Cara Giorgia,

sono convinto che noi, la nostra famiglia, sia protesa verso il bene. Credo che un tratto genetico ci impedisca la cattiveria verso gli altri e questo ci garantisce, al di là del benessere materiale, la serenità interiore che è una componente importante della felicità. Dunque non ci sono problemi, non ci sono stati problemi e non ci saranno problemi.

Però è necessario riflettere, sempre, sulla realtà che ci circonda, altrimenti siamo costantemente in balia del caso e degli avvenimenti senza che ne siamo i veri protagonisti.

Il senso del bene collettivo e la consapevolezza della vita portano necessariamente a una visione "politica" di sinistra o, se preferisci, progressista. È inevitabile. Potresti chiederti come mai il nonno Elio che è ricordato come una persona buona e intelligente avesse simpatie per il fascismo di allora: viveva in un paese del meridione, il suo ideale era nato in un periodo di scarsa coscienza della realtà lavorativa, sociale, sindacale che, invece, attraversava il Nord. Insomma, la sua adesione a quelle "fantasie" politiche derivava proprio dal vivere in un limbo inconsapevole.

Invece tu sai che oggi, oltre ad essere protesi verso il bene, dobbiamo mantenere viva e costante la consapevolezza delle cose individuali e collettive, personali e politiche. Perciò siamo di sinistra.

Norberto Bobbio distingue Destra e Sinistra in base al principio di inclusione - esclusione. La destra è imperniata sull’attenzione verso l’individuo e le sue necessità, sulla cura dei gruppi di interesse (le lobby) che, proprio per interesse, devono escludere dai propri obiettivi i non appartenenti. la Destra inventa gli stranieri, gli extracomunitari, i negri, i comunisti, gli immigrati in genere e via dicendo. Ma anche gli appartenenti a un altro paese, a un’altra regione, persino ad un’altra corporazione lavorativa. La Sinistra è per sua natura inclusiva, si fa carico dei problemi, dove questi si manifestano e chiunque ne sopporti il peso.

In termini molto semplici, tu sai che è, per così dire, di destra il ragazzo o la persona che è molto attenta al proprio interesse, al proprio benessere, alle proprie necessità (questi possono valere per tutti), ma guardando se stesso nel ristretto cerchio della propria vita quotidiana: la famiglia, gli amici, il quartiere, la città. Una persona "di sinistra" è portata a sollevarsi un po’ per guardare la propria condizione in un ambito più vasto. Comprendere la relatività dei nostri valori, la limitatezza e particolarità della nostra condizione per sentirci parte di un universo più vasto e problematico è "di sinistra.

Del resto le cose non è detto che rimangano per sempre immutate. La lettura degli avvenimenti mondiali ci insegna che la Storia è ricca di rivoluzioni e grandi moti che hanno sconvolto quelle che sembravano condizioni eterne. Dunque chi assume un atteggiamento consolatoriamente miope e valori esclusivamente personali, semplicemente nasconde a sé l’eventualità che tutto possa cambiare sotto la spinta degli esclusi. Certo, si può attendere e poi adattarsi, reagire, prendere provvedimenti e intanto vivere il proprio benessere. Troppe volte la storia ha dimostrato la follia di questa fiducia, contraddicendola.

In un certo senso, la panoramica più ampia (e inclusiva) del pensiero di una persona di sinistra nel momento in cui guardi verso se stessa, è comprensiva della vastità del mondo e dei suoi problemi e, nello stesso tempo più prudente. Il che non è male.

E veniamo alla scuola.
Uno slogan ripetuto dal dopoguerra ad oggi, soprattutto dagli anni 60, è quello che sostiene il "diritto allo studio". È uno slogan di sinistra derivante dalle rivendicazioni delle categorie più deboli desiderose di accedere alle carriere, alle professioni, ai ruoli intellettuali e di potere in modo democratico e civile.

Un altro slogan, il "dovere dello studio", è proprio delle categorie più forti, affermate e timorose che classi subalterne approfittino della distrazione dei propri figli per carpire, attraverso un maggior impegno di studio appunto, le posizioni di potere.

Riguardo alla seconda espressione non ci sono commenti. Quanto al primo slogan e alle "categorie deboli", invece si. Per mia sfortuna so cosa siano le categorie più deboli di quelle deboli. Queste ultime, per il solo fatto di essere definite, accomunate da caratteri di massa, capaci di esprimere rivendicazioni collettive, proteste e slogan, possiedono implicitamente una grande forza che è quella distribuita tra i pari da un deciso senso di appartenenza. Poi ci sono i veri emarginati, i non sindacalizzati, i non organizzati e per i quali la "società" non considera valga la pena la definizione e l’identificazione collettiva, i non protetti dal sistema dell’informazione perché non fanno "audience".

In grande, poi, ci sono i paesi dimenticati, quelli senza risorse del sottosuolo, quelli in posizioni non strategiche, quelli dimenticati da dio e dagli uomini.

Io so cosa voglia dire non appartenere neppure alle categorie deboli. E trovare il coraggio, millimetro dopo millimetro, granello di sabbia che ti precipita indietro dopo granello di sabbia che ti regge, di uscire da una condizione umiliante e offensiva, precaria e senza speranze apparenti. Lo so per ciò che ho vissuto e per ciò che ho osservato intorno a me.

In questi giorni mostrano le ragazze Afgane che hanno tolto il burka, e poi le mostrano finalmente (dicono) nelle scuole dalle quali sono state escluse. Così mi è venuto in mente un terzo slogan che sento più vero: il privilegio dello studio.

Certo, uno slogan come "il privilegio dello studio", appare fuori luogo in un paese occidentale e benestante come il nostro. Tutti possiamo studiare, che privilegio è? che senso ha esclamare (almeno col pensiero) davanti a un liceo classico di élite, uno scientifico, un linguistico… "il privilegio dello studio"?

Ma noi, noi di sinistra, noi che siamo per il bene collettivo e per l’inclusione, per un costume non prevaricatore della condizione altrui, per l’accoglienza di ogni altro uomo, civiltà, paese, regione del mondo nella nostra personale contabilità - materiale ed esistenziale - non siamo mai soltanto davanti a un liceo classico di élite, uno scientifico, un linguistico. Siamo col pensiero anche in Afganistan, nel Tibet, in Palestina, in Groenlandia o in Iraq, in Algeria o in Somalia, in Argentina e in Colombia. Dovunque qualcuno tenti di risollevarsi, dovunque qualcuno combatta per la sopravvivenza e il riscatto dall’emarginazione. Dovunque l’istruzione sia vista come un privilegio da conquistare. E la nostra contabilità deve comprendere quei dovunque, sempre.

Come può il nostro costume rimanere indifferente al "senso ampio" delle cose, quando allarghiamo la nostra esperienza a quella del pianeta? come possiamo sottrarci al senso di preziosità di ciò che ci è concesso (compresa la possibilità di istruzione), come possiamo svilire consumisticamente ciò che per altri sarebbe una ineguagliabile conquista?

A meno che non ci convertiamo al Berlusconi pensiero delle elemosine, elargizioni, della carità pelosa e cattolico missionaria. Allora possiamo ancora per un po’ vivere di rendita, occuparci di noi stessi e del nostro limitato benessere, curarci del nostro piccolo mondo.

Ma non credo sia possibile, perché noi, la tentazione è sempre quella di dire "per motivi quasi genetici", noi siamo quelli destinati al bene, Giorgia mia… Comunque rimane sempre la libertà di decidere da che parte stare. Ma una volta che la decisione è presa, non è possibile tirarsi indietro. Almeno di fronte alle questioni fondamentali. Così è il diritto, il dovere, il privilegio (decidi quello che ti sembra più adatto) di istruirsi.

Papà tuo

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