La felicità di mia madre

Con la dovuta approssimazione del termine, potrei dire che mia madre sia una donna felice.
È nata nel 1926, perciò sta per compiere i settantotto anni. La maggior parte di questi trascorsi, come capita a quasi tutti, lottando con la vita e con gli avvenimenti: basta pensare alla perdita di suo marito, mio padre, appena quarantaduenne e alla responsabilità di tre figli ancora minorenni. Ovviamente altre circostanze economiche, sanitarie e sociali renderebbero meglio il quadro, ma non è il caso di riportare ciò che è facilmente immaginabile.
Credo che il più significativo dei suoi motti riguardo all'esistenza sia questo: "La vita è come una commedia di cui siamo tutti attori, dunque conviene recitarla bene. Altrimenti si rischia di trasformarla inutilmente in tragedia".
Naturalmente, con la sua quinta elementare, non è colta nel vano senso comune del termine, né letterata. Però è nata anticonformista - ribelle, direi, alle consuetudini imposte e alle regole senza senso. E la sua ribellione arriva all'eccesso quando si tratta di vincoli prodotti arbitrariamente dalle persone e dalla stolida invadenza degli oggetti: butta tutto via, ripulisce, seleziona, scarta, rifiuta, elimina, fa sparire ogni cosa che costituisca ipoteca al suo spazio vitale e domestico.
Il suo grande armadio quattro stagioni è una meraviglia, davvero! Aprirlo non significa solo essere pervasi da profumi di fresco e pulito ma, anche, osservare un perfetto ordine che - non so proprio per quale misterioso motivo - sfugge assolutamente al carattere di maniacale e persino al senso della pignoleria. Tutto è disposto in un ordine geometrico e, direi, quasi cromatico. Indumenti appesi e ripiegati stanno disposti come nuovi in una boutique e separati per funzione, composizione, dimensione e condizioni climatiche.
Così il resto dei suoi mobili: stoviglie, documenti, libri e fotografie, strumenti per i lavori domestici e attrezzi per il giardino costituito dal suo minuscolo balcone. Tutto in ordine e, oltre che in ordine tutto ridotto all'essenziale. Forse una certa ridondante varietà regna in dispensa, ma si sa che i tempi ciclici delle provviste, delle conserve, delle salse e dei liquori casalinghi sono molto lunghi.
Lo scopo della vita di mia madre - che legge, viaggia, assiste a rappresentazioni liriche, cammina in montagna, segue gli spettacoli televisivi - è quello di riprodurre e poi crescere, assistere, sostenere, nutrire, ospitare: figli e poi nipoti e poi, se dio vorrà, pronipoti. La sua casa - non di rado affollata da una dozzina di ospiti familiari - è il luogo in cui ci si ciba di tutte le cose che lei stessa prepara con infaticabile manualità e con bravura culinaria e senza troppa passione per la cucina.
Vive della sua pensione raggranellata tardivamente col lavoro da dopo la morte di mio padre e di quella di reversibilità, abita in una casa in affitto ed è in attesa che l'Ente proprietario avvii la vendita agevolata degli alloggi, ben decisa ad accendere un mutuo, nel caso.
Il segreto della sua felicità, penso, è questo: guarda avanti con la nostalgia non tanto del passato, quanto di ciò che il passato le ha tolto. E si capisce di cosa si tratti. E "avanti" ci sono niente meno che i frutti di quel suo matrimonio precocemente - ma solo materialmente - interrotto.
Se, per ognuno di noi, la nostra identità e il nostro essere traggono certezza dai segni visibili di noi stessi che possiamo scorgere intorno a noi, tra gli altri, tra le altre cose - mia madre è rassicurata circa il proprio significato da quelle vite che la circondano, che incessantemente da lei traggono diverso nutrimento, che lei percepisce nella convinzione che nulla vada perduto. Anche senza alcuna domanda sul senso e sullo scopo: per istinto forse, per un istinto che la accomuna a donne silenziose di ogni continente, a tante madri Maria di questo mondo, ai più riservati ordini monastici femminili. A una forma di fede vitale e vitalistica, insomma.
É naturale che io mi chieda cosa mia madre abbia trasmesso a me, a noi figli e nipoti, anzi: cosa abbia trasmesso e cosa trasmetta tutt'ora. La risposta, naturalmente, non è semplice, e come tante risposte non potrebbe essere esaustiva ma ricca di inevitabili contraddizioni.
Nonostante mezzo secolo di contaminazione genovese, il suo fatalismo meridionale e levantino (visto che è nata a Otranto, nel punto più ad est del nostro paese) è rimasto intatto, preservandola dalla lamentosità preventiva e postuma di questa terra ligure. Un fatalismo che non assomiglia a quello che attribuiamo - forse ingiustamente - a certi popoli orientali e rassegnati. Un atteggiamento, invece, che protegge da quell'abbattimento che deriva, in parte, dal ritenere se stessi sciagurati responsabili delle proprie disgrazie.
Ma, fuori da ogni generalizzazione riduttiva, il sentimento più radicato, profondo e connaturato che inevitabilmente ha alitato anche su di me, è quello della specialità. Nei racconti della sua giovinezza (ribelle, criticamente scettica e, a suo modo, rivoluzionaria) distingue le persone notevoli - non speciali, perché nessuno è speciale, piuttosto è "con qualcosa di speciale" dentro - da tutto il resto del mondo familiare, paesano, cittadino e regionale. Soprattutto un nonno sapiente con una visione senza tempo del bene e del bene del prossimo, lettore della bibbia, delle storie dei reali di Francia, delle cose della natura e dei moti degli animi umani. Poi amiche mai dimenticate dalle vicende tragicamente romanzesche e speciali corteggiatori poeti e l'unico amore vero della sua vita, mio padre.
Mi ha trasmesso tutto ciò insieme al peggiore amor proprio che si possa immaginare e persino una piccola dose di femminilità dell'animo indispensabile per non sopravvivere ottusamente.
Così è mia madre e così la sua pur preoccupata felicità. E a chi mi chiedesse se lei rappresenta per me l'ideale immagine femminile risponderei di non saperlo, anzi di no. La mia stessa vita, per come è stata e per come sta proseguendo, non è che non conosca la dedizione paterna insieme alla premura familiare con tutte le incombenze domestiche. Dunque mia madre rappresenta per me un ideale di vita individuale, maschile o femminile che sia, protesa sino al sacrificio nel servizio verso le persone care - per familiarità e per altri legami.
Così è la felicità di mia madre e, per lei, di tutti quelli che, pur mostrando per pudore di non accorgersene, molto volentieri le stanno vicino, intorno, accanto.

L'entrata del laboratorio