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                                         Per l'Italofonia
                                                                                        Estetica Avanguardia

                                                                                                                                                                                                                                           

 

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I

 

I fautori del nuovo ordine globalizzato sono ben consapevoli che la coartazione del linguaggio consiste nel primo passo verso il controllo ideologico delle moltitudini. Non a caso stiamo assistendo al progressivo insinuarsi di termini stranieri di origine anglo-americana nella nostra lingua nazionale. Non si tratta di un fenomeno dovuto alla maggiore interdipendenza culturale (i termini italiani entrati nel linguaggio americano sono pochissimi e solo circoscritti alla sfera culinaria e teatrale), bensì stiamo assistendo a una vera e propria colonizzazione culturale pianificata a tavolino e attuata in primis dalla dittatura mediatica oggi imperante. Se è vero infatti che nell'italiano corrente sono stae inglobate molte parole inglesi, pochissime sono quelle italiane entrate nella letteratura britannica contemporanea (capita di trovare qualcosa solo in Irvine Welsh). La nostra colonizzazione lessicale si limita ormai a qualcosa in campo enogastronomico e in parte al linguaggio tecnico della musica. Ma è inutile ripetere che un conto è un lessico settoriale, basato su un’arte prestigiosa, altro conto è la massiccia colonizzazione proveniente dagli scarti anticulturali della tivù, di hollywood, dell'hip hop ... La corruzione della lingua infatti, intesa come strumento per trasmettere e veicolare il pensiero, è oggigiorno uno dei più gravi e incontestabili sintomi della caduta verso il baratro delle culture nazionali europee... In questo caso, poi, la radice è bicipite: servilismo nei confronti dell'area massonico-statunitense-angolosassone e compiacimento nel riconoscere come "migliore" un idioma dalle scarne proprietà espressive e proprio per questo facilmente esportabile nel mondo in quanto “unica lingua franca” possibile... (in realtà anche l'inglese possiederebbe straordinarie possibilità espressive se non fosse utilizzato nella sua forma standardizzata di “grimaldello mondialista” ; basti pensare a Shakespeare o a Milton, così come M.A.K. Halliday per quanto riguarda l'inglese moderno). Eppure la nostra lingua così piena di innumerevoli sfumature semantiche sarebbe benissimo in grado di ricreare nuove parole, tali da garantire l’ assorbimento degli elementi anglofoni e metabolizzarli a proprio vantaggio (come già avvenne per i barbarismi, per i francesismi, etc.). I fautori del mescolazionismo lessicale in tal senso affermano che la lingua di Dante e di Petrarca non è in grado di elaborare un nuovo termine per indicare un nuovo oggetto, un’ azione o un comportamento innovativo. Più subdolamente sono soliti addurre la “favola” dell’arricchimento attraverso il contatto con altre culture; teoria secondo la quale la globalizzazione linguistica non porterebbe alla standardizzazione univoca bensì alla rielaborazione localizzata e differenziata. Per tali soggetti ad esempio, senza la parola "boomerang" (presa dagli aborigeni australiani per indicare quell’oggetto) non avremmo saputo definire quel particolare manufatto, creando solo un'ulteriore complicazione, e aggiungendo di fatto un ulteriore nuovo significato ad una parola già esistente, col rischio di renderla incomprensibile a tutti gli italiani e soprattutto ai popoli stranieri. Tuttavia, il problema della corruzione linguistica è ancora più grave quando si ricorre all’uso di parole inglesi, o di qualsiasi altra lingua (ma di solito inglesi) anche quando esiste una parola italiana perfettamente rispondente alla bisogna. Infatti, in tal caso “rispolverare” il termine italiano sarebbe per i globalizzatori sintomo di un’animalesca e bestiale resistenza verso ogni forma di progresso. In verità l’abuso di termini anglofoni è sintomo di scimiottamento semantico, di esibizionismo culturale simbolo a sua volta di pura ignoranza, e di una volontà ingenua di nascondere i propri vuoti culturali (oltre ad altre motivazioni che non cito perché la mia non vuole essere una trattazione esaustiva). In poche parole oggigiorno sfoggiare l’inglese diventa necessario se si vuole assurgere al ruolo di intellettuali al passo coi tempi. Quante volte abbiamo visto i personaggi più ignoranti infarcire i propri discorsi di termini inglesi per darsi arie di persona colta, per accattivarsi le simpatie di un uditorio ritenuto progressista ed all’avanguardia! Ma la cosa più scandalosa è quando si arriva a storpiare la stessa grammatica italiana (traduzioni talmente letterali, da rispettare la sequenza inglese delle parole invece di quella italiana, per esempio), o quando addirittura la grammatica cerca di assecondare nuove forme espressive di gestualità, introducendo di fatto comportamenti culturali anglosassoni nel costume nazionale. Ad esempio in merito a questo problema dell'inquinamento grammaticale, risulta evidente che uno scorretto uso di un termine inglese, riportato in italiano in maniera scorretta, potrebbe generare confusione per il mancato rispetto della posizione della parola nella grammatica italiana. Ad esempio la traduzione letterale “una olio-lampada”, cosa sarebbe in italiano un olio o una lampada ? Ma le vertigini della perversione lessicale si toccano quando parole inglesi vengono usate al posto delle corrispondenti italiane, e in più lo si fa in maniera grammaticalmente errata… (per la serie al “peggio non c’è mai fine”)… Inquietante in tal senso è quel "mi piace quel videogames" (usando il plurale dove sarebbe stato necessario il singolare) o "arrivarono due karatekas" (usando, in italiano, un plurale inglese per una parola giapponese, che al plurale fa "karateka"). Ad ogni modo il problema della colonizzazione linguistica è solo squisitamente politico e lo sappiamo bene. Innanzitutto va detto che l’inglese non è affatto la lingua più parlata del mondo e come tale debba assurgere al rango di lingua universale. Infatti, anche a prescindere dagli stati più popolosi come India, Cina, Nigeria, è lo spagnolo oggi ad essere più espansivo insieme all’arabo… Ecco allora che dietro la diffusione dell’anglofonia si celano soprattutto ragioni di controllo sociale e di condizionamento delle iper-masse. Infatti, i corpi separati che tirano le redini della globalizzazione sanno bene che una lingua è il miglior strumento per veicolare determinati comportamenti culturali e determinati sistemi di valori. Non a caso il filosofo tedesco Jonas, affermava che la lingua è il modo di pensare e di sentire di una civiltà e il tipo umano che lo parla è costretto ad adottare le categorie, i concetti, le emozioni di quella particolare cultura, abbassandosi e adattandosi ai suoi strumenti espressivi. In parole povere il modo di sentire e di pensare di un popolo è indissolubilmente connesso alla sua lingua parlata e scritta. A tal proposito è bene citare il libro del 1969 di Cortellazzo sulla dialettologia italiana, nel quale l'autore faceva giustamente notare come la prima ondata di termini anglo-americani del secondo dopoguerra non sia circoscrivibile a uno sbrigativo elenco di anglicismi, ma abbia avuto notevoli ripercussioni sul costume e sui gesti degli italiani. In tal senso citava a titolo esemplificativo solo la parola “ok” e il gesto delle dita incrociate per scaramanzia, ma sarebbe veramente interessante stenderne un elenco, soprattutto dopo che decenni di cortometraggi hollywoodiani hanno instillato determinati canoni lessicali e comportamentali: ad esempio; il "tu" facile; le pacche sulla spalla a chi non si conosce; il dito medio opposto alle altre dita chiuse a pugno (*);la camminata (sia dell'uomo che della donna); la risata (avete presente la risata sonora in cui si vede l'ugola, mostrata da un Clinton anche in contesti formalissimi). E, dicevo più sopra, da non dimenticare l'influsso delle parole e dei comportamenti veicolati dalle mode musicali negroidi, specie le più recenti (l'hip hop può definirsi un figlio del jazz de-bianchizzato) e specie sui settori giovanili e sulle classi popolari e urbane. Se Eminen rappresenta l'assimilazione completa dello stile gestuale-lessicale-sintattico negroide nel bianco anglosassone (vedasi "The Real Slim Shady": la testa che si muove al ritmo del tamburo, i "mudra" manuali in codice), gli Articolo 31 per quanto ci riguarda ne sono il corrispondente qui da noi (l'andata ciondolante, il fare da ghetto-boy, gli sforzi per sgrammaticarsi e per creare un “italiano del ghetto”) ... Tuttavia, il dilagare dell’inglese nel nostro linguaggio quotidiano non è l’unica seria minaccia alla nostra indipendenza lessicale e quindi culturale. Infatti vi è una serie innumerevole di altre lingue minori, ovvero quelle delle comunità allogene orami accampatesi su tutto il territorio nazionale, che pian piano stanno erodendo il primato dell’Italiano. In tal senso e’ inquietante vedere come secondo gli ultimi dati elaborati dalla Caritas su fonti del ministero dell’interno la lingua romena venga parlata da 239 mila entità allogene, seguiti da 227 mila marocchini, l’ Ucraino poi con 120 mila, i cinesi con 97 mila, i filippini con 74 mila. E’ chiaro che il risultato di tale progressivo affiancarsi alla nostra lingua nazionale darà luogo alla nascita di un lessico mutante e mostruoso, (i cosiddetti ibridi: ovvero lingue in cui a livello lessicale prevarrà l’italiano e a livello fonologico/sintattico la lingua degli immigrati. Un esempio lampante è dato dal wes-kos nell'Africa vittoriana, oppure dal subfrancese che si parla ormai nelle banlieu parigine, dove il congiuntivo, è scomparso; le frasi sono composte da 5-6 parole massimo, niente congiunzione di coordinazione, niente pensieri articolati, solo eruttazioni condite con insulti ad ogni occasione, in ogni contesto relazionale. I figli degli immigrati di terza e quarta generazione arrivano in terza media e scrivono ormai in pura fonetica… L’"africanizzazione del francese è ormai più che un’ipotesi di studio. Per dare infine una visione completa dell’attacco concentrico a cui è sottoposta l’integrità della lingua nazionale, va menzionato il tentativo di alcune forze antinazionali di indebolire l’italiano tramite una maldestra legittimazione linguistica dei dialetti locali. Badate bene la cosa non sarebbe negativa se il fine ultimo della rivitalizzazione delle parlate locali fosse quello di rafforzare l’identità nazionale tramite un recupero della tradizione pre-unitaria, anche a livello fonologico lessicale. Ma qui l’operazione si tinge delle tinte fosche di uno sterile nostalgismo, di un maldestro tentativo finalizzato a fomentare una campagna anti-italiana ponendo in antitesi la nostra lingua con qualche parlata valligiana. Infatti, seppure da salvaguardare e valorizzare, i dialetti non possono in alcuna misura andarsi a sostituire alla lingua italiana pena un suo ulteriore indebolimento, a favore quindi della diffusione definitiva dell’idioma mondialista per eccellenza, ovvero l’inglese. Ecco allora che la nostra liberazione nazionale passa innanzitutto attraverso una purificazione del nostro linguaggio individuale, eliminando tutti i termini simbolo della colonizzazione anglo-americana, ma non solo… Si tratta infatti di lanciare una controffensiva su scala mondiale per la diffusione della lingua italiana, per una sua rapida espansione. Segnali confortanti vi sono in tal senso (a livello accademico si riscontra un sempre maggiore interesse per la nostra lingua), ma si potrebbe ottenere molto di più se le autorità nazionali decidessero di coinvolgere le comunità di nostri connazionali sparse nel mondo. Abbiamo decine di milioni di italiani d'origine nel mondo, che oltretutto hanno mantenuto una buona "purezza" etnica e culturale, che andrebbero riavvicinati alla madre-patria tramite una seria politica linguistica. Sarebbe il segno tangibile e concreto della nostra volontà di opporci all’asservimento, all’appiattimento su un'unica cultura che non ci appartiene, e rispetto alla quale possiamo vantare tradizioni millenarie di civiltà. Perché solo passando all’attacco sarà possibile respingere la minaccia anglofona. Tuttavia questa battaglia per la dignità dell'Italofonia non deve e non può essere una prerogativa esclusiva delle forze nazionali, (alle quali ovviamente spetta il ruolo di avanguardia culturale), ma deve coinvolgere ampi strati della società italiana. In tal senso recentemente vi sono state prese di posizione trasversali a favore dell’idioma nazionale da parte di personaggi influenti: il sociologo Alberoni con un articolo in prima pagina sul Corriere della Sera, il presidente della Camera a una recente riunione dell’Accademia degli Incamminati con una relazione denuncia contro l’egemonia dell’inglese. Non è molto, ma bisogna muoversi su questa strada perchè quando un popolo è allo sbando, la lingua non può fare altro che seguirlo nel baratro... Ne va della nostra indipendenza nazionale e quindi della libertà di ognuno di noi, perchè un uomo padrone della propria lingua è un uomo difficile da conquistare

 

 

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