi approfondire le politiche e le strategie del Gruppo, partendo dal bilancio 2000 e dai primi risultati del 2001 ed essere messi nelle condizioni di valutare le scelte industriali e organizzative fatte da un azienda ormai multinazionale, la loro congruità rispetto agli scenari di mercato e tecnologici e le conseguenze di tali scelte al variare dei presupposti assunti.

L’ennesima crisi che ha colpito la Società, o forse solo gli uomini che la governano, sembra invece porre l’accento su altre questioni.

 

Da parte mia desidero insistere sul debole assetto normativo di tutela delle minoranze e di controllo societario che rende poco apprezzabile l’impianto di Corporate Governance di Telecom Italia, che sembra vacillare di fronte all’offensiva del conflitto di interesse e sull’altrettanto debole statuto della Società, che riporta ancora norme che risalgono alla “golden share”, che prevede un CdA con pochi rappresentanti delle minoranze, eletti con il voto di lista. Consiglieri che poi si dimettono senza forse preavvisare coloro che li hanno eletti, creando sconcerto e ponendo la Società in situazioni critiche in termini di credibilità e di fiducia. Consiglieri, che saranno certamente sostituiti con persone designate dagli stessi azionisti (nel caso specifico i Fondi e il Tesoro).

 

Non ci si deve quindi lamentare se i piccoli azionisti sono usciti in massa da Telecom Italia. Sono loro infatti i primi ad essere stati tartassati. Nessuno finora ha messo l’accento sull’attuale assetto azionario: la quota in mano ai piccoli azionisti è scesa allo 0,93% (era il 5,62% a fine giugno 2000 e il 7,25% a fine 1999). Olivetti 54,99%; Tesoro 3,46%; istituzionali 40,62% di cui 29,56% estero. Il che vuol dire che il milione e mezzo di azionisti di fine 1997 si è ridotto a 50-60 mila (i dipendenti azionisti da 100 mila a 25 mila?). A chi va il merito? Certamente in buona parte al Tesoro: non potevano far parte del “nocciolo duro” (agosto 1997), alla prima assemblea di Telecom Italia privata (novembre 1997) non sono stati ammessi in quanto pagavano le azioni ricevute dal Tesoro tre giorni dopo; azioni che avrebbero potuto rivendere subito!

Viene quindi oggi una domanda, il Tesoro a chi cederà le azioni di risparmio che non intende convertire? Quando e a chi cederà le azioni ordinarie? Visti gli errori del passato porrà rimedio con una offerta al pubblico e ai dipendenti con modalità diverse? Forse il nuovo Governo sarà più attento del precedente.    Ripresenteremo fiduciosi al nuovo Ministro l’ultima richiesta fatta nel mese di dicembre scorso.

 

In Assemblea, potremo esaminare anche gli ulteriori documenti preparati dalla Società su richiesta Consob. Confido che anche la vicenda “giudiziaria”, posto che si sia effettivamente aperta, si chiuda al più presto. Intanto,chi pagherà i danni che ha subito la Società e noi azionisti? Qualcuno ci dirà che dobbiamo anzi ringraziarli per avere svolto un ruolo non adeguatamente assolto da altri?

 

 

 

 

Torino, 12 giugno 2001

 

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Si veda una ricostruzione della vicenda Seat/Tin.it.