Kahlil Gibran 1 - 2

 

 

 

Per sempre me ne camminerò su questi lidi,
tra la sabbia e la schiuma del mare.
L'alta marea cancellerà le mie impronte,
e il vento disperderà la schiuma.
Ma il mare e la spiaggia 
dureranno in eterno.

 

 

Kahlil, nasce a Bisherri, un villaggio nel Libano settentrionale, il 6 gennaio 1883, si chiamava Gibran Kahlil Gibran e quando emigrò negli, Stati Uniti a dodici anni e cominciò a frequentare le scuole americane, il nome gli fu abbreviato e cambiato e per questo, nei suoi scritti in inglese, la sua firma è Kahlil Gibran.

I genitori sono cristiani maroniti, cioè cattolici della Palestina settentrionale, ha due sorelle, Mariana e Sultana, e il fratellastro Boutros, nato dal primo matrimonio della madre, rimasta vedova.
La sua formazione si può ricostruire attraverso gli anni neoplatonici e paganeggianti di Boston, ove emigra nel 1894 con la madre, i fratelli ed alcuni zii. Sono gli anni dell'emigrazione araba verso gli Stati Uniti e il Brasile.
Il padre, semialcoolizzato, rimane in Libano, Gibran non avrà un buon ricordo del rapporto con lui.
E la madre, Kamele Rahmè, gli trasmette la religiosità e i valori umani della sua tradizione culturale.
A 14 anni Kahlil torna in Libano per frequentare la scuola superiore all' Hikmè di Beirut. In questo periodo si imbatte nel classicismo libanese che separa abissalmente i ricchi dai poveri, l'aristocrazia ed il clero dal popolo.
Completati gli studi, nel 1897, viaggia attraverso il Libano e la Siria. Vi fa ritorno nel 1902 come guida e interprete di una famiglia americana, ma presto deve rientrare a Boston a causa della malattia della madre, che muore di tisi l'anno seguente, come Sultana e Boutros.
A Boston, nel 1904, conosce Mary Haskell, l'incontro più importante della sua vita. Mary sarà sua protettrice, amica, musa, e più tardi curatrice delle sue opere. Si sono incontrati all'esposizione di alcuni quadri di Kahlil presso lo studio di un amico fotografo. Mary che ha 10 anni più di lui, è preside di una scuola femminile. Grazie a lei Gibran studia pittura a Parigi, tra il 1908 e il 1910, all'Acadèmie Lucien. Legge Voltaire e Rousseau, Blake, Nietzsche; scrive "Spiriti Ribelli", pubblicato in arabo nel 1908, una breve raccolta di racconti dal tono aspro e nostalgico sulla società libanese.
Tornato negli Stati Uniti, va a vivere a New York dove comincia ad essere conosciuto come pittore. Nel 1918 pubblica il suo primo libro in inglese, "Il Folle". Vive tra gli artisti del Greenwich Village. Insieme a Mikhail Naimy e il principale animatore di un'associazione letteraria Siro-Libanese, al-Rabitah, nata a Boston e New York tra letterati e pittori arabi d'oltre oceano, i Mahjar.
Gibran vuole portare avanti una "rivolta contro l'occidente tramite l'oriente", parole scritte in occasione della pubblicazione de "Il Folle", cioè contro il decadentismo dell'occidente e il tradimento del suo stesso Romanticismo. Allo stesso tempo sente il bisogno di un rinnovamento formale e contenutistico della letteratura araba, per esempio si libera della poesia monorima e quantitativa (da Qasida) per il verso libero. Gibran è stato preceduto nel secolo scorso da Al Bustani e da Marrash, due importanti scrittori del filone cristiano-orientale, che si è sviluppato nel XVI secolo. Si differenzia da loro per l'uso del linguaggio: mentre Marrash attinge tanto alla filosofia, quanto all scienza, Gibran ha un vocabolario più limitato ma è più attento all'effetto artistico, anche se questo può sembrare strano agli europei che trovano più determinante per Gibran "il messaggio" dell'opera rispetto alla "letteratura". Nel nuovo continente egli si inserisce nella poesia americana sulla scia di Thoreau, Whiteman, Emerson (che stimò in modo particolare), poeti naturalisti di tradizione protestante e predicatoria.
Spesso pubblica dei disegni insieme alle opere, mai lunghe. Sembra che Auguste Rodin lo abbia definito "Il William Blake del XX secolo". Le prime biografie di Gibran, scritte da chi lo frequentò molto negli ultimi anni, come Mikhail Naimy e Barbara Young, e in parte dettate da Kahlil stesso, non sono tuttavia completamente affidabili, in quanto tendono ad alimentare il ruolo di Guru che molti ammiratori già vedevano in Gibran. Il primo studio serio su di lui è quello di Kahlil S. Hawi, pubblicato a Beirut nel 1972.
La salute di Gibran è piuttosto minata negli ultimi anni di vita che trascorre tra New York e Boston, dove vive e lavora sua sorella Mariana. Muore a New York, di cirrosi epatica e con un polmone colpito da tubercolosi, il 10 Aprile 1931. Gibran è sepolto in un antico monastero del suo paese d'origine, in un giorno di pioggia, accompagnato da pochi amici, tra i quali Barbara Young, (Le parole dette: "Il corteo funebre di Gibran" di Barbara Young). Gibran lascia i diritti d'autore in eredità agli abitanti di Bisherry per opere di pubblico beneficio.

 

Le due opere più celebri di Gibran sono "Il Profeta" e "Il Giardino del Profeta", riguardano il rapporto tra l'uomo e l'uomo e la natura e li  trattano con la pienezza della visione mistica e panteistica della vita e della morte caratteristica della dottrina del loro autore. "Il Profeta" fu pubblicato a New Jork nel 1923. Il protagonista del libro, il profeta Almustafà, fu identificato dai lettori, per l'incisività del messaggio, con lo stesso autore. "Il giardino del Profeta", rimasto incompiuto, fu pubblicato postumo nel 1933. Almustafà, tornato nella sua terra natale, si rivolge alla propria gente come dispensiere di saggezza:
sulla vita, sul desiderio, sull'esistenza:
 

....." E allora dischiudici a noi stessi e a noi rivela ciò che sai su quanto passa tra la nascita e la morte"......


 

 

 

 

Sull'Amore

Allora Almitra disse: parlaci dell'Amore.
E lui sollevò la stessa e scrutò il popolo e su di esso calò una grande quiete. E con voce ferma disse:
Quando l' amore vi chiama, seguitelo.
Anche se le sue vie sono dure e scoscese.
e quando le sue ali vi avvolgeranno, affidatevi a lui.
Anche se la sua lama, nascosta tra le piume vi può ferire.
E quando vi parla, abbiate fede in lui,
Anche se la sua voce può distruggere i vostri sogni come il vento del nord devasta il giardino.

Poiché l'amore come vi incorona così vi crocefigge. E come vi fa fiorire così vi reciderà.
Come sale alla vostra sommità e accarezza i più teneri rami che fremono al sole,
Così scenderà alle vostre radici e le scuoterà fin dove si avvinghiano alla terra.

Come  covoni di grano vi accoglie in sé.
Vi batte finché non sarete spogli.
Vi staccia per liberarvi dai gusci.
Vi macina per farvi neve.
Vi lavora come pasta fin quando non siate cedevoli.
E vi affida alla sua sacra fiamma perché siate il pane sacro della mensa di Dio.
Tutto questo compie in voi l'amore, affinché possiate conoscere i segreti del vostro cuore e in questa conoscenza farvi frammento del cuore della vita.

Ma se per paura cercherete nell'amore unicamente la pace e il piacere,
Allora meglio sarà per voi coprire la vostra nudità e uscire dall'aia dell'amore,
Nel mondo senza stagioni, dove riderete ma non tutto il vostro riso e piangerete, ma non tutte le vostre lacrime.

L'amore non da nulla fuorché sé stesso e non attinge che da se stesso.
L'amore non possiede né vorrebbe essere posseduto;
Poiché l'amore basta all'amore.

Quando amate non dovreste dire:" Ho Dio nel cuore ", ma piuttosto, " Io sono nel cuore di Dio ".
E non crediate di guidare l'amore, perché se vi ritiene degni è lui che vi guida.

L'amore non vuole che compiersi.
Ma se amate e se è inevitabile che abbiate desideri, i vostri desideri hanno da essere questi:
Dissolversi e imitare lo scorrere del ruscello che canta la sua melodia nella notte.
Conoscere la pena di troppa tenerezza.
Essere trafitti dalla vostra stessa comprensione d'amore,
E sanguinare condiscendenti e gioiosi.
Destarsi all'alba con cuore alato e rendere grazie per un altro giorno d'amore;
Riposare nell'ora del meriggio e meditare sull'estasi d'amore;
Grati, rincasare la sera;
E addormentarsi con una preghiera in cuore per l'amato e un canto di lode sulle labbra.
 

 

Sul matrimonio

 

Allora Almitra di nuovo parlò e disse: Che cos'è il Matrimonio, maestro ?
E lui rispose dicendo:
Voi siete nati insieme e insieme starete per sempre.
Sarete insieme quando le bianche ali della morte disperderanno i vostri giorni.
E insieme nella silenziosa memoria di dio.
Ma vi sia spazio nella vostra unione,
E tra voi danzino i venti dei cieli.

Amatevi l'un l'altro, ma non fatene una prigione d'amore:
Piuttosto vi sia un moto di mare tra le sponde delle vostre anime.
Riempitevi l'un l'altro le coppe, ma non bevete da un'unica coppa.
Datevi sostentamento reciproco, ma non mangiate dello stesso pane.
Cantate e danzate insieme e state allegri, ma ognuno di voi sia solo,
Come sole sono le corde del liuto, benché vibrino di musica uguale.

Donatevi il cuore, ma l'uno non sia di rifugio all'altro,
Poiché solo la mano della vita può contenere i vostri cuori.
E siate uniti, ma non troppo vicini;
Le colonne del tempio si ergono distanti,
E la quercia e il cipresso non crescono l'una all'ombra dell'altro.  

 

Sui figli

E una donna che reggeva un bambino al seno disse:
Parlaci dei Figli.
E lui disse:
I vostri figli non sono figli vostri.
Sono figli e figlie della sete che la vita ha di sé stessa.
essi vengono attraverso di voi, ma non da voi,
E benché vivano con voi non vi appartengono.

Potete donare loro amore ma non i vostri pensieri:
Essi hanno i loro pensieri.
Potete offrire rifugio ai loro corpi ma non alle loro anime:
Esse abitano la casa del domani, che non vi sarà concesso visitare neppure in sogno.
Potete tentare di essere simili a loro, ma non farvi simili a voi:
La vita procede e non s'attarda sul passato.
Voi site gli archi da cui i figli, come frecce vive, sono scoccate in avanti.
L'Arciere vede il bersaglio sul sentiero dell'infinito, e vi tende con forza affinché le sue frecce vadano rapide e lontane.
Affidatevi con gioia alla mano dellì'Arciere;
Poiché come ama il volo della freccia così ama la fermezza dell'arco.
 

 

Sul dare

Allora un uomo ricco disse: Parlaci del Dare.
E lui rispose:
Date poca cosa se date le vostre ricchezze.
E' quando date voi stessi che date veramente.
Che cosa sono le vostre ricchezze se non ciò che custodite e nascondete nel timore del domani ?
E domani, che cosa porterà il domani al cane troppo previdente che sotterra l'osso nella sabbia senza traccia, mentre segue i pellegrini alla città santa ?
E che cos'è la paura del bisogno se non bisogno esso stesso ?
Non è forse sete insaziabile il terrore della sete quando il pozzo è colmo ?
Vi sono quelli che danno poco del molto che possiedono, e per avere riconoscimento, e questo segreto desiderio contamina il loro dono.
E vi sono quelli che danno tutto il poco che hanno.
Essi hanno fede nella vita e nella sua munificenza, e la loro borsa non è mai vuota.
Vi sono quelli che danno con gioia e questa è la loro ricompensa.
Vi sono quelli che danno con rimpianto e questo rimpianto è il loro sacramento.
E vi sono quelli che danno senza rimpianto né gioia e senza curarsi del merito.
Essi sono come il mirto che laggiù nella valle effonde nell'aria la sua fragranza.
Attraverso le loro mani Dio parla, e attraverso i loro occhi sorride alla terra.
E' bene dare quando ci chiedono, ma meglio è comprendere e dare quando niente ci viene chiesto.
Per chi è generoso, cercare il povero è gioia più grande che dare.
E quale ricchezza vorreste serbare ?
Tutto quanto possedete un giorno sarà dato.
Perciò date adesso, affinché la stagione dei doni possa essere vostra e non dei vostri eredi.
Spesso dite: "Vorrei dare ma solo ai meritevoli".
Le piante del vostro frutteto non si esprimono così né le greggi del vostro pascolo.
Esse danno per vivere, perché serbare è perire.
Chi è degno di ricevere i giorni e le notti, è certo degno di ricevere ogni cosa da voi.
Chi merita di bere all'oceano della vita, può riempire la sua coppa al vostro piccolo ruscello.
E quale merito sarà grande quanto la fiducia, il coraggio, anzi la carità che sta nel ricevere ?
E chi siete voi perché gli uomini vi mostrino il cuore, e tolgano il velo al proprio orgoglio così che possiate vedere il loro nudo valore e la loro imperturbata fierezza ?
Siate prima voi stessi degni di essere colui che da e allo stesso tempo uno strumento del dare.
Poiché in verità è la vita che da alla vita, mentre voi, che vi stimate donatori, non siete che testimoni.
E voi che ricevete - e tutti ricevete - non permettete che il peso della gratitudine imponga un giogo a voi e a chi vi ha dato.
Piuttosto i suoi doni siano le ali su cui volerete insieme.
Poiché preoccuparsi troppo del debito è dubitare della sua generosità che ha come madre la terra feconda, e Dio come padre.
 

Sulla gioia e sul dolore

Allora una donna disse: Parlaci della Gioia e del Dolore.
E lui rispose:
La vostra gioia è il vostro dolore senza maschera,
E il pozzo da cui scaturisce il vostro riso, è stato sovente colmo di lacrime.
E come può essere altrimenti ?
Quanto più a fondo vi scava il dolore, tanta più gioia potrete contenere.
La coppa che contiene il vostro vino non è forse la stessa bruciata nel forno del vasaio ?
E il liuto che rasserena il vostro spirito non è forse lo stesso legno scavato dal coltello ?
Quando siete felici, guardate nel fondo del vostro cuore e scoprirete che è proprio ciò che vi ha dato dolore a darvi ora gioia.
E quando siete tristi, guardate ancora nel vostro cuore e saprete di piangere per ciò che ieri è stato il vostro godimento.

Alcuni di voi dicono: "La gioia è più grande del dolore", e altri dicono: "No, è più grande il dolore".
Ma io vi dico che sono inseparabili.
Giungono insieme, e se l'una siede con voi alla vostra mensa, ricordate che l'altro è addormentato nel vostro letto.

In verità voi siete bilance che oscillano tra il dolore e la gioia.
Soltanto quando siete vuoti, siete equilibrati e saldi.
Come quando il tesoriere vi solleva per pesare oro e argento, così la vostra gioia e il vostro dolore dovranno sollevarsi oppure ricadere.

 

 

Sull'abito

E un tessitore disse: Parlaci dell'Abito.
E lui rispose:
Il vostro abito nasconde una gran parte della vostra bellezza, tuttavia non maschera ciò che non è bello.
E benché cerchiate nell'abito un'intima libertà, potreste trovare in esso le vostre catene.
Vorrei che la vostra pelle, e non il vostro abito, fosse sfiorata dal sole e dal vento.
Poiché il soffio della vita è nella luce del sole e la mano della vita è nel vento.

Alcuni di voi dicono: "E' il vento del Nord che ha tessuto l'abito che indosso".
E io dico che, si, è stato il Vento del Nord,
Ma la vergogna è stata il suo telaio e la mollezza la sua trama.
E a fatica compiuta, il vento ha riso nella foresta.
Non dimenticate che la modestia vi è stata data a scudo contro gli occhi dell'impuro.
Ma quando l'impuro sparirà, che cosa sarà la modestia se non poltiglia che intorbida la mente ?
E non dimenticate che la terra ama sentire i vostri piedi nudi e il vento giocare con i vostri capelli.

 

 

Sulla colpa e sul castigo

Allora un giudice della città si fece avanti e disse:
Parlaci della Colpa e del Castigo.
E lui rispose dicendo:
E' quando il vostro spirito vaga nel vento,
Che soli e incauti commettete una colpa verso gli altri e quindi verso voi stessi.
E per questa colpa commessa dovrete bussare e, inascoltati, attendere a lungo alla porta dei beati.

Come l'oceano è la vostra essenza divina;
Per sempre resta incontaminata.
E come nell'etere, in essa si muovono soltanto gli esseri alati.
Come il sole è la vostra essenza divina;
Ignora le gallerie della talpa e non cerca le tane del serpente.
Ma in voi non dimora soltanto l'essenza divina.
Molto è tuttora umano in voi, e molto in voi non è ancora umano,
Ma un pigmeo informe che cammina addormentato cercando nelle brume il proprio risveglio.
E ora vorrei parlarvi dell'uomo che è in voi.
Poiché né la vostra essenza divina, né il pigmeo nelle brume, ma solo l'uomo conosce la colpa e il castigo.

Spesso vi ho udito dire di chi sbaglia che non è uno di voi, ma un intruso estraneo al vostro mondo.
Ma io vi dico: così come il santo e il giusto non possono innalzarsi al di sopra di quanto vi è di più alto in voi,
Così il malvagio e il debole non possono cadere più in basso di quanto vi è di più infimo in voi.
E come la singola foglia non ingiallisce senza che la pianta tutta ne sia complice muta,
Così il malvagio non potrà nuocere senza il consenso tacito di voi tutti.

Insieme avanzate, come in processione, verso la vostra essenza divina.
Voi siete la via e i viandanti.
E quando uno di voi cade, cade per quelli che lo seguono giacché li mette in guardia contro l'ostacolo.
Ma cade anche per quelli che lo precedono i quali, benché più celeri e sicuri nel loro passo non rimossero l'ostacolo.

E vi dirò inoltre, nonostante la mia parola vi pesi sul cuore:
L'assassinato è responsabile del proprio assassinio,
E il derubato non è senza colpa del furto subito.
Il giusto non è innocente delle azioni del malvagio.
E chi ha le mani pulite non è immune dalle imprese dell'empio.
Sì, il colpevole è spesso vittima di chi ha offeso.
E ancora più spesso il condannato regge il fardello di chi è senza biasimo e colpa.
Voi non potete separare il giusto dall'ingiusto, il buono dal cattivo,
Poiché stanno uniti al cospetto del sole come insieme sono tessuti il filo bianco e il filo nero.
E se il filo nero si spezza, il tessitore rivedrà da cima a fondo tela e telaio.

Se qualcuno di voi volesse portare in giudizio una moglie infedele,
Soppesi anche il cuore del marito e ne misuri l'anima.
E chi volesse frustare l'offensore scruti nello spirito dell'offeso.
E se qualcuno di voi, in nome della giustizia, volesse punire con la scure l'albero guasto, ne esamini le radici.
E scoprirà radici del bene e del male, feconde e sterili, tutte insieme intrecciate nel cuore silenzioso della terra.
E voi, giudici, che pretendete essere giusti,
Che giudizio pronunciate su chi, benché onesto nella carne, in spirito è ladro ?
Che pena infliggere a chi uccide nella carne, ma in spirito è lui stesso ucciso ?
E come perseguite chi nei fatti inganna e opprime,
Ma è lui stesso afflitto e oltraggiato ?

E come punite quelli il cui rimorso è più grande del loro misfatto ?
Il rimorso non è forse la giustizia retta da quella vera legge che servireste di buon grado ?
Ma non potete imporre il rimorso all'innocente, né strapparlo dal cuore del colpevole.
Inaspettato, esso chiamerà nella notte affinché l'uomo si svegli e scruti dentro di sé.
E come potrete capire la giustizia, se non esaminate ogni fatto in piena luce ?
Solo così saprete che il caduto e l'eretto sono un solo uomo che sta nel crepuscolo, sospeso tra la notte della sua essenza non ancora umana e il giorno della sua essenza divina.
La pietra angolare del tempio non è più alta della pietra più bassa delle sue fondamenta.

Sulla libertà

E un oratore disse: Parlaci della Libertà.
E lui rispose:
Alle porte della città e presso il focolare vi ho veduto, prostrati, adorare la vostra libertà,
Così come gli schiavi si umiliano in lodi davanti al tiranno che li uccide.
Sì, al bosco sacro e all'ombra della rocca ho visto che per il più libero di voi la libertà non era che schiavitù e oppressione.
E in me il cuore ha sanguinato, poiché sarete liberi solo quando lo stesso desiderio di ricercare la libertà sarà una pratica per voi e finirete di chiamarla un fine  e un compimento.

In verità sarete liberi quando i vostri giorni non saranno privi di pena e le vostre notti di angoscia e di esigenze.
Quando di queste cose sarà circonfusa la vostra vita, allora vi leverete al di sopra di esse nudi e senza vincoli.

Ma come potrete elevarvi oltre i giorni e le notti se non spezzando le catene che all'alba della vostra conoscenza hanno imprigionato l'ora del meriggio ?
Quella che voi chiamate libertà è la più resistente di queste catene, benché i suoi anelli vi abbaglino scintillando al sole.

E cos'è mai se non parte di voi stessi ciò che vorreste respingere per essere liberi ?
L'ingiusta legge che vorreste abolire è la stessa che la vostra mano vi ha scritto sulla fronte.
Non potete cancellarla bruciando i libri di diritto né lavando la fronte dei vostri giudici, neppure riversandovi sopra le onde del mare.
Se è un despota colui che volete detronizzare, badate prima che il trono eretto dentro di voi sia già stato distrutto.
Poiché come può un tiranno governare uomini liberi e fieri, se non per una tirannia e un difetto della loro stessa libertà e del loro orgoglio ?
E se volete allontanare un affanno, ricordate che questo affanno non vi è stato imposto, ma voi l'avete scelto.
E se volete dissipare un timore, cercatelo in voi e non nella mano di chi questo timore v'incute.

In verità, ciò che anelate e temete, che vi ripugna e vi blandisce, ciò che perseguite e ciò che vorreste sfuggire, ognuna di queste cose muove nel vostro essere in un costante e incompiuto abbraccio.
Come luci e ombre unite in una stretta, ogni cosa si agita in voi.
e quando un'ombra svanisce, la luce che indugia diventa ombra per un'altra luce.
E così quando la vostra libertà getta le catene diventa essa stessa la catena di una libertà più grande.

 

 

Sulla ragione e sulla passione

E ancora la sacerdotessa parlò e disse: Parlaci della Ragione e della Passione.
E lui rispose dicendo:
La vostra anima è sovente un campo di battaglia dove giudizio e ragione muovono guerra all'avidità e alla passione.
Potessi io essere il pacificatore dell'anima vostra, che converte rivalità e discordia in unione e armonia.
Ma come potrò, se non sarete voi stessi i pacificatori, anzi gli amanti di ogni vostro elemento ?

La ragione e la passione sono il timone e la vela di quel navigante che è l'anima vostra.
Se il timone e la vela si spezzano, non potete far altro che, sbandati, andare alla deriva, o arrestarvi nel mezzo del mare.
Poiché se la ragione domina da sola, è una forza che imprigiona, e la passione è una fiamma che, incustodita, brucia fino alla sua distruzione.
Perciò la vostra anima innalzi la ragione fino alla passione più alta, affinché essa canti,
E con la ragione diriga la passione, affinché questa viva in quotidiana resurrezione, e come la fenice sorga dalle proprie ceneri.

Vorrei che avidità e giudizio fossero per voi come graditi ospiti nella vostra casa.
Certo non onorereste più l'uno dell'altro, perché se hai maggiori attenzioni per uno perdi la fiducia di entrambi.
Quando sui colli sedete alla fresca ombra dei pallidi pioppi, condividendo la pace e la serenità dei campi e dei prati lontani, allora vi sussurri il cuore: "Nella ragione riposa Dio".

E quando infuria la tempesta e il vento implacabile scuote la foresta, e lampi e tuoni proclamano la maestà del cielo, allora dite nel cuore con riverente trepidazione: "Nella passione agisce Dio".
E poiché siete un soffio nella sfera di Dio e una foglia nella sua foresta, voi pure riposerete nella ragione e agirete nella passione.
 

 

Sul dolore

 

E una donna disse: Parlaci del Dolore.
E lui disse:
Il dolore è lo spezzarsi del guscio che racchiude la vostra conoscenza.
Come il nocciolo del frutto deve spezzarsi affinché il suo cuore possa esporsi al sole, così voi dovete conoscere il dolore.
E se riusciste a custodire in cuore la meraviglia per i prodigi quotidiani della vita, il dolore non vi meraviglierebbe meno della gioia;
Accogliereste le stagioni del vostro cuore come avreste sempre accolto le stagioni che passano sui campi.
E veglieresti sereni durante gli inverni del vostro dolore.
Gran parte del vostro dolore è scelto da voi stessi.
E' la pozione amara con la quale il medico che è in voi guarisce il vostro male.
Quindi confidate in lui e bevete il suo rimedio in serenità e in silenzio.
Poiché la sua mano, benché pesante e rude, è retta dalla tenera mano dell'Invisibile,
E la coppa che vi porge, nonostante bruci le vostre labbra, è stata fatta con la creta che il Vasaio ha bagnato di lacrime sacre.
 

 

Sulla conoscenza

E un uomo disse: Parlaci della Conoscenza.
E lui rispose dicendo:
Il vostro cuore conosce nel silenzio i segreti dei giorni e delle notti.
Ma il vostro orecchio è assetato dal rumore di quanto il cuore conosce.
Vorreste esprimere ciò che avete sempre pensato.
Vorreste toccare con mano il corpo nudo dei vostri sogni.

Ed è bene che sappiate:
La fonte nascosta della vostra anima dovrà necessariamente effondersi e fluire mormorando verso il mare;
E il tesoro della vostra infinita profondità si mostrerà ai vostri occhi;
Ma non con la bilancia valuterete questo sconosciuto tesoro;
E non scandaglierete con asta o sonda le profondità della vostra conoscenza.
Poiché l'essere è un mare sconfinato e incommensurabile.

Non dite: "Ho trovato la verità", ma piuttosto, "Ho trovato una verità".
Non dite: "Ho trovato il sentiero dell'anima", ma piuttosto, "Ho incontrato l'anima in cammino sul mio sentiero".
Poiché l'anima cammina su tutti i sentieri.
L'anima non procede in linea retta, e neppure cresce come una canna.
L'anima si schiude, come un fiore di loto dagli innumerevoli petali.
 

 

Sull'insegnamento

 

E un maestro disse: Parlaci dell'Insegnamento.
E lui disse:
Nessuno può insegnarvi nulla se non ciò che già sonnecchia nell'albeggiare della vostra conoscenza.
Il maestro che cammina all'ombra del tempio tra i discepoli non elargisce la sua sapienza, ma piuttosto la sua fede e il suo amore.
E se davvero è saggio, non vi invita ad entrare nella dimora del suo sapere, ma vi guida alla soglia della vostra mente.
L'astronomo può dirvi ciò che sa degli spazi, ma non può darvi la sua conoscenza.
Il musico può cantarvi la melodia che è nell'aria, ma non può darvi l'orecchio che fissa il ritmo, né l'eco che rimanda il suono.
E colui che è esperto nella scienza dei numeri può descrivervi il mondo del peso e della misura, ma oltre non può condurvi.
Poiché la visione di un uomo non presta le proprie ali a un altro uomo.
E così come ognuno è solo nella conoscenza di Dio, ugualmente deve in solitudine conoscere Dio e comprendere la terra.

Sull'amicizia

 

E un adolescente disse: Parlaci dell'Amicizia.
E lui rispose dicendo:
Il vostro amico è il vostro bisogno saziato.
E' il campo che seminate con amore e mietete con riconoscenza.
E' la vostra mensa e il vostro focolare.
Poiché, affamati, vi rifugiate in lui e lo ricercate per la vostra pace.

Quando l'amico vi confida il suo pensiero, non negategli la vostra approvazione, né abbiate paura di contraddirlo.
E quando tace, il vostro cuore non smetta di ascoltare il suo cuore:
Nell'amicizia ogni pensiero, ogni desiderio, ogni attesa nasce in silenzio e viene condiviso con inesprimibile gioia.
Quando vi separate dall'amico non rattristatevi:
La sua assenza può chiarirvi ciò che in lui più amate, come allo scalatore la montagna è più chiara della pianura.
E non vi sia nell'amicizia altro scopo che l'approfondimento dello spirito.
Poiché l'amore che non cerca in tutti i modi lo schiudersi del proprio mistero non è amore, ma una rete lanciata in avanti e che afferra solo ciò che è vano.

E il meglio di voi sia per l'amico vostro.
Se lui dovrà conoscere il riflusso della vostra marea, fate che ne conosca anche la piena.
Quale amico è il vostro, per cercarlo nelle ore di morte ?
Cercatelo sempre nelle ore di vita.
Poiché lui può colmare ogni vostro bisogno, ma non il vostro vuoto.
E condividete i piaceri sorridendo nella dolcezza dell'amicizia.
Poiché nella rugiada delle piccole cose il cuore ritrova il suo mattino e si ristora.
 
 

 

Sulla parola

 

E allora uno studioso disse: Spiegaci la Parola.
E lui rispose dicendo:
Voi parlate quando avete perduto la pace con i vostri pensieri;
E quando non potete più sopportare la solitudine del cuore voi vivete sulle labbra, e il suono vi è di svago e passatempo.
E molte delle vostre parole quasi uccidono il pensiero,
Poiché il pensiero è un uccello leggero che in una gabbia di parole può spiegare le ali, ma non prendere il volo.

Tra voi vi sono quelli che cercano uomini loquaci per timore di restare soli.
Il silenzio della solitudine mette a nudo il loro essere, ed essi vorrebbero fuggirlo.
E vi sono quelli che, senza consapevolezza o prudenza parlano di verità che non comprendono.
E quelli invece che hanno dentro di sé la verità, ma non la esprimono in parole.
nel loro petto lo spirito dimora in armonico silenzio.

Quando per strada o sulla piazza del mercato incontrate un amico, lasciate che lo spirito vi muova le labbra e vi guidi la lingua.
Lasciate che la voce della vostra voce parli all'orecchio del suo orecchio;
Poiché custodirà nell'anima la verità del vostro cuore come si ricorda il sapore del vino.
Quando il colore è dimenticato e la coppa è perduta.
 

 

Sul tempo

 

E un astronomo disse: Maestro  Parlaci del Tempo.
E lui rispose:
Vorreste misurare il tempo, l'incommensurabile e l'immenso.
Vorreste regolare il vostro comportamento e dirigere il corso del vostro spirito secondo le ore e le stagioni.
Del tempo vorreste fare un fiume per sostate presso la sua riva e guardarlo fluire.

Ma l'eterno che è in voi sa che la vita è senza tempo
E sa che l'oggi non è che il ricordo di ieri, e il domani il sogno di oggi.
E ciò che in voi è canto e contemplazione dimora quieto entro i confini di quel primo attimo in cui le stelle furono disseminate nello spazio.
Chi di voi non sente che la sua forza d'amore è sconfinata ?
E chi non sente che questo autentico amore, benché sconfinato, è racchiuso nel centro del proprio essere, e non passa da pensiero d'amore a pensiero d'amore, né da atto d'amore ad atto d'amore ?
E non è forse il tempo, così come l'amore, indiviso e immoto ?

Ma se col pensiero volete misurare il tempo in stagioni, fate che ogni stagione racchiuda tutte le altre,
E che il presente abbracci il passato con il ricordo, e il futuro con l'attesa.
 

Sul bene e sul male

E un anziano della città disse: Parlaci del Bene e del Male.
E lui rispose:
Io posso parlare del bene che è in voi, ma non del male.
Poiché il cattivo non è che il buono torturato dalla fame e dalla sete.
In verità, quando il buono è affamato cerca cibo anche in una caverna buia e quando è assetato beve anche acqua morta.

Siete buoni quando siete in armonia con voi stessi.
Tuttavia, quando non siete una sola cosa con voi stessi, voi non siete cattivi.
Una casa divisa non è un covo di ladri, è semplicemente una casa divisa.
E una nave senza timone può errare senza meta tra isole pericolose senza fare naufragio.
Siete buoni nello sforzo di donare voi stessi,
Tuttavia non siete cattivi quando perseguite il vostro vantaggio.
Quando cercate di ottenere, non siete che una radice avvinghiata alla terra per succhiarne il seno.
Certo, il frutto non può dire alla radice: "Sii come me, maturo e pieno e sempre generoso della tua abbondanza".
Poiché come il frutto ha bisogno di dare, così la radice ha bisogno di ricevere.

Siete buoni quando la vostra parola è pienamente consapevole.
Tuttavia non siete cattivi quando nel sonno la vostra lingua vaneggia.
E anche un discorso confuso può rafforzare una debole lingua.
Siete buoni quando procedete verso la meta, decisi e con passo sicuro.
Tuttavia non siete cattivi quando vagate qua e là zoppicando.
Anche chi zoppica procede in avanti.
Ma vi è agile e forte, non zoppichi davanti allo zoppo stimandosi cortese.

Voi siete buoni in molteplici modi e non siete cattivi quando non siete buoni.
Siete soltanto pigri e indolenti.
Purtroppo il cervo non può insegnare alla tartaruga ad essere veloce.

Nel desiderio del gigante che è in voi risiede la vostra bontà, e questo è un desiderio di tutti.
In alcuni è un torrente che scorre impetuoso verso il mare, trascinando con sé i segreti delle colline e il canto delle foreste.
In altri è una corrente placida che si perde in declivi e indugia prima di raggiungere la sponda.
Ma chi desidera molto non dica a chi desidera poco: "Perché esiti e indugi ?".
Poiché, in verità, chi è buono non chiede a chi è nudo: "Dov'è il tuo vestito ?", né a chi è senza tetto: "Cos'è accaduto alla tua casa ?".
 

 

Allora un vecchio, che aveva un'osteria, disse: Parlaci del Mangiare e del Bere.

 

Ed egli disse:

Vorrei che poteste vivere del profumo della terra, alimentati come

una pianta dalla luce.

Ma poiché dovete uccidere per mangiare, e derubare il nuovo nato

del latte di sua madre per calmare la sete, fate che questo sia un

atto di adorazione.

E che la vostra mensa sia un altare sul quale il puro e l'innocente

della pianura e dei boschi venga immolato a quanto di più puro e

innocente è nell'uomo.

Quando uccidete un animale, ditegli in cuore:

"Dallo stesso potere che ti uccide, io sarò ucciso; e anch'io sarò

consumato.

Perché la legge che ti dà nelle mie mani mi darà in mani più

potenti.

Il tuo sangue e il mio sangue non sono che la linfa che nutre

l'albero del cielo".

. . . . .

E quando masticherete una mela tra i denti, ditele in cuore:

"I tuoi semi vivranno nel mio corpo,

E i tuoi germogli sbocceranno nel mio cuore,

E il tuo profumo sarà il mio respiro,

E insieme godremo in tutte le stagioni".

E quando, in autunno, raccoglierete l'uva dalle vigne per il torchio,

dite in cuor vostro:

"Anch'io sono una vigna, e i miei frutti saranno raccolti per il

torchio,

E come vino nuovo sarò tenuto in botti eterne".

E quando d'inverno spillerete il vino, per ogni coppa vi sia una

canzone.

E nella canzone vi sia un ricordo dei giorni dell'autunno, e della

vigna, e del torchio dell'uva.

 

 

 

Allora un eremita, che visitava la città una volta l'anno, si fece avanti

e disse: 
Parlaci del Piacere.

Ed egli rispose, dicendo:

Il piacere è un canto di libertà,

Ma non è la libertà.

È la fioritura dei vostri desideri,

Ma non è il loro frutto.

È un richiamo profondo verso una vetta,

Ma non è il fondo né il culmine.

È l'ingabbiato che prende il volo,

Ma non è spazio racchiuso.

Oh sì, il piacere è realmente un canto di libertà.

E io vorrei che lo cantaste a cuore aperto; ma non vorrei vedervi

perdere il cuore nel cantarlo.

Alcuni giovani tra voi cercano il piacere come se fosse tutto, e sono

giudicati e biasimati.

Non li giudicherei e biasimerei. Io vorrei che cercassero.

Perché troveranno il piacere, ma non questo soltanto.

Il piacere ha sette fratelli, e il minore di essi è più bello che il

piacere.

Avete udito dell'uomo che, scavando la terra in cerca di radici,

trovò un tesoro?

 

E alcuni anziani ricordano i piaceri con rimorso, come errori

commessi in stato di ubriachezza.

Ma il rimorso offusca la mente, non la purga.

Dovrebbero invece ricordarli con gratitudine, come il raccolto di

un'estate.

Ma se il rimorso li conforta, lasciate che si confortino.

E poi ci sono coloro che non sono né giovani per cercare né vecchi

per rammentare;

E temendo di cercare e rammentare, fuggono tutti i piaceri per non

trascurare o offendere lo spirito.

Ma anche nella rinuncia trovano il loro piacere.

E così anch'essi trovano un tesoro, benché cercassero radici con

mani tremanti.

Ma ditemi, chi può offendere lo spirito?

Può l'usignolo offendere il silenzio della notte, o la lucciola le

stelle?

E può la vostra fiamma o il vostro fumo opprimere il vento?

Credete che lo spirito sia un immobile stagno che potete turbare

con un bastone?

Spesso, negandovi al piacere, non fate che ammucchiare il desiderio

nel fondo buio del vostro essere.

Chissà che non vi attenda domani, quello che oggi appare

omesso?

Anche il corpo conosce il suo retaggio e i suoi giusti bisogni e

volontà non devono essere ingannati.

Il corpo è l'arpa dell'anima,

E dipende da voi trarne musica dolce oppure suoni confusi.

. . . . .

E ora chiedete a voi stessi: "Come distinguerò ciò che è buono nel

piacere, da ciò che non è buono?".

Andate per i campi e nei giardini, e imparerete che il piacere

dell'ape è nel raccogliere il miele dal fiore,

Ma che anche il piacere del fiore è nel concedere all'ape il proprio

miele.

Perché un fiore per l'ape è una fonte di vita,

E l'ape per il fiore un messaggero d'amore,

E a tutti e due, ape e fiore, dare e ricevere piacere è un bisogno e

un'estasi.

 

Allora un contadino disse: Parlaci del Lavoro.

Ed egli rispose, dicendo:

Voi lavorate per mantenere il passo con la terra e con lo spirito

della terra.

Poiché stare in ozio è diventare estraneo alle stagioni, e

allontanarsi dal corteo della vita che avanza maestosa e con fiera

sottomissione verso l'infinito.

Quando voi lavorate siete un flauto che attraverso la sua anima

trasforma in musica il mormorio della vita.

Chi vorrebbe essere una canna muta, quando tutte le altre cantano

all'unisono?

Vi è stato sempre detto che il lavoro è una maledizione e la fatica

una sventura.

Ma io vi dico che quando lavorate compite una parte del sogno più

avanzato della terra, che fu assegnata a voi quando quel sogno

nacque.

E che sostenendo voi stessi col lavoro amate in verità la vita,

E che amare la vita nel lavoro è vivere intimamente con il più

intimo segreto della vita.

Ma se nella vostra sofferenza dite che nascere è un tormento e

sostentare la carne una maledizione scritta in fronte, io vi rispondo

che nulla tranne il sudore della fronte laverà ciò che vi è scritto.

Vi hanno anche detto che la vita è tenebre, e nella vostra

stanchezza fate eco a ciò che dissero gli stanchi.

E io vi dico che la vita è davvero oscurità se è priva di slancio,

E che ogni slancio è cieco se non v'è conoscenza,

E ogni conoscenza è vana, se non v'è l'operare,

E ogni opera è vuota se è priva dell'amore.

Quando operate con amore legate voi a voi stessi, e l'uno all'altro,

e a Dio.

. . . . .

E che cos'è operare con amore?

È tessere la stoffa con i fili del cuore, come se anche chi amate

dovesse indossarla.

È costruire una casa con affetto, come se anche chi amate

dovesse abitarla.

È seminare con dolcezza e mietere il grano con gioia, come se

anche chi amate dovesse mangiarne.

È impregnare ogni cosa che plasmate con un soffio del vostro

spirito,

E sapere che tutti i morti benedetti vi stanno intorno e vi

osservano.

Vi ho udito spesso dire, come parlando nel sonno, "Chi scolpisce nel

marmo, e vi ritrova la forma del suo animo, è più nobile di chi ara la

terra;

E chi afferra l'arcobaleno e lo distende su una tela nelle sembianze

di un uomo, è maggiore di chi fabbrica i sandali per i nostri piedi".

Ma io, non in sonno, ma nella più lucida veglia meridiana, vi dico

che il vento non parla più soavemente alle querce giganti che al più

minuscolo filo d'erba;

E che grande è soltanto chi trasforma la voce del vento in un

canto reso più dolce dal suo amore.

L'opera è amore che si fa visibile.

Se non potete lavorare con amore, ma solo con riluttanza, allora è

meglio lasciare il lavoro e sedere alla porta del tempio e accettare

elemosine da chi lavora con gioia.

Perché se fate il pane con indifferenza, farete un pane amaro che

nutre solo a metà.

E se spremete l'uva con astio, il vostro astio distillerà un veleno nel

vino.

E se anche cantate come angeli, e non amate il canto, chiuderete

le orecchie dell'uomo alle voci del giorno e della notte.

 

E un poeta domandò: Parlaci della Bellezza.

Ed egli rispose:

Dove cercherete la bellezza, e dove pensate di trovarla, se non

sarà lei stessa vostra via e vostra guida?

Come potrete parlarne, se non sarà lei stessa la tessitrice del

vostro discorso?

L'afflitto e l'offeso dicono: "La bellezza è benevola e gentile.

Cammina tra noi come una giovane madre, quasi schiva del

proprio splendore".

E l'appassionato dice: "No, la bellezza è qualcosa di possente e

pauroso;

Come tempesta, fa tremare la terra sotto di noi e il cielo sopra di

noi".

Lo stanco e l'accasciato dicono: "La bellezza è un tenue bisbiglio.

Parla nel nostro spirito.

La sua voce si adegua al nostro silenzio come una debole luce che

trema per timore dell'ombra".

Ma l'irrequieto afferma: "Abbiamo udito il suo grido tra i monti,

E col suo urlo un rumore di zoccoli, e un battere di ali, e un ruggire

di leoni".

A notte i guardiani della città dicono: "La bellezza sorgerà a oriente

con l'aurora".

E nel meriggio gli operai e i viaggiatori dicono:

"L'abbiamo vista affacciarsi sulla terra dalle finestre del tramonto".

D'inverno, chi è isolato dalla neve dice: "Arriverà a primavera,

saltellando sulle colline".

E nel calore dell'estate, i mietitori dicono: "L'abbiamo vista danzare

con le foglie d'autunno, e aveva tra i capelli uno spruzzo di neve".

Tutto questo avete detto della bellezza,

Ma in realtà, non parlavate di lei, ma di bisogni insoddisfatti;

La bellezza non è un bisogno, ma un'estasi.

Non è una bocca assetata né una mano vuota protesa,

È piuttosto un cuore infiammato e un'anima incantata.

Non è l'immagine che vorreste vedere, e non è il canto che

vorreste udire,

È piuttosto un'immagine da vedere a occhi chiusi e un canto da

udire con le orecchie tappate.

Non è la linfa nei solchi della corteccia, né un'ala accanto a un

artiglio.

È piuttosto un giardino sempre fiorito, e una moltitudine d'angeli

eternamente in volo.

Popolo d'Orphalese, la bellezza è la vita quando la vita toglie il velo

dal proprio volto santo.

Ma voi siete la vita e siete il velo.

La bellezza è l'eternità che si contempla in uno specchio.

Ma voi siete l'eternità e siete lo specchio.

 

 

 

E un uomo disse: 
Parlaci della Conoscenza di sé.

 

Ed egli disse:

I vostri cuori conoscono in silenzio i segreti dei giorni e delle notti.

Ma gli orecchi hanno sete di sentire quello che il cuore già

conosce.

Vorreste sapere con parole quello che avete sempre saputo nella

mente.

Vorreste toccare con le dita il corpo nudo dei sogni.

Ed è bene che lo facciate:

La sorgente sotterranea della vostra anima dovrà venire alla luce e

scorrere mormorando verso il mare;

E il tesoro della vostra infinita profondità sarà rivelato ai vostri

occhi.

Ma non usate bilance per pesare quell'ignoto tesoro;

E non sondate le profondità della vostra conoscenza con lo

scandaglio o la pertica.

Poiché l'io è un mare sconfinato e immisurabile.

. . . . .

Non dite: "Ho trovato la verità"; dite piuttosto: "Ho trovato una

verità".

Non dite: "Ho trovato il sentiero dell'anima". Dite piuttosto: "Sul

mio sentiero ho incontrato l'anima in cammino".

Perché l'anima cammina in tutti i sentieri.

L'anima non cammina sopra un filo, né cresce come una canna.

L'anima apre se stessa come un fiore di loto dagli innumerevoli

petali.

 

 

Allora un maestro disse: Parlaci dell'Insegnamento.

Ed egli disse:

Nessuno può rivelarvi se non quello che già cova semi

addormentato nell'albore della vostra conoscenza.

Il maestro che passeggia all'ombra del tempio, tra i seguaci, non

elargisce la sua saggezza, ma piuttosto il suo amore e la sua fede.

Se egli è saggio veramente, non vi offrirà di entrare nella casa

della propria sapienza; vi condurrà fino alla soglia della vostra

mente.

L'astronomo può parlarvi di come intende lo spazio, ma non può

darvi il proprio intendimento.

Il musicista può cantarvi il ritmo che è dovunque nel mondo, ma

non può darvi l'orecchio che ferma il ritmo, né la voce che gli fa eco.

E chi è versato nella scienza dei numeri può descrivervi le regioni

dei pesi e delle misure, ma non può condurvi laggiù.

Perché la visione d'un uomo non può prestare le sue ali a un altro

uomo.

E come ciascuno di voi sta da solo nella sapienza di Dio, così

ciascuno di voi deve essere solo nel suo conoscere Dio, e nel

comprendere la terra.

 

 

Allora un muratore si fece avanti e disse: Parlaci delle Case.

Egli rispose, dicendo:

Prima di costruire dentro le mura cittadine, immaginate una dimora

nel deserto.

Poiché come voi rincasate al crepuscolo, così fa il vagabondo che

è in voi, sempre lontano e solitario.

La casa è il vostro corpo più grande.

Vive nel sole e si addormenta nella quiete della notte; e non è

senza sogni. La vostra casa non sogna? e sognando non lascia la

città per un boschetto o per la cima d'un colle?

Vorrei raccogliere in mano tutte le vostre case e spargerle sui prati e

le foreste come un seminatore.

Vorrei che le strade fossero valli, e i vostri viali verdi sentieri,

perché possiate cercarvi l'un l'altro tra le vigne, e incontrarvi con gli

abiti odorosi della fragranza della terra.

Ma queste cose non possono ancora avvenire.

Nella loro paura, i vostri antenati vi riunirono troppo vicini gli uni

agli altri. E quella paura durerà ancora un po' a lungo. Ancora un po'

le mura cittadine separeranno dai campi i vostri focolari.

E ditemi, gente di Orphalese, che cosa c'è in queste case? Che cosa

proteggete con porte sprangate?

Avete pace, la calma passione che rivela la forza?

Avete ricordi, le arcate luminose che abbracciano la sommità della

mente?

Avete la bellezza, che guida il cuore dagli oggetti di legno e di

pietra alla montagna sacra?

Ditemi, avete questo nelle vostre case?

O avete solo gli agi, e la brama degli agi, quella cosa furtiva

ch'entra in casa come visitatrice, e poi diventa ospite, e infine

padrona?

Ahi! ché diventa tiranna, e con gancio e staffile trasforma in

marionette le vostre più grandi aspirazioni.

Benché abbia mani di seta, il suo cuore è di ferro.

Vi addormenta cullandovi, solo per starvi accanto al letto e farsi

gioco della nobile carne.

Deride i sani sensi, e li pone tra i cardi come fragili vasi.

In verità, la brama degli agi uccide la passione dell'anima, e segue

sogghignando il suo funerale.

Ma voi, figli dello spazio, voi irrequieti nel riposo, non sarete

intrappolati e domati.

La vostra casa non sarà un'àncora ma un albero di nave.

Non sarà la lucida pellicola che ricopre la piaga, ma la palpebra

che protegge l'occhio.

Non piegherete le ali per passare attraverso le porte, non chinerete

la testa per non urtare il soffitto, non tratterrete il fiato per paura che i

muri si crepino e cadano.

Voi non abiterete dentro tombe costruite dai morti per i vivi.

E a dispetto della sua magnificenza, la vostra casa non custodirà il

vostro segreto né riparerà la vostra ansia.

Perché quello che in voi è sconfinato dimora nel palazzo del cielo

la cui porta è la nebbia mattutina, e le finestre i canti e il silenzio

della notte.